“QUALE RUOLO PER I CONSUMATORI?” di Alberto Castagnola 1
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“QUALE RUOLO PER I CONSUMATORI?” di Alberto Castagnola 1
“QUALE RUOLO PER I CONSUMATORI?” di Alberto Castagnola 1) Ogni volta che effettuiamo un’azione di consumo, nel senso che acquistiamo qualcosa e la utilizziamo, non ci rendiamo conto che questo atto è per la struttura produttiva e per il sistema economico nel suo complesso un momento estremamente importante, cioè il momento in cui il sistema produttivo giustifica la sua esistenza (ovvero verifica che le cose che ha deciso di fare poi servono a qualcosa, nel senso che sono acquistate – quindi denaro che entra - e quindi si può continuare il ciclo della produzione): qualora non si consumasse, se si sospendessero i consumi, la struttura produttiva crollerebbe. Quindi è un momento molto importante: noi ogni tanto perdiamo di vista questo aspetto, cioè questa stretta interdipendenza quasi connaturata, tra l’attività di produzione, la struttura produttiva, tutta l’economia, tutta la parte monetaria e finanziaria e l’atto semplice che compiamo ogni qualvolta compriamo o buttiamo via qualcosa. Contemporaneamente la struttura produttiva, nel momento in cui acquistiamo qualcosa e utilizziamo qualcosa, impone i suoi modelli, cioè impone i suoi modi di produzione; spesso la scatola, i colori, valgono di più di quello che c’è dentro, noi di fatto accettiamo una certa maniera di produrre. Ogni volta che ci viene imposto qualcosa da usare e gettare, cioè che non possiamo conservare né riutilizzare, il modello industriale dominante ha vinto un’altra volta. Ogni volta che acquistiamo qualcosa non pensiamo abbastanza, non arriviamo a percepire questa stretta interrelazione. 2) Quello che oggi in Italia chiamiamo consumo è in misura crescente solo “consumismo”, cioè in realtà per una serie di prodotti in rapido aumento, il rapporto tra il valore di uso (cioè a che cosa serve il singolo prodotto che compriamo) ed il suo valore effettivo (cioè quale bisogno reale soddisfa), si sta riducendo. In sostanza usiamo sempre più delle cose chje sono lontane dal bisogno reale,, usiamo cose che non soddisfano dei bisogni reali. Bisogni che finora pochi giorni prima non erano reali improvvisamente diventano tali. Per esempio i telefonini sono diventati in meno di tre anni un bene assolutamente necessario. Quello che perdiamo sempre di vista è che c’è una distanza spesso notevole tra bisogno effettivo e bisogno indotto. Questo punto è estremamente importante perché, come capiremo andando avanti nel discorso, il sistema economico nel quale viviamo, su questo meccanismo del consumismo, cioè sull’allargamento della sfera dei prodotti strettamente necessari, ha di fatto trovato, negli ultimi 30-35 anni, la molla per continuare la sua espansione. Se fossimo riusciti alcuni anni fa a imporre l’uso solo di prodotti sicuramente necessari, cioè strettamente legati alla soddisfazione di bisogni reali, umani, il sistema avrebbe rallentato moltissimo la sua espansione. 3) Lasciando da parte il problema del consumismo, esiste poi un’altra caratteristica dei consumi attuali. Se temporaneamente veniamo privati della possibilità di mettere una mano in tasca, di tirare fuori soldi e comprare una cosa, cominciamo ad avere dei disturbi mentali profondi e insicurezze: sto parlando di tutti gli atti di acquisto. Questo significa che, se è vero questo schema di interpretazione, c’è una parte del subconscio che è stato stimolato dal modo di produzione e noi ne siamo rimasti all’interno, per non dire dominati. Questo significa che è molto difficile sottrarsi a certe logiche, poiché per questi motivi di assorbimento nel profondo la mancanza o la riduzione di consumo diventa una carenza di tipo psicologico profondo, quindi difficile da percepire e da controllare. In qualche misura potremmo dire “siamo quello che spendiamo”, esistiamo perché “vogliamo spendere”. 4) E’ una situazione ormai molto pesante, ci siamo abituati a tutta una serie di consumi sociali, poiché lo Stato aveva iniziato a garantire nel secondo dopoguerra coprendo, sia pure in modo incompleto una serie di bisogni fondamentali (come il sistema sanitario). Da alcuni anni, in particolare in Italia, ma è un fenomeno comune a tutti i paesi dell’occidente) lo Stato ha meno risorse da destinare ai consumi sociali. Noi oggi siamo in difficoltà, cioè ci rendiamo conto che ci stanno sottraendo delle cose. Molto grave è la rinuncia a questi bisogni lasciati scoperti, a questi bisogni molto umani, molto profondi. D’altro canto gli Stati sottoposti alle pressioni del sistema finanziario e delle grandi imprese transnazionali non sono in grado di destinare a questi scopi cifre adeguate: una quota crescente delle risorse nazionali (le nostre tasse) è destinata a dei bisogni della struttura produttiva e finanziaria nazionale e internazionale. Però c’è una contraddizione, tali fondi non servono di per sé, servono perché il meccanismo ha bisogno di questi soldi. Questo tipo di emergenze comincia ad essere sempre più chiaro, però noi ne risentiamo soltanto gli effetti in termini passivi e non sappiamo assolutamente quali sono i motivi per i quali avvengono questi spostamenti. 5) C’è un numero rapidamente crescente di consumi che non sono compatibili con l’ambiente, però noi non ci rendiamo conto che dei consumi non sono compatibili con l’ambiente. Non ci rendiamo conto che alcuni consumi, diventati negli anni 60-70 fondamentali, erano anche molto dannosi; non ce ne siamo accorti, oppure ce ne siamo accorti e abbiamo fatto finta di niente perché il modello era quello che ci era stato imposto. Non è ovviamente necessario pensare a una vita senza frigorifero perché ciò che si può are è avere un frigorifero di altro tipo: però ciò significa fare delle scelte perché bisogna pagarlo di più, significa spendere in una certa maniera invece che in un’altra. Tutti i consumi energetici sono sempre meno tollerabili da un punto di vista ambientale, tutte le emissioni di anidride carbonica, l’effetto serra, ecc. sono fortemente legate al nostro modo di consumare. 6) Una quota ancora più rilevante di consumi è fortemente legata a quello che noi chiamiamo “sfruttamento del Terzo Mondo”. Una grande parte delle nostre materie prime continua a provenire dal Terzo Mondo (petrolio in particolare, ma anche zucchero, cacao, caffè). Il punto fondamentale è che questi prodotti continuano a provenire da questi paesi a prezzi bassissimi, noi paghiamo queste materie prime a prezzi assolutamente incredibili, intorno al 6,7,8,10% dell’incidenza delle materie prime sul prezzo finale del prodotto che noi acquistiamo; abbiamo un sistema economico complessivo che riesce a tenere i prezzi delle materie prime (il costo di acquisto del greggio, cioè della materia prima non trasformata) a livelli molto bassi lasciando quasi niente nelle mani dei paesi che detengono queste risorse. Questo meccanismo è banale (lo si sta denunciando da 50 anni) e intatto (nel senso che sostanzialmente questo rapporto dei paesi ricchi con le materie prime è intatto, malgrado la scomparsa delle colonie, i meccanismi economici neocoloniali continuano ad operare). Il rapporto dell’UNCTAD del 1991 dava per i dieci anni precedenti una riduzione del prezzo delle materie provenienti dai paesi sottosviluppati dell’ordine del 40%, quindi con una tendenza all’abbassamento strutturale, radicata, non modificabile almeno in base all’esperienza storica. Questo significa che gran parte dei nostri consumi, la facilità di acquistare e usare delle cose, di avere una casa invece di un’altra, è per noi possibile solo perché c’è una condizione di sottosviluppo. Questo vecchio discorso deve essere ricordato perché è ancora attuale. La risposta ovviamente non è non prendere più il caffè, la risposta è più complessa. Devono essere modificati questi meccanismi, bisogna essere molto più coscienti ogni volta che ci guardiamo attorno; anche in casa dobbiamo guardare i prodotti che ci sono in giro e tener presente quanta parte è dovuta al fatto che esiste un meccanismo di sfruttamento di questa dimensione. Ne derivano due giudizi di valore: uno relativo al meccanismo di sfruttamento, e l’altro relativo al fatto di aver raggiunto questa dimensione nei rapporti tra Nord e Sud. 7) A partire dal rapporto della Banca Mondiale del 1990 dovremmo renderci conto che c’è una quota rapidamente crescente di popolazione, circa 1/5 del totale, oltre un miliardo di persone sugli oltre cinque miliardi nel 2005, che avranno un reddito sotto la soglia di povertà. Ci saranno inoltre talmente poche risorse da mettere a loro disposizione per cui non saranno interessanti né come consumatori né come produttori, cioè tenderanno a sopravvivere ai margini del sistema economico complessivo. Tradotto in altri termini, finora le popolazioni del sottosviluppo compravano la Coca-Cola, domani nella fascia più povera non saranno più in grado di comperarla. Non che questo peggiori la loro vita, ma da un punto di vista dei meccanismi economici complessivi si tratta di un discorso di equità sia pure virtuale: in sostanza nel rapporto della Banca Mondiale intitolato “Povertà” si affermava che non ci sarebbe stato uno sviluppo per tutti. Mentre finora siamo andati avanti pensando che un giorno o l’altro ci sarebbe stato uno sviluppo, questo rapporto dice che si può fare solo dell’assistenza, si può cercare soltanto di migliorare il loro bassissimo livello di vita, per essi non è prevedibile uno schema di sviluppo secondo il meccanismo del sistema dominante. 8) Questo porta a chiedersi che tipo di modello di consumo ci sarà in questi paesi, ma anche quanta parte del nostro modello di consumo dovrebbe essere rapidamente modificata affinché per questa fascia della popolazione ci sia almeno un minimo per la sopravvivenza. Approfondire il discorso sui consumi, significa quindi affrontare il problema dell’equilibrio mondiale complessivo: l’aumento della popolazione ha creato dei livelli di consumo nel Sud troppo bassi, noi del Nord continuiamo ad aumentare la nostra incidenza sulle risorse. I tempi sono molto stretti, bisognerebbe approfondire rapidamente questo tema. La questione dei consumi deve essere affrontata ma bisogna fare attenzione che qualunque proposta di modifica della struttura dei consumi non esclude tutte le altre forme di contrapposizione, di lotta, di conflitto, di modelli alternativi, cioè non significa che siccome non riusciamo ad incidere sulla struttura produttiva, ad esempio con le attività sindacali, si passa ai consumi. Le due cose devono procedere parallelamente. 9) Riprendere in esami i consumi, rimettere in discussione le nostre abitudini di acquisto e di consumo, cominciare a vedere l’energia sotto un aspetto completamente diverso, cominciare a mettere radicalmente in discussione il fatto che le risorse sono illimitate: dobbiamo cominciare ad avere paura di aprire il rubinetto dell’acqua, dobbiamo avere anche delle reazioni epidermiche su questa cosa. Quello che è ancora più complicato da cominciare a vivere e a sentire è che noi fino a 30-35 anni fa abbiamo vissuto in una prospettiva in cui per la prima volta avevamo tutti l’acqua a casa, per la prima volta potevamo accendere la luce a qualunque ora: cioè la generazione precedente ha la nozione di cosa significa non avere a disposizione risorse illimitate. Poi c’è stato il boom e l’espansione, la modernizzazione in meno di 30 anni e noi abbiamo assunto un atteggiamento completamente diverso: la risposta non è ovviamente tornare ad un’economia dei tempi di guerra, tornare a vivere poveramente, però è necessario rifare l’analisi delle disponibilità di risorse, dobbiamo rimettere in discussione la mancanza assoluta di limiti ambientali all’uso delle risorse. Ancora negli anni settanta si parlava di schemi di sviluppo almeno tra noi economisti, in cui la limitazione dei fattori e delle risorse in particolare non era particolarmente presa in considerazione, oppure si pensava che soluzioni tecnologiche avrebbero permesso di ovviare alla carenza di risorse. Questa ipotesi non era minimamente discussa. Bisogna invece rimetterla in discussione e quindi cambiare atteggiamento. Vi ricordo che nel rapporto FAO uscito l’anno scorso ci sono 130 pagine circa sulla carenza di acqua a livello globale. Cioè l’inquinamento ha raggiunto le falde per cui i semplici meccanismi del ciclo dell’acqua cominciano a non essere più spontanei. Quindi prima ci rendiamo conto che dobbiamo cambiare la maniera di vedere queste risorse e meglio è. 10) Ogni volta che si imposta il discorso in questi termini dobbiamo essere coscienti del fatto che mettiamo in discussione non soltanto i consumi ma il modello sociale complessivo: i consumi riguardano solo una fase, una modalità del modello. Ogni volta che facciamo una proposta di ristrutturazione, di cambiamento, di passaggio da un consumo all’altro, di non consumo, emerge un modello alternativo diverso da quello che il sistema economico spontaneamente tende a costruire. Sono pezzettini, piccole cose. Però non rendersi conto che si tenta di mettere in piedi un modello alternativo, che si lavora in una prospettiva eversiva, di contrapposizione, significa esporsi a rischi di assorbimento nelle logiche dominanti, da un lato, e dall’altro il non capire che scelte come quelle di una qualunque ristrutturazione dei consumi troveranno una forte opposizione, significa avere una visione troppo ingenua dei rapporti sociali. Oppure, se si vuole realmente imporre una certa modifica, bisogna prepararsi ad una decisa opposizione. Non rendersi conto di questo significa che uno fa una proposta, basta passare da un elettrodomestico ad un altro, basta scegliere l’auto elettrica: l’auto elettrica è pronta da diversi anni, ma non viene scelta per la produzione di massa. Allora bisogna capire che c’è una situazione molto netta di contrapposizione, bisogna capire perché quali sono i meccanismi economici che si toccano.