Crescere facendo impresa: paper - The European House

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Crescere facendo impresa: paper - The European House
Prefazione
Quest’anno The European House - Ambrosetti celebra i suoi 50 anni di storia.
In occasione di questo importante traguardo, desideriamo mettere a disposizione le nostre
competenze, attività e relazioni a supporto di un tema di cui l’Italia, e in generale, l’Europa
hanno un disperato bisogno: l’imprenditorialità.
L’imprenditorialità, di qualunque tipo e ad ogni livello, rappresenta il più potente propulsore
della crescita economica. Senza imprenditori non c’è crescita. Senza crescita non c’è occupazione e senza lavoro non c’è futuro.
Per uscire da questa crisi l’Italia ha bisogno di una rivoluzione culturale. Piuttosto che
“cercare un lavoro”, le nuove generazioni devono entrare nella prospettiva di “crearsi un
lavoro”. Purtroppo, ad oggi, in Italia solo il 5% degli imprenditori ha meno di 40 anni,
mentre ben il 20% ha più di 70 anni. Il Paese ha bisogno, anche in questo campo, di uno
scarto generazionale che faccia ripartire la propulsione che negli anni ‘50 - ‘70 ha trasformato il nostro Paese in una potenza economica mondiale.
The European House - Ambrosetti, che da cinquant’anni lavora a fianco degli imprenditori
per aiutarli a crescere, attraverso questo documento di ricerca ed una serie di altre attività, si
fa dunque promotrice del rilancio della voglia di “fare impresa” con l’obiettivo di stimolare le
giovani generazioni ad assumere un atteggiamento più proattivo e di indurle a non avere il
timore di tradurre le proprie idee in nuove imprese.
Abbiamo realizzato, con la regia di Andrea Pezzi, un filmato emozionale che verrà
diffuso in tutte le scuole d’Italia, e stiamo portando avanti numerose iniziative concrete
volte a favorire una cultura imprenditoriale diffusa tra i giovani. In particolare
il programma Golden Gate: un progetto sviluppato ad hoc per creare un ponte di
contatto tra oltre 25 mila start up innovative in tutta Europa e le aziende più consolidate
a livello nazionale e internazionale, all’interno del nostro Ambrosetti Club che riunisce
quasi 400 dei più importanti Presidenti ed Amministratori Delegati del Paese.
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Inoltre, gli effetti positivi della formazione all’imprenditorialità sono sempre più
evidenti e il ruolo dell’istruzione nel promuovere atteggiamenti e comportamenti
imprenditoriali virtuosi è oggi ampiamente riconosciuto. L’imprenditorialità, infatti,
non dipende solo da un atteggiamento mentale propositivo e aperto ma anche da un
forte impegno delle istituzioni nella sfida educativa e nella creazione di un ecosistema
adatto alla nascita, alla crescita e allo sviluppo di nuove imprese.
A tale proposito, attraverso la nostra associazione no profit DOT - Do One Thing,
abbiamo l’orgoglio e il piacere di collaborare con il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca Italiano - MIUR affinché questo messaggio per il futuro
venga divulgato ai giovani maturandi di tutte le scuole superiori italiane. Durante
l’anno accademico 2015-2016, DOT e MIUR si faranno promotori di un progetto volto
a stimolare e sostenere la collaborazione tra l’istituzione scolastica, l’Università, la
Ricerca e il settore imprenditoriale italiano. Crediamo fortemente che solo attraverso
iniziative sinergiche e di sistema si possano implementare una serie di azioni efficaci,
volte a sbloccare le capacità imprenditoriali e innovative del nostro Paese.
La mia stima e riconoscenza vanno a tutto il gruppo di The European House - Ambrosetti
che oggi vede circa 200 persone la cui competenza, professionalità, passione e dedizione
hanno reso grande “la nostra impresa”. Non è certo un caso se, per il secondo anno
consecutivo, The European House - Ambrosetti è stato nominato tra i migliori Global
Think Tanks privati del “Global To Go Think Tanks Report” dell’Università della
Pennsylvania. Più nello specifico siamo il primo Think Tank privato italiano riconosciuto, il quarto europeo e nella top 20 a livello mondiale.
Certamente, anche per agli anni a venire The European House - Ambrosetti rimarrà
al fianco degli uomini e della donne che vorranno costruire un’idea di impresa sempre
più grande.
Buona lettura
Valerio De Molli
Managing Partner
The European House - Ambrosetti
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Indice
1. INTRODUZIONE...........................................................................................................5
1.1 L’imprenditore come motore di sviluppo....................................................................5
1.2 La situazione occupazionale dei giovani italiani........................................................6
1.3 Il gap di imprenditorialità in Italia................................................................................8
2. IL VALORE DELL’IMPRENDITORIALITÀ.................................................................... 11
2.1 Cos’è l’imprenditorialità?............................................................................................ 11
2.2 I valori dell’imprenditorialità...................................................................................... 12
a
Visione sul futuro..............................................................................................................13
b
Pianificazione strategica................................................................................................14
c
Innovatività e creazione di valore................................................................................14
d
Rischio e responsabilità..................................................................................................15
e
Valore etico della concorrenza......................................................................................16
2.3 Imprenditorialità: casi di successo che hanno trasformato il mondo................ 17
a
Innovazione come opportunità imprenditoriale: Thomas Edison....................17
b
L’imprenditore nella società del consumo di massa: Henry Ford.....................19
c
Dalla gomma agli pneumatici da corsa: Giovanni Battista Pirelli.....................20
d
Il pioniere dell’informatica: Adriano Olivetti.............................................................21
e
La frontiera imprenditoriale di internet: Mark Zuckerberg.................................22
f
Tecnologia e design: Steve Jobs...................................................................................23
3. L’ECOSISTEMA IMPRENDITORIALE......................................................................... 25
3.1 La definizione di un ecosistema imprenditoriale................................................... 25
3.2 Le componenti di un ecosistema imprenditoriale.................................................. 26
3.3 Casi di ecosistemi di successo................................................................................... 30
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a
Austin: non (solo) più la Silicon Valley........................................................................31
b
Piccoli stati e grandi ecosistemi: il caso di Israele..................................................32
c
Singapore: la crescita a doppia cifra di un ecosistema
pro-business e PMI..........................................................................................................33
d
Imprenditoria e apertura per uscire dalla crisi: il caso irlandese.......................34
e
Grandi governi per grandi progetti: l’ecosistema cinese.....................................35
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4. IL DNA DELL’IMPRENDITORE .................................................................................. 37
5. CASI DI IMPRENDITORI DI SUCCESSO..................................................................... 39
5.1 Magatte Wade (Dakar, Senegal)................................................................................ 39
5.2 Pietro Parisi (Palma Campania, Italia)...................................................................... 40
5.3 Fabrizio Rigolio (Busto Arsizio, Italia)....................................................................... 41
5.4 Daniele Ferrero (Cuneo, Italia)................................................................................... 42
5.5 Hugh Evans (Melbourne, Australia).......................................................................... 43
5.6 Christine Chua (Milano, Italia).................................................................................... 44
6. L’EDUCAZIONE ALL’ IMPRENDITORIALITÀ ............................................................. 46
6.1 Educare all’imprenditorialità: casi di successo....................................................... 49
a
Junior Achievement, Young Enterprise (JA-YE) ®...................................................49
b
Northern Ireland Centre for Entrepreneurship (NICENT)....................................50
c
Catapult................................................................................................................................51
7. LE NOSTRE PROPOSTE .......................................................................................... 52
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1. Introduzione
1.1. L’IMPRENDITORE COME MOTORE DI SVILUPPO
Gli imprenditori sono il più importante motore
dell’economia e rappresentano la principale
forza propulsiva che produce crescita,
innovazione e occupazione.
Questa è la tesi che pervade il presente documento di ricerca, che
ha l’ambizione di sviluppare un’analisi seria, fattuale e scientifica
dell’argomento, fornendo inoltre una serie di proposte concrete
per rilanciare lo spirito imprenditoriale dell’Italia e dell’Europa.
1. Commissione Europea,
In Europa la maggior parte della nuova occupazione è creata
da imprese di nuova fondazione. Tra il 2002 e l’inizio della crisi
economica nel 2009, le PMI hanno creato ogni anno oltre 1,1
milioni di posti di lavoro in Europa (oltre l’85% dei nuovi posti
di lavoro complessivi). Di questi, oltre tre quinti sono stati creati
da imprese come meno di cinque anni di vita, e in particolare
da imprese che operano nel campo dei servizi (27% sul totale).
Anche tra il 2009 e il 2014, nonostante la crisi e un aumento
della disoccupazione di tre punti percentuali in Europa, le PMI
hanno creato quasi due milioni di nuovi posti di lavoro1.
Rapporto Annuale sulle PMI
2013/2014.
Un panorama simile emerge anche volgendo lo sguardo fuori
dall’Europa. Il 40% del PIL statunitense è prodotto da imprese
che non esistevano prima degli anni ‘80. Le imprese con meno
di dodici mesi di vita creano circa tre milioni di posti di lavoro
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2. Dane Stangler e Jordan
Bell-Masterson, The return
to business creation,
Kaufmann Foundation,
2013.
3. Salim Furth, Research
l’anno, mentre le imprese con più di cinque anni di vita perdono
nel complesso circa un milione di occupati ogni anno2. Viene
poi così finalmente sfatato il mito che le start up non creano
occupazione stabile: più del 60% dei posti di lavoro creati da
nuove imprese negli Stati Uniti viene mantenuto oltre i cinque
anni3.
Review: Who Creates Jobs?
Start up Firms and New
Businesses, The Heritage
Foundation, Issue Brief
#3891.
4. Alexander S. Kritikos,
Entrepreneurs and their
impact on jobs and
economic growth, IZA
Policy Brief, 2014.
Sfidando lo status quo i nuovi imprenditori obbligano tanto le
neonate imprese quanto quelle già consolidate a trasformare
i propri modelli produttivi e le proprie soluzioni tecnologiche,
trasferendo risorse e capitale umano verso i settori più
competitivi dell’economia4. Un recente studio dell’OCSE condotto
su 23 Paesi mostra una diretta correlazione positiva tra il grado
di “turbolenza del mercato” (il tasso di ingresso e uscita di nuove
imprese) e il livello di produttività complessivo dell’economia.
Una società dinamica ha quindi un assoluto bisogno di una forte
cultura imprenditoriale e di un ecosistema di supporto strutturato
ed efficiente che ne favorisca lo sviluppo.
1.2. LA SITUAZIONE OCCUPAZIONALE DEI GIOVANI
ITALIANI
Nonostante i primi segni di ripresa, l’Italia soffre
ancora un altissimo tasso di disoccupazione che
è cresciuto dal 6,8% al 12,3% tra il 2008 e il 2014,
con picchi oltre il 40% tra i giovani tra i 18 e i 24
anni.
Basse qualificazioni professionali ed educative, limitate
esperienze di lavoro e lunghi periodi di inattività stanno creando
una spirale negativa da cui molti giovani trovano difficile uscire.
Quello dei giovani senza lavoro è uno dei più grandi sprechi di
capitale umano di questa epoca, e richiede risposte immediate
da parte delle istituzioni e del mondo imprenditoriale.
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22,5
Francia
11,3
UE 28
12,7
Finlandia
6,8
7,4
10,2
Danimarca
7,0
9,6
Regno
Unito
Germania
6,4
9,5
3,4
6,0
giugno 2015
5,6
5,6
7,5
4,7
2008
Italia
Spagna
▲▲ Figura 1. Tasso di disoccupazione nei principali Paesi europei, Eurostat, 2015.
5. The European House
- Ambrosetti, Labour
Scenario in Europe. Key
facts and best labour
market policies, 2014.
6. L’Employability Index è
Alla radice del problema della disoccupazione italiana ci sono
complesse cause strutturali, a cui si aggiunge purtroppo un basso
tasso di “occupabilità” di molti giovani. L’Employability Index
sviluppato da The European House - Ambrosetti, mostra con
chiarezza il netto gap dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei5.
Il tasso di occupabilità dei giovani italiani è tra i più bassi
d’Europa, a causa soprattutto di alti tassi di abbandono scolastico
e di lunghi periodi di inattività tra la conclusione del percorso
formativo e l’inizio della carriera lavorativa, con un conseguente
rapido invecchiamento delle skill acquisite6.
un indice proprietario
sviluppato da The European
House - Ambrosetti tenendo
in considerazione tre fattori
essenziali nella formazione
del capitale umano e
professionale: tasso di
abbandono scolastico,
durata del periodo di
transizione tra scuola e
lavoro, tasso di giovani
NEET (Not in Education,
9,7
Danimarca
9,5
Germania
8,9
Finlandia
8,0
Francia
7,8
Regno Unito
Employment or Training)
sotto 25 anni.
6,7
UE- 28
2,9
Spagna
Italia
2,2
▲▲ Figura 2. Tasso di Occupabilità nei principali Paesi europei (10=alto; 1= basso),
The European House - Ambrosetti su Eurostat, 2014.
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15 %
20 - 40 anni
40 - 50 anni
50 - 70 anni
20 %
5%
7. Dati Istat, 2014.
60 %
Per uscire da questa crisi l’Italia ha bisogno di una rivoluzione
culturale. Piuttosto che “cercare un lavoro”, le nuove generazioni
devono entrare nella prospettiva di “crearsi un lavoro”.
Purtroppo, ad oggi, in Italia solo il 5% degli imprenditori ha
meno di 40 anni, mentre ben il 20% ha più di 70 anni. Il Paese ha
bisogno, anche in questo campo, di uno scarto generazionale che
faccia ripartire la propulsione imprenditoriale che negli anni ‘50‘70 ha trasformato l’Italia in una potenza economica mondiale7.
70 anni
▲▲ Figura 3. Imprenditori in Italia per classe d’età, The European House - Ambrosetti su dati Istat, 2014.
Rilanciare l’imprenditorialità deve diventare quindi una priorità
assoluta per l’Italia e, più in generale per l’Europa,
per far ripartire crescita economica e dinamismo sociale.
1.3. IL GAP DI IMPRENDITORIALITÀ DELL’ITALIA
Soltanto una minoranza della popolazione
svolge attività imprenditoriali.
8. Alexander S. Kritikos,
Entrepreneurs and their
impact on jobs and
economic growth, IZA
Policy Brief, 2014.
9. Il Global Entrepreneurship Index è calcolato
sulla base di 34 indicatori
(sia di percezione che di dati
oggettivi) che misurano le
8
Nei Paesi OCSE le persone che iniziano un’attività
imprenditoriale ogni anno sono appena tra l’1 e il 2% della
popolazione8. L’Italia, in particolare, soffre un netto gap di
imprenditorialità rispetto alle altre economie sviluppate.
Secondo l’Entrepreneurship Index 2015, sviluppato dal
Global Entrepreneurship and Development Institute di
Washington D.C., l’Italia è al 49° posto nel mondo per tasso di
imprenditorialità9. L’indice di imprenditorialità dell’Italia in
termini assoluti è di 41,3 punti, circa la metà degli Stati Uniti
(85,0) e al di sotto di Spagna (49,3), Germania (67,4), e Regno
Unito (71,7).
© The European House - Ambrosetti
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aspirazioni imprenditoriali,
le opportunità e le attitudini
alla creazione di imprese, e
l’ecosistema di supporto.
Il lavoro di ricerca è
condotto dal Global
Entrepreneurship
Development Institute.
Rank / Punteggio
Paese
Rank / Punteggio
Paese
# 1 (85,0)
Stati Uniti
# 7 (70,4)
Islanda
# 2 (81,5)
Canada
# 8 (69,1)
Taiwan
# 3 (77,6)
Australia
# 9 (68,6)
Svizzera
# 4 (72,7)
Regno Unito
# 10 (68,1)
Giappone
# 5 (71,8)
Svezia
# 11 (67,4)
Germania
# 6 (71,4)
Danimarca
# 49 (41,3)
Italia
▲▲ Figura 4. Global Entrepreneurship Index, 2015.
10. Eurobarometer,
Entrepreneurship in Europe
2012, Flash Eurobarometer
354.
La principale causa di questo gap dell’Italia sta nella mancanza di
attitudine imprenditoriale del nostro Paese, a dispetto di una storia
di grande “intraprendenza” dal dopoguerra a qualche decennio
fa. Secondo l’ultima indagine sull’imprenditorialità svolta da
Eurobarometro nel 2012, solo l’11% degli italiani sta concretamente
valutando di aprire un’impresa, contro il 28% degli ungheresi, il
20% dei danesi, il 16% dei francesi, il 10% dei tedeschi, e l’8% degli
spagnoli e dei britannici10. Al contrario, il 68% degli italiani non ha
mai neppure pensato alla possibilità di mettersi in proprio, la più
alta percentuale in Europa (subito dopo Malta).
Non ha mai pensato di aprire un’impresa
Ha l’opportunità di prendere l’azienda famiglia
Non so
Ha pensato o iniziato a aprire un’impresa ma ha poi abbandonato l’idea
▲▲ Figura 5. Indagine sull’attitudine ad aprire un business, Eurobarometro 2012.
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Per quale ragioni gli italiani sono tra i più restii in Europa a iniziare
una attività imprenditoriale? Le survey realizzate dal Global
Entrepreneurship Monitor offrono una prima spiegazione. Gli
italiani hanno una visione estremamente positiva della carriera
imprenditoriale a cui fa però da contrappeso un diffuso senso di
pessimismo sulle proprie opportunità di successo. Il 65% degli
italiani trova desiderabile e appetibile la carriera imprenditoriale,
ma l’83% non vede effettive opportunità imprenditoriali da poter
cogliere.
▲▲ Figura 6. Attitudine e percezione della carriera imprenditoriale, GEM, 2014.
11. GEM, Generation
Entrepreneur? The state
of global youth entrepreneurship, 2013.
Anche tra chi dichiara di avere un’idea imprenditoriale da
sviluppare, quasi la metà dichiara di non volersi impegnare
in prima persona per paura di fallire. Questa paura e questa
percezione di stigma legata al fallimento rappresenta un pesante
ostacolo culturale allo sviluppo dell’imprenditorialità, specialmente
in Italia e in Europa. Ad oggi soltanto il 17,3% dei giovani europei
tra i 18 e i 34 anni crede che una nuova impresa possa avere buone
opportunità di successo, contro il 60% dei giovani nell’Africa Sub
Sahariana, il 40% in America Latina, il 30% in Medio Oriente,
e il 24% degli statunitensi11. Tra le grandi economie sviluppate,
solo i giovani giapponesi sono meno fiduciosi degli europei sulle
possibilità di successo di nuove attività imprenditoriali (appena il
7,8% degli intervistati è fiducioso).
L’Europa e l’Italia hanno bisogno di uno sforzo di sistema per
promuovere la cultura dell’imprenditorialità, specialmente
tra le nuove generazioni.
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2. Il valore dell’imprenditorialità
2.1. COS’È L’IMPRENDITORIALITÀ?
Il termine imprenditorialità, dal punto
di vista etimologico, deriva dal verbo latino
“prahendere” che vuol dire “prendere sopra
di se”, scegliere, e farsi carico.
1. J. Say, A treatise on
political economy, Neeley
and Jones, Londra, 1816.
2. Joseph Schumpeter,
Teoria dello sviluppo
economico, Harvard
University Press, 1934.
Non esiste però una definizione univoca di “imprenditorialità”. Anche
dal punto di vista della dottrina economica, l’imprenditorialità è un
terreno su cui si confrontano diversi approcci che riflettono la natura
multidimensionale di questa.
La prima definizione di imprenditorialità la dobbiamo all’economista
e filosofo Jean-Baptiste Say (1767–1832), che nel 1816 definiva
imprenditorialità come la capacità di “orientare risorse da un’attività
economica a basso profitto ad attività economiche ad alto profitto”1.
In questo senso, il concetto di imprenditorialità era strettamente
legato a due caratteristiche: l’essere proprietari di un capitale, e
l’essere capaci di investirlo in modo produttivo, invece di trasformarlo
- come era tipico nell’Europa prima della Rivoluzione Industriale - in
pura rendita latifondista.
La scuola austriaca di inizio novecento, in particolare grazie al
contributo di Joseph Schumpeter, pone al centro dello sviluppo
economico l’imprenditore e la sua “azione creatrice”. Per
Schumpeter l’abilità dell’imprenditore sta nel creare innovazione
e sviluppo economico trasformando processi di produzione e
prodotti, e creando nuovi usi e mercati per prodotti già esistenti.
In questo senso, l’imprenditore non è tanto chi possiede l’impresa
ma chi la gestisce e trasforma il mercato in modo innovativo2.
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3. L. V. Mises, Human
Action, Yale University Press
New Haven, CT, 1949.
4. P. Drucker, Innovation
and Entrepreneurship,
Harper Perennial, New York,
NY, 1985.
L’imprenditore veniva quindi identificato con il manager capace
di gestire un’impresa che soddisfi bisogni di mercato portando
in equilibrio domanda e offerta3.
Gli ultimi trent’anni del novecento, hanno profondamente
trasformato il nostro modo di capire cosa sia l’imprenditorialità
e quale valore abbia per la società. Dall’osservatorio privilegiato
di The European House – Ambrosetti, che da cinquant’anni
lavora a fianco degli imprenditori per aiutarli a crescere, emerge
che l’imprenditorialità è essenzialmente una attitudine mentale
che non dipende deterministicamente né dalla posizione
lavorativa dell’individuo, né dalla proprietà di aziende o di
capitali4. L’attitudine imprenditoriale è piuttosto una capacità
di vedere e pianificare il futuro, e la voglia di prendersi in prima
persona la responsabilità dei rischi necessari a realizzare la
propria visione. Il senso di responsabilità, la voglia di “farsi
carico” e realizzare un sogno, sono le motivazioni che mobilitano
un imprenditore.
L’imprenditorialità è uno stato mentale e un processo volto a creare e sviluppare
l’attività economica combinando disponibilità a rischiare, creatività o innovazione
con una gestione nell’ambito di un’organizzazione nuova o esistente.
Commissione Europea, 2013
2.2. I VALORI DELL’IMPRENDITORIALITÀ
L’essere individui imprenditoriali significa quindi avere una
“attitudine a farsi carico” delle opportunità che si presentano
nella vita professionale. Questa attitudine ha un valore che va
al di là delle qualità specifiche dell’imprenditore e dell’attività
di impresa. I valori dell’imprenditorialità hanno un profondo
significato come motore di sviluppo economico, etico e sociale
per tutta la società.
In altre parole, l’imprenditore ha una funzione sociale
chiave, come il medico, l’insegnante, l’avvocato, ecc. Il ruolo
dell’imprenditore è quello di chi, nel perseguire “egoisticamente”
il suo disegno imprenditoriale per il benessere proprio e della
propria impresa, contribuisce a realizzare il bene comune e
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5. Tratto dalla prolusione di
Valerio de Molli, 39a
edizione del forum The
European House - Ambrosetti, “Lo scenario di oggi
e di domani per le strategie
competitive”,
6 settembre 2013
trasformare positivamente la società5. Ma quali sono i valori
dell’imprenditorialità e in che modo influiscono sulla società?
Una società ad alta attitudine imprenditoriale è caratterizzata
innanzitutto da una forte prospettiva verso il futuro, è capace
di pianificare strategicamente i propri obiettivi sul lungo periodo,
è innovativa, dinamica, concorrenziale, e valorizza chi assume
su di sé le responsabilità dei propri rischi.
a.
6. Richard Norman,
Ridisegnare l’impresa,
Etas, Milano, 2002.
Visione sul futuro
Una società ad alto tasso di imprenditorialità è una società
orientata al futuro. Richard Normann ha dato una brillante
definizione di come l’imprenditore dovrebbe rapportarsi con il
tempo in cui vive, essendo contemporaneamente nel presente e
nel futuro6.
L’imprenditore dovrebbe vivere “qui” e “ora”, essendo contemporaneamente
“visitatore” del futuro ed “esule” del passato.
Richard Normann
L’imprenditore è quindi “chi imprende”, cioè chi pone in essere
una nuova iniziativa ed è disposto ad affrontarne le difficoltà e
i rischi. Essere imprenditori è una duplice attitudine mentale:
un forte senso di missione nel presente e uno slancio di visione
sul futuro.
Il senso di missione di un imprenditore è sempre guidato da
una motivazione personale. Ciascun individuo è mosso da valori
e motivazioni profonde che lo spingono ad impegnarsi della
propria vita personale, sociale e professionale. La visione invece
è l’attitudine a costruire sulla missione, guardare al futuro con
spirito creativo.
L’essenza dell’attitudine imprenditoriale è infatti cercare di
“vedere” e “anticipare” opportunità nel futuro. Questo continuo
sforzo è mosso non dall’obiettivo di prevedere il futuro, ma dal
desiderio di proiettare nel futuro la propria missione, ovvero la
voglia di esprimersi, i propri valori, gli ideali e le aspirazioni.
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La visione del futuro è la sintesi di tre concetti: primo, l’orizzonte
temporale di riferimento; secondo, l’intento strategico; e terzo,
le dimensioni numeriche, i parametri e l’obbiettivo con i quali
possiamo misurare il raggiungimento del “sogno” nel tempo.
L’attitudine a pensare con prospettiva, a capire e immaginarsi
le esigenze del contesto in cui si opera è l’essenza della visione
imprenditoriale. Questo orientamento alla visione e al futuro è
un valore fondamentale che gli imprenditori disseminano nella
società, nelle imprese e nella vita politica.
b. Pianificazione strategica
7. Valerio De Molli,
I riferimenti fondamentali
della gestione strategica,
IPSOA, 2009.
Una società ad alto tasso di imprenditorialità è una società
dove si pensa strategicamente7. Un mondo permeato da spirito
imprenditoriale non è un mondo di sognatori. Non c’è attitudine
imprenditoriale senza una forte capacità di progettazione da
parte dell’imprenditore. Per trasformare in successo una visione
imprenditoriale è infatti indispensabile combinare creatività o
innovazione con una sana gestione e saper adattare un’impresa
per ottimizzarne lo sviluppo in tutte le fasi del suo ciclo di vita.
È un processo che va ben oltre la gestione quotidiana e richiede
un’attitudine mentale alla pianificazione, alla strategia, e alla creazione
di relazioni di lungo periodo. La capacità di progettare e pianificare
è un valore essenziale per tutti gli ambiti della vita sociale, ed è
un’attitudine che va al di là dell’attività di impresa
in senso stretto.
c. Innovatività e creazione di valore
Una società ad alto tasso di imprenditorialità è una società dove
si innova e si crea valore. Gli imprenditori sono gli agenti del
cambiamento e hanno un ruolo cruciale nell’accelerare la generazione,
lo sviluppo e l’applicazione di idee, innovazioni tecnologiche e sociali.
Gli imprenditori sono i veri protagonisti dello sviluppo economico
in quanto, creando vero valore aggiunto per la propria attività,
producono attorno a se stessi un sistema economico più dinamico e
creano network in cui l’innovazione procede su scala esponenziale.
Per esempio la commercializzazione e distribuzione dell’energia
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elettrica è stata uno degli sviluppi imprenditoriali di maggiore impatto
sulla società: ha creato nuove domande di prodotti (per esempio gli
elettrodomestici) e trasformato filiere di prodotti già esistenti (con gli
elettrodomestici è nata l’industria dei surgelati).
L’individuo con attitudine imprenditoriale è motore di cambiamento
nel contesto in cui opera. Utilizzando l’immagine di Schumpeter,
l’imprenditore-innovatore è seguito da uno “sciame” di imitatori
attratti da quel valore aggiunto creato come le api dal nettare, i quali
entrando nei settori nei quali si sono verificate le innovazioni fanno sì
che presto il prezzo di mercato di quel dato prodotto diminuisca fino
ad assorbire interamente il profitto generato dall’innovazione. Il valore
creato dall’imprenditore è tipicamente di natura economica ma può
egualmente essere non economico, come nel caso dell’imprenditoria
sociale e del no-profit. L’attività dell’imprenditore-innovatore produce
un triplice beneficio
per la società:
1. Aumenta la disponibilità di un’ampia gamma di prodotti
grazie ad un processo di continua innovazione dell’offerta;
2. Riduce i costi dei prodotti come risultato di un costante
processo di innovazione delle modalità di produzione;
3. Offre delle opportunità economiche per individui e imprese
grazie all’allargamento e creazione di nuovi mercati.
Il mondo vive di innovazioni. Ma se il nostro solo strumento è un martello, ogni
problema assomiglierà ad un chiodo da battere.
Bill Gates
d.
Rischio e responsabilità
Una società ad alto tasso d’imprenditorialità è una società
capace di rischiare con responsabilità. Gli imprenditori non sono
scommettitori: non amano il rischio fine a se stesso ma sono
disposti a farsene carico quando è necessario per portare avanti
i propri progetti.
© The European House - Ambrosetti
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L’imprenditorialità è la capacità di prendere rischi calcolati per portare un’idea
sul mercato e creare valore aggiunto.
Yongmin Kim - Presidente, POSTECH-Pohang University of Science
and Technology (South Korea)
Il processo imprenditoriale ha come componente fondamentale
l’assunzione del rischio d’insuccesso in un ambiente caratterizzato
da incertezza. La maggior parte delle attività imprenditoriali
di successo nasce, infatti, da uno o più precedenti fallimenti.
L’esperienza di ogni imprenditore, anche di quelli
che hanno ottenuto grandi successi, è invariabilmente segnata
da alcuni insuccessi, dal loro superamento e dalla continuazione
del percorso (mettendo a frutto l’esperienza).
Chi ha paura degli insuccessi limita le proprie attività. Per me l’insuccesso
è semplicemente un’opportunità per iniziare di nuovo, questa volta in modo
più intelligente.
Henry Ford
e. Valore etico della concorrenza
Una società ad alto tasso di imprenditorialità è una società
carica di spirito competitivo. La competizione e la concorrenza
sono i motori dell’economia: un mercato competitivo è la
precondizione per garantire un’efficiente allocazione delle risorse,
prevenire l’emergere di rendite di posizione, abusi e monopoli.
La rimozione degli ostacoli al commercio e alla concorrenza
permette ai beni e ai servizi di accedere a nuovi mercati, favorisce
la creazione di nuovi prodotti e a mantenere prezzi competitivi
a beneficio dei consumatori.
La concorrenza è però non solo un valore economico ma anche
un valore etico e sociale. In una società basata sui valori della
concorrenza leale e fondata sul rispetto delle regole, tutti gli
individui, a prescindere dalla provenienza sociale, hanno le stesse
possibilità di affermarsi economicamente, di esprimersi
e di contribuire al progresso sociale.
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© The European House - Ambrosetti
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2.3.IMPRENDITORIALITÀ:
CASI DI SUCCESSO CHE HANNO
TRASFORMATO IL MONDO
Negli ultimi centocinquant’anni, dall’inizio
della seconda rivoluzione industriale, la società
si è trasformata radicalmente e ha creato nuove
opportunità imprenditoriali.
Per mostrare questa trasformazione abbiamo scelto sei
imprenditori che hanno colto le opportunità del loro tempo
trasformandole in successo imprenditoriale:
• Thomas Edison, che tra i primi ha saputo commercializzare
le innovazioni tecnologiche su scala industriale;
• Henry Ford, l’uomo che ha saputo trasformare un’idea
commerciale in un prodotto di massa;
• Giovanni Battista Pirelli, un uomo che è stato punto di
riferimento nell’industrializzazione dell’Italia a fine ottocento;
• Adriano Olivetti, che è stato tra i primi pionieri della
rivoluzione dell’elettronica informatica;
• Mark Zuckerberg, l’imprenditore che più di ogni altro ha
capito le potenzialità commerciali dei nuovi strumenti “social”;
• Steve Jobs, l’uomo che ha rivoluzionato il nostro modo di
usare la tecnologia nella vita quotidiana unendola al design.
a. Innovazione come opportunità imprenditoriale:
Thomas Edison
Thomas Edison è noto principalmente per l’invenzione della lampadina,
ma fu anche e soprattutto un grande imprenditore, tra i primi a essere
in grado di trasformare un’invenzione tecnologica in una straordinaria
opportunità di successo imprenditoriale. Nato nel 1847 da una
famiglia povera, è costretto ad abbandonare la scuola dopo pochi mesi
di frequenza a causa di problemi finanziari; riceve una sommaria
istruzione dalla madre e, a soli dodici anni, inizia a vendere giornali sui
treni della “Grand Trunk Railway”, dedicando il tempo libero ai suoi
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primi esperimenti con apparecchiature elettriche e meccaniche.
La vendita degli apparecchi telegrafici, via via perfezionati, gli
procura ingenti somme che nel 1876 utilizza per aprire un piccolo
laboratorio privato. Nell’ambito delle trasmissioni telegrafiche,
estremamente significativa fu l’invenzione dei sistemi duplice
e quadruplice che consentivano di trasmettere più messaggi
contemporaneamente su una sola linea. Importante per lo
sviluppo del telefono, inventato indipendentemente dall’italiano
Antonio Meucci e dallo statunitense Alexander Graham Bell, fu il
suo progetto del microfono a carbone (1876).
Nel 1877 annuncia l’invenzione del fonografo, apparecchio
mediante il quale il suono poteva essere registrato
meccanicamente. Costituito da un semplice cilindro sul
quale è avvolta della carta stagnola, che viene fatto girare
manualmente mediante una manovella, l’invenzione costituisce
un fondamentale passo avanti nel settore.
Due anni dopo, Edison presenta pubblicamente la prima lampada
elettrica, che ottiene notevole successo. Concorrente di Edison
è J.W. Swan, ma la concorrenza fra i due termina poco dopo,
con la costituzione della società Edison & Swan United Light
Company, alla quale arriverà un proficuo futuro. Nel periodo
seguente si dedica invece al perfezionamento della dinamo per
generare la corrente elettrica necessaria all’alimentazione dei
nuovi dispositivi progettando, fra l’altro, la prima grande centrale
elettrica della città di New York.
Nel 1882 la Edison Electric Light Company produrrà oltre 100
mila lampadine l’anno, trasformando in maniera radicale lo stile
di vita di tutta la società. Nello stesso anno, prima a Londra e New
York, e poi a Milano (Santa Radegonda) entreranno in funzione
le prime centrali elettriche per la distribuzione dell’elettricità
nelle strade e nelle case. Nel 1887 Edison trasferisce il laboratorio
da Menlo Park a West Orange (entrambi nel New Jersey), dove
prosegue esperimenti e ricerche. L’anno successivo inventa il
cinetoscopio, il primo apparecchio con cui era possibile realizzare
filmati per rapida successione di singole immagini.
Edison non conquista tutti i mille e oltre brevetti da solo:
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intelligentemente si avvale di molti validi collaboratori e delle
loro idee per poi perfezionarle e trasformarle in oggetti utili e
commerciabili, rivelandosi in ciò, oltre che un ottimo tecnologo,
anche un lungimirante uomo d’affari, precorrendo di molto i suoi
tempi, cogliendo il nesso vincente tra innovazione tecnologica e
opportunità imprenditoriale.
b. L’imprenditore nella società del consumo
di massa: Henry Ford
La storia di Henry Ford è la vicenda di un imprenditoreorganizzatore che ha saputo trasformare un’idea commerciale in
un fenomeno di consumo di massa, non tanto inventando nuovi
prodotti ma trasformando il modo in cui i prodotti stessi venivano
creati.
Industriale, ingegnere e progettista, Henry Ford nasce negli
Stati Uniti in Michigan il 30 luglio 1863. Figlio di agricoltori
di origine irlandese, dopo aver ricevuto soltanto una formazione
elementare, inizia a lavorare come macchinista tecnico in
un’industria di Detroit. Non appena i tedeschi Daimler e Benz
cominciano a immettere sul mercato le prime automobili (verso
il 1885), Ford s’interessa all’invenzione e incomincia a costruire
i propri relativi prototipi. Tuttavia, i primi falliscono in fase di
sperimentazione, a causa di un’iniziale scarsa conoscenza della
meccanica.
Il suo successo arriva solo con il suo terzo progetto, introdotto
nel 1903: la Ford Motor Company; l’idea nuova è quella di
costruire automobili semplici e poco costose destinate al consumo
voluminoso della famiglia media americana; fino ad allora
l’automobile era considerata un oggetto di fabbricazione artigianale
e dal costo proibitivo, destinato a un pubblico molto limitato. Con il
relativo modello T, Ford rende l’automobile un oggetto alla portata
della classe media, introducendola nell’era del consumo di massa;
con essa contribuisce ad alterare drasticamente le abitudini di vita
e a mutare l’aspetto delle città, dando vita a quella che da molti è
stata definita “la civilizzazione dell’automobile” del secolo XX.
Ford si ritira infine a vita privata nel 1945 e muore nella notte
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del 7 aprile 1947 nella sua tenuta di Dearborn, consegnando alla
leggenda le sue invenzioni che ancora oggi sfrecciano sulle strade
di tutto il mondo.
c. Dalla gomma agli pneumatici da corsa: Giovanni
Battista Pirelli
Con un diploma di laurea in ingegneria industriale, l’esperienza
di un lungo viaggio di studio in Europa, e il sogno nel cassetto di
inaugurare in Italia l’era della gomma, Giovanni Battista Pirelli
fonda nel 1872 a Milano, all’età di 24 anni, il primo stabilimento
italiano per la produzione della gomma elastica. La produzione
si espande rapidamente negli anni successivi. Nello stabilimento
fuori Porta Nuova vengono prodotti gli articoli più svariati: tubi,
cavi, cinghie, impermeabili, articoli sportivi e sanitari. In breve
tempo l’attività si amplia, e agli articoli in gomma si aggiunge la
produzione di conduttori elettrici e di cavi telegrafici sottomarini.
La vera passione di Pirelli resta però quella di creare una gomma
dalle prestazioni di assoluta eccellenza. Partito dai prodotti in
gomma, Pirelli decide alla fine dell’ottocento di specializzarsi
sui pneumatici, dove vede aprirsi un nuovo mercato e nuove
opportunità. La scelta era destinata a essere quella vincente. Il
1890 vede la nascita del primo pneumatico per bicicletta e il 1901
quella del primo pneumatico per autovettura. Con il nuovo secolo
arrivano anche le prime vittorie sportive (la Pechino-Parigi nel
1907) e comincia il processo di espansione internazionale, con
l’apertura di nuovi stabilimenti in Spagna (1902), Gran Bretagna
(1914) e Argentina (1917). Si apre così dal primo dopoguerra
un nuovo capitolo della storia Pirelli: le auto da corsa – guidate
da piloti come Tazio Nuvolari, Alberto Ascari e Manuel Fangio
– che sfrecciano su pneumatici Pirelli collezionano vittorie nei
Gran premi internazionali (automobilismo) e nella leggendaria
Mille Miglia. A partire da quegli anni l’azienda si espande anche
all’estero acquisendo partecipate e aprendo nuovi impianti. Nel
1929 la holding Pirelli & C. è la prima società italiana a quotarsi
allo Stock Exchange di New York.
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Alla carriera imprenditoriale Pirelli unisce un forte impegno
civile e politico. Nel 1902 Pirelli entra nel consiglio direttivo della
neonata Università Bocconi su invito del suo fondatore, Luigi
Bocconi. Pirelli diventa anche uno dei principali sostenitori del
Corriere della Sera, è nominato Senatore del Regno nel 1909
e viene eletto presidente di Confindustria dopo la I Guerra
Mondiale. Giovanni Battista Pirelli muore nel 1932, lasciando
alla famiglia un’azienda leader a livello mondiale nel settore dei
pneumatici e della gomma.
d. Il pioniere dell’informatica: Adriano Olivetti
La storia di Adriano Olivetti mette in luce un’altra delle
caratteristiche essenziali dello spirito imprenditoriale moderno:
la poliedricità e la capacità di vedere nel futuro per immaginare
lo straordinario potenziale dell’introduzione dell’elettronica nelle
vite di tutti i giorni. Olivetti è stato infatti uno dei pionieri della
frontiera imprenditoriale in cui ancora oggi viviamo: l’informatica.
Adriano Olivetti nasce a Ivrea l’11 aprile del 1901. La vocazione
per il mondo dell’industria la eredita dal padre Camillo, un eclettico
ingegnere, che nel 1908 fonda a Ivrea “la prima fabbrica italiana
di macchine per scrivere”.
Dopo essersi laureato in chimica industriale al Politecnico di
Torino, nel 1924 inizia l’apprendistato nell’azienda paterna come
operaio. Diventa presidente e Direttore Generale nel 1938, e tra la
fine degli anni ‘40 e la fine degli anni ‘50 porta sul mercato alcuni
prodotti destinati a diventare veri oggetti di culto per la bellezza
del design, ma anche per la qualità tecnologica e l’eccellenza
funzionale: tra questi la macchina per scrivere “Lexikon 80”
(1948), la macchina per scrivere portatile “Lettera 22” (1950), la
calcolatrice “Divisumma 24” (1956). La “Lettera 22” nel 1959 verrà
indicata da una giuria di designer a livello internazionale come
il primo tra i cento migliori prodotti degli ultimi cento anni.
Alla fine della seconda guerra mondiale l’attività di Adriano
Olivetti come editore, scrittore e uomo di cultura s’intensifica. Nel
1946 fonda una casa editoriale (Edizioni Comunità) dove sono
pubblicate importanti opere in vari campi della cultura,
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dal pensiero politico alla sociologia, dalla filosofia
all’organizzazione del lavoro, facendo conoscere autori
d’avanguardia o di grande prestigio all’estero, ma ancora
sconosciuti in Italia.
Il 27 febbraio 1960, nel pieno di una vita ancora vulcanica e
intensa, muore improvvisamente durante un viaggio in treno
da Milano a Losanna, lasciando un’azienda presente su tutti i
maggiori mercati internazionali, con circa 36.000 dipendenti, di
cui oltre la metà all’estero.
e. La frontiera imprenditoriale di Internet:
Mark Zuckerberg
La storia di Mark Zuckerberg, l’inventore di Facebook,
rappresenta l’ultima frontiera dell’imprenditorialità: internet e la sua
capacità di connettere individui, condividere e veicolare informazioni
senza limiti di spazio e tempo.
Zuckerberg nasce il 14 maggio 1984 nella contea di Westchester
a New York. Nel settembre 2002 si iscrive a Harvard. Studente
riservato ed a tratti impacciato, il 4 febbraio 2004 dà vita al prodotto
destinato a diventare il social network più famoso al mondo: The
Facebook. L’idea nasce dall’abitudine delle scuole americane di
pubblicare annualmente le foto degli studenti iscritti, del personale
docente e non degli istituti. L’idea dirompente di questo portale è
la possibilità di condividere con i propri contatti e in tempo reale
ogni aspetto della propria vita. Durante l’estate di quell’anno Mark
e gli amici si trasferiscono in California a Palo Alto, conoscono Peter
Thiel, che investe nell’idea; affittano una casa che gli fa da base
operativa e ufficio. Mark registra il dominio destinato a diventare
parte della nostra vita di tutti i giorni: Facebook.com.
Già nel 2005 praticamente tutte le università americane sono
allacciate al network. Inizialmente concepito solo per gli studenti
universitari americani, dato il forte successo il portale si allarga
oltre i confini americani.
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Il 27 febbraio 2006 Facebook apre anche agli studenti degli
istituti superiori e ai dipendenti di alcune grandi imprese.
Dall’11 settembre dello stesso anno chiunque può registrarsi.
Nel luglio del 2007 il sito di Mark Zuckerberg, nato inizialmente
per mantenere i contatti tra studenti, è il primo tra i più visitati
negli USA e risulta tra i primi dieci al mondo.
A inizio 2015 Facebook ha oltre un miliardo e quattrocento
milioni di iscritti, e il suo fondatore ha raccolto un patrimonio
personale di oltre 34 miliardi di dollari.
f. Tecnologia e design: Steve Jobs
Steve Jobs nasce il 24 febbraio 1955 in California. Finita la
scuola Jobs si iscrive al Reed College di Portland, per dedicarsi
alla sua principale passione, l’informatica, ma dopo un semestre
abbandona l’università per lavorare in Atari come programmatore
di videogames e parte per un viaggio in India.
Al ritorno, nel 1974, coinvolge il suo ex compagno di liceo e
amico Steve Wozniak in una società del tutto artigianale: la
Apple Computer. La società nasce letteralmente in un garage,
il primo progetto viene finanziato vendendo la macchina di
Jobs e il calcolatore scientifico di Wozniak. Apple è una società
innovativa e brillante, ma non si può dire che i sui primi passi
furono di grande successo. Dopo una serie di cali nelle vendite e
prodotti non convincenti, nel 1985, Steve Jobs viene estromesso
dal consiglio di amministrazione della sua stessa società ed è
costretto a cercarsi un nuovo lavoro.
Jobs non si perde però d’animo e fonda una nuova azienda: Next
Computer. Neppure Next fu all’inizio un grande successo: essa
produceva computer migliori dei concorrenti ma a costi proibitivi
per il largo consumo, così che nel 1993 Jobs è costretto a smettere
di produrre hardware e decide di concentrarsi sul software.
Nel frattempo anche la Apple è entrata in crisi e si vede costretta
a richiamare Jobs, che si porta con sé il miglior prodotto di Next
Computer, un software all’avanguardia che passerà alla storia
come il Mac OS X.
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Nel 2002 Apple decide di affrontare anche il mercato della
musica digitale, introducendo il lettore che ha rivoluzionato la
musica digitale a pagamento: l’iPod e la piattaforma iTunes, che
diventa il più grande mercato virtuale di musica, creando di fatto
una vera rivoluzione.
Negli anni successivi, dalla casa guidata dal CEO di Cupertino,
escono iBook, iPhone, e Mac Book, una serie di prodotti che
uniscono alta tecnologia, design, a massima semplicità di
utilizzo trasformando per sempre il nostro modo di utilizzare
l’informatica.
Alla fine di gennaio 2010 Jobs presenta la sua nuova scommessa:
il nuovo prodotto Apple si chiama iPad e introduce nel mercato
una nuova categoria di prodotti del tutto nuovi, i tablet. L’iPad
sarà il prodotto che coronerà la carriera di Jobs, facendone
uno degli uomini più ricchi del mondo e uno dei più influenti
imprenditori-innovatori dell’era digitale.
Colpito da un cancro già nel 2004, nel 2009 lascia
temporaneamente la guida di Apple per curarsi. Il 24 agosto
2011 cede definitivamente il ruolo di CEO di Apple a Tim Cook.
Poche settimane dopo, la sua lunga lotta contro il cancro termina:
Steve Jobs, una delle figure più importanti e significative dell’era
digitale, muore il 5 ottobre 2011 all’età di soli cinquantasei anni.
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3. L’ecosistema imprenditoriale
3.1. LA DEFINIZIONE DI UN ECOSISTEMA
IMPRENDITORIALE
La maggior parte delle nuove imprese ad alto
tasso di innovazione nascono e si sviluppano
all’interno di un “ecosistema imprenditoriale”.
Per ecosistema imprenditoriale si intende l’insieme di quegli
attori (singoli individui, organizzazioni, istituzioni, ecc.) che
supportano le persone nella decisione di diventare imprenditori
e creano un contesto favorevole alla crescita e all’innovazione
nelle imprese già esistenti.
In questa sezione saranno analizzate in dettaglio le componenti
dei diversi sistemi imprenditoriali e saranno identificati i fattori
determinanti che rendono alcuni ecosistemi più attraenti di altri.
Infine, saranno presentati alcuni casi di ecosistemi internazionali
di successo spiegandone i punti di forza e risultati.
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3.2. LE COMPONENTI DI UN ECOSISTEMA
IMPRENDITORIALE
L’obiettivo di un ecosistema imprenditoriale
è creare un sistema di supporto agli imprenditori
tramite un migliore accesso a servizi, risorse
e conoscenze indispensabili per il successo delle
imprese, e coordinando in maniera efficace tutti
gli attori presenti sul territorio.
Per quanto ciascun ecosistema sia unico, non replicabile e
mutevole nel tempo, si possono identificare sei elementi generali
di sistema che favoriscono la nascita e la crescita di un ecosistema
imprenditoriale:
• la capacità dei policymaker di creare un contesto favorevole;
• la disponibilità di fonti di finanziamento;
• la presenza di un mercato di sbocco per i prodotti e servizi
innovativi;
• la qualità e quantità del capitale umano presente sul territorio;
• la propensione culturale a mettersi in gioco in prima persona;
• il supporto di una rete istituzionale e infrastrutturale
Policy
Supporto e
mentoring
Accesso al
Mercato
Accesso alla
finanza
Accesso al
capitale
umano
26
▲▲ Figura 1.
Fonte:
rielaborazione
The European
House
- Ambrosetti
su OCSE, 2014
© The European House - Ambrosetti
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In prima analisi, i policymakers giocano un ruolo essenziale
per l’ecosistema andando a modellare il framework legislativo
in materia di apertura e/o chiusura di nuovi business, disponendo
per via diretta o indiretta sistemi di incentivo e andando
a supportare quelle istituzioni (centri di ricerca finanziati,
università pubbliche) che costituiscono le condizioni igieniche
per la nascita di un sistema imprenditoriale. La lungimiranza di
un policymaker è funzione della volontà di giocare un ruolo di
vera e propria leadership dell’ecosistema, dando piena legittimità
all’azione individuale, aprendosi all’ascolto delle associazioni
di categoria e, laddove se ne ravvisi la necessità o l’urgenza,
andando a predisporre un vero e proprio piano strategico per
l’imprenditorialità.
Anche la disponibilità di capitali finanziari a buon mercato per il
profilo di rischio (mini-bond, fondi di venture capital e private
equity) costituisce un’importante linfa per un ecosistema che
non sempre può finanziarsi con mezzi bancari tradizionali. Tanto
fondi specializzati, quanto singoli individui (business angels)
possono prendersi a carico il finanziamento dell’innovazione,
andando a supplire alla mancanza di disponibilità
dell’imprenditore e del suo network di supporto (familiari/amici).
Accanto a quello dei capitali deve sussistere anche un mercato
accessibile di potenziali utenti interessati ai nuovi prodotti e
servizi offerti. Per mercato intendiamo i consumatori di prodotti
innovativi (testers, trend setters), il network di altri imprenditori
che lavorano sul territorio e i grandi gruppi, anche internazionali,
che preferiscono acquisire questa tipologia di prodotti
dall’esterno piuttosto che idearli e realizzarli in proprio.
Per cultura imprenditoriale si intende invece una serie di
fattori quali la predisposizione ad accettare rischi, la creatività
e l’ambizione di creare qualcosa ex novo che abbia un impatto
sulla collettività e che garantisca un certo status all’interno della
società. Contribuisce a creare una cultura imprenditoriale anche
l’esistenza e la narrazione di storie di successo (come quelle
presentate nelle precedenti sezioni), che possano avere una certa
visibilità ed impatto.
© The European House - Ambrosetti
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Accanto ad una cultura predisposta all’imprenditorialità si rende
necessaria la presenza di capitale umano, un asset quantificabile
in termini di presenza sul territorio di imprenditori seriali e/o
di seconda generazione, del livello medio di formazione degli
individui, del grado di specializzazione della manodopera locale,
e, infine, della disponibilità di percorsi accademici e occasioni di
training ad hoc per gli imprenditori.
Per concludere, tre sono i fattori di supporto che completano
il quadro dell’ecosistema imprenditoriale: le infrastrutture, le
professionalità specifiche e le istituzioni non governative. Per
infrastrutture intendiamo la copertura di rete, il collegamento
logistico con altri poli e con i mercati di sbocco, disponibilità di
spazi di lavoro e la presenza di cluster e/o incubatori. Anche le
professionalità tecniche (mentors e advisors), legali e bancarie
presenti sul territorio contribuiscono a tale funzione. Infine non
bisogna dimenticare la rete di organizzazioni non governative e
pro entrepreneurship che organizzano eventi dedicati al tema,
calls for action e svolgono in modo integrato attività di advocacy.
La maggior parte degli ecosistemi imprenditoriali esistenti
presenta in maniera più o meno marcata i tratti di sopra riportati.
E’ tuttavia bene ricordare come ciascun contesto sia il risultato
dell’interazione di centinaia di elementi che si muovono in sistemi
molto complessi e ad alta capacità di innovazione. Non è dunque
ragionevole aspettarsi che i sistemi imprenditoriali presentino
tutte e in ugual misura le componenti riportate di sopra.
Quest’ultima considerazione risulta conforme con quanto emerso
dalla Global Entrepreneurship Ecosystem Survey del 2015 che
ha mostrato l’importanza effettiva delle diverse dimensioni
dell’ecosistema imprenditoriale a livello di macroregione.
L’indagine, svolta su 43 Paesi, è andata ad investigare il grado di
soddisfazione degli individui sulle diverse componenti del sistema
imprenditoriale in cui operano. Più nel dettaglio agli imprenditori
è stato chiesto, sulla base della loro esperienza, quale sono le
forme di supporto di cui vi è maggiore bisogno per iniziare una
nuova impresa. Più alta è la percentuale di rispondenti che hanno
indicato la pronta disponibilità di un determinato fattore, più
forte è stata considerata la specifica componente nella regione di
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riferimento. I risultati sono presentati nella tabella seguente, che
mette in evidenzia tanto i migliori quanto i peggiori performers
(rispettivamente in arancione e in azzurro).
GRADO DI SODDISFAZIONE DELL’ECOSISTEMA DI SUPPORTO
ALLE IMPRESE
1. L’Entrepreneurship
Ecosystem Survey 2015
valuta, accanto alle sei
dimensioni dell’ecosistema
imprenditoriale di sopra
Silicon
Valley
USA
Nord
America
Europa
Australia
e Nuova
Zelanda
Asia
Medio
Oriente
America
latina
e centrale
Policy
67%
57%
62%
54%
54%
39%
55%
42%
Accesso al
finanziamento
91%
76%
82%
57%
69%
44%
55%
45%
Mercati
di sblocco
92%
83%
85%
72%
69%
68%
68%
62%
Cultura
imprenditoriale
90%
64%
75%
52%
42%
30%
23%
27%
Capitale
umano
93%
87%
90%
81%
81%
73%
50%
71%
Sistema di
supporto
91%
72%
78%
52%
58%
38%
36%
35%
Università
come hub
di innovazione1
88%
67%
75%
52%
42%
30%
23%
27%
Formazione e
training per
neoimprenditori
80%
62%
70%
60%
38%
34%
32%
27%
esplicate, due ulteriori
pilastri: la capacità delle
università di fungere da hub
per l’innovazione e la qualità
della formazione e training
offerti ai neo - imprenditori.
▲▲ Figura 2. Fonte: Grado di soddisfazione dell’ecosistema di supporto alle
imprese, rielaborazione The European House - Ambrosetti su GEM-Global
Entrepreneurship Ecosystem Survey, 2015
In sintesi, ciò che emerge dalla survey è un panorama
imprenditoriale estremamente variegato a livello globale, dove
la Silicon Valley risulta ancora un modello globale di ecosistema
imprenditoriale mentre l’Europa sembra non riuscire a mettere
a frutto il suo pur forte capitale umano per mancanza di adeguati
mercati di sbocco e sinergie con le università.
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3.3. CASI DI ECOSISTEMI DI SUCCESSO
Partendo dall’analisi dei fattori chiave di un
sistema imprenditoriale di sopra identificati
sono stati selezionati una serie di casi di
successo che non costituiscono necessariamente
gli esempi più noti ma che mettono in luce uno
o più fattori determinanti per il successo
di un ecosistema imprenditoriale.
Non mancano le prove di come la costruzione di un ecosistema
imprenditoriale possa rappresentare un’inestimabile beneficio
economico per interi Paesi. A tal pro verrà presentato il caso di
Singapore, un’esperienza in grado di dimostrare come la promozione
di politiche ad hoc rivolte alle piccole e medie imprese possa far
germinare un prolifico ecosistema imprenditoriale a vantaggio
di ricchezza individuale e occupazione.
La sezione proseguirà proponendo l’analisi del secondo ecosistema
imprenditoriale statunitense, Austin, che è riuscita ad attrarre
capitale umano e ricchezza puntando su elementi soft, come
la qualità della vita. Il percorso seguirà rimarcando come molti
ecosistemi siano nati anche a discapito della presenza di fattori di
contesto molto scoraggianti: prova ne siano il “miracolo israeliano”
e la creazione di un polo tecnologico attorno alla città di Dublino.
Per concludere, verrà ribadito come la presenza di una cultura
imprenditoriale sul territorio possa agevolare la formazione di un
ecosistema imprenditoriale, come avvenuto sull’isola di Taiwan.
Allo stesso tempo, laddove l’iniziativa dei singoli sia carente,
è possibile ovviare a limiti culturali tramite la disposizione di
specifici interventi strutturati, come ci insegna l’esperienza cinese.
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a. Austin: non (solo) più la Silicon Valley
L’ecosistema high tech di Austin
PIL pro capite (area): $ 47.548
(Texas) vanta di un cospicuo numero
Entrepreneurship Index (paese): 85/100 (#1)
di imprenditori, incubatori e
Innovation Index (paese): 62,37/100 (#2)
investitori che, negli ultimi 20 anni,
si sono trasferiti in questa proTasso di disoccupazione (area): 3,2%
business city in a pro-business state
attratti dall’altissima qualità della vita,
dal bassissimo livello di tassazione degli individui e delle imprese
e, sempre in via crescente, da un ecosistema imprenditoriale che
poggia su un network che fornisce un forte supporto all’attività
imprenditoriale.
2. Incubatori ed acceleratori di
Start up hanno costituito una
parte integrante dell’ecosistema di Austin
sin dal 1989, quando l’Austin
Technology Incubator (ATI)
venne fondato all’interno della
University of Texas. ATI funge
La metropoli è considerata il nuovo centro di gravità per gli
imprenditori made in the USA, tanto da meritarsi una menzione
speciale anche dal Presidente Obama. Mentors, Venture
Capitalists, veterani (dipendenti di grandi multinazionali
high-tech che hanno deciso di lasciare la loro occupazione per
iniziare un nuovo business in proprio) e più di dieci incubatori2
costituiscono l’armatura di supporto della community di Austin,
una comunità che beneficia di un fitto network di associazioni
che organizzano veri e propri eventi di networking ad hoc: dalla
Austin Startup Week, che si svolge ogni anno a inizio ottobre,
a una serie di iniziative collaterali.
tutt’oggi da incubatore per
compagnie nei settori IT, delle
biotecnologie e dell’energia. E’
stato stimato che per ogni euro
investito in questo incubatore
se ne generano fino a 27 per
l’intero indotto cittadino.
3. Si veda per riferimenti:
Per concludere, Austin risulta molto attrattiva anche per i
finanziamenti: è stato stimato che nel 2014, nella sola area
metropolitana, siano stati raccolti più di 800 milioni di dollari
di finanziamenti in venture capital, che secondo la stampa locale,
hanno contribuito a creare più di diecimila posti di lavoro sul
territorio, soprattutto nel campo dell’high-tech e dell’energia3.
startuptexas.co
Il raggiungimento di un tale risultato conferma come la
presenza di fattori di supporto non necessariamente di natura
pubblica possa generare un positivo impatto sull’ecosistema
imprenditoriale e sul suo indotto.
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b. Piccoli stati e grandi ecosistemi: il caso di Israele
L’ecosistema imprenditoriale
PIL pro capite (paese): $ 23.414
israeliano ha iniziato a svilupparsi
Entrepreneurship Index (paese): 59,9/100 (#22) dalla metà degli anni ‘70 a discapito
Innovation Index (paese): 55,46/100 (#15)
della limitatezza delle risorse
disponibili sul territorio e in un
Tasso di disoccupazione (paese): 5,3%
contesto geopolitico tutt’altro che
favorevole. Principali iniziatori di
quello che oggi viene definito il “miracolo israeliano” furono i 3
milioni di immigrati da ogni parte del mondo che, a partire dal
1948, iniziarono a stanziarsi stabilmente sul territorio. Proprio
la massiccia presenza di “pionieri” ha permesso nel tempo la
creazione di una cultura decisamente aperta al rischio.
Accanto a una predisposizione culturale al pionierismo e
all’innovazione, la leva fiscale ha certamente giocato un ruolo
rilevante nel successo dell’ecosistema israeliano. A inizio anni ‘90
il governo locale si è posto in prima linea per rendere Israele una
vera e propria “Start Up Nation” con un piano di investimenti di
centinaia di milioni di dollari in fondi di venture capital a capitale
misto (progetto Yozma). Nel 2010 è stata inoltre approvata
una prima versione della “Angels’ law” che prevede un regime
fiscale di estremo favore per gli investitori stranieri intenzionati
a investire nei neonati business israeliani. Quest’ultima iniziativa
ha fatto sì che, a fronte di un investimento di 50 milioni di dollari
all’anno sotto forma di sgravi fiscali, il governo locale sia riuscito
a mobilitare risorse pari a circa l’1% del PIL nazionale sotto forma
di fondi di venture capital privati.
Per concludere, l’altissima qualità del capitale umano (45% della
popolazione è laureata) ha attirato in Israele negli ultimi cinque
anni colossi tecnologici tra cui Intel, Microsoft, Cisco, Google,
HP e IBM. Questo ha generato ulteriori e positive ricadute
sulla sopravvivenza dell’ecosistema: le grandi imprese difatti
attraggono capitali, personale qualificato, possono finanziare
l’innovazione tramite investimenti diretti e spin-off quando,
addirittura, non vanno a costituire il primo mercato di sbocco
per i prodotti e servizi ideati all’interno dell’ecosistema.
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La lezione che possiamo portare a casa dall’esempio israeliano
è come una lungimirante politica fiscale possa promuovere
lo sviluppo sul territorio, nonostante i fattori di contesto.
c. Singapore: la crescita a doppia cifra
di un ecosistema pro-business e PMI
Singapore gode di un ottimo
PIL pro capite (paese): $ 55.182
posizionamento globale per
Entrepreneurship Index (paese): 68,1/100 (#10) quanto concerne molti temi legati
all’imprenditorialità, posizionandosi
Innovation Index (paese): 59,2/100 (#7)
Tasso di disoccupazione (paese): 1,9%
al primo posto tra i Paesi asiatici per
facilità di aprire un nuovo business
nella classifica stilata annualmente
dalla Banca Mondiale. Non a caso sul territorio hanno sede più
di 2.000 start up e si contano numerosissime storie di successo
soprattutto nel campo della sanità e dell’e-commerce - un
caso raro per un Paese dell’estremo oriente dove l’iniziativa
imprenditoriale individuale è stata a lungo scoraggiata dalla
cultura locale.
Singapore gode di una popolazione estremamente multietnica,
culturalmente aperta all’imprenditorialità e vanta una delle
legislazioni più pro-business del pianeta. Per quanto concerne
la disponibilità di capitale umano, nel 2014 Singapore si è
classificata al terzo posto nel Pearson’s Index of Cognitive Skills
and Educational Attainment, e vanta un sistema universitario
d’eccellenza, fortemente integrato con il network delle università
anglo-americane.
La vera ricetta del successo del sistema imprenditoriale locale si
basa tuttavia su una serie di oculate scelte di policy intraprese
a partire dal 2001: dalla creazione del Research, Innovation
and Enterprise Council, che si occupa di definire un vero e
proprio piano strategico per l’ecosistema imprenditoriale, al
lancio dell’iniziativa SME 21, finalizzata a facilitare la crescita
delle piccole e medie imprese locali grazie al supporto tecnico,
legale ed informativo fornito da una rete di 63 agenzie pubbliche
specializzate.
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Il caso di Singapore ci mostra un insegnamento fondamentale:
per essere efficaci, politiche per le PMI e per l’imprenditorialità
devono procedere in parallelo, focalizzandosi non tanto sulla
quantità di nuove imprese ma sulla qualità e sul loro grado di
innovazione.
d. Imprenditoria e apertura per uscire dalla crisi:
il caso irlandese
Nonostante le forti turbolenze
PIL pro capite (paese): $47.908
cui l’economia è andata incontro
Entrepreneurship Index (paese): 65,3/100 (#17) nell’ultimo decennio, l’Irlanda
Innovation Index (paese): 56,67/100 (#11)
ha tradizionalmente scommesso
Tasso di disoccupazione (paese): 10%
molto sui neo-imprenditori e sulla
costruzione di un ecosistema a
vocazione globale che li potesse
allevare. L’ecosistema irlandese si è sviluppato nel corso degli
anni ‘80 grazie ad alcune dotazioni specifiche in capitale
umano del territorio (la presenza di manodopera locale inglese,
giovane, adattabile e che aveva ricevuto l’opportunità di formarsi
gratuitamente presso le università locali) ma soprattutto sulla
base di una precisa scelta di policy: l’adozione di un regime
fiscale particolarmente favorevole per le grandi multinazionali
intenzionate ad investire sul territorio. Anche nel caso irlandese
dunque la leva fiscale - sotto forma di un’aliquota unica al
12,5% sui redditi commerciali - e la presenza sul territorio
di grandi gruppi che potessero fungere da catalizzatori
dell’innovazione hanno agevolato la creazione di un ecosistema
per l’imprenditoria. Non a caso dal 2011 l’Irlanda occupa il primo
posto in Europa per capacità di attrarre investimenti esteri,
investimenti che in una decina di anni hanno creato da soli oltre
20.000 posti di lavoro. In aggiunta ai benefici fiscali, ad oggi
l’Irlanda è l’unico Paese dell’area UE ad avere adottato un visto
speciale che favorisca l’accesso di stranieri interessati a creare
impresa (Startup VISA).
L’ecosistema di Dublino ci insegna come un ecosistema
imprenditoriale debba essere quanto più aperto possibile
all’esterno per fuggire il rischio di autoreferenzialità e le
congiunture economiche negative del territorio ospitante.
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e. Grandi governi per grandi progetti:
l’ecosistema cinese
La Cina è oggi, insieme a Israele e
Singapore, il Paese che meglio di tutti
ha applicato il criterio di creazione di
poli industriali allo scopo di garantire
vantaggio competitivo alle imprese
tecnologiche in esso ospitate. Tra
questi, l’esempio più importante è a
Pechino, dove l’hub tecnologico di Zhongguancun (area nordovest della capitale) si afferma ogni giorno di più come la Silicon
Valley cinese.
PIL pro capite (paese): $15.103
Entrepreneurship Index (paese): 65,3/100 (#61)
Innovation Index (paese): 46,57/100 (#29)
Tasso di disoccupazione (paese): 4,1%
Questo primo “giardino tecnologico” è stato originariamente
concepito nel 1999 sull’onda di una politica nazionale di sviluppo
attraverso le scienze e la tecnologia e, ad oggi, ospita oltre 9.000
imprese hi-tech che occupano 36.100 lavoratori specializzati
(di cui almeno il 40% è in possesso di un master o di un titolo di
studio superiore). A tal pro, la vicinanza con una delle istituzioni
accademiche più prestigiose della Cina, l’Università di Tsinghua,
ha certamente dato supporto allo lo sviluppo del sistema.
E’ infine interessante segnalare come l’ecosistema cinese sia
caratterizzato tradizionalmente da una bassissima propensione
al rischio individuale alla quale il governo centrale ha dovuto
supplire con una serie di interventi di indirizzo. Accanto
all’implementazione di un preciso piano strategico (che ha visto
coinvolti i governi centrali e locali), ha senza dubbio contribuito
allo sviluppo dei moderni ecosistemi imprenditoriali cinesi la
presenza di un mercato privato, che è cresciuto a doppia cifra
per dimensione e volume della domanda per oltre un decennio
affermando la Cina come secondo consumatore globale di
prodotti ad elevato contenuto di innovazione.
Accanto allo Zhongguancun garden, il gigante rosso ospita oggi
più di mille technology business incubator, che complessivamente
accolgono al loro interno oltre 60.000 start up.
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E’ tuttavia bene sottolineare come solo il 20% di questi incubatori
sia gestione privata, a riprova che non tutti gli ecosistemi
imprenditoriali di successo funzionano o possono funzionare
solo grazie all’iniziativa privata.
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4. IL DNA DELL’IMPRENDITORE
Come mostrato nel precedente capitolo,
l’ecosistema in cui l’imprenditore opera ha un
ruolo di supporto cruciale nel favorire la nascita
e lo sviluppo di opportunità imprenditoriali.
Tuttavia, in ultima analisi, sono le attitudini e le qualità
dei singoli imprenditori il vero motore propulsivo
dell’imprenditorialità. Ma quali sono i tratti irrinunciabili
di un imprenditore e i prerequisiti per il successo? L’attività
imprenditoriale è per natura poliedrica e non esiste un profilo
deterministico dell’imprenditore. L’imprenditorialità è in ultima
analisi un’attività creativa e ogni imprenditore ha una propria
visione di se stesso e del mondo. In cinquant’anni di attività
The European House – Ambrosetti ha avuto l’opportunità di
lavorare con decine di migliaia di imprese e da questa esperienza
abbiamo potuto tracciare, dall’esterno, quello che è a nostro
avviso il “DNA essenziale dell’imprenditore”. Sulla base delle
competenze accumulate nel campo della consulenza strategica
e dell’intelligence raccolta in oltre 320 eventi organizzati con
il contributo di quasi duemila esperti e più di cinquemila top
executive ogni anno, abbiamo identificato otto qualità che
a nostro avviso rispecchiano il DNA dell’imprenditore:
1. propensione al rischio e ad affrontare sfide con uno spirito
di sacrificio decisamente sopra la media;
2. capacità di prendere decisioni velocemente;
3. senso etico e coraggio;
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4. voglia di autorealizzazione personale e senso di responsabilità
(ad un imprenditore è ben chiara la differenza tra doveri
e diritti);
5. creatività e spirito di iniziativa;
6. tenacia, assertività, capacità di persuasione;
7. capacità di lavoro di squadra e grande attenzione
alle persone;
8. ottimismo (l’ottimista vede opportunità in ogni difficoltà,
mentre il pessimista vede difficoltà in ogni opportunità).
Nel complesso, queste caratteristiche costituiscono il “DNA
dell’imprenditore”, che si declina in infinite sfaccettature,
secondo le attitudini, le ambizioni e la visione dei singoli
imprenditori.
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5. CASI DI IMPRENDITORI DI SUCCESSO
I casi imprenditoriali che seguono non vogliono rappresentare
necessariamente i migliori, né gli unici, né i più rilevanti, ma
solo delle esperienze di vita di imprenditori diversi per cultura,
estrazione geografica e settori di appartenenza. Queste storie
offrono a tutti noi spunti di riflessione e mostrano che si può,
anzi si deve, fare impresa ovunque!
5.1. MAGATTE WADE (DAKAR, SENEGAL)
La storia di Magatte Wade ci parla di coraggio, ottimismo e
senso etico. Questa giovane imprenditrice nata in Senegal e poi
trasferitasi a San Francisco ci mostra quanto i Paesi emergenti
abbiano da insegnare anche agli imprenditori della Silicon Valley.
Ad ispirare Magatte Wade è c’è una convinzione ferrea: i prodotti
tradizionali africani possono diventare un successo commerciale
in tutto il mondo.
Partendo da zero, Magatte Wade a meno di vent’anni è riuscita
a fondare una compagnia, Adina World Beat Beverages, che pur
proponendo prodotti di nicchia riesce ad avere una copertura
capillare sulla grande distribuzione americana, nonostante la
competizione dei colossi dell’industria delle bibite. I core product
di Andina sono caffè, tè e succhi di frutta preparati seguendo
ricette tradizionali da tutto il mondo e coltivati in Africa e Asia
secondo i principi dell’economia sostenibile.
La risposta del mercato si è fatta sentire. Nel 2010, a solo
cinque anni dall’avvio dell’attività, Magatte Wade ha raccolto
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finanziamenti per 30 milioni di dollari in venture capital e la sua
impresa fatturava oltre 3,5 milioni di dollari l’anno. Nel 2013
la rivista Forbes ha inserito Magatte Wade nella lista delle 20
Youngest Power Women of Africa.
L’imprenditorialità è molto più diffusa di quanto si possa credere tra i senegalesi.
Basti pensare a tutti i banchetti informali che gli “imprenditori” dal Senegal
organizzano per le strade di New York, Parigi e Milano. Tuttavia la difficile
condizione economica del Paese unita a una legislazione sfavorevole (il Senegal è
uno dei Paesi al mondo in cui è più difficile licenziare) e all’alto livello di tassazione
impediscono a questo ecosistema di decollare.
Magatte Wade
5.2. PIETRO PARISI (PALMA CAMPANIA, ITALIA)
Aprire una impresa non è facile per nessuno, neppure nelle migliori
condizioni, ma la storia di Pietro Parisi insegna che è possibile farlo
anche qui, in Italia, nelle terre dove si sente indelebile il peso di
organizzazioni criminali come la Camorra. La sua storia parla di
sacrificio, di tenacia e di voglia di assumersi dei rischi nonostante
avversità e fallimenti.
Pietro Parisi nasce nell’entroterra campano, una terra al quale
rimane profondamente legato e sul quale lo chef ha lanciato la sua
iniziativa imprenditoriale. Lasciata casa all’età di 13 anni, Pietro
Parisi si forma sotto le scuole di cucina di Alain Ducasse in Francia
e Gualtiero Marchesi a Milano. Dopo aver lavorato in ristoranti
stellati in Francia, Svizzera e negli Emirati Arabi, lo chef decide
contro tutte le aspettative di tornare in Campania per dedicarsi
all’ attività imprenditoriale. Dopo una serie di tentativi falliti di
mettersi in proprio, trova la sua strada ripartendo dalle origini
contadine della sua famiglia.
Nel 2005 Pietro Parisi ha l’idea di investire in una piccola
cittadina alle pendici del Vesuvio, Palma Campania aprendo
un ristorante il cui nome è tutto un programma: “Era Ora”.
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Il ristorante diventa il primo presidio slow food nell’entroterra
campano: la sua filosofia di business si fonda sulla preparazione
di piatti tradizionali, semplici e volutamente economici, ma
al contempo gourmet. Il ristorante “Era Ora” ha fatturato nel
2013 700 mila Euro, servendo circa 6.000 pasti al mese. Visto
il successo dell’iniziativa Pietro Parisi si è espanso creando
un Market Gourmet Shop e aprendo nel 2014, Nannina, una
salumeria osteria. Lo chef sta ora pensando di aprire un nuovo
ristorante negli Emirati Arabi, dove ha lavorato a lungo in
passato, ma resterà a dirigerlo dalle pendici del Vesuvio,
dal suo “Era Ora”.
Io i camorristi li ho visti in faccia, siamo stati bambini assieme. Perciò quando sono
venuti a chiedermi i soldi al ristorante gli ho detto: ma voi lo sapete a che ora
mi sveglio la mattina?
Ho deciso di dare luce, una botta a un territorio che è stato a lungo martorizzato.
Dobbiamo riscoprire quelle che sono state le radici dei nostri nonni. Solo così
possiamo avere un grande futuro e dare un grande futuro ai nostri giovani.
Pietro Parisi
5.3. FABRIZIO RIGOLIO (BUSTO ARSIZIO, ITALIA)
Imprenditore è chi riesce a leggere un’opportunità tra le righe della
quotidianità: una capacità che non è mancata a Fabrizio Rigolio che
ha trasformato dei semplici accessori per moto in oggetti di culto e
di design internazionale. Figlio di un meccanico di Gallarate, questo
giovane imprenditore inizia la sua attività quasi per caso, andando a
disegnare e realizzare artigianalmente pezzi di ricambio per le moto di
amici e conoscenti.
Nel 2001 Fabrizio Rigolio fonda, con l’aiuto del fratello, Rizoma, una
compagnia che disegna, produce e vende in tutto il mondo accessori
per moto di altissima qualità. Grazie al prestigio ottenuto Rizoma
poteva già contare, in poco più dieci anni, su prestigiose collaborazioni
con marchi top di gamma (Ducati, BMW, Yamaha e Kawasaki).
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Nel 2013 Rizoma ha fatturato quasi 13 milioni di Euro, ridistribuendo
un utile del 10% e dà oggi lavoro a una settantina di professionisti.
A me serve la qualità, perciò l’appello agli imprenditori Italiani lo faccio io: investite nelle
risorse umane. Un macchinario lo compri ovunque, le persone skillate (detto apposta) no.
Per noi la crisi è stata un regalo. La decrescita ha fatto selezione: ha buttato giù
i deboli e gli incapaci, chi abbassava i prezzi senza garantire qualità.
Fabrizio Rigolio
5.4. DANIELE FERRERO (CUNEO, ITALIA)
“Se fai quello che ami tutto è possibile. Io amo il cioccolato”.
La storia di Daniele Ferrero è quella di come una grande passione
si può trasformare in un grande business. Dieci anni fa, dopo
un’esperienza nella consulenza, Ferrero lascia una carriera stabile
e promettente per comprare la Venchi, una fabbrica artigianale di
cioccolato da anni sommersa dai debiti e in liquidazione. Ferrero,
che con il gigante dolciario di Alba condivide il cognome ma
nessun legame di parentela, crede nel capitalismo anglosassone
importato per l’Italia.
Dopo aver affrontato un lungo periodo buio, la storica
cioccolateria artigianale Venchi ha trovato in Daniele Ferrero
e nei suoi tre soci principali una nuova vita. Un manager, un ex
chimico con la passione del chicco di grano perfetto, un venditore.
Sono loro la spina dorsale della nuova Venchi, che oggi dà
di nuovo lavoro a oltre 260 dipendenti e fattura oltre 42 milioni
di Euro.
Dal 2007 la Venchi si è aperta al mondo, inaugurando 7 boutiques
del gusto fra Pechino ed Hong Kong. Sempre sul cioccolato,
prodotto core, Venchi ha lanciato anche una linea di gelato semi
artigianale venduto in tutto il mondo.
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Come mai da noi le aziende sono tanto piccole? Perché l’Italiano è così egocentrico che
quando è messo in condizione di emergere come eroe è un fenomeno, lavora più di tutti.
Se non sai più dove investire gli utili, allora è meglio vendere.
La competitività è lavorare duro, non ci sono misteri.
Daniele Ferrero
5.5. HUGH EVANS (MELBOURNE, AUSTRALIA)
Grande tenacia, determinazione e senso di responsabilità
personale possono far arrivare ovunque. Questa è la storia
di Hugh Evans, un imprenditore sociale poco più che trentenne
che nel 2006 è riuscito a organizzare con un gruppo di soci
il Make Poverty History: un concerto svoltosi a Melbourne
in concomitanza con il G-20 del 2014. Evans è riuscito a
coinvolgere gruppi musicali di livello mondiale come Pearl Jam
e gli U2 raccogliendo 4,3 miliardi di dollari in fondazione per la
lotta alla povertà.
Hugh Evans è un ragazzo con grandi capacità imprenditoriali
mischiate ad un raro senso dell’impegno e del dovere. La rivista
Forbes lo ha menzionato nel 2012 come uno dei “30 Under 30
social entrepreneurs” più influenti al mondo. Già all’età di 14
anni era attivamente coinvolto nel mondo del volontariato e
partecipava a missioni umanitarie nelle slums indiane di Manila.
Crescendo è riuscito a concretizzare questo suo interesse andando
a fondare, insieme ad alcuni soci, the Global Poverty Project:
una piattaforma online che connette decine di migliaia di persone
in tutto il mondo impegnate per combattere la povertà nelle
rispettive comunità. Una delle iniziative più significative lanciate
da The Global Poverty Project, Live Below the Line, ha raccolto
da sola oltre 5 milioni di dollari.
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La creatività nasce dai limiti.
L’obiettivo del Global Poverty Project è stare dalla parte dei più poveri nel mondo.
Combattiamo per il pieno finanziamento dei Millennium Development Goals e
chiediamo un vero cambiamento delle politiche degli stati delle imprese che bloccano
il progresso e cementano l’ingiustizia.
Hugh Evans
5.6. CHRISTINE CHUA (MILANO, ITALIA)
“Per me l’Italia è il Paese dove sto realizzando i miei sogni”.
La storia di Christine Chua assomiglia alla vicenda di tante italiane
che il secolo scorso sono emigrate per fare fortuna all’estero, armate
solo di speranza e voglia di mettersi in gioco. Solo che Christine
è filippina e il suo futuro lo ha realizzato in Italia.
Christine è nata nel 1981 ed ha raggiunto la madre in Italia all’età
di 19 anni. Con sé, nello zaino, aveva soltanto un diploma di perito
informatico. La burocrazia è difficile, ottenere un permesso di
soggiorno è un incubo anche per chi ha un lavoro ma Christine non
demorde. I primi anni in Italia non sono stati facili, ha cominciato
lavorando come badante e baby sitter, per poi trovare un contratto
da operaia in una fabbrica di lampade di Milano. Da lì è partita
una rapida carriera che l’ha portata in pochi anni a diventare
responsabile della produzione cinese dell’azienda. Christine parla
quattro lingue, e negli anni ha imparato a conoscere l’Italia, le
Filippine e la Cina.
Così, a 26 anni Christine si convince a lanciare una nuova sfida.
Si mette in proprio e fonda con il proprio compagno la Delta
Contract, un’azienda che produce sistemi di illuminazione per
navi da crociera. L’80% della produzione viene fatta in Cina, ma
la progettazione è tutta Made in Italy e lo è anche la produzione
delle specialità italiane di alta gamma come i lampadari in vetro
di Murano. I clienti sono in tutto il mondo e il fatturato è molto
rilevante per un’azienda nata da pochi anni. Con soli cinque
dipendenti e nonostante la crisi economica la Delta Contract aveva
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nel 2013 un giro d’affari di oltre 1,1 milioni di Euro, in crescita del
65% rispetto al 2012 e con una previsione di ulteriore crescita del
22% nel 2014.
Sempre nel 2014, a 33 anni, Christine Chua ha vinto il MoneyGram
Award attribuito dalla Fondazione Leone Moressa per il miglior caso
di imprenditoria straniera in Italia. Il sogno di Christine è continuare
a lavorare nel nostro Paese e ricongiungersi in Italia con il resto della
famiglia, con cui portare avanti la propria impresa.
Ho imparato tutto in un’azienda italiana dove lavoravo e da questo ho poi ho deciso
di creare la mia impresa. In Italia ci sono lavoro e opportunità ma è difficile fare
impresa, soprattutto per la difficoltà a trovare credito per chi inizia dal nulla
e per la burocrazia.
Christine Chua
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6. L’EDUCAZIONE ALL’IMPRENDITORIALITÀ
Scuola e formazione hanno un ruolo
fondamentale nella diffusione della cultura
imprenditoriale. L’investimento nell’educazione
all’imprenditorialità è uno dei più produttivi
per un Paese.
1. C. Jenner, “Business and
Education: Powerful Social
Innovation Partners”,
Stanford Social Innovation
Review, 27 Agosto 2012.
2. Si veda per esempio il
programma “Impresa In
Azione” sostenuto dalla
associazione no-profit
Junior Achievement che da
10 anni mette a disposizione
delle scuole superiori
italiane strumenti didattici
volti a “sviluppare facendo”
competenze e attitudini
imprenditoriali.
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Secondo una ricerca pubblicata dall’Università di Stanford
sui programmi di educazione all’imprenditorialità in Svezia e
Norvegia1, tra il 15% e il 20% degli studenti che partecipano a un
programma di mini-impresa durante la scuola superiore avvierà
poi una propria impresa, una percentuale cinque volte superiore
a quella della popolazione generale. Indipendentemente dal fatto
che procedano poi a fondare una propria azienda o un’impresa
sociale, i giovani che sono stati educati all’imprenditorialità
sviluppano una conoscenza del mondo degli affari, competenze
e attitudini essenziali per la futura carriera professionale.
Questa è la forma mentis imprenditoriale che aiuta le
persone a trasformare idee in fatti e ne accresce notevolmente
l’occupabilità.
L’educazione all’imprenditorialità è una delle priorità dell’agenda
Europea 2020 ed è stata integrata nei curricula della maggior
parte dei Paesi europei. Su 28 Paesi dell’Unione Europea, 21
hanno avviato programmi di educazione all’imprenditorialità
a livello scolastico. Tra i grandi Paesi, solo Italia, Francia e
Germania non hanno ancora organicamente inserito questo tema
all’interno dei curricula scolastici, anche se sono presenti progetti
sperimentali da parte di singole scuole in Italia2.
© The European House - Ambrosetti
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Strategia specifica
per educazione imprenditoriale
Imprenditorialità inserita
tra gli obiettivi educativi
Programmi nazionali di
educazione imprenditoriale
No strategia o inziative nazionali
▲▲ Figura 1. L’educazione
all’imprenditorialità in Europa,
Eurydice 2015.
Ma come si insegna l’imprenditorialità e come si prepara un
giovane ad intraprendere una carriera imprenditoriale? Un
sistema educativo che formi all’imprenditorialità deve fornire
gli strumenti ai giovani per fare dell’imprenditorialità una scelta
di vita e di carriera.
3. Edgar H. Schein e John
Van Maanen, Career
Anchors: The Changing
Nature of Work and Careers
Self-Assessment, Pfeiffer &
Co, 2013.
Uno dei più noti studiosi di organizzazione aziendale e sociologia
dell’impresa della Business School dell’MIT, Edgar Schein, ha
spiegato come carriera e identità personale siamo strettamente
legate. La carriera è un processo di continua negoziazione tra
identità e valori dell’individuo e le esigenze dell’organizzazione
o contesto in cui opera3. Sulla base di queste considerazioni
Van Maanen e Schein hanno elaborato il concetto di “ancore di
carriera”, ovvero gli aspetti centrali dell’identità personale a cui
non rinunciare anche in situazioni difficili. Per gestire al meglio
la propria carriera Shein sottolinea l’importanza di costruire una
identità personale che sia coerente, sia verso gli altri che verso
se stessi. Le ancore di carriera sono quindi un insieme di valori
e competenze che aiutano l’individuo a “tracciare la rotta” nella
vita professionale e personale. Edgar Schein e Van Maanene
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individuano otto ancore di carriera che devono guidare la carriera
degli individui, inclusi coloro che intraprendono una carriera
imprenditoriale.
1. Competenza manageriale: leadership, intraprendenza,
responsabilità, avanzamento, guadagno, problem solving,
stabilità emotiva, competenze relazionali.
2. Competenza tecnica: contenuti tecnici del lavoro
qualificanti e formativi.
3. Sicurezza e stabilità organizzativa e geografica delle proprie
attività.
4. Creatività e intraprendenza: innovazione e realizzazione
di nuovi progetti.
5. Autonomia e indipendenza: un grado di libertà dalla
prescrizioni, dagli orari e dai vincoli sociali.
6. Identità: prestigio derivante dall’appartenenza a una certa
organizzazione.
7. Servizio: aiuto agli altri e cambiamenti realizzati come frutto
dei propri sforzi.
8. Stile di vita: bilanciamento tra esigenze di sviluppo
professionale, personale e familiare.
Ciascuna di queste ancore ha un peso diverso per ciascun
individuo ma nessuna deve essere abbandonata per costruire
una carriera imprenditoriale di successo.
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6.1. EDUCARE ALL’IMPRENDITORIALITÀ: CASI
DI SUCCESSO
a. Junior Achievement, Young Enterprise (JA-YE)®
Il JA-YE® è il più grande programma di educazione
all’imprenditorialità presente in Europa, con oltre 3,2 milioni
di studenti in 40 Paesi, 143 mila docenti e 154 mila imprenditori
che volontariamente contribuiscono al progetto formativo.
Il programma, gestito da un’associazione no profit, è attualmente
finanziato da vari governi e dalla Commissione Europea, e offre
corsi di educazione all’imprenditorialità che vanno dalle sei ore
per i bambini delle scuole elementari, alle 12-15 settimane per gli
studenti dei licei. I corsi hanno una duplice funzione: formativa
e ludico/competitiva. Il corso Company Programme (attivo dal
1999) preparato per gli studenti dei licei prevede un periodo
iniziale di intensa formazione su modelli di 0rganizzazione
d’impresa, business plan design, leadership, e management.
Una sessione è anche dedicata a come liquidare le imprese in
modo efficace, in modo da poter ripartire con una nuova attività
imprenditoriale e salvaguardare il contesto economico.
In parallelo alla parte formativa, il programma prevede che gli
studenti avviino e gestiscano delle mini-imprese. Ogni anno JAYE® organizza una competizione internazionale per premiare la
mini-impresa dell’anno, un vero e proprio pitch europeo dove
centinaia di ragazzi da tutta Europa provano a “vendere” la propria
idea a un panel di investitori per un premio di 50.000 euro, e una
serie di altre competizioni per lo sviluppo di imprese digitali, start
up innovative, imprese sociali, ecc.
I risultati e i numeri di questo programma sono visibili. Secondo
uno studio svolto da una società di consulenza indipendente, chi ha
frequentato un corso JA-YE® ha il doppio delle probabilità rispetto
ad un altro studente di aver poi aperto una propria impresa.
Il 44% di chi ha partecipato al corso dichiara che l’esperienza
lo sta spingendo a lanciare in un’attività imprenditoriale, il 55%
si sente più qualificato per guidare un’impresa, e il 60% valuta
positivamente l’educazione economica e finanziaria ricevuta.
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b. Northern Ireland Centre for Entrepreneurship
(NICENT)
Il NICENT è un centro di educazione all’imprenditorialità
nell’Irlanda del Nord poco noto ai media ma che è stato
ripetutamente premiato dalla Commissione Europea come best
practice. Fondato nel 1998 con risorse estremamente limitate
e in una delle regioni economicamente più disagiate d’Europa,
il programma nasce come una collaborazione tra le Università
di Ulster e Belfast. L’obiettivo è portare l’imprenditorialità al fuori
del recinto delle Business School, coinvolgendo tutti gli studenti
universitari quale che ne sia la disciplina. Gli elementi chiave
del programma sono quattro:
• Integrare l’imprenditorialità al curriculum dello studente
partendo dal presupposto che chi, per esempio, studia scienze
biomediche, infermieristica o computes sciences ha diversi
bisogni specifici e opportunità di carriera imprenditoriale, e
pertanto ha bisogno di una formazione all’imprenditorialità
personalizzata.
• Focalizzarsi sull’0rganizzazione di iniziative concrete e
sull’apprendimento attivo/tra pari come per esempio
competizioni tra business plan, simulazioni di organizzazione
di imprese e di pitch di fronte a potenziali investitori in start
up, piuttosto che su tradizionali lezioni di management.
• Fornire a tutti gli studenti massimo accesso agli strumenti
formativi ottimizzando allo stesso tempo le risorse disponibili
(sessioni on line introduttive seguite da laboratori e
simulazioni pratiche).
• Coinvolgere corpo docente non-accademico, portando gli
imprenditori nelle aule universitarie come inseganti e mentori.
Il programma ha avuto risultati molto positivi. Oltre il 30%
degli studenti coinvolti in questo programma dopo la laurea ha
venduto la propria idea imprenditoriale o brevettato un nuovo
prodotto nato all’interno di questa iniziativa, un risultato di
grande rilevo specie se considerato nel contesto socioeconomico
dell’Irlanda del Nord.
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c.Catapult
Gli incubatori di start up sono uno strumento di supporto
all’attività imprenditoriale, essi sono esterni del sistema
scolastico ma hanno comunque come obiettivo fornire mentoring
educativo, oltre che finanziario, ai giovani imprenditori.
Il progetto Catapult è uno dei più noti incubatori al mondo,
con quattro sedi tra San Francisco, New York, Chicago e la Silicon
Valley. Si tratta di un programma estremamente selettivo per
studenti di liceo che comprende un percorso di quattro mesi
preparatori in un business incubator seguiti da due mesi da
passare full time in un acceleratore per imprenditori sotto i 20
anni. Il programma prevede un curriculum formativo intenso, un
piano di mentorship con business leader delle principali imprese
e docenti delle migliori università statunitensi, accesso facilitato
a fondi di venture capital e per l’impresa sociale. Il programma
si articola in sessioni di tre settimane l’una in cui gli studenti
si mettono in gioco per realizzare in piccoli gruppi una propria
attività imprenditoriale. Ogni gruppo è seguito per ciascuna
sezione da almeno due advisor, che danno supporto al progetto
dal punto di vista legale, di branding, strategico, finanziario,
e di networking.
Per le sue caratteristiche, Catapult è un programma di piccole
dimensioni ma rappresenta un modello per altri incubatori per
giovani imprenditori. Ad oggi, oltre 150 studenti si sono formati
in Catapult, e le iniziative imprenditoriali nate nel programma
hanno generato oltre un milione di dollari.
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7. LE NOSTRE PROPOSTE
Per uscire definitivamente dalla crisi, l’Italia
e l’Europa devono ripartire mettendo al centro
l’imprenditore come motore di sviluppo
e mobilità sociale.
Per contribuire a questo risultato, The European House Ambrosetti coglie l’occasione del cinquantenario della propria
fondazione per lanciare quattro proposte puntuali
per il rilancio dell’imprenditorialità nel nostro continente.
• PRIMA PROPOSTA
FARE DELL’EDUCAZIONE
ALL’IMPRENDITORIALITÀ
UNO DEI PILASTRI DEL SISTEMA
EDUCATIVO EUROPEO
Un’intera generazione di giovani europei ancora oggi fatica
a trovare lavoro e rischia di rimanere intrappolata dalla crisi.
Per far ripartire l’economia l’Europa deve aiutare le nuove
generazioni a riscoprire il proprio spirito imprenditoriale.
Per fare questo, c’è bisogno di un programma di educazione
all’imprenditorialità a livello europeo che coinvolga tutte
le scuole, a partire dalle elementari. Sulla base della nostra
esperienza professionale, questo programma dovrebbe ispirarsi
a tre principi:
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• Learning by doing: insegnare l’imprenditorialità significa
creare una “attitudine mentale”, non aggiungere un’ulteriore
materia teorica nei curricula scolastici. È indispensabile
prevedere che tutti gli studenti svolgano almeno un’esperienza
imprenditoriale pratica durante il periodo scolastico.
Questa può svilupparsi in vari modi: attraverso progetti di
collaborazione tra scuole, associazioni, imprese, e incubatori,
o attraverso attività di apprendimento peer - to - peer
(competizioni tra classi, scuole, ecc.).
Qualsiasi lezione o esperienza che proponiamo all’aspirante imprenditore deve
rispondere a questa semplice domanda: “Quello che ho imparato oggi come
cambierà quello che farò, o sarò in grado di fare, domani?
Jonathan Ortmans1
• Valutare e premiare nella scuola sia le soft skill che le hard
skill. Tra le soft skill essenziali ci sono creatività, spirito di
Washington DC, e speaker alla
iniziativa, tenacia, lavoro di squadra, capacità di persuasione,
quarta edizione del Technology
Forum di The European House
di valutazione dei rischi e responsabilizzazione delle
- Ambrosetti, Milano, 22 - 23
scelte individuali. Tra le hard skill non possono mancare
maggio 2015.
l’educazione al digitale (incluso il coding), l’istruzione
tecnologico-scientifica e le lingue straniere.
1. Senior Fellow presso la
Kauffman Foundation di
• Nuovi modelli educativi richiedono nuovi modi di insegnare
e “nuovi” insegnanti. Gli insegnanti devono essere da modello
e stimolo per gli studenti. Tuttavia, alcune competenze
indispensabili per l’imprenditorialità come per esempio
creatività e teamwork non sono parte dei programma di
formazione degli insegnanti nella gran parte delle scuole
2. European Commission - Joint
europee2. Per fare dell’imprenditorialità uno dei pilatri del
Research Centre, Creativity in
sistema educativo europeo c’è bisogno di una trasformazione
Schools: A Survey Of Teachers
culturale di tutta la scuola, a partire dai docenti. I docenti
in Europe, 2010.
devono quindi essere selezionati e formati nel corso della
loro carriera per sviluppare quelle stesse skill di creatività,
e intraprendenza che devono trasmettere agli studenti.
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• SECONDA PROPOSTA
ARMONIZZARE E RIDURRE I COSTI
DEL “FALLIMENTO” IN EUROPA RENDENDO
PIÙ FACILE CHIUDERE E APRIRE IMPRESE
L’assunzione di rischi deve essere premiata e non punita.
Gli imprenditori devono essere incoraggiati a comprare o
chiudere imprese senza paura di stigmatizzazioni. Imprenditori
che sono poi diventati icone di successo, come il già citato Steve
Jobs, hanno spesso dovuto affrontare nella loro vita più di un
fallimento, e sono sempre riusciti a ripartire con nuove idee
ed energie.
È quindi compito dello Stato creare le condizioni perché un
fallimento non si trasformi in un peso insopportabile per
l’imprenditore. Alcuni Paesi, come per esempio gli Stati Uniti
e la Danimarca, hanno adottato legislazioni d’avanguardia che
permettono agli imprenditori di chiudere imprese e ripartire con
nuove attività imprenditoriali in tempi rapidi.
Per creare un miglior ecosistema per l’imprenditorialità è
necessario introdurre un unico codice societario a livello Europeo
per i fallimenti, sul modello del Chapter 11 del Bankruptcy
Code degli Stati Uniti. Questo porterà ad una armonizzazione e
semplificazione delle procedure fallimentari, più trasparenza,
certezza del diritto, e migliori condizioni per gli investitori
internazionali.
• TERZA PROPOSTA
ISTITUIRE UN CONCORSO PER LA “CAPITALE
EUROPEA DELL’IMPRENDITORIALITÀ”
Ogni anno dal 1985 l’Unione Europea seleziona una “Città della
Cultura” che diventa un punto di incontro, sperimentazione e
iniziative culturali per tutta l’Europa.
Su questo modello, proponiamo che ogni anno un panel di
imprenditori e rappresentanti delle istituzioni europee selezioni
una “Capitale Europea dell’imprenditorialità” che diventi un
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modello e un punto di incontro per imprenditori, giovani, startupper, e business angels impegnati nel diffondere la cultura
dell’imprenditorialità con strumenti innovativi e sperimentali
(competizioni, training, laboratori, etc.).
L’istituzione di una “Capitale Europea dell’imprenditorialità”
può contribuire, specialmente nei Paesi più colpiti dalla crisi,
a promuovere i valori dell’imprenditorialità tra le nuove
generazioni, può aiutare a posizionare gli imprenditori al centro
di un grande progetto di rilancio dell’Europa e può far leva sulle
(spesso poco conosciute) esperienze di successo presenti sui
nostri territori.
• QUARTA PROPOSTA
AVERE UN VISTO UNICO PER GLI IMPRENDITORI
STRANIERI INNOVATIVI IN EUROPA
Per creare un’Europa più imprenditoriale c’è bisogno innanzitutto
di creare un ecosistema di supporto aperto all’innovazione, alle
idee e all’attrazione dei talenti. L’Europa deve tornare ad essere un
polo d’attrazione internazionale per chiunque voglia fare impresa
in modo innovativo. Purtroppo, un imprenditore straniero che
voglia trasferire la propria impresa in Europa è costretto oggi ad
affrontare complesse procedure burocratiche, diverse in ciascun
Paese, prima di potere iniziare le proprie attività.
Chiediamo che l’Unione Europea adotti una procedura unica
e semplificata per rilasciare un numero definito di visti a
imprenditori non europei sotto i 35 anni. Tra le condizioni per
l’erogazione del visto ci devono essere un’idea imprenditoriale
nuova in settori ad alta innovazione strategici per la nostra
economia, e la disponibilità di un capitale per realizzarla.
Questo sistema potrebbe essere strutturato sul modello del visto
per imprenditori introdotto nel Regno Unito (il cosiddetto Tier
One), e dovrebbe essere esteso a tutti i Paesi europei, in particolare
a quelli dove gli ostacoli burocratici sono tradizionalmente più
difficili da affrontare per un imprenditore straniero.
© The European House - Ambrosetti
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IL NOSTRO CONTRIBUTO
The European House – Ambrosetti, consapevole dei grandi
paradossi che connotano la nostra epoca e della grande
fortuna che abbiamo di intercettare prima di chiunque altro
scenari e megatrend, ha fondato nel 2013 l’Associazione DOT
– Do One Thing (organizzazione no profit) che ha ottenuto
il riconoscimento della Regione Lombardia.
Sosteniamo e sviluppiamo, in linea con il nostro core
business e facendo leva sulle nostre competenze distintive,
iniziative di solidarietà finalizzate a promuovere lo sviluppo
del capitale umano attraverso la diffusione di una cultura
manageriale e di impresa sulla base dei valori del merito,
dell’imprenditorialità e dell’orientamento all’innovazione.
Grazie al contributo volontario dei consulenti The European
House – Ambrosetti, l’Associazione DOT ha:
• Realizzato un piano di marketing pluriennale
per l’Ospedale Raoul Follereau di Bissau in
Guinea, punto di eccellenza e di riferimento gestionale
nell’Africa Occidentale per la diagnosi e la cura della
tubercolosi. Grazie alla nostra consulenza l’ospedale
ha ricevuto un finanziamento dalla Banca Mondiale
ed il modello di finanziamento è replicabile anche per
altri ospedali nella regione.
• Finanziato il “Reparto pediatrico dell’ospedale
Raoul Follerau di Bissau”, per migliorare gli
standard assistenziali, l’educazione, l’alfabetizzazione
informatica dei bambini e la formazione sanitaria
delle madri. Sono stati riabilitati quasi tutto il reparto
pediatrico e la scuola per i bambini. L’ospedale è oggi
una struttura all’avanguardia.
Per maggiori informazioni consulta il sito
www.ambrosetti.eu/chi-siamo/il-nostro-impegnocontro-i-grandi-paradossi/
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Inoltre, per portare avanti la nostra vocazione
all’innovazione, The European House - Ambrosetti ha
recentemente dato vita all’Hub Innovazione e Tecnologia,
una struttura in continua evoluzione che vuole contribuire a
creare un ecosistema dell’innovazione in Italia.
La missione è quella di rafforzare il dialogo e le relazioni tra
la comunità industriale, scientifico-tecnologica, finanziaria e
istituzionale per promuovere opportunità di crescita ed una
cultura dell’innovazione diffusa.
Tra le numerose iniziative concrete per favorire una cultura
imprenditoriale diffusa tra i giovani, l’Hub Innovazione
e Tecnologia ha lanciato nel 2015 il programma Golden
Gate: un progetto sviluppato ad hoc per creare un ponte di
contatto tra oltre 25 mila start up innovative in tutta Europa
e i Presidenti e gli Amministratori Delegati delle aziende più
consolidate a livello nazionale e internazionale all’interno
del servizio di Ambrosetti Club.
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