329-337 Oggi - Giorgi - Recenti Progressi in Medicina
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Oggi Vol. 96, N. 7-8, Luglio-Agosto 2005 Pagg. 329-337 Adolescenza e alcol Pier Luigi Giorgi Riassunto. Anna Freud ha descritto l’adolescenza come «disturbo evolutivo», definizione che chiama in causa un mutamento identitario difficoltoso, obbligato e transitorio. Coincidendo biologicamente con la fase della pubertà, essa è un’età nutrita da attese e da speranze e tuttavia non scevra di rischi psicologici e sociali: a causa di un mutato rapporto con la famiglia, della ricerca di nuovi modelli, dell’incontro con contesti meno protettivi, della diversificazione di investimenti affettivi. Può accadere pertanto che il passaggio dalla fanciullezza ad una soggettività attiva induca inquietudini, conflitti, disagio e devianza; e suggerisca illusori rimedi quale eccessiva assunzione di alcol, allarmante fenomeno denunciato dall’OMS e da numerose istituzioni internazionali ed italiane. Dopo tale premesse, l’A. ricorda come l’alcol e i diversi derivati giunsero in Europa, ne riassume il metabolismo e gli effetti biologici, i fattori genetici ipotizzati come predisponenti all’accettazione e/o alla dipendenza, quelli ambientali e di costume e sottolinea i costi individuali e collettivi dell’alcolismo giovanile. La conclusione suggerisce due auspici: il recupero di un nuovo tipo di rapporto familiare, fatto di ascolto e di dialogo al passo coi tempi; e la realizzazione di una alleanza concreta tra società e giovane adulto, idonea a coniugare le legittime attese della comunità con il diritto dei nuovi soggetti ad una crescita libera ed integrata. Parole chiave. Adolescenza, alcol, alcopops, disturbo evolutivo, famiglia, pubertà. Summary. Adolescence and alcohol. Anna Freud defined adolescence “evolutional disorder”, meaning also a compulsory and temporary shift. Corresponding, biologically, to the puberty, it is an age full of expectations and hopes, nevertheless not free from psychological and social risks: because of a changing relation with family, of the searching of new models, of the coming in contact with less protective contexts, of the differentiation of affective expectations. Therefore it can be that the passing from childhood to active subjectivity brings on anxiety, conflicts and deviance; and it can suggest illusory remedies as overindulgence in alcohol, alarming phenomenon denounced by WHO and by many other international and Italian institutions. After these preliminary remarks, the A. reminds as alcohol and its by-products reached Europe, describes its metabolism and its biological effects, the genetic factors which could predispose to the tolerance and/or to the addiction, the environmental and social ones, and the costs, both individual and public. Conclusions want suggest two omens: the reclamation of a new kind of family relation, based on listening and dialogue; and the achievement of a concrete alliance between society and young adult, which could conjugate the expectations of the community with the rights of the new subject for a free and integrated growing up. Key words. Adolescence, alcohol, alcopops, evolutional disorders, family, puberty. Introduzione Nel trattare il binomio adolescenza-alcol non si può prescindere da un terzo elemento: quello dell’attuale assetto sociale. Cercherò di proporre dati utili a comprendere le singole valenze, senza invadere il campo di competenza dello psicologo, dello psichiatra, dello psicoanalista o dell’esperto in antropologia sociale. Mi limiterò alla testimoProfessore f.r. di Clinica Pediatrica, Università, Ancona. Pervenuto il 15 giugno 2005. nianza personale, sia come pediatra che si confronta ogni giorno con le problematiche non esclusivamente fisiche dei soggetti in età evolutiva, sia come spettatore del mutar dei costumi, sia come testimone dei vissuti familiari dei propri pazienti. Peraltro, colui che comunemente definiamo adolescente ha ormai uno spazio anagrafico diverso, oggi che psicologi e sociologi parlano di adolescenza protratta o di “adolescenza interminabile”. 330 Recenti Progressi in Medicina, 96, 7-8, 2005 (Ma già Dante, nel Convivio, faceva coincidere l’adolescenza con i primi 25-30 anni, periodo che precedeva la gioventù o aetas consistendi, punto divisorio del periodo ascendente da quello discendente, prodromo del terzo periodo: quello del declino della vita, della vecchiezza, che a sua volta precedeva un quarto periodo, senectus). Avevamo imparato dai libri, noi medici, ed anche insegnato, che il percorso dell’individuo, dalla nascita in poi, aveva scadenze temporali scandite dall’età, dalla scolarità, dal servizio militare, dal lavoro. Avevamo posto alcuni paletti, confini anagrafici, al pari di quanto avveniva – e tuttora avviene – in alcune civiltà primitive, ove la cerimonia di iniziazione stabilisce una demarcazione netta tra l’individuo-famiglia e l’individuo-società. Ne ha lasciato testimonianza Margaret Mead: dai suoi studi e da quelli di altri antropologi, le cui ricerche si susseguirono nella prima metà del ventesimo secolo, emerge un quadro innovativo per la cultura dell’Occidente. Essa vede l’adolescente come soggetto proiettato in un contesto sociale che sempre più si diversifica da quello familiare, in un mondo che gli propone un modello di comportamento con cui confrontare la crescita – autonoma e responsabile – della propria personalità. Avviandosi a diventare adulto, egli si sentirà al sicuro se obbedirà alle regole del nucleo sociale del quale è entrato a far parte. Ha “saltato il fosso”; non può tornare indietro; acquisisce uno status che rafforza l’autostima; diventa soggetto sociale. Un tale processo di sviluppo (dal latino adolescere: crescere, rafforzarsi, divenire adultus) non deve rappresentare, quindi, una interruzione traumatica del percorso esistenziale, né, tanto meno, un’occasione di conflitto tra le nuove esigenze del giovane e i ruoli consolidati del mondo circostante. Tuttavia, la nostra società, oggi, nel pretendere che si divenga adulti, non sempre insegna come diventarlo. Abbiamo, infatti, inteso troppo spesso l’adolescente come ‘oggetto‘ socialmente costruito in una realtà ipotetica, essenzialmente in base a canoni biologici, non tenendo sufficiente conto delle realtà sociali degli ultimi decenni: cambiamenti dell’assetto familiare (da patriarcale a nucleare); crescente esigenza di interazione con il gruppo alla ricerca di fondamenti rassicuranti; ambiente socio-economico in rapido mutamento; pervasività globale dei media ed accelerazione delle comunicazioni inter-personali. Il tutto avrebbe dovuto confermarci che l’adolescente è un soggetto attivo, che interagisce all’interno della comunità. Non meno importante è il fenomeno al quale assiste soprattutto il pediatra: una precoce maturazione sessuale, non solo dei caratteri sessuali secondari, ma anche, per quanto riguarda le adolescenti, una più precoce richiesta di rapporti e di conseguenza, data la contemporanea maturazione dei genitali interni, una più diffusa pratica contraccettiva, potenzialmente foriera di patologie trasmesse per via sessuale, quando non di procreazione in età immatura (fisica e psico-affettiva). Paul Gauguin: Mahana no atua (1894). Chicago, Art Institute. Con il suo libro più famoso – Coming of age in Samoa, 1928 (trad. ital. L’adolescenza in Samoa. Ed. Giunti-Barbera, Firenze 1980) – Margaret Mead aprì orizzonti nuovi agli studi di psico-antropologia sull’adolescenza, quell’età che, mezzo secolo dopo, fu da Anna Freud definita come «disturbo evolutivo». Dalla rivoluzione biologica alla vulnerabilità psicologica: i media, in particolare la televisione, propongono modelli estetici che possono condurre a devianze del comportamento alimentare; nell’adolescente possono emergere e accentuarsi ansia, insicurezza, depressione, angoscia esistenziale; e la famiglia viene sentita ancora come un rifugio non solo sul piano economico, ma anche su quello affettivo. Da qui il conflitto tra il desiderio di rimanere all’interno di essa e il bisogno di evadere, tanto più forte quanto più i genitori sono troppo possessivi o troppo rigorosi. C’è un richiamo, una spinta di fuga verso l’esterno che cova dentro questi giovani. Qualcuno li ha definiti “sazi ma disperati”. P.L. Giorgi: Adolescenza e alcol Hic et nunc. Potrebbe essere questa l’introduzione al capitolo sulla trasgressività dell’adolescente, così bene espressa da Giovanni Bollea, allorché, nel suo libro “Le madri non sbagliano mai”, affronta il tema del bambino e dell’adolescente. Ne riportiamo un passaggio esemplare. «Il bambino moderno è figlio del piacere: è abituato ad avere tutto e subito, è educato dai mass media ad essere protagonista e consumista, è molto informato e ricco di conoscenze visive, ma povero di creatività. È connaturata in lui una sorta di patologia dell’abbondanza, che ritarda in misura notevole l’imporsi del principio di realtà, importante difesa di fronte alle inevitabili frustrazioni della vita. Giunge così poco preparato alle crisi della pre-adolescenza (undici-quattordici anni) e alla sua turbolenza. E si troverà davanti a una crisi adolescenziale (protratta fino ai diciotto-venti anni) molto più seria e profonda di quanto non avrebbe potuto essere in un contesto più equilibrato. La conseguenza più ovvia è che una parte dei nostri figli vada incontro a devianze comportamentali, devianze che i mass media segnalano e sottolineano con selvaggia aggressività, accrescendone il danno con il potere della suggestione negativa e della risonanza». Balthus dipinse l’adolescente Thérèse alla vigilia della seconda guerra mondiale. Non è solo il ritratto di un corpo. Uno dei grandi temi che hanno ispirato l’artista – quello della adolescenza – è centrale: ci propone l’ambiguità del difficile periodo della vita in cui, a fatica, si abbandona il mondo protetto dell’infanzia. 331 L’adolescente e la famiglia L’adolescenza dovrebbe dunque essere intesa come una fase di trasformazione e di rinegoziazione delle relazioni precedenti. E una donna che reggeva un bambino al seno disse: Parlaci dei Figli. E lui disse: I vostri figli non sono figli vostri. Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa. Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, E benché vivano con voi non vi appartengono. Potete donar loro l’amore ma non i vostri pensieri: Essi hanno i loro pensieri. Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: Essi abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno. Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: La vita procede e non s’attarda sul passato. Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccati in avanti. L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell’Arciere; poiché come ama il volo della freccia, così ama la fermezza dell’arco. Da: Il Profeta, di Kahlil Gibran Invece, è nostra esperienza quotidiana che i genitori conducano al medico il figlio adolescente richiedendo, solitamente, che l’attenzione venga focalizzata sugli aspetti biologici: sui parametri auxologici, su quelli nutrizionali, su quelli, in particolar modo nelle ragazze, inerenti lo sviluppo sessuale. Infrequente è che tengano conto di una realtà soggettiva in fase di trasformazione culturale, intesa nel senso più ampio di modificazione di una identità sociale. Se a tale trasformazione i genitori fossero più attenti, anche il colloquio medico-adolescente potrebbe segnare l’inizio di una “complicità positiva”, un passo che aiuterebbe l’iter del giovane paziente verso l’indipendenza e la maturazione dell’io. Non sempre è così. Troppi sono ancora i padri e le madri il cui inconscio sedimento di possessività li rende indisponibili ad allentare le briglie; temono, a volte con ragione, che all’esterno vi sia l’agguato, la possibilità di devianze. Alle fasi iniziali dell’adolescenza, in cui prende inizio la trasformazione dei legami vissuti nella fanciullezza, fa seguito la fase di acquisizione di una nuova individualità. Dai cambiamenti fisici e dalle pulsioni conseguenti, o – come si suole dire – “dal far morire l’infanzia“, l’attenzione si sposta verso nuovi valori e prospettive diverse. È un percorso che, come già ricordato, può condurre allo status di “tardo-adolescente”, quello di un soggetto che, pur collegato ancora materialmente alla famiglia (caso frequente nel nostro Paese), è alla ricerca, inquieta, di un proprio sbocco economico e sociale. 332 Recenti Progressi in Medicina, 96, 7-8, 2005 Nel procedere oltre i limiti canonici della cronologia del suo “essere adolescente”, a quest’ultimo sarà tanto più facile raggiungere un ruolo positivo, quanto più i genitori – rendendosi conto che il cosiddetto salto generazionale ha spostato l’asta sempre più in alto – lo aiuteranno a invigorire l’autostima. Ma se e quando sorge una situazione di conflitto, l’adolescente si trova proiettato in una ambiguità nella quale non riesce a districarsi. Vive censurando – ma al contempo strumentalizzando – quella realtà consumistica protetta dai genitori; i quali surrogano l’incapacità a dialogare con una indulgenza permissiva talvolta acritica; nel tentativo di mantenere un legame affettivo (meglio sarebbe dire una vicinanza fisica) con i propri figli. La crisi dell’adolescenza, il percorso travagliato del soggetto che non riesce a districarsi, è descritto magistralmente da Fedor Dostoevskij, che nel racconto “L’adolescente”, disegna le contraddizioni e le ansie del giovane Arkadij nella società del suo tempo. È il protagonista stesso che confessa il proprio disordine: un groviglio di idee, tentativi, slanci, menzogna e violenza. Tutto questo nell’incapacità di comprendere cosa sia il bene e il male, sollecitato e diviso tra fanatismo e cinismo, e disorientato da illusorie bandiere. Il gruppo C’è, comunque, una via di fuga. Essa è maturata con l’instaurarsi di relazioni sociali tra coetanei. In queste relazioni tra “simili”, si realizzano interazioni ove la messa in comune e lo scambio delle esperienze, del disagio, dei bisogni affettivi e delle incertezze porta all’aggregazione, al formarsi del gruppo. In questa nuova struttura – il gruppo – gli adolescenti recuperano forme di comportamento, senso del limite ed aspettative. Spesso ritrovano o amplificano la stima di sé. Dal gruppo, che è come una seconda famiglia, molti hanno saputo trarre le risorse per positivamente adeguarsi ed hanno costruito un futuro. Altri, come è inevitabile in qualsiasi configurazione gaussiana, sono rimasti sotto le due deviazioni standard. È questa stessa società di simili a spingere alcuni adolescenti verso percorsi negativi: una società consumistica, creata o comunque accettata dalla generazione dei genitori, che crea, al suo interno, problematiche complesse: dal cosiddetto “bambino conteso” fino all’adolescente costretto alla ricerca di una sua autonomia: psicologica e sociale. Nei gruppi “formali”, che più si avvicinano al modello familiare, prevalgono vincoli affettivi più stabili perché più organizzati. Al contrario, in quelli definiti “informali”, le relazioni sono anonime, e, spesso, senza continuità di frequentazione. Si tratta pur sempre di coetanei, i quali, però, nel fluttuare tra una personalità ancora immatura e una tendenza all’omologazione, guardano a un “totem” che esercita un forte potere sul singolo e che, seppure indirettamente, ne orienta gli atteggiamenti. Sono gli adolescenti in crisi che vediamo riunirsi nelle nostre piazze e che dopo una pizza e una birra (o più) si disperdono e si ricompongono, si smarriscono e si riuniscono: in discoteca o nei cosiddetti rave o in altri luoghi di raduno, come api che lasciano l’alveare, sciamano e si ritrovano in un altro alveare scelto dalla madre regina. Sono gli abitanti della notte, della vituperata “notte del sabato sera”. Vanno verso la technomusic, che è droga già di per sé, soprattutto se mescolata al bombardamento visivo delle luci psichedeliche. Non vi è distinzione sociale o economica; l’importante è sentirsi insieme: per vivere – “divertendosi” – le singole e le comuni incertezze, e per alcuni, soprattutto per i tardoadolescenti, dimenticare speranze e delusioni grazie alla anestesia del binge-drinking: la abbuffata di alcol. L’alcol, non solo dall’uva. Lo spirito dei cereali Maguellonne Toussaint-Samat ci ha proposto il curioso percorso sul quando e come l’alcol giunse in Europa. Alcuni dei brani che seguono sono tratti dal suo libro. Nel IV secolo un monaco irlandese, che verrà poi onorato col nome di san Patrizio, partì per il Medio Oriente per «diffondere la buona novella che Dio gli ispirava». Quando ritornò in Irlanda, aveva con sé uno strano strumento, un alambicco (dall’arabo “al’inbiq”). Sembra che questo strumento fosse, prima, utilizzato dai persiani e dai greco-alessandrini, onde ottenere una sostanza che poi gli alchimisti arabi definirono “al khoh’l”, «sostanza che inizialmente indicava polvere finissima di antimonio, il “khol”, idonea al trucco per gli occhi». Da qui la parola alcol, un distillato di sostanze diverse dall’antimonio. Quando gli arabi giunsero in Europa, l’alambicco venne utilizzato per la distillazione dell’assenzio. Più tardi (siamo nel 1200-1300), un medico catalano che era in rapporto con i suoi colleghi saraceni dell’Andalusia, distillò numerose essenze cui diede il nome di “al iksir” (parola araba che sta per “essenza”). Nel 1309 Arnaud de Villeneuve la chiamò “acquavite“, perché «questo liquore estratto dal vino… prolunga la salute, dissipa gli umori superflui, rianima il cuore e conserva la giovinezza…». E Paracelso la chiamò alcol vini. Nel contempo, in Irlanda, l’isola verde di San Patrizio, qualcuno sempre nei monasteri, ebbe l’idea di distillare il mosto di cereali, «per produrre una bevanda alcolica molto adatta a riscaldare i cuori e a rinfrancare le voci nei freddi mattutini». Ne nacque una disputa tra Dublino ed Edimburgo. Gli scozzesi reclamavano la paternità della ‘bionda bevanda’ che, all’origine, fu da loro chiamata “uisge beatha” o acqua benedetta, e dagli irlandesi “uisce beatha”. Si narra che quando i soldati di Enrico II d’Inghilterra invasero l’Irlanda del nord, «alcuni dei soldati invasori ebbero la fortuna di acquartierarsi in una abbazia distillatrice, e vi trovarono barili di quercia che si affrettarono ad aprire. P.L. Giorgi: Adolescenza e alcol Non appena ebbero bevuto, si sentirono spuntare le ali e correndo come frecce (“to wisk”) si precipitarono dai compagni per condividere questo senso di esaltazione». Il conflitto tra scozzesi e irlandesi si manifestò anche sulla denominazione della bevanda: gli irlandesi la chiamarono whiskey, gli inglesi mantennero il nome whisky. I coloni anglosassoni, giunti nelle Americhe, utilizzarono un altro cereale, il mais, ed anche il grano fu sottoposto a un processo di maltaggio. Il distillato di questi cereali fu il “bourbon “. Tra gli alcolici si annoverano il gin, «spirito cristallino di orzo sottoposto a maltaggio, profumato con erbe aromatiche tra le quali anche il ginepro», e la vodka, distillato di mais o di grano, che può essere aromatizzata con erbe, limone, paprika. Mentre nell’America del Sud si distillava la chica dal germe di mais, bevanda già nota agli Inca, nel Nord America si ignorava del tutto l’alcol prima dell’arrivo dei bianchi. La cosiddetta ‘acqua di fuoco‘ ha ucciso più uomini dalla pelle rossa dei fucili degli emigranti, e ha ucciso anche la loro anima. Ha scritto Bachelard: «È un’acqua che brucia la lingua e che si incendia alla minima scintilla. Non si limita a dissolvere e a distruggere. Essa scompare con ciò che brucia». Il percorso metabolico e gli effetti dell’alcol L’alcol, o etanolo, viene rapidamente assorbito a livello dello stomaco, trasportato al fegato e qui metabolizzato. Il principale processo metabolico consiste nella “rimozione” di due atomi di idrogeno, il che comporta la formazione di acetaldeide. Tale reazione avviene con l’intervento dell’enzima alcol-deidrogenasidinucleotide. Ogni atomo di idrogeno rimosso produce energia (7,1 kcal/g di alcol) e contribuisce ad una eccessiva sintesi di trigliceridi, responsabili del cosiddetto “fegato grasso“. Se si eccede, ma soprattutto se tale eccesso si prolunga nel tempo, si verifica un ingorgo di grasso negli epatociti, possibile punto di partenza di processi infiammatori (epatite alcolica) e, a seguire, di fibrosi e cirrosi. 333 In tempi successivi, e secondo la dose ingerita, può verificarsi vasodilatazione e ipotermia. Quando l’alcolemia aumenta, subentrano aumentata diuresi e depressione respiratoria. Le dosi eccessive possono causare gastralgie, vomito e talvolta dolori addominali acuti per l’instaurarsi di una pancreatite (tabella 1). Vale la pena ricordare che la velocità e il grado di assorbimento dell’alcol dipendono dal fatto di essere a stomaco vuoto, o – se a stomaco pieno – dipendono dal tipo di alimento che è stato ingerito; ed ancora dipendono dall’eventuale aggiunta di soda: come accade nello champagne, nello spumante e anche nelle bibite cosiddette frizzanti. Oltre al contenuto di alcol, alla velocità di assunzione e alla quantità nell’unità di tempo, c’è da tenere conto della capacità di bio-trasformazione, la quale risponde alla funzionalità epatica, correlata all’età del soggetto. L’adolescente avrà maggiore difficoltà a metabolizzare rapidamente l’alcol. Quantunque sia stato ipotizzato un “effetto barriera” a livello gastrico per la presenza, nelle cellule della mucosa dello stomaco, di una attività alcol-deidrogenasica simile a quella epatica – per cui si ridurrebbero, o quanto meno si rallenterebbero, gli effetti sistemici – tuttavia, la maggior parte dell’alcol giunge integra al fegato, ove subisce l’azione di tre sistemi enzimatici: l’alcol-deidrogenasi (ADH); il microsomal ethanol oxidizing system (MEOS); il sistema della catalasi nei perissosomi. Il prodotto finale è l’acetaldeide, sostanza notevolmente tossica, responsabile degli effetti da alcol a breve, medio e lungo termine. L’alcoldeidrogenasi è in prima linea nella conversione iniziale ad acetaldeide. Questa viene trasformata in acetil-CoA ad opera dell’acetilaldeide-deidrogenasi (ALDH), metabolita che viene poi scisso in acetato, e a sua volta trasformato in CO2 e H20. Tabella 1. - Effetti dell’alcol sul SNC e rischi per chi guida un veicolo. Per avere più chiaro quanto alcol si introduce con le bevande oggi in commercio, riportiamo i seguenti dati: il vino contiene mediamente il 12% di alcol; la birra dal 3 al 6%; i distillati liquorosi, tra i quali anche alcuni amari, possono raggiungere valori del 40-50%, ed anche oltre nei superalcolici come whisky, grappa, vodka, cognac, brandy. L’alcol ha un’azione depressiva sul sistema nervoso centrale e, nel contempo, può indurre senso di euforia e di piacere; può provocare stato di ebbrezza, loquacità, ma anche indebolimento della memoria a breve termine e aumento della soglia del dolore. Alcolemia g/l Effetti ( variabili da soggetto a soggetto) 0,2-0,4 Lieve euforia e incordinamento. Diminuisce la percezione del rischio. Si riduce capacità di giudizio. Si tende a guidare in modo meno prudente. 0,5-0,8 Si accentua l’incoordinamento motorio. Diminuisce la vigilanza. Ridotta percezione degli stimoli sonori e luminosi. Minore capacità di reazione. Ostacoli percepiti in ritardo. Tendenza a guidare in modo rischioso. 0,8-1,0 Tempi di reazione sempre più lenti. Tendenza a guidare al centro della strada. Sopravvalutazione delle proprie abilità. Non si valutano in modo corretto distanze e traiettorie degli altri veicoli. 1,0-1,5 Instabilità emotiva; alterazione della memoria; atassia e disartria. Rischio elevato di addormentarsi al volante 2,0-4,0 Ubriachezza profonda: confusione mentale, disorientamento, midriasi, vomito; incapacità a mantenere la stazione eretta N.B. La massima alcolemia consentita in Italia per la guida dell’automobile è di 0,8 g/l. In altri Paesi il limite è già stato portato a 0,2 g/l. 334 Recenti Progressi in Medicina, 96, 7-8, 2005 L’alcol e la genetica L’attività della alcol-deidrogenasi gastrica nella donna, soprattutto se adolescente, è minore di quella nell’uomo. Inoltre, i vari processi enzimatici che intervengono nella “demolizione“ dell’alcol sono tanto più limitati quanto più giovane è l’età del soggetto. Infine, il patrimonio dell’alcol-deidrogenasi epatica è variabile da individuo a individuo, anche a pari età, ed è geneticamente determinato. Vi sono, infatti, varianti alleliche nelle due famiglie di geni che codificano per l’alcol-deidrogenasi e per l’aldeide-deidrogenasi, i due enzimi che, nell’uomo, sono i più importanti al fine del metabolismo dell’alcol. Di tali varianti sono esempio il diverso patrimonio genetico di popolazioni asiatiche e di talune etnie africane, rispetto a quelle di origine europea. Studi di genetica molecolare hanno cercato di chiarire, tra le diverse popolazioni, sia il grado di accettazione dell’alcol, sia la sua dipendenza, sia la diversa evoluzione verso le patologie indotte. Che vi fosse una diversa predisposizione genetica nei confronti dell’alcol era già emerso dagli studi su gemelli omozigoti allevati in ambienti diversi e da quelli sui bambini adottati. Uno studio condotto su ratti avrebbe dimostrato che, nel corso delle prime due settimane di vita la palatabilità vs l’alcol aumentava se alle madri era stato somministrato alcol negli ultimi giorni di gestazione. Secondo altre ricerche, esisterebbe un polimorfismo funzionale del genotipo 5-HTT, che è la regione promoter del gene transporter della serotonina, la quale svolge un ruolo importante nei comportamenti psico-sociali dopo assunzione sia di alcol che di altre droghe. Ulteriori approfondimenti saranno necessari per chiarire perché alcune popolazioni sono più vulnerabili (come, ad esempio, gli Indiani d’America sterminati o quasi dall’alcol, evento che potrebbe accadere anche agli aborigeni australiani); confermata è comunque l’influenza dello stile di vita, della cultura, delle tendenze sociali. Calza in proposito il titolo di un articolo di Ball: “Ebrii gignunt ebrios”, che si potrebbe tradurre “Ogni beone trascina con sé altri beoni“. A completamento potrebbe aggiungersi l’altrettanto diffusa sentenza: “Non est culpa vini , sed culpa bibentis“. Del resto, lo stesso Ball conclude che, pur tenendo conto dei fattori genetici che regolano non solo il metabolismo dell’alcol, ma anche quello dei geni coinvolti nel sistema dopaminergico, GABA-ergico e serotoninergico, il fattore ambiente – inteso come contesto sociale e di costume – rimane molto importante. L’alcol non si beve da soli: “il mondo della notte” C’è un luogo d’incontro. Può essere la piazza o il bar dove è moda cominciare con un aperitivo (alcolico). Poi la corsa verso la discoteca o il pub:ove il tam-tam ha fissato la destinazione del rave (festino). Qualsiasi ambiente può essere utilizzato; la collocazione geografica è quasi sempre estemporanea. La miscela suono-luci psichedeliche costituisce il collante che – nell’eccesso di stimolo sensoriale – amalgama una massa fluttuante. La bevanda che predomina è la birra, il cui consumo – nel nostro Paese – è aumentato del 68% durante gli ultimi anni, mentre è in calo la vendita di vino (–41% circa). Si dice, infatti, tra gli adolescenti: «se vuoi avere una casa piena di amici è sufficiente avere in frigo una birra; se vuoi che un party abbia successo, devi avere a disposizione uno spumante ed un superalcolico». Secondo i dati forniti da Scafato, dal 1981 al 1998, l’andamento del consumo degli alcolici è stato il seguente: vino –39,6%; birra +50,3%; superalcolici –60%. I dati dell’Eurobarometer riferiscono, inoltre, che l’Italia detiene il primato, in Europa, del primo bicchiere di vino consumato (a 11-12 anni); siamo un paese mediterraneo ove sopravvivono certe culture contadine non sempre da incoraggiare; qualcuno ricorderà che i nostri vecchi solevano dire, rivolti ai loro piccoli: «il vino fa sangue!». Peraltro, anche i nostri vicini svizzeri denunciano che a 15-16 anni, in piena adolescenza, il 40% dei ragazzi e il 26% delle ragazze consumano bevande alcoliche almeno una volta la settimana, che 60.000 alunni delle scuole medie affermano di essersi ubriacati almeno due volte, e che 3 su 100 ragazzi fra gli 11 e i 13 anni hanno già sperimentato la “sbronza“ due volte (dati del Canton Ticino, 2004). E – tra i Paesi del Nord Europa – basti l’esempio della Norvegia, dove, in occasione della Christmas Beer, corrono fiumi di “bionda” (pubblicizzata ovunque) con gradazione alcolica fino a 7,5% volumi ed un bicchiere della quale (330 ml) raggiunge i 12 g di alcol, pari a un bicchierino di superalcolico (40 ml). Se la riduzione del consumo di vino ha contribuito al calo di mortalità per cirrosi e tumore epatico (patologie presenti soprattutto nel mondo degli adulti), opposto andamento ha il sempre più drammatico fenomeno delle morti e delle invalidità per incidenti stradali alcol-correlati. I giovani e l’alcolismo sono, oggi, i protagonisti del mondo della notte; sono loro – gli adolescenti, i tardo-adolescenti, i giovani adulti – le vittime designate dell’ultima corsa, dello “sballo” finale dopo la “bomba” nella discoteca. Spesso è l’ultimo atto di una trasgressione che, anche se intesa quale rivolta verso una società percepita come estranea, finisce invece col sigillare tragicamente una incapacità di evolvere (adolescere), fino a mettere a repentaglio la propria vita. Impressionano, al riguardo, alcune cifre comunicate da Marc Danzon, Direttore Generale per l’Europa, in occasione della Conferenza Ministeriale Europea dell’OMS svoltasi il 19 febbraio 2001: «Ci si inquieta troppo poco quando più di 57.000 tra ragazzi e adolescenti muoiono ogni anno a causa dell’alcol nella Regione Europa. Un decesso su quattro avviene in soggetti tra i 15 e i 29 anni»; senza contare [aggiungiamo noi] coloro che in giovane età rimangono neurolesi e/o mielolesi, amplificando il triste bilancio. P.L. Giorgi: Adolescenza e alcol «Ma l’alcol, prosegue Danzon, oltre che uccidere in conseguenza di incidenti stradali, oltre a provocare degrado fisico, mentale e sociale, uccide anche per gli atti di violenza e per i suicidi che provoca. È una cruda verità: informare è meglio che proibire». Il proibizionismo ha dimostrato, infatti, tutti i suoi effetti negativi, oltre che la sua inefficacia. Dalla stessa Conferenza di Stoccolma fu lanciato un monito, allarmato e severo, inteso a ridimensionare la promozione delle bevande alcoliche, un autorevole messaggio per riproporre una campagna continentale contro l’alcolismo precoce. Tuttavia, analogamente a quanto verificatosi cinque anni prima in occasione della Conferenza di Parigi, i risultati conseguiti non sono stati soddisfacenti. L’Italia si sta muovendo con un Disegno di Legge che da anni rimbalza tra Commissioni e Parlamento, senza riuscire ad approdare ad una legislazione definitiva. Rari gli spot contro l’alcol, rivolti ai giovani. Più pressante il divieto di fumare, esteso di recente anche ai frequentatori degli stadi. Nel frattempo, però, è cronaca di ogni domenica la guerriglia fuori e dentro gli stadi; talvolta, qualche lattina di birra vola in campo dagli spalti. Gli “alcopops“: la falsa innocenza L’Australia è stato l’ultimo Paese ad assaporare un proprio vino, ricavato da ceppi di vite che, dopo lungo viaggio oceanico, i coloni facevano giungere dal vecchio continente. Nell’anno 1788, il primo Governatore di Terra Australis ne promosse in loco la produzione. Però è proprio l’Australia a detenere il primato di una insidiosa bevanda alcolica tra le più gradite dagli adolescenti. Essa fu immessa sul mercato australiano nei primi anni ‘90 col nome di “Two Dogs Limonade” ed altro non era che una limonata alcolica. Le fece seguito la “Sub Zero”, una soda alcolica resa piacevole al palato con l’aggiunta di liquore di lampone. Così sono nati i primi “alcopops” (il suffisso pop sta per bevanda gasata), approdati poi in Inghilterra nel 1995 e 335 da qui in altri Paesi: in USA, Giappone e nell’Europa continentale. Queste frizzanti bevande, dette anche “Flavoured Alcohol Beverages”, apparentemente innocenti ed attraenti per il loro colore vivace (dal verde al rosso-lampone, all’arancio) che le fa somigliare ad una limonata o ad una aranciata o ad uno sciroppo di fragola o di lampone, hanno in realtà una gradazione alcolica che va dal 5% al 7%. L’alcol c’è (vodka, rum, tequila, grappa), ma non si sente, perché mescolato a zucchero e ai vari aromi. Tanto sembrano innocue che sono state battezzate anche col titolo di “girlie”: bevande per ragazzine. Il loro tasso alcolico è tutt’altro che insignificante, ed esse sono rese ancora più appetibili mercé una presentazione gioiosa: per colori, slogan e fantasie: “designer drinks”; bevande stimolanti, energizzanti, eccitanti, con allusioni all’efficienza sessuale: «sei un duro solo se bevi un mucchio di alcopop». La “abbuffata” di queste bevande falsamente innocenti (alcune confezioni in bottiglia o in cartone raggiungono i 330 ml), può portare, se il consumo è rapido, al tasso alcolico di 0,8 g/l nel giro di due ore. L’alcol, sotto forma di vino o di superalcolici tradizionali, esce quindi dalla porta per rientrare dalla finestra. Ed è – questa con gli alcopops – una vera e propria iniziazione al consumo di alcolici più forti e di super-alcolici: come dicono gli inglesi: «The way people drinks». Le tendenze stanno quindi cambiando e i fabbricanti inseguono i giovani, in particolare gli adolescenti, con trovate pubblicitarie sempre nuove, con proposte di mercato che fanno presa in questa inquieta ‘nicchia‘ di età. Bere alcopops fa tendenza; l’adolescente si sente “in”. Sono non più o non solo le discoteche o i pub a richiamare la folla del sabato sera: ci sono le feste private, le serate per ricorrenze speciali, i raduni con i cantanti di moda. È in tal modo che il consumo di queste bevande si sta dilatando in maniera esponenziale. Giovan Maria Zanini, sulla rivista ticinese “Vivere a tempo pieno”, riporta che di alcopops sono state vendute, nel 2002, 39 milioni di confezioni, delle quali si calcola che circa 10 milioni siano state consumate da giovani di età inferiore ai 18 anni. I dati della Gran Bretagna sono ancora più preoccupanti, e, in considerazione del diffondersi delle mode, si prevede che altrettanto avvenga in altri Paesi, Italia compresa. Conclusioni Alcopops: l’alcol c’è, ma non si “vede”. L’adolescenza si inserisce in una fase esplosiva dello sviluppo, rappresentata biologicamente dalla pubertà, evento ormonale e percorso obbligato della vita, che conduce il soggetto alla possibilità di procreare. Ciò vuol dire essere in grado di costruirsi un nucleo proprio, sia dal punto di vista antropologico che affettivo e sociale. 336 Recenti Progressi in Medicina, 96, 7-8, 2005 Chi entra nel periodo (più o meno lungo) dell’adolescenza, va incontro all’interruzione di una crescita fino allora pacifica, quasi sempre priva di ostacoli. Si rompono i legami con i precedenti soggetti di amore, si dissolve la necessità della protezione genitoriale, la si rifiuta, spesso con essa si contrasta. La “fuga” dalla famiglia, in senso metaforico, è ricerca di altre soluzioni esistenziali, è investimento affettivo nel gruppo dei coetanei, è il voler sperimentare un nuovo contesto socio-culturale, ma è anche il voler realizzare quelle pulsioni che danno al soggetto illusoria sensazione di potere illimitato. Il mondo è suo e lui, l’adolescente, lo vuole gestire a suo modo, senza i vincoli che la famiglia imponeva. Parallelamente, il pensiero dell’adulto-genitore torna all’indietro, al proprio percorso di adolescente: da qui l’atteggiamento protettivo, quasi a difendere non solo il figlio ma anche se stesso dalle incognite del salto generazionale. Preoccupazione legittima, se non vi fosse un nuovo modello sociale che talvolta è già nelle mura domestiche e che, comunque, l’adolescente incontra inevitabilmente all’esterno. Da qui le trasgressioni, che per lo più rientrano in un ambito fisiologico. Può accadere, però, che la crisi adolescenziale anziché far crescere nell’individuo l’autostima e la consapevolezza di un itinerario socialmente accettabile, induca a devianze che mettono in crisi sia lo sviluppo di personalità, sia l’adeguato inserimento nella società. Ed è qui che può entrare in scena “l’amico alcol”. Come già ricordato, Emanuele Scafato, del Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Superiore di Sanità, ha sottolineato più volte, a proposito dell’uso di alcol da parte dei ragazzi e degli adolescenti, l’importanza delle iniziative che la Comunità Europea aveva programmato per il periodo 2002-2006, di concerto con le raccomandazioni dell’OMS: «Il danno provocato dall’alcol impone un carico economico significativo sui singoli individui, sulle famiglie, sulla società, attraverso costi sanitari, perdita di produttività, costi dovuti a incendi e danni alla proprietà, e perdita del reddito dovuta a mortalità precoce». L’autore stima questi costi tra il 2% e il 5% del prodotto interno lordo. Incidenti e violenza, disturbi psicologici, problemi relazionali, perdita di autostima ed esclusione sociale fanno da corollario drammatico alle stime dei costi materiali. Già nelle precedenti Sessioni dell’OMS, in accordo col Piano di Azione Europea per l’Alcol (WHO/EAAP 2000-2004), erano stati formulati alcuni progetti: ritardare il più possibile l’iniziazione al consumo di alcol; incrementare attività di sostegno per indirizzare i giovani a compiere scelte salubri: in primo luogo mediante una valida informazione; sviluppare – in loro – una attitudine più consapevole e critica sia verso il consumo di alcol che verso le insidiose campagne promozionali dell’industria. Tuttavia il successo non è stato pari alla gravità del fenomeno: consumismo, permissivismo e inadeguato controllo sulla pubblicità non lasciano molto spazio ai buoni propositi. Secondo la mia esperienza, il contatto diretto con l’adolescente, l’ascolto, il dialogo (con lui da solo, affinché egli possa esprimere più liberamente i disagi del corpo e della mente, evitando il più possibile interferenze dei genitori) riescono a creare quella empatia che è confidenza, scambio libero di opinioni, richiesta di consigli. Si scopre allora che vi è una folta schiera di adolescenti che chiedono di essere compresi, di diventare alleati dell’interlocutore, desiderosi di inserirsi dignitosamente nella società, di ritrovare un appoggio nella famiglia, purché questa non riproponga modelli del passato, lontani dalle prospettive attuali. Gli adolescenti non vogliono né paternalismo né demagogia; chiedono di essere aiutati concretamente a raggiungere una loro identità, frutto di loro libera scelta. Esisteranno sempre trasgressioni, contestazioni, voglia di andare controcorrente. Ma se non interverranno devianze importanti, quell’adolescente supererà le fantasie, le ansie, i conflitti interiori, i momenti di depressione, le attese non realizzate. Diventerà un uomo. La professione mi ha permesso di vivere il percorso di ragazzi e di adolescenti per l’arco di due generazioni. Li ho incontrati, poi, questi “antichi” adolescenti diventati ormai adulti, nella loro veste di genitori. La gran parte di essi è riuscita a traghettare: a vivere positivamente l’età che Anna Freud, nel 1969, ha descritto «come disturbo evolutivo», definizione nella quale il termine ‘disturbo’ intende un passaggio obbligato ma transitorio. Vorrei dunque concludere con un vecchio proverbio marinaro: Vai con la tua barca verso l’orizzonte, attraverso acque mosse e con la vela che sbatte. Giunto là, ti accorgerai che c’è un altro orizzonte, che forse più ti aggrada. Punti-chiave 1. Adolescenza come evoluzione 2. Fase a rischio 3. Desiderio e timore del cambiamento 4. L’alcol come rassicurazione illusoria 5. Necessità di nuova alleanza: familiare e sociale P.L. Giorgi: Adolescenza e alcol Bibliografia essenziale AAP. Clinical Report. Tobacco, alcohol and other drugs: the role of the pediatrician in prevention, identification, and management of substance abuse. Pediatrics 2005;115: 816-21. AAP. Committee on substances abuse. Alcohol use and abuse: a pediatric concern. Pediatrics 2001;108: 185. Agarwal DP. Genetic polymorphism of alcohol metabolizing enzimes. Pathol Biol 2001; 49: 703-9. Allen JP, Porter MR, McFarland FC, et al. The two faces of adolescent’s success with peers: adolescent popularity, social adaptation, and deviant behavior. Child Dev 2005; 76: 747-60. Arias C, Chotro MC. Increased preference for ethanol in the infant rat after prenatal ethanol exposure expressed on intake and taste reactivity test. Alcohol Clin Exp Res 2005; 29: 337-46. Ball D. Ebrii gignunt ebrios. One drunkard begets another: the genetics of alcohol dependence. 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