Premessa Pubblicare una guida turistica su uno dei tanti paesi

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Premessa Pubblicare una guida turistica su uno dei tanti paesi
Premessa
Pubblicare una guida turistica su uno dei tanti paesi adagiati alle falde dell’Etna, come
Castiglione di Sicilia, è l’estremo tentativo di voler far rivivere la storia e la cultura di uno dei
molti centri agricoli etnei o siciliani. È giunto, infatti, il momento in cui anche Castiglione
faccia conoscere al turista, che scala la stupenda collina sormontata da rocce arenarie e da
case, le bellezze del suo territorio, le sue tradizioni culturali, lo splendore dei suoi monumenti,
le sue radici storiche, l’operosità dei suoi abitanti, l’importanza strategica che ha dato origine
al toponimo, in poche parole la sua identità di antichissimo centro abitativo le cui origini si
perdono nella notte dei tempi.
Il turista non può lasciare un paese così piacevole senza portare con sé, quale ricordo,
una segno della sua bellezza: ecco perché da tanti anni i Soci delle sedi locali dell’Archeoclub
d’Italia e di SiciliAntica hanno lavorato, sia attraverso ricerche storiche che documentazioni
fotografiche. La loro iniziativa ha permesso la realizzazione di un mezzo pratico e semplice
per conoscere Castiglione.
All’impegno dei numerosi Soci va aggiunta la disponibilità dell’intera
Amministrazione Comunale che è stata prodiga di consigli e spesso di sprone a proseguire
nell’impresa. Si ringrazia quindi l’intero staff amministrativo, soprattutto per aver voluto
pubblicare un lavoro frutto d’amore e passione verso la propria terra e i suoi abitanti. Tutto
questo con l’augurio che anche i giovani castiglionesi possano accostarsi e approfondire le
radici della propria cultura e del proprio modo di essere.
Angelo Manitta
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Aspetti socio-culturali tra Etna e Alcantara
Castiglione
Festività e manifestazioni religiose e folcloristiche……………………………………… 3
Il territorio comunale………………………………………………………………………4
La storia……………………………………………………………………………………5
Beni artistici e culturali
Monumenti civili…………………………………………………………………..8
Monumenti religiosi……………………………………………………………….11
Itinerari artistici……………………………………………………………………19
Beni ambientali e naturali
Riserva dell’Alcantara…………………………………………………………….21
Parco dell’Etna…………………………………………………………………….23
Il campo da golf…………………………………………………………………...25
Le grotte………………………………………………………………………...…26
Le colate laviche………………………………………………………………..…28
Itinerari naturalistici……………………………………………………………….29
Cultura
Uomini di cultura………………………………………………………………….31
Proverbi e poesie popolari………………………………………………………...33
Miti, leggende e tradizioni………………………………………………………...36
Gastronomia tipica………………………………………………………………...37
Attività economiche
Artigianato………………………………………………………………………..38
Agricoltura………………………………………………………………………..40
Istituzioni e associazioni………………………………………………………………….43
Bibliografia………………………………………………………………………………46
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Festività e manifestazioni religiose e folcloristiche
La festa della Patrona, Maria SS.ma della Catena, è certo la manifestazione religiosa e
folcloristica più importante e sentita dalla cittadinanza.
Ogni primo sabato del mese di maggio molti pellegrini, provenienti da ogni parte della
valle dell’Alcantara (Solicchiata, Gravaà Mitogio, Francavilla, Moio Alcantara, Malvagna,
Linguaglossa, Randazzo e anche paesi più lontani) si riversano nel santuario della Madonna,
facendo molti per voto la strada a piedi.
Il pomeriggio del sabato molto frequentata è la messa vespertina, alla conclusione
della quale la statua della Madonna viene spostata dalla nicchia sull’altare, tra il luccichio
dell’oro che la riveste. Essa infatti è addobbata come una sposa: un lungo manto rosso con
ricami dorati dalle spalle giunge fino ai piedi.
La domenica mattina il paese si riempie di gente, in particolare modo ogni cinque
anni, quando la statua della Madonna viene portata in processione per le vie piccole e strette
del paese. La sacra immagine, posta su un carro, viene tirata con corde da un’infinita schiera
di uomini e ragazzi. Vincenzo Sardo scrive: «La devozione di questo popolo tocca l’apice del
fanatismo! Lungo le vie percorse dalla processione si trovano pronte delle donne con
asciugamani bianchissimi per tergere il sudore ai baldi giovani che portano a spalla la pesante
statua, su una pesantissima bara. Quegli asciugamani venivano religiosamente conservati
quali amuleti».
Tra le altre festività religiose si ricordano in particolar modo:
Maria SS.ma del Rosario, che si celebra a Passopisciaro, frazione di Castiglione, la
prima domenica di Luglio;
San Giovanni Bosco , la terza domenica di Luglio, a Verzella;
Madonna del Carmelo, intorno alla metà di luglio a Rovittello;
Sacro Cuore, la prima domenica di Agosto, a Solicchiata.
Santa barbara, ai primi di novembre, nella frazione di Gravà.
Tra le manifestazioni civili molto sentita è l’estate castiglionese, che si svolge tra
luglio e agosto, con spettacoli teatrali, cabaret, spettacoli musicali, proiezioni
cinematografiche.
Molto sentita è pure la festa del 4 novembre e del 12 agosto, nelle cui giornate dopo un
lungo corteo si depongono corone di fiori o di alloro al monumento dei caduti e alla lapide
che ricorda le sedici vittime civili fatte dai nazisti durante la ritirata del 12 agosto 1943.
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Il territorio comunale
Castiglione di Sicilia, un presepe tra l'Etna e l'Alcantara, incastonato tra boschi di
castagni, noccioleti e querce, sorge su una collina di roccia arenaria tra Randazzo e Taormina.
La sua altezza è di circa 600 metri sul livello del mare, conta circa 4560 abitanti, ma ha una
densità di popolazione tra le più basse della provincia di Catania. Diversi sono i nuclei abitati.
Oltre al centro storico, Castiglione conta sei frazioni: Solicchiata, Passopisciaro, Verzella,
Rovittello, Gravà e Mitogio. Il suo territorio, esteso 120,41 kmq, è distribuito su altezze
diverse. Il punto più alto, che coincide con la sommità del cratere nord-est dell'Etna,
raggiunge i 3348 metri, mentre il più basso, a pochi chilometri da Giardini-Naxos, sfiora i 60
metri. Di conseguenza grande è la varietà di paesaggi: dall'imponente mole del vulcano, che
domina l'intera Sicilia orientale, ai boschi che ornano le sue basse falde, dalle grotte a
scorrimento lavico alle profonde e lunghissime gole del fiume Alcantara, dalle estese
coltivazioni di aranceti, vigneti e noccioleti alle brulle lave che caratterizzano alcuni tratti del
territorio, dai mandorli ammantati di rosa in primavera alle ampie distese d'asfodeli o di
ginestre: scenari incantevoli che nello stesso tempo suscitano stupore e riverenza: stupore per
ciò che è grande, immenso e gigantesco; riverenza per ciò che è bello, armonioso e piacevole.
Data la conformazione fisica anche il clima è piuttosto vario. Da una temperatura mite, che si
riscontra a valle durante l'intero anno quasi a perpetuare una perenne primavera, si giunge ad
un clima alpino nella parte più alta, dove la neve persiste fino ad estate avanzata.
Il territorio comunale ha la forma quasi di un martello. Esso confina a nord, per un
buon tratto, con il fiume Alcantara, che per alcuni chilometri si snoda pienamente all’interno
del territorio comunale, e quindi con alcuni comuni della provincia di Messina: Roccella
Valdemone, Moio Alcantara, Malvagna, Francavilla di Sicilia, Motta camastra, Graniti,
Gaggi, Taormina. A sud est confina con Calatabiano, Linguaglossa, Sant’Alfio.
Scarsi sono i corsi d’acqua, soprattutto perché il terreno è in buona parte di origine
vulcanica. Oltre all’Alcantara, si devono ricordare alcuni torrenti come il S. Giacomo, che
costeggia Castiglione a ovest, e il Medda, situato ad est.
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La storia
Castiglione non è solo bellezze naturali e tradizioni, economia ed artigianato,
Castiglione è anche storia. Prima dell'arrivo dei greci, giunti in Sicilia nel 735 a. C. per
fondare Naxos, l'intera isola era abitata da popoli che gli storici chiamano Siculi, Sicani ed
Elimi. Questi erano ben organizzati politicamente, vivevano in villaggi, conoscevano la
ceramica, inumavano i cadaveri. Alcuni scavi archeologici, fatti di recente dalla
Soprintendenza ai Beni Culturali della Provincia di Catania in una grotta in contrada Marca
nei pressi del fiume Alcantara vicino alla chiesa di San Nicola, come numerosi altri sporadici
rinvenimenti, dimostrano che l'intera valle era densamente popolata nel Neolitico e soprattutto
nell'età del rame e del bronzo. In questa grotta sono venuti alla luce resti umani, frammenti di
ossidiana e ceramiche, tra le quali una coppa fonda con decorazioni in nero su rosso e una
tazza attingitoio monoansata acromica datate intorno alla fine del terzo millennio a.C.,
appartenenti artisticamente alle ceramiche di Piano Conte, tipicamente eoliane.
Pertanto le origini della città si perdono nella notte dei tempi, anche se numerosi
studiosi hanno fissato la sua fondazione al 403 a.C. quando i Nassi, sconfitti da Dionisio di
Siracusa, risalirono il fiume Akesine, cioè l'Alcantara, accrescendo con molta probabilità gli
sparuti insediamenti già esistenti nella contrada Imbischi-Acquafredda e a Francavilla, luoghi
in cui recenti scavi hanno messo in evidenza vere e proprie città e fra l'altro i ruderi di un
santuario dedicato al culto di Persefone.
Scarse sono invece le testimonianze dell'epoca romana, come pochissimo sappiamo
del periodo delle invasioni barbariche. Nel 535, però, la Sicilia viene occupata dai greci
bizantini, che risvegliano la cultura e l'economia dell'isola e della nostra vallata. Loro palese
testimonianza sono i numerosi tempietti rustici, detti Cube, tra cui quello di Santa Domenica a
Castiglione, quello integro di Malvagna e quelli ridotti a semplici ruderi nei pressi di
Randazzo.
L'attuale Castiglione sorge nel pieno Medioevo (sec. XII) in seguito alla cacciata degli
Arabi da parte dei Normanni, i quali diedero inizio ad una espansione demografica e
fondarono numerose città e monasteri. Ciò è attestato non solo dalla pianta irregolare del
paese e dalla sua posizione, ma anche da alcune testimonianze architettoniche, come il
Castello o il Cannizzo, che costituivano dei solidi baluardi difensivi.
Il XIII secolo fu per la città di Castiglione un periodo florido, tanto che Federico II di
Svevia (primo con questo nome come re di Sicilia) le concesse nel 1233 l'appellativo di
Animosa e le confermò il privilegio di battere moneta. Ma alla fine dello stesso secolo
cominciò per l'abitato una lenta decadenza. Ai Normanni si sostituirono gli Angioini, i quali
con le loro esose tasse e col trasferimento della capitale da Palermo a Napoli suscitarono
molto malcontento tra gli isolani, tanto che con la guerra del Vespro, iniziata nel 1282,
vennero cacciati dall'isola con l'ausilio dell'ammiraglio Ruggero di Lauria, che appoggiava
Pietro d'Aragona. In premio il Lauria ottenne diversi feudi, tra cui anche Castiglione, che
scelse spesso come residenza estiva. Ma in seguito passato dalla parte di Giacomo, erede al
trono di Spagna, combatté il legittimo erede di Sicilia Federico II che riconquistò la Città
dopo alcuni mesi di assedio. Con la declinata potenza del Lauria decadde anche l'importanza
di Castiglione che perse così la sua demanialità e venne assegnata come feudo all'infante
Giovanni, duca di Randazzo.
Qualche secolo dopo, nel 1373, Castiglione, dopo aver fatto parte della Camera della
Regina e quindi aver goduto di una certa libertà, venne concessa in baronia a Pirrone Gioeni e
poi riconfermata a Giovanni Tommaso Gioeni nel 1517 come marchesato. Infine Tommaso
Gioeni nel 1602 venne nominato dal re di Spagna Filippo III primo principe di Castiglione.
Il sistema feudale, venuto nuovamente in auge con gli spagnoli, determinò una lenta
ma inesorabile decadenza di Castiglione, finché nel 1612 l'animo orgoglioso ed intraprendente
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dei suoi cittadini non riacquistò le sue libertà civiche attraverso il riscatto del mero e misto
impero, cioè il diritto di esercitare la giurisdizione civile e criminale. La maggiore libertà
permise la formazione di una borghesia terriera e di un apprezzabile sviluppo urbanistico,
come attesta la costruzione di alcuni palazzi e di alcune chiese, sparsi lungo la via Regina
Margherita, in piazza Lauria e in piazza Sant'Antonio Abate: il palazzo Camardi, il palazzo
Imbesi già dei Tuccari, il palazzo Sardo, la sede del Peculio poi modificato in Municipio, il
palazzo Saglimbeni, il monastero delle Benedettine, l'ospedale San Giovanni di Dio, la chiesa
di Sant'Antonio Abate, la chiesa di San Giacomo e molte ville di campagna.
Ma, malgrado l'apparente floridezza economica, nel XVII e XVIII secolo continuarono
a verificarsi ricorrenti carestie. Nel 1636 si fondò perciò il Peculio, una istituzione che aveva
lo scopo di creare un patrimonio comunale che permettesse l'acquisto di una quantità di
frumento bastante al consumo della locale popolazione, frumento che nei casi di necessità
sarebbe stato rivenduto ad un prezzo politico.
Ricchezza e povertà, carestia e abbondanza, incremento demografico e sviluppo
urbanistico, furono le contraddizioni più vistose di questi due secoli. La vita della povera
gente, che abitava le nostre contrade, non era certo da invidiare. I più erano costretti a lottare
giorno per giorno con la morte. Il pane, alimento fondamentale della dieta dei poveri, spesso
non era fatto con farina di frumento, ma con altri cereali, come segale e mais, e condito con
pomodori, cipolle, formaggio, frutta, verdura, mentre la carne veniva consumata solo per le
feste.
Ad alleviare le sofferenze dei poveri erano spesso le istituzioni religiose. Fiorivano,
infatti, diversi ordini monastici, come gli Agostiniani, che nel 1610 avevano fondato il
monastero dell'alto Milio fuori paese, trasferendosi poi nel 1648 in città; i Carmelitani, che
costruirono il loro convento nei pressi della chiesa di San Martino, poi intitolata alla Madonna
del Carmelo; i Cassinesi, la cui abbazia si trovava nei pressi della chiesa di San Nicola sotto il
titolo della Trinità; e infine le Benedettine, che gestivano un orfanotrofio.
Nel 1860 viva fu la partecipazione alla causa dell'unità d'Italia, preparata da logge
massoniche. Si aspettava anche qui da parte dei contadini una divisione delle terre. Sorsero
vari tumulti, un manifestante venne ucciso, ma Nino Bixio ordinò al maggiore Dezza: «Vi do
piena facoltà: arrestate e tenete prigionieri i rivoltosi».
Grande fu il tributo di sangue offerto dai castiglionesi durante la grande guerra (1915'18), ma ancora più grande lo fu durante la seconda guerra mondiale, quando il 12 agosto
1943 il generale Rodt, comandante della XVI divisione Granatieri, entrava in Castiglione per
compiere il primo vero eccidio nazista in terra italiana. Sedici inermi cittadini vennero
massacrati senza un perché, mentre altri circa 200 vennero presi in ostaggio.
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Monumenti civili
Dopo questo breve excursus storico è opportuno addentrarsi nel paese per conoscere
quanto di artistico ed architettonico i nostri progenitori nel corso dei secoli hanno tramandato
alle generazioni future. Il presente è frutto e sintesi del passato. Se non conoscessimo la nostra
storia e i nostri beni culturali e ambientali è come se non avessimo memoria.
'U Cannizzu
Appena ci si avvicina alle prime case balza subito agli occhi un torrione circolare,
detto Cannizzu, con accanto una piccola chiesa, quella di San Vincenzo. Il termine cannizzu
risale alla metà del secolo scorso e gli è stato dato forse per la sua forma molto simile ai
recipienti conosciuti con questo nome, costruiti con canne spaccate e intrecciate, in cui in
passato si conservava il grano.
Il Cannizzu, uno dei simboli di Castiglione, di recente restaurato per conservarlo dalle
intemperie, è dislocato proprio in uno dei siti più incantevoli del paese: una parete a
strapiombo è frammezzata da stretti passaggi tra blocchi di arenaria; diverse grotte di origine
eolica, che un tempo ospitavano uomini, si aprono tra uno strato e l'altro di roccia e danno
riparo a lucertole e pipistrelli; un fertilissimo terriccio fa crescere rigogliosi ulivi, viti,
fichidindia ed altri alberi da frutta, tanto da dare al luogo l'aspetto d'un paradiso.
La torre, vista dal basso, appare imponente ed è leggermente più larga alla base. Essa,
alta circa sei metri, con un raggio di circa tre metri, fatta con arenaria locale squadrata, ha
sfidato i secoli. La sua origine risale tra il XIII e il XIV secolo.
La fortezza si trovava fuori le mura di cinta della città e fu la prima roccaforte ad
essere espugnata da Federico II re di Sicilia, quando nel 1301 riconquistò il feudo, togliendolo
a Ruggero di Lauria. Essa molto probabilmente faceva parte di una fortificazione più
complessa, detta Cittadella, ed era sicuramente un posto di vedetta. Da quella posizione si
domina, infatti, l'intera alta valle dell'Alcantara.
Si entra nella torre attraverso una porta soprelevata dal suolo qualche metro, porta che
veniva chiusa dall'interno con una grossa trave inserita nel corpo della costruzione. Sono
intatte ancora due feritoie, mentre altre tre sono state ricavate dai recenti restauri. Due solai,
uno a livello della base della porta e l'altro a circa tre metri d'altezza, permettevano alle
guardie di inoltrare lo sguardo attraverso di esse. La parte culminale, cui era possibile
accedere attraverso una scala interna di legno, doveva essere coperta probabilmente da un
terrazzo sprovvisto di merli, come lascia intuire il mosaico che si trova nella chiesa di
Sant'Antonio Abate raffigurante una scena di caccia, in cui compare la torre e la vicina chiesa
della Trinità.
Quest'ultima, dedicata a San Vincenzo Ferreri da Melchiorre Sardo che l'aveva
acquistata nel 1854 col terreno circostante riaprendola al culto, è quanto rimane dell'abbazia
della Trinità, appartenente all'ordine religioso dei Cassinesi e ubicata nei primi secoli del
millennio nei pressi della chiesa di San Nicola. L'abbazia tra il XV e il XVI secolo raggiunse
un grande prestigio, tanto che l'abate, la cui elezione spettava al Contestabile, occupava il 59°
posto nel Parlamento del regno di Sicilia.
Il Castello
L'altra grande struttura architettonica civile di Castiglione è il castello. Esso nel
Medioevo costituiva la parte centrale e la roccaforte del paese. La sua posizione è quella
tipica di molti altri castelli medievali, che permettevano il controllo su un vasto territorio,
oltre che sulle vie di comunicazione, garantendo un opportuno isolamento, fattore essenziale
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di difesa. Non abbiamo notizie certe sulla sua origine, ma le due finestre bifore della parte
ovest ci lasciano intuire che il nucleo principale sia stato edificato molto probabilmente
durante il periodo normanno-svevo.
Tale sito nel corso della storia dell'abitato ha avuto di sicuro una funzione
molto rilevante tanto da dare il nome al paese. E' certo che Castiglione nel XII secolo viene
chiamato Quastallum dal geografo arabo Edrisi, Castillo in un diploma di Ruggero II re di
Sicilia, Castillio in un diploma di papa Eugenio III, castellou in un documento greco, cioè
semplicemente Castello. L'attuale nome, invece, significa Castello grande. Al latino
medievale castellum, infatti, è stato aggiunto il suffisso accrescitivo -ione, facendolo
diventare Castellione, che gli Aragonesi prima e gli Spagnoli poi pronunziavano Casteglione.
Il termine ben presto comunque venne interpretato come Castello del Leone per offrire al
paese un marchio di regalità, dando luogo anche allo stemma: un castello e due leoni
accovacciati.
Il castello nel Medioevo, collegato alla roccaforte del Castelluccio e ad un avamposto
identificabile con la chiesa di San Pietro, era messo in comunicazione con questi da passaggi
sotterranei, che giungevano, si dice, fino al Cannizzo. Essi costituivano un vero e proprio
complesso architettonico e difensivo, ed un vecchio stemma cinquecentesco della città, con
tre torri, mette in evidenza la loro importanza. I vari quartieri del castello assumevano
funzioni diverse. Vi era la parte più nobile riservata al castellano; vi erano le scuderie, i
fienili, le stalle, le abitazioni per i servi e per gli addetti alla manutenzione; vi erano le carceri,
all'interno delle quali, nelle scomode celle dette dammusi, lunghe non più di due metri e alte
appena un metro, venivano rinchiusi spesso i più facinorosi avversari politici e i più incalliti
delinquenti; vi erano le cisterne per conservare l'acqua piovana o per nascondervi, durante gli
assedi, vettovaglie e suppellettile preziosa; vi erano le rotonde bombe di pietra, pronte per
essere scagliate contro i nemici; vi era nella parte più alta un ampio locale, detto Solecchia,
che comunemente si ritiene fosse la zecca dove si coniavano le monete, ma poteva essere la
garçonnière o il luogo dove il feudatario si riparava dal sole, dopo aver contemplato quasi per
intero il suo vastissimo feudo.
Piazza Lauria
In piazza Lauria, la principale del paese, si svolgono le più importanti attività sociali,
politiche ed economiche. Vi si trovano, infatti, la banca, l'ufficio postale, la sede di un
sindacato e il Municipio. Quest'ultimo si è insediato nel 1907 nei locali dell'antico Peculio e
sulla sua facciata, semplici e spoglie d'ogni ornamento, si leggono due lapidi. La prima
ricorda la visita del deputato Edoardo Pantano in occasione dell'eruzione dell'Etna del 1911,
mentre la seconda commemora le vittime dell'eccidio nazista del 12 agosto 1943.
Le mura e i quartieri
Come molti paesi sorti nel Medioevo Castiglione era cinto da mura e diviso in
quartieri. Le mura avevano nove porte, di cui rimangono scarse testimonianze ma si
conservano i nomi, come quelle dello Speziale, del Castello, della Pagana, della Iudecca, del
Portello, della Bocceria, di San Pietro, di San Martino e del Re.
I quartieri storici, che si trovavano entro le mura, sono quelli di San Pietro, Santa
Maria, San Basilio, San Marco, Santa Caterina, Sant'Antonio Abate e dei Cameni. Fuori le
mura erano invece i borghi di Santa Barbara, della Fontana Vecchia, di San Martino e della
Pattina, detto anche Burguru.
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Monumenti religiosi
La Chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo
Come in tutti i paesi d'un certo rilievo il potere politico e il potere religioso spesso si
fronteggiavano e si scontravano. Al Castello si contrapponeva la Chiesa Madre. Al principe o
al barone si contrapponeva l'arciprete. E le loro dimore sorgevano, quasi per sovvergliarsi
visivamente e controllare il territorio, nei punti più alti. Così anche a Castiglione.
La Chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, fondata come sembra dal conte Ruggero
nel 1105, sorge nella parte più alta del paese, all'interno del complesso difensivo medievale
che occupava l'intera cima della collina, di cui anzi era probabilmente la cappella. Alcuni
storici, tra cui il Filoteo, riferiscono che i sovrani normanni hanno concesso a questa chiesa
numerosi privilegi, dandole perfino un'ampia giurisdizione sui paesi vicini: Francavilla,
Linguaglossa, Roccella, Calatabiano e Mascali. Ma tali notizie non sempre sono controllabili.
Il campanile s'innalza sulle rovine di una torre a forma cilindrica, che si crede
costituiva il mastio della roccaforte. I conci regolari di lava e arenaria locale, di cui esso è
costituito, separati nella loro slanciata struttura da archetti pensili tubolari e da formelle
floreali, ci testimoniano l'origine normanno-sveva, origine confermata da alcune finestre dello
stesso stile che si trovano nella parete del lato nord e da una finestra sulla porta centrale, di
recente riaperta nel contesto di un restauro globale della chiesa.
Molti benefattori si sono prodigati nel corso dei secoli per arricchire la Matrice di
oggetti preziosi, arredi sacri, paramenti ed opere d'arte. Innanzitutto è da ricordare l'abate
Giuseppe Coniglio, vicario foraneo, che lasciò alla cappella dei Santi Pietro e Paolo un
ingente capitale, sei mila onze. Il principe di Malvagna (il potere politico ha spesso fatto
pressione sul potere religioso) chiese più volte a Cesare Gioeni, arciprete dal 1650 al 1702, di
concedergli in prestito tale somma. Ma egli non accondiscese, benché sia stato costretto a
subire persecuzioni e ad essere rinchiuso nella Cittadella di Messina insieme al sacrista,
d'accordo col quale aveva nascosto il denaro dentro una tomba.
Giacomo Gioeni, arciprete dal 1702 al 1737, istituì la chiesa di San Pietro erede
universale dei suoi beni e molto egli fece per metterla alla pari con le cattedrali, restaurandola
ed abbellendola con marmi e con pitture. A lui si deve la costruzione del campanile,
completato nel 1709, come testimonia l'iscrizione a carattere cubitale che lo orna: "Iacobus
Abbas Gioeni Aragona Vicarius et Visitator Generalis Anno 1709". E fu egli che la fece
consacrare per la prima volta il 18 novembre 1717 da mons. Migliaccio, arcivescovo di
Messina, alla quale diocesi Castiglione appartenne fino al 1872.
Antonino Sardo (1781-1823) non fu da meno del Gioeni, ottenendo importanti
privilegi, mentre Giovan Battista Calì Sardo (1823-1874), nipote del precedente, molto si
adoperò per il suo restauro dopo il disastroso terremoto del 1818, anno in cui venne chiusa al
culto. Riaperta nel 1837, venne riconsacrata il 27 giugno 1889 dall'illustre castiglionese mons.
Luigi Cannavò, vescovo di Smirne, assistito da mons. Genuardi, vescovo di Acireale.
All'arciprete Calì si deve anche la sistemazione di tutto il materiale superstite ai numerosi
incendi con la creazione di un vero e proprio archivio e la fondazione della Biblioteca
Villadicanense, arricchita con pregiati volumi, incunaboli e manoscritti, alcuni dei quali
purtroppo andati dispersi.
Entrando dalla porta principale balzano subito agli occhi quattro tele di grandi
dimensioni, poste sugli altari laterali. La prima raffigura l'episodio evangelico della Madre di
Zebedeo che chiede a Gesù di far sedere nel Regno dei Cieli i propri figli, Giacomo e
Giovanni, uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra; la seconda la Conversione di San
Paolo, dipinta nel 1917 da Paolo Leonardi; la terza il vescovo San Biagio; la quarta
l'Immacolata.
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Nei due bracci di destra e di sinistra sono le Cappelle del SS. Crocefisso e del
Sacramento. La prima trae il nome da uno splendido crocefisso scolpito in un unico pezzo
d'arancio nel XVII secolo, la seconda dal fatto che vi si conserva il Cristo nelle mistiche
specie in un dorato tabernacolo, sovrastato da una espressiva figura del Redentore. Sopra
l'arcata della navata centrale invece nel 1951 è stato realizzato un grande affresco da G. Licata
e F. Contraffatto, che raffigura Gesù Cristo nell'atto di consegnare le chiavi a San Pietro,
mentre gli altri apostoli, tra cui San Paolo, gli fanno cerchio.
Infine sono da ricordare, oltre al fonte battesimale dovuto all'arciprete Gioeni, i
pregevoli ritratti degli arcipreti e dei sacerdoti più illustri di Castiglione, collocati in sacrestia
al di sopra di un pregevole mobile settecentesco, e la Meridiana, unica esistente nella valle
dell'Alcantara, costruita dall'astronomo palermitano Temistocle Zona nel 1882.
La Chiesa di Sant'Antonio Abate
In uno dei quartieri più caratteristici e più antichi di Castiglione, quello dei Cameni,
sorge la Chiesa di Sant'Antonio Abate. Essa venne cominciata a costruire nel 1601, quando la
vecchia chiesa, che sorgeva nei pressi del torrente San Giacomo, era stata rovinata da una
frana. Mancando i mezzi per realizzarla, i rettori pensarono di ricorrere ai contributi di
persone devote e soprattutto dei componenti della Confraternita delle Anime Sante del
Purgatorio, che era stata fondata il 20 ottobre del 1605 con un privilegio dell'arcivescovo di
Messina F. Bonaventura, patriarca di Costantinopoli. Ma la confraternita, detta anche dei
Bianchi o dei Trentatré perché poteva avere solo un tale numero di associati scelti tra
l'aristocrazia, venne ben presto sciolta e sostituita da quella di Sant'Antonio Abate, tuttora
fiorente.
Quando la chiesa venne ultimata non aveva rendite ed era molto semplice e spoglia.
Ma alla fine del secolo fu abbellita ed arricchita soprattutto da parte della famiglia Sardo con
lasciti e benefici, divenendo il gingillo dell'aristocrazia castiglionese. Fu infatti ad opera di
Melchiorre Sardo Roggeri, procuratore della chiesa, che venne decorata nel secolo successivo
con marmi a mosaico, eseguiti da Tommaso Amato nel 1712, e con tele del Tuccari, pittore
messinese.
Sul finire del XVIII secolo il procuratore Melchiorre Sardo Campisi fa completare
l'esterno con una stupenda facciata. Sulla porta maggiore si legge l'anno: 1796. La concava
facciata, nobilitata da modanature classiche, dà a tutto l'insieme un tocco armonioso di linee e
forme che non risentono degli eccessi del barocco, forse perché dovuta a maestranze locali
che si sono avvalsi di modelli romani. Il campanile, delimitato nelle strutture architettoniche
dalla pietra lavica, spicca con la sua cupola a bulbo rispetto al resto della chiesa, nella quale
abbonda l'arenaria. Questo gioco di chiaroscuro, molto bene adeguato ai frontespizi dei
palazzi che circondano la piazza, dà al complesso architettonico leggerezza e grazia.
L'interno della chiesa, ad una sola navata, con una cappella laterale, offre una visione
globale serena, luminosa ed armonica. Tra i mosaici policromi, equilibrati nelle loro linee
strutturali, bello ed espressivo è l'altare maggiore (l'unico rimasto dopo l'eliminazione in
passato di quelli laterali), nel quale spiccano il medaglione del paliotto che raffigura
Sant'Antonio Abate, lo stupendo tabernacolo, le colonne tortili e le lesene laterali, oltre alle
due piccole mensole collocate ai suoi lati che tratteggiano, quella di sinistra un pappagallo che
divora dei frutti, quella di destra una scena di caccia. Splendido ed unico è anche l'arcone
centrale in marmo di Taormina che divide la navata dall'abside.
Alcune tele, qualcuna delle quali purtroppo non molto ben conservata, rappresentano
la vita del Santo anacoreta. Nella prima di sinistra, ad esempio, Sant'Antonio e San Paolo
Eremita appaiono seduti all'ingresso d'una tomba scavata nella roccia, nella seconda è
raffigurato il Santo tentato dal demonio che compare sotto forma di donna, nella terza la
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Madonna, detta Odigitria, protegge il viaggio di due frati. Altre due tele raffigurano San
Michele Arcangelo che sconfigge Satana e un angelo custode che tiene per mano un bambino.
Tra le altre opere d'arte degna di rilievo è sicuramente la statua in legno di
Sant'Antonio, dovuta a Nicolò Bagnano e voluta dal barone Santo Camardi, che dovette dare
all'autore una somma maggiore della pattuita in quanto l'opera sotto il profilo artistico riuscì
superiore alle aspettative dello scultore.
La Chiesa di San Marco
La Chiesa di San Marco, un tempo una delle tre parrocchie di Castiglione insieme a
quelle di Santa Maria e di San Pietro, ha un grande rilievo sotto l'aspetto storico. Alcune
finestre di stile normanno ed un arco a sesto acuto, riapparso durante i lavori di restauro
ancora in corso, lasciano intuire che la sua costruzione è contemporanea alla chiesa di San
Nicola e a quella di San Pietro (secolo XII). Il primitivo tempio venne però ampliato e
modificato intorno al XVII secolo, costruendovi anche un campanile. L'interno conservava
alcune tele del Chitè e del Gramignani, ora poste in altre chiese, alcuni affreschi ormai
irrimediabilmente perduti, molti pregevoli marmi di altari e stucchi barocchi, un caratteristico
pulpito-confessionale in legno ornato con molti fregi ed incisioni, un pezzo ricco di grazia
formale, opera di buon artigianato barocco.
D'un certo rilievo per la storia di questa chiesa è la notizia che diversi storici ci
riferiscono, cioè la presenza di un'urna mortuaria, poi trasformata in fonte d'acqua benedetta,
sulla quale era incisa una iscrizione latina: "Diis Manibus Liunio Asia Tirano vix anni XXIII
Marcia Severa bene de se merito", cioè "Agli dei Mani per il meritevole Liunio Tirano
proveniente dall'Asia, vissuto 23 anni, dedica Marcia Severa". L'iscrizione riporta al periodo
romano e diversi storici, tra cui il Lamonica e il Giannetto, hanno supposto che vi si potesse
trovare un tempio pagano. L'urna nel 1613, sotto l'arcipretura del Rametta, in tempi cioè di
restaurazione religiosa, venne fatta voltare da alcuni gesuiti con l'iscrizione verso il muro,
mentre l'arciprete Riganato nel 1645 la fece addirittura murare nel fonte battesimale.
La Basilica della Madonna della Catena
Tra il Castello e il Castelluccio, la parte centrale di quell'ampia fortificazione che
copriva l'intera sommità della collina, si trova la chiesa di San Giacomo Apostolo, meglio
nota con il titolo di Basilica della Madonna della Catena per la stupenda immagine che vi si
venera. Essa è una delle più belle chiese e sicuramente la più grande di Castiglione. La sua
costruzione ebbe inizio nel 1655, in seguito ad una frana che interessò l'antica chiesa dedicata
allo stesso Santo e posta appena fuori paese lungo il torrente San Giacomo, all'interno della
quale fin dal XV secolo era fiorita la devozione della Madonna della Catena, giunta a
Castiglione quasi subito dopo il miracolo avvenuto a Palermo nel 1392. Ma fu solo a partire
dal 1612, in seguito al miracoloso sudore della statua, verificatosi mentre i cittadini si
prodigavano per il riscatto del mero e misto impero, che la sua devozione si consolidò.
La nuova piccola costruzione venne, tra la fine del XVII secolo e la metà di quello
successivo, ampliata ed abbellita con una monumentale facciata barocca, realizzata da
Baldassare Greco, cui si deve anche la Statua di San Filippo del 1744, collocata nella nicchia
destra. La Statua di San Giacomo invece, sulla sinistra, è dovuta a Tommaso Amato, che la
realizzò nel 1709 poco prima dei mosaici di Sant'Antonio Abate.
Tra il 1860 e il 1880 l'unica navata della chiesa è stata trasformata a croce latina e
coronata da un'ampia ed imponente cupola. Agli inizi di questo secolo, però, è stata ancora
modificata e ingrandita, assumendo l'attuale forma a croce greca. Data la grande rilevanza che
essa ha assunto da più secoli per la popolare devozione verso la Madonna, nel 1986 viene
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elevata a basilica minore, per cui tanto si prodigò l'arciprete don Gaetano Cannavò e
soprattutto mons. Gaetano Alibrandi, nunzio apostolico d'Irlanda.
All'interno vi si trovano pregevoli opere d'arte. Prima fra tutte spicca la Statua della
Madonna della Catena, in marmo bianco di Carrara, del peso di circa sette quintali. Incerto è
l'autore, ma appartiene con sicurezza alla scuola dei Gagini, famiglia di scultori che operò in
Sicilia dal XVI al XIX secolo. I documenti e le ipotesi vertono tutti su Giacomo e Antonio,
figli di Antonello. La grazia singolare dell'opera, la raffinatezza dei volti della Madre e del
Bambino e la corposità del manto fanno presumere un'influenza michelangiolesca. Giacomo
Gagini, infatti, fu per alcuni anni discepolo del grande artista fiorentino.
In onore della Madonna si svolge ogni anno una sontuosa festa, che è tra le più sentite
nell'alta valle dell'Alcantara. Nel XVII e XVIII secolo essa si svolgeva il giorno successivo a
quella di San Giacomo, cioè il 26 luglio, mentre dal 1784 si celebra la seconda domenica
d'agosto. Nel 1809, in seguito ad una colata lavica che devastò parte del territorio comunale,
dopo un voto pubblico che prevedeva un digiuno annuale, nacque invece la cosiddetta festa
votiva, che si doveva celebrare la prima domenica dopo Pasqua, ma che a partire dal 1848,
non sappiamo per quali motivi, venne spostata alla prima domenica di maggio.
Tra le altre opere d'arte che la chiesa conserva sono da ricordare un Crocefisso ligneo
del XVIII secolo, una Santa Margherita Maria Alacoque del 1890 del pittore romano Pietro
Vanni, un San Marco Evangelista e una Pentecoste realizzate nel 1779 da Francesco
Gramignani. Pregevoli sono anche gli stucchi, dovuti a Giovanni Pannucci di Bronte che li
realizzò tra il 1886 e il 1889.
La Chiesa di Santa Maria
Percorrendo la via Santa Maria si scoprono subito alcuni dei quartieri più antichi e
caratteristici di Castiglione con le loro viuzze strette, ripide e spesso a gradini, con le case
piccole ed addossate l'una sull'altra, con qualche raro orto. Chi vi si avventura rimane
affascinato da questo squarcio di Medioevo rimasto quasi intatto. La struttura dell'abitato è
tipicamente normanna, anche se con molta probabilità già i greci bizantini vi si erano stabiliti,
e i nomi dei tre quartieri intersecati dalla via lo confermano: San Basilio, Pagana, Santa
Caterina. Il primo quartiere desume il nome da un'omonima chiesetta, di cui s'è persa ogni
traccia; quello della Pagana dal fatto che vi abitava la popolazione di lingua araba rimasta
dopo la conquista normanna; e infine quello di Santa Caterina dalla chiesetta di cui ancora
esistono abbondanti ruderi.
La Chiesa di Santa Maria, a tre navate, è stata edificata proprio addosso alle vecchie
mura della città. L'interno, migliorato ed abbellito dall'arciprete Giacomo Gioeni, venne
rifatto quasi completamente dall'arciprete Calì, che impiegò marmi tolti alla chiesa di
Sant'Antonio Abate. In essa pregevole è l'altare di Maria SS. del Rosario, proveniente dalla
chiesa di San Vincenzo.
La Chiesa di San Benedetto
Accanto alla chiesa di San Pietro sorge quella di San Benedetto, semplice nella sua
linearità, la cui facciata è ornata dalle statue di San Benedetto e di Santa Scolastica.
All'interno si può ammirare una splendida Madonna col Bambino, tela del pittore acese Vito
d'Anna, sicuramente una delle opere più pregevoli che Castiglione possegga.
Nelle adiacenze della chiesa intorno al 1400 era stato fondato un monastero da una pia
donna, chiamata Linuccia, sotto il titolo di Santa Maria del Riposo. Ma dopo circa due secoli
le monache vennero trasferite a Messina e l'edificio andò in rovina. L'attuale costruzione,
adibita ad opera pia, un tempo fiorente orfanotrofio, è dovuta al sacerdote Giuseppe Coniglio
e venne completata nel 1747. Dopo la soppressione delle corporazioni religiose l'edificio
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divenne di proprietà comunale e alla fine dell'Ottocento fu affidato alle suore di Sant'Anna,
che molto hanno dato sotto l'aspetto sociale e religioso a Castiglione e che purtroppo da
qualche anno sono state chiamate in altre sedi.
Altre chiese
Accanto all'Orfanotrofio un tempo sorgeva il convento degli Agostiniani, fondato nel
1610. Soppresso nel 1866, come tanti altri ordini monastici, il Municipio vi insediò gli uffici
del Comune. In seguito al terremoto del 1908 gli amministratori comunali credettero
opportuno chiudere al culto anche la chiesa annessa, dedicata alla Madonna Annunziata e
successivamente, nel 1935, al suo posto sorsero le scuole elementari.
La Chiesa della Madonna del Carmine, secondo alcuni, ha origini bizantine e si dice
che un tempo fosse la matrice del paese. Dedicata prima a San Martino, col sorgere del
convento dei Carmelitani nel 1659 essa venne totalmente rifatta e consacrata alla Madonna
del Carmelo. Il convento fiorì fino alla soppressione degli ordini religiosi nel 1866 e il
fabbricato, in seguito al terremoto del 1908, venne abbandonato perché minacciava rovina. La
chiesa, oggi completamente restaurata, conserva ancora pregevoli pitture attribuite a scuole
diverse. Fra queste spiccano gli affreschi della volta, con figure allegoriche del vecchio
testamento.
La Chiesa di San Giuseppe, che sovrasta la piazza San Martino, è oggi un'ampia sala
di ritrovo. Nel 1711 il sacerdote Giuseppe Badolato vi fece annettere un oratorio intitolato a
San Filippo Neri con l'obbligo di mantenere le scuole di grammatica, filosofia e teologia. Ma
con la sua morte tutto andò in frantumi. Nel 1840 vi si insediò la confraternita di San
Giuseppe che, disciolta nel 1843, si ricostituì nel 1850. Nella cripta, adibita fino al XIX secolo
al trattamento dei cadaveri per la successiva sepoltura, si trovano alcuni pregevoli affreschi,
fra cui d'un certo rilievo è il trapasso di San Giuseppe.
Numerose altre chiese si trovano nel circuito suburbano, tra cui quella in stile
neoromanico della Madonna di Lourdes che, inaugurata il 6 febbraio 1904, dall'alto domina
l'intero paese, offrendo un suggestivo panorama; quella della Madonna della Luce da tempo
abbandonata e infine quella di Santa Barbara, ormai chiusa al culto.
La Chiesa di San Nicola
La Chiesa di San Nicola invece è una delle più antiche e suggestive di Castiglione.
Essa s'innalza proprio sulle sponde del fiume Alcantara, accanto all'antica strada regia che
collegava Messina a Palermo attraverso l'interno dell'isola. La chiesa, che fu cappella del
monastero dei monaci cassinesi, presenta dal punto di vista architettonico un grazioso rosone,
un portale principale a sesto acuto, alcune finestre monofore e una porta cinquecentesca nel
lato nord. Essa venne costruita probabilmente intorno al 1338 come si legge in una iscrizione,
riportata dallo storico siciliano Rocco Pirro, che dice: «Il monumento è stato posto in opera
nell'anno 1338 da Mastro Isidoro con la grazia di Dio».
All'interno nell'abside sono stati scoperti di recente degli affreschi bizantineggianti
d'un certo rilievo: un Cristo Pantocratore con i dodici apostoli, alcuni angeli e nella parete
frontale quattro figure: due vescovi e due diaconi. I vescovi, i cui volti non sono ben
identificabili, potrebbero essere San Nicola, cui era dedicata la chiesa, e San Martino, cui i
castiglionesi erano molto devoti. Alla fine del XV secolo tali affreschi vennero coperti con la
calce, mentre le pareti laterali furono dipinte con figure geometriche a tempera e con
personaggi raffiguranti San Nicola, posto entro una nicchia e molto simile nell'iconografia al
San Nicola del Gagini di Randazzo, una Madonna col Bambino e degli angeli.
La Cuba bizantina
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Una particolare attenzione richiede la Chiesa di Santa Domenica, detta comunemente
Cuba, la cui struttura è a pianta quadrata e divisa da quattro pilastri in tre navate. La copertura
è fatta con tre sistemi diversi. L'abside ha una volta a conca, le due navate laterali una volta a
botte, quella centrale invece ha una cupola a superficie sferica con nascimenti angolari a
mensola. Tracce di intonaco e di pittura lasciano intendere che l'interno doveva essere in parte
affrescato. La caratteristica facciata dà l'impressione di una cappella basiliana e, come quella
di San Nicola, ha l'abside rivolta verso oriente e la porta centrale verso occidente. La
particolare costruzione della cupola a conci autoportanti di pomice squadrata, la caratteristica
pianta basilicale, le finestre monofore, bifore e trifore, il discreto stato di conservazione,
benché non ci sia stato intervento della pubblica amministrazione ricadendo il monumento in
proprietà privata, ha spinto parecchi studiosi a farne oggetto dei loro studi. Primo tra tutti il
Freshfield, poi il Sardo, il Bottari, il Lojacono e non ultimo il Pace nel 1938.
Riguardo alla datazione il Pace, confrontandola con la chiesa di San Salvatore di
Rametta, vede nella Cuba di Castiglione un momento stilistico posteriore, datandola in un
periodo che va dalla fine dell'VIII all'inizio del X secolo. "La sua maggiore adesione a forme
propriamente bizantine - scrive - va forse ricondotta all'afflusso di monaci dall'oriente che è
registrato in questo periodo. In ogni caso l'assenza di qualsiasi elemento arabo-normanno
conferma la sua sicura appartenenza al periodo bizantino prearabo, il quale del resto in questa
parte siciliana verso Messina, si prolungò per mezzo secolo rispetto a Siracusa, occupando
anche i primi anni del sec. X quando solamente, con la presa di Rametta, vi fu esteso il
dominio musulmano".
Una recente ipotesi invece, basata su osservazioni stilistiche, strutturali e
architettoniche, quali per esempio la presenza di nascimenti angolari a mensola e la direzione
dell'abside verso est, oltre alla divisione in tre navate che dà l'impressione di una croce latina,
propugna l'idea che il monumento sia stato costruito nella primissima epoca normanna, subito
dopo quindi la cacciata degli arabi dalla Sicilia.
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Itinerario turistico urbano
TEMPI DI PERCORRENZA: due ore, a piedi.
DISLIVELLO: 70 metri.
DIFFICOLTÀ: nessuna.
PERIODO CONSIGLIATO: tutto l'anno.
Per il centro storico di Castiglione è consigliato un itinerario turistico che può farsi
benissimo in ogni periodo dell’anno e permette di visitare tutte le sue bellezze artistiche e
monumentali. Si può giungere con la macchina direttamente in piazza Lauria, ma si consiglia
lasciarla nella piazza XI febbraio, dove esiste un ampio parcheggio, d’obbligo per i turisti che
giungono con il pullman.
Dopo aver guardato da una panoramica balconata la vallata sottostante, dove si adagia
il paese di Francavilla di Sicilia, si percorre un tratto della via Umberto. All’incrocio si
consiglia di imboccare la via Federico, sulla destra, lastricata con basalti lavici. Subito dopo
alcuni metri ci si imbatte in una scalinata costruita nel 1935, come indica il numero XIII della
datazione del Ventennio. Ci si trova di fronte alle scuole elementari, che appunto intorno alla
metà del secolo scorso sono state costruite al posto dell’antico convento degli Agostiniani,
rovinato irrimediabilmente dal terremoto di Messina del 1908.
Dopo aver percorso la leggera salita di via Abbate Coniglio, lungo la quale si
costeggia l’ex Orfanotrofio Regina Margherita, si giunge in un piccolo slargo da dove è
possibile ammirare il bellissimo campanile della Chiesa Madre, dedicata ai Santi Apostoli
Pietro e Paolo, e la chiesa di San Benedetto. Si sale sulla sinistra un’antica scalinata. Visitata
la Chiesa Madre, si segue per un breve tratto la via IV novembre. A destra ci si immette
subito nella piazzetta S. Antonio Abbate, sulla quale danno alcuni dei palazzi più antichi di
Castiglione. Visitata la chiesa con i suoi marmi intarsiati e le sue tele, si prende la via Savoia
e ci si immette nella via Federico. Dopo essere scesi per un breve tratto si incontra la chiesa di
San Marco.
Si percorre quindi la via San Marco, poi la via Madonna della Catena e, dopo aver
imboccato una strada stretta e a gradini che sembra far immergere il visitatore nel Medioevo,
si giunge nei pressi della Basilica della Madonna della Catena. In alto si possono ammirare i
ruderi del Castello Piccolo, mentre in basso si presenta agli occhi del visitatore un
meraviglioso panorama: la parte inferiore della valle dell’Alcantara con Francavilla e Motta
Camastra.
Percorrendo la via Pantano si può notare in basso lo snodarsi del fiume Alcantara sulla
destra, mentre sulla sinistra si innalza da una parte la Basilica della Madonna della Catena e
dall’altra il Castello che sorge proprio su caratteristiche rocce arenarie. Sempre ammirando il
panorama sottostante è possibile osservare la torre circolare, detta Cannizzu, la chiesa di San
Vincenzo e i quartieri di Santa Maria e della Pagana.
Dopo aver visitato il Castello, si giunge di fronte alla Basilica della Madonna della
Catena con la sua facciata baroccheggiante. All’interno, la bellissima statua della Madonna in
marmo bianco del XVI secolo, opera di scuola gaginesca.
Percorsa tutta la via Pantano si giunge in piazza Lauria, dove ha sede il Municipio, una
costruzione secentesca rimaneggiata più volte sino agli inizi del secolo scorso.
Si imbocca allora la via Regina Margherita, a basalti lavici, lungo la quale si incontra
qualche bel palazzo settecentesco o ottocentesco, come quello dei Carciopolo o degli Imbesi.
Nei pressi di quest’ultimo si trova anche la chiesa Santa Maria. Dopo essersi rimessi sulla via
principale, lungo la quale si trova una mostra di vini siciliani e alcuni negozi di souvenir, si
giunge nuovamente in piazza XI febbraio.
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Beni ambientali e naturali
La Parco dell’Alcantara
Di Castiglione non si possono sicuramente lasciare sotto silenzio le bellezze
ambientali del territorio, in particolare la Parco Fluviale dell'Alcantara e il Parco dell'Etna,
che in un certo senso integrano i beni architettonici.
La Parco dell’Alcantara è stata istituita con decreto del 10 aprile 1991, nell’ambito
dell’approvazione del piano regionale di parchi e riserve naturali. La Riserva interessa diversi
comuni, Randazzo, Roccella Valdemone, Moio Alcantara, Malvagna, Francavilla di Sicilia,
Castiglione di Sicilia, Motta camastra, Graniti, Gaggi, Calatabiano, Taormina, Giardini
Naxos, e prevede due zone: A e B. La zona A comprende praticamente il letto del fiume e le
sue sponde, mentre la zona B va da una estensione minima di 100 metri ad un massimo di 600
metri. Di questa zona, oltre il 70% ricade nel comune di Castiglione di Sicilia.
Il Parco è attraversata dal fiume Alcantara, uno dei più importanti della Sicilia. Esso è
lungo 52 chilometri, nasce dal monte Feliciano nei pressi di Floresta a 1250 metri sul livello
del mare e fa per buona parte da limite tra la provincia di Catania e quella di Messina. Le sue
acque abbondanti, specialmente nel corso inferiore, rendono fertile ed ubertosa la valle ed
alimentano nei pressi di Gravà e Mitogio due centrali idroelettriche, sorte all'inizio di questo
secolo e ammodernate nell'ultimo decennio.
Il fiume ha assunto nei vari secoli diversi nomi. I greci lo chiamavano Akesine o
Assinos, come scrivevano nelle loro monete i naxioti, e forse anche Akis, collegando ad esso
il mito di Aci e Galatea. I romani lo chiamavano Asines o Asinius. Il nome Alcantara invece
risale agli arabi, i quali, conquistando la Sicilia tra il IX e il X secolo, si imbatterono, lungo la
via consolare che da Messina portava a Siracusa, in un ponte di eccezionale robustezza e
resistenza, costruito dai romani in pietra lavica nei pressi di Calatabiano. I nuovi conquistatori
chiamarono il fiume al-Quantarah, cioè il Ponte.
Il suo letto è costituito da un substrato roccioso di natura lavica basaltica di epoca
preistorica. Da tempo si è ritenuto che tale lava provenisse dal vulcanetto di Moio Alcantara,
ma recenti studi, compiuti da ricercatori dell'Università di Catania e di Palermo, hanno
dimostrato che essa invece sarebbe derivata da eruzioni avvenute sulle pendici settentrionali
dell'Etna, nella zona di Montedolce in territorio di Castiglione, tesi questa già sostenuta da
Antonio Filoteo degli Omodei intorno alla metà del XVI secolo nella sua Descrizione della
Sicilia. La colata lavica raggiunse la costa ionica e, raffreddandosi rapidamente, produsse
forme particolari di rocce chiamate colonnari basaltici di sezione poligonale con interposte
fessurazioni. Nei millenni successivi l'azione erosiva dell'acqua portò alla formazione di vere
e proprie voragini in cui i colonnari basaltici vennero messi a nudo. Si spiegherebbe così la
genesi delle gole della contrada Giardinelli, di Mitogio e di Ficarazzi, meglio note queste
ultime come Gole dell'Alcantara.
La profonda voragine, larga mediamente 5 metri, alta circa 50 e lunga quasi mezzo
chilometro, può essere davvero considerata una delle più spettacolari opere della natura.
Avventurarsi nei suoi meandri suscita infinite emozioni, causate soprattutto dallo stupendo
gioco di acqua e di luce, oltre che dalle ripide pareti di nere rocce laviche, che a volte
sembrano pendere da invisibili fili sospesi nel vuoto.
La Riserva dell'Alcantara offre anche una vegetazione unica, con i suoi oleandri fioriti
per sei mesi all'anno, con i salici che crescono spontanei lungo le sponde del fiume, con i
platani che ombreggiano le sue rive, con le querce che si ramificano nel cielo. Non mancano
piante erbacee e fiori spontanei: orchidee, asfodeli, verbaschi, euforbie, valeriane, zafferani,
ciclamini, anemoni, lupini, cecerchie, rosolacci. Anche le ginestre, che si insediano sulla viva
sciara, con i loro fragili fiori coprono decine di ettari di terreno. Tali condizioni favoriscono il
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moltiplicarsi della fauna. Non è raro incontrare infatti istrici, volpi, ghiri, ricci, conigli, faine,
taccole, gufi, ghiandaie, gazze, cardellini, upupe e allocchi.
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Il Parco dell’Etna
L’Etna è un vulcano sulle falde del quale l’uomo da migliaia di anni convive con il
fuoco. In questa splendida meraviglia della natura colate di lava coesistono con zone
verdeggianti adibite a pascolo. Boschi secolari di querce, pini, faggi e betulle proteggono
pometi e vigneti posti sui fianchi della montagna. Il Parco dell’Etna ha la funzione di
conservare e proteggere questo autentico spettacolo della natura. I comuni, il cui territorio
ricade nell’area del Parco, sono: Adrano, Belpasso, Biancavilla, Bronte, Castiglione di Sicilia,
Giarre, Linguaglossa, Maletto, Mascali, Milo, Nicolosi, Pedara, Piedimonte Etneo, Randazzo,
Ragalna, Sant’Alfio, Santa Maria di Licodia, Trecastagni, Viagrande e Zafferana.
L’Etna non è solo il vulcano più attivo d’Europa, ma una montagna dove sono presenti
colate laviche recenti, su cui ancora non si è insediata alcuna forma di vita, e colate laviche
antichissime, su cui sono presenti boschi di pino laricio, faggio e betulla. Il Vulcano ha una
perimetro di base di circa 250 km ed una superficie di 1260 kmq. La sua altezza, in
corrispondenza dei crateri sommitali, raggiunge la quota di 3350 metri, ma tale altezza varia
nel tempo, in quanto la sua attività spesso determina crolli e accrescimenti.
Se facciamo una passeggiata in auto lungo le sue falde vediamo un paesaggio rurale
unico, di cui caratteristiche sono le case costruite con pietra lavica a secco, con i tetti ricoperti
dai cosiddetti coppi. Così furono costruiti in passato ricoveri e case di campagna, palmenti e
magazzini che arricchiscono e abbelliscono il paesaggio di mezza montagna.
Anticamente vivevano nell’area animali ormai scomparsi come cinghiali, daini,
caprioli e lupi. Le cause della loro scomparsa sono state l’apertura di nuove strade, il
diboscamento selvaggio e la caccia. Nonostante questo sull’Etna vivono ancora istrici, volpi,
gatti selvatici, martore, conigli, lepri e altri animali più piccoli come il ghiro e il riccio.
Moltissimi sono gli uccelli e in particolare i rapaci, tra i quali troviamo lo sparviero, il falco
pellegrino, l’aquila reale tra i diurni, tra i notturni invece il barbagianni, l’assiolo, il gufo
comune. Tra le diverse specie di serpenti, l’unica pericolosa è la vipera, la cui presenza negli
ultimi anni è aumentata per la distruzione dei suoi predatori.
Il Parco dell’Etna è stato il primo ad essere istituito in Sicilia nel marzo 1981. Nel
Parco, quasi giardino del Mediterraneo, molte specie arboree crescono tra le nude rocce e gli
animali selvatici vivono la loro perenne libertà. Noti sono gli estesi boschi di pini, di faggi, di
castagni, di betulle, di querce e di pioppi. Tra le piante endemiche sono da ricordare la
ginestra dell'Etna (Genista aetnensis), la calicotome infesta, il citiso (Cytisus villosus Pourret),
la saponaria sicula e, ad altezze considerevoli, lo spino santo (Astragalus siculus). Note sono
anche diverse specie di funghi commestibili. In particolare si ricordano il porcino nero
(Boletus aereus), il fungo di ferula (Pleurotus eryngii var. ferulae), i chiodini (Armillaria
mellea), la mazza di tamburo (Lepiota procera), i gallinacci (Cantharellus cibarius), i prataioli
(Psalliota campestris ed arvensis), varietà diverse di clitocibe (Clitocybe cinerascens e
geotropa).
L’Etna ha sempre attirato molti viaggiatori, alcuni dei quali hanno lasciato anche delle
testimonianze scritte. Tra i più noti ricordiamo Empedocle, che dice la tradizione si sia gettato
dentro il cratere, e poi l’imperatore romano Adriano che è salito sul cratere centrale. Anche
Pietro Bembo, uno scrittore del XVI secolo, ha visitato l’Etna, ma le sue informazioni sono
molto limitate. Descrizioni dettagliate e cronache accurate, oltre a una grande quantità di
toponimi, ci vengono invece lasciate da due viaggiatori del ‘500: Tommaso Fazello e Antonio
Filoteo degli Omodei. Filoteo, nato a Castiglione di Sicilia, ci racconta anche delle attività
lavorative legate alla montagna e descrive l’esplorazione di una grotta, quella di Monte Dolce.
Con lui si può dire che è nata la speleologia dell’Etna, perché primo si avventura anche in
numerose altre grotte.
Nella seconda metà del ‘700 i viaggiatori aumentano e soprattutto riproducono su
cartoncino numerosi scorci del Vulcano. Il più noto rimane Jean Hovel, molto ricercato nelle
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sue efficaci riproduzioni. Col passare del tempo si fanno sempre più numerose le persone che
vogliono visitare l’Etna, perciò si rende necessario un nuovo mestiere: la guida alpina. A
partire dalla seconda metà dell’Ottocento l’Etna diventa una meta turistica consueta. A
Nicolosi a partire dal 1875 il servizio delle guide viene organizzato dalla sezione catanese del
Club Alpino Italiano (CAI). Ha così inizio l’era contemporanea delle escursioni guidate
sull’Etna.
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Il campo da golf
Uno scenario perfettamente integrato con l'ambiente, ma frutto del lavoro umano, è il
Campo da Golf, sorto negli ultimi anni nella zona D del parco dell'Etna, nei pressi di
Rovittello, una delle sei frazioni di Castiglione. I fratelli Leonardi di Acireale, insieme ad
alcuni amici, hanno trasformato un infruttuoso terreno in un complesso variegato di colline
coperte da prati frammezzati da chiazze di bosco (querce, bagolari, noccioli). E' l'unico in
Sicilia a 18 buche e ciò gli permette di presentarsi con le carte in regola nei salotti buoni del
golf italiano ed europeo.
Per arrivarci, da Catania o da Messina, bisogna prendere l’autostrada A18, uscire a
Fiumefreddo e proseguire lungo la S.S. 120 in direzione Randazzo. Dopo aver attraversato
Linguaglossa, a circa 800 metri oltre il bivio per Castiglione, sulla sinistra si incontrano due
grandi pini, tra i quali vi è un cancello: è l’ingresso del Picciolo Golf Club.
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Le grotte
L'Etna, chiamato anche Mongibello, è il vulcano attivo più alto d'Europa ed ha
stimolato da sempre la fantasia popolare, ispirando poeti e scrittori di tutti i tempi. Sulle sue
pendici, accanto a colate laviche preistoriche ricche di vegetazione, sono presenti colate
recenti sulle quali non si è ancora insediata alcuna forma di vita. La lava spesso ha
scompaginato l'assetto morfologico del territorio, seppellendo per sempre fertili terreni e
alterando il flusso di corsi e sorgenti di acqua. Al fenomeno vulcanico è legata pure la
formazione di numerose grotte, molte delle quali ricadono nel comprensorio di Castiglione.
Utilizzate dall'uomo fin dalla preistoria, come dimostrano i reperti dell'età del bronzo in
alcune di esse rinvenuti, prendono origine da un meccanismo peculiare. Mentre le grotte
carsiche, infatti, si formano per l'azione sulle rocce carbonatiche delle acque meteoriche che
scorrono nel sottosuolo, quelle vulcaniche si costituiscono durante l'eruzione della lava
attraverso lo svuotamento della colata per le diverse caratteristiche reologiche tra interno ed
esterno.
Alcune grotte vanno semplicemente menzionate: grotta Anemmi, Acquaria, dei
Ladroni, Bue, Ilicio. Altre meritano invece una descrizione più dettagliata. La Grotta di
Montedolce, situata a circa 800 metri sul livello del mare e descritta per la prima volta dallo
storico castiglionese Antonio Filoteo degli Omodei nella sua opera Aetnae topographia, è
ubicata a circa 200 metri a sud-est del Montedolce, a pochi metri dal ciglio della strada di
penetrazione agricola ivi esistente. La grotta si presenta al visitatore con un'ampia e profonda
volta che va a digradare fino a trasformarsi in uno stretto cunicolo lungo circa cinque metri,
oltre il quale si accede in una grande cavità alta mediamente otto metri, larga altrettanto e
profonda circa 75 metri. Scrive il Filoteo: «Alla fine vinti dal freddo e dal gelo pungente,
sebbene fossimo quasi al solstizio d'estate, ma anche da terribile paura, senza aver trovato il
termine della caverna, aggomitolando di nuovo la fune, ripercorremmo il cammino fatto e
tornammo alla luce, a rivedere il volto del sole, senza aver portato a termine l'impresa».
Certamente più per la paura dell'ignoto che per il freddo e il gelo!
A quota più alta, a circa 1575 metri sul mare, in contrada Germanera si trova la Grotta
delle Palombe, descritta dal Filoteo ed esplorata scientificamente verso la metà del secolo
scorso dal Gemmellaro e da Sartorius von Walterhausen. Secondo recenti ricerche
speleologiche non si tratterebbe di una grotta a scorrimento lavico, bensì di una «cavità da
frattura», cioè di una cavità che si forma alla fine di una eruzione per svuotamento della
frattura interposta tra bocca eruttiva e condotto principale di risalita del magma. Si trova nei
dintorni di una casermetta della forestale, è percorribile per circa cento metri e prende il nome
delle Palombe perché in essa trovano rifugio le colombe selvatiche.
Ad una quota di poco superiore si trova la Grotta delle Femmine, percorribile per circa
80 metri, all'interno della quale sono stati trovati reperti archeologici riconducibili allo stile
ceramico di Castelluccio di Noto dell'antica età del bronzo (prima metà del secondo millennio
a. C.).
A circa 1770 metri sul livello del mare, in una zona chiamata Passo dei Dammusi
caratteristica per la presenza delle cosiddette lave a corda e a lastroni, si trova la Grotta dei
Lamponi, profonda circa 700 metri. E' caratterizzata dalla presenza delle cosiddette stalattiti
da rifusione che derivano dalla fluidificazione della lava della volta a seguito di una reazione
tra gas liberati dal magma e ossigeno proveniente dall'esterno attraverso fenditure. La grotta è
raggiungibile percorrendo la strada sterrata che dalla caserma Pitarrona porta verso Randazzo.
Trovandosi a così alta quota non si può fare a meno di salire a circa 2000 metri in
contrada Sciara del Follone, ricadente nel comune di Randazzo e raggiungibile dal Passo dei
Dammusi attraverso un percorso naturalistico di eccezionale rilievo, per visitare la Grotta del
Gelo lunga circa cento metri, perennemente occupata da depositi di ghiaccio che producono
particolari effetti ottici per via della rifrazione della luce.
21
Le colate laviche
Molte sono state le colate laviche avvenute nel corso della storia nel territorio
castiglionese. Di quelle preistoriche possiamo solo costatarne l’esistenza, ma poche
testimonianze scritte abbiamo di quelle di epoca greca, romana e alto medievale.
Una prima data certa ce l’abbiamo per il 1285, quando una imponente eruzione
provocò gravi danni al territorio, così come riferisce uno storico del ‘700, Giuseppe Luigi
Sardo. Essa nel suo percorso incontrò la chiesetta di Santo Stefano, che circondò
miracolosamente senza devastarla.
Del 1566 è invece una colata che partì, secondo il Gemmellaro, dal bosco di
Castiglione delle Concazze, giungendo alle basse falde del vulcano. Ancora dello stesso
secolo nota è quella detta delle Sciarelle, di cui è visibile il cono che vi ha dato origine.
Questa eruzione ha fatto nascere il modo di dire popolare: Misiricordia dissinu l’ariddi
quannu focu ittanu li Sciareddi.
Nel 1603 avvenne la colata di monte Alastruso, che devastò tutte le campagne
sottostanti, mentre nel 1643 si verificò un’altra colata lavica dal monte delle Concazze nel
bosco di Castiglione.
Nel 1646 da Montenero si aprì una voragine e la lava scorse fino alla strada che
collegava Linguaglossa a Randazzo.
Secondo il Manoscritto Sardo nel 1735 si verificò un’imponente eruzione, forse dal
cratere sommitale. Grande pioggia di lapilli e sabbia infatti cadde sulla città di Castiglione
dalle ore 22 per tutta la notte successiva, tanto che lo strato di cenere raggiunse l’altezza di
ben 4 centimetri.
Nel 1809 un grande torrente di fuoco dal Monte Santa Maria si diresse verso la piana
cosiddetta di Cerro. La colata raggiunse la contrada Pìcciolo, proprio ai confini tra il territorio
di Linguaglossa e Castiglione.
Nel 1879 tra le contrade Timpa Rossa e Montenero si ebbe un’altra imponente
eruzione che, attraversando le contrade Collebasso e Passochianche, giunse a Passopisciaro,
devastando una grandissima quantità di vigneti. La lava durò 11 giorni, dal 26 maggio al 6
giugno.
Tredici giorni invece durò quella di Solicchiata nel 1911, che devastò una grande
quantità di vigneti. La lava era scaturita ad un’altezza di 2250 sul livello del mare e raggiunse
nella quota più bassa i 550 metri.
Del 1923 invece è la colata di Cerro che si sovrappose in buona parte a quella del
secolo precedente che era scaturita dalla contrada Cirmanera nel 1809. Creatasi la spaccatura
a 2500 metri raggiunse i 600 metri s.l.m, distruggendo completamente la frazione di
Castiglione denominata Catena.
Del 1943 è invece una colata lavica scaturita dal Montenero, ed è l’ultima in ordine di
tempo nel territorio castiglionese, ma che in buona parte si era sovrapposta a colate
precedenti.
Percorsi naturalistici
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Suggeriamo, per chi vuole conoscere gli angoli più suggestivi del fiume Alcantara e
nel contempo visitare alcuni monumenti e beni storico-artistici del territorio, i seguenti
itinerari:
DA GRAVÀ ALLE GOLE DELL'ALCANTARA IN CONTRADA FICARAZZI
TEMPI DI PERCORRENZA: dieci minuti con l'auto, tre quarti d'ora a piedi.
DISLIVELLO: in pianura.
DIFFICOLTÀ: nessuna.
PERIODO CONSIGLIATO: tutto l'anno.
Il nucleo abitato di Gravà si raggiunge abbandonando la Statale 185 nei pressi
di Francavilla e immettendosi sulla Provinciale 220. Raggiunto il centro abitato si gira a
sinistra in via Volta Pafumi, che di fatto corrisponde alla Provinciale 81. Dopo circa un
chilometro la strada si restringe, non è più asfaltata, bensì sterrata. La si percorre per circa un
chilometro e mezzo fino a che, superato il nucleo abitato di Ficarazzi - poche case ai margini
della strada -, si arriva in un ampio piazzale di proprietà privata, situato a sinistra e contornato
da alberi di quercia dove si può parcheggiare. Da lì si ode già il mormorio delle turbolente
acque e si diparte un viottolo scosceso, delimitato da ringhiere metalliche, che porta verso il
fiume. Dopo pochi metri si possono ammirare dall'alto il profondo baratro delle gole e i
caratteristici colonnari basaltici: uno scenario veramente suggestivo ed emozionante!
Sul versante opposto, in contrada Larderia, esiste una struttura ricettiva che di
fatto ha permesso da anni la fruizione di questo bene ambientale.
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DALLA CHIESA DI SAN NICOLA ALLA CUBA BIZANTINA
TEMPI DI PERCORRENZA: dieci minuti con l'auto, un'ora a piedi.
DISLIVELLO: cento metri circa.
DIFFICOLTÀ: molto consistenti lungo il corso del fiume, nessuna seguendo il percorso in
macchina.
PERIODO CONSIGLIATO: tutto l'anno.
Dopo aver visitato la chiesa di San Nicola con i suoi affrechi bizantineggianti,
accostandosi alla riva del vicino Alcantara, si può ammirare il massiccio ponte in pietra lavica
squadrata, a sesto acuto, di epoca normanno-sveva, con le fondamenta incastonate sulle solide
rocce basaltiche che delimitano il letto del fiume. Il ponte faceva parte integrante della
cosiddetta trazzera regia che da Messina portava a Palermo attraverso l'interno dell'isola. Da
qui si può risalire a piedi l'Alcantara sulla sponda destra e dopo circa un chilometro di
percorso, più o meno agevole, tra cespugli, arbusti, alberi e grosse pietre levigate dall'acqua,
ai margini dei terreni coltivati, si intravedono le inconfondibili gole in contrada Giardinelli,
chiamate anche Piccole Gole. Da qui, imboccando una stradina asfaltata in direzione sud, si
arriva dopo poche centinaia di metri alla Cuba bizantina di Santa Domenica.
Chi non è in condizione di seguire questo percorso naturalistico a piedi, può
risalire verso Castiglione fino al bivio Galluzzo, immettersi sulla Provinciale 7/II e imboccare
la seconda strada di penetrazione agricola che si incontra dopo alcune centinaia di metri sulla
destra, recentemente ristrutturata con fondo stradale e muri laterali in pietra lavica per rendere
più agevole la visita della Cuba e delle Piccole Gole. E' presente in loco adeguata segnaletica
turistica.
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DA GRAVÀ O DA CASTIGLIONE PER MONTE MIRAMARE
TEMPI DI PERCORRENZA: due o tre ore circa.
DISLIVELLO: da 219 metri presso il torrente Medda a 826 metri del Monte Salice
DIFFICOLTÀ: limitate partendo da Castiglione, più consistenti da Gravà.
PERIODO CONSIGLIATO: autunno e primavera.
Per andare al Monte Miramare si possono seguire due itinerari:
1) Da Castiglione si imbocca la via Rosario Cimino per giungere alla vecchia ferrovia
FCE e seguirne il tracciato. Dopo qualche chilometro, ci si immette sulla sinistra in una strada
sterrata tra noccioleti e vigneti finché non ci si imbatte in una nicchia con l'immagine della
Madonna. Da quel momento in poi ci si trova sulla cresta della collina da dove si può
proseguire ammirando da una parte il mare e la bassa valle dell'Alcantara, dall'altra l'alta valle
costellata dai suoi numerosi paesi.
2) Da Gravà è possibile andare al monte Miramare fermandosi con la macchina appena
si incontra il torrente Medda. Da quel punto, lungo una strada sterrata si costeggia per qualche
chilometro il torrente. Dopo aver attraversato ripidi pendii tra ampelodesmi e querce, si
giunge ad un pianoro, dove sono ancora leggibili alcuni ruderi. Si tratta del Monastero
dell'Alto Milio, fondato nel 1610 dagli Agostiniani. Ci si imbatte quindi in una seconda strada
sterrata. Si può proseguire verso est e immettersi tra una vegetazione spontanea ed unica. Di
tanto in tanto appaiono vecchi casolari, case coloniche o semplici rifugi di contadini. Tutto il
territorio si trova nella Riserva dell'Alcantara. Continuando la strada si arriva al monte Vutturi
e poi al monte Miramare. Si può proseguire quindi per Linguaglossa, passando per monte
Salice, o ritornare sui propri passi.
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Uomini di cultura
Sotto l'aspetto culturale Castiglione ha sempre mostrato molta vivacità. Numerosi sono
stati gli studiosi, gli scrittori, gli storici che hanno lasciato ampia e documentata testimonianza
di sé
A partire dal XVI secolo spiccano due figure originali e di un certo rilievo della
cultura siciliana. Innanzitutto lo storico Antonio Filoteo degli Omodei, autore di una
Descrizione della Sicilia, scritta in un italiano accademico e avvincente nella lettura, cosa rara
per uno scrittore del Cinquecento, quando i libri di storia di solito venivano scritti in un
italiano misto a dialetto o in latino. L’opera non ha nulla da invidiare al coevo De Rebus
Siculis di Tommaso Fazello. Il Filoteo è autore anche dell'Aetnae Topographia, una
meravigliosa descrizione dell’Etna pubblicata nel 1591, e di una Compilazione dei Decreti del
Concilio di Trento.
Un suo consanguineo, forse fratello, forse cugino, era invece Giulio Filoteo di
Amadeo, autore di un prolisso romanzo in quattro volumi dal titolo La notabile et famosa
historia del felice innamoramento del Delfino di Francia et di Angelina Loria. Il romanzo
racconta la ben nota leggenda di Angelina.
Nel Seicento spicca tra i letterati il sacerdote Michele Felsina, che scrisse numerosi
epigrammi in onore del re Carlo II e del papa Innocenzo XI. Nel secolo successivo brillò
invece il giurista Giuseppe Luigi Sardo, che compose una pregevole monografia su
Castiglione e sui suoi usi e diritti civici.
Nell'Ottocento un grande impulso diede alla cultura l'arciprete Giovan Battista Calì
Sardo, il quale fondò la Biblioteca Villadicanense e sistemò l'archivio ecclesiastico, mentre
Emanuele Lamonica scrisse le Memorie sull'origine di Castiglione e Francavilla.
Di questo secolo invece è doveroso ricordare Salvatore Raccuglia, coautore di una
monografia su Castiglione insieme a F. Cimino, Vincenzo Sardo, autore di un volume di
storia cittadina dal titolo Castiglione città demaniale e città feudale, il criminologo Alfredo
Niceforo che scrisse un testo di Criminologia in cinque volumi pubblicati tra il 1941 e il 1953,
l'architetto Vitaliano Poselli che molte opere architettoniche (ponti, edifici pubblici e privati)
progettò, oltre che in Italia, tra la Grecia e la Turchia, lo storico Cesco Giannetto, autore di
una storia locale, e infine Francesco Spadaro autore di un romanzo semistorico, ambientato
durante la guerra civile spagnola, frutto di una sua esperienza diretta. Era stato, infatti, in
Spagna in quel periodo come cappellano militare.
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Proverbi e poesie popolari
Poesia anonima su Castiglione
O Castigghiuni, paiseddu miu
Supra sta muntagnedda situatu,
Vaddannuti ‘i luntanu mi ricriu
O paiseddu, paiseddu miu.
Lu to passatu storicu è un turmentu
Ni parra lu casteddu di Lauria
E lu Cannizzu dda misu a lu ventu
Tuttu parra di tia, sulu di tia.
Li furisteri chiddi allittirati
Mentri l’Etna fuma e jetta focu
Cca leggiunu nta sti petri appinzirati
E la sciumara ca scurri e chiacchiaria
Vaddunu a tia, o Castigghiuni caru,
cuntenti ritornunu a to via.
Serenate
Mi patti e mi pattiu di luntanu
Nto n’ura ava fattu stu caminu
Ora sugnu rivatu nta stu chianu
Canzuni ti ni cuntu di cuntinu.
Non ti cridiri ca sugnu cocchi stranu,
sugnu l’amanti toi cca vicinu
ca mi chiamu… (si dice il nome)
Io di sta strata non ci aiu passatu
E a vostra figghia non vi la sapeva.
Na sula vota la visti ffacciata
Tutti li cantuneri strauggeva.
Iò non vogghiu li vostri palazzi,
ma li biddizzi di… (si dice il nome della ragazza).
Canti popolari
Vadda ca vinni a sdilliggiari
Sta scoccia scecca e rupezza badduni
Ca fica non ci ni lassa a la ficara
Ca tutti ci li pigghia a muzzucuni
O si rifinuta comu na campana
Ca cu ti voli sunari ti sona.
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Quantu pampini avi sta’alivara
tanti biddizzi teni sta figghiola
sa mamma ca la teni tanta cara
idda mi parra intra e iò di fora.
Nna stu quatteri c’è na bona donna
Si mi dura a so figghia a chiamu mamma
S’annunca scialarata donna.
O parummedda ca passi lu mari
Spetta quantu ti dicu du paroli.
Ci aiu a scriviri na littra a lu me beni
E si pi sorti ci la voi puttari
Ci ‘a posi ‘n taulinu e ti nni veni.
Si evi bonu mi l’a salutari
Si non evi bonu mi lu veni a diri.
Parumma parummedda ti ddivai
‘nsemi lu parummeddu quali toi.
Quannu criscisti l’ali li tagghiai
Vidennu ca sbulari non putevi.
Alla matina quannu mi ffacciai
In aria ti visti cu l’aroi.
Parumma parummedda ti chiamai,
scinni cca ssutta si beni mi voi.
Non ci aiu scinnutu e non ci scinnu mai
Si non mi pigghi cu li mani toi.
Alterco
Lui
Mi lu mannasti un mazzettu di Francia.
Bedda, non li sapisti mmazzittari.
Chi ti manca lu filu a culuri
O lu modu di sapilli fari?
Lei
Non mi manca lu filu a culuri
E mancu u modu di sapilli fari.
La donna a stari un passu arreti
Ca lu cori di l’omu è tradituri.
L’amuri non si avi a tradimentu.
Cu cori stranu si rispetta tantu.
Ci voli cori a canusciri a genti
Massimamenti a l’ommini birbanti.
Preghiere popolari
Io mi cuccu na stu lettu
Cu Maria supra lu pettu.
Iò dommu e idda vigghia
Si c’è cosa mi risvigghia.
28
Alla testa lu Signuri,
a li pedi s. Micheli,
l’angili mi su santi,
i serafini mi sunu cuscini
e ora ca aiu st’amici fidili
mi fazzu a cruci e pozzu durmiri.
Sant’Antuninu quann’era malatu,
tutti li santi lu enu a vidiri,
cu ci purtava ‘mpumu o ranatu,
la Matri Santa du puma gentili,
e ci dicia: “Guverniti ciatu
ca mparadisu n’avemu a iri”.
Sant’Antuninu quann’era malatu
Fici votu di iri ‘nTurchia,
ma era tuttu cunfusu e spavintatu
comu l’aveva a fari tanta via.
S’avissi ‘ncavadduzzu bonu firratu
Cu l’anima e lu corpu ci vinia.
Sant’Antuninu mannatici sonnu,
mannaticcinni tri voti o jornu,
unu a la sira, unu a la matina,
e n’autru quannu suna manzijornu.
Viniti sonnu, viniti e non tardati,
dummisciti stu figghiu e vi nni iti
stu figghiuleddu non mangia muddica
e mancu acqua di funtana bivi.
Lu sonnu è fattu pi li picciriddi
Massimamenti pi li figghi beddi.
Proverbi
Penza la cosa prima ca la fai
Ca dopu pinzata è bella assai
Cu ti voli beni ti fa cianciri
Cu ti voli mali ti fa ridiri.
Lu sceccu ca si mangia la ficara
Lu viziu si lu leva quannu mori.
Cu cancia a vecchia ca nova
sapi chiddu ca lassa e non sapi chiddu ca trova.
Celu picurinu
O chiovi a sira o chiovi o matinu.
29
Pedi ca caminau
Bona lomina non ni puttau
O si rumpiu o si scavigghiau.
Cu avi a cumidità e non sa pigghia
Ttacculu a mangiatura e dacci pagghia.
Cu si marita sta cuntentu un gnornu
Cu mmazza un porcu sta cuntentu un annu.
Lu rispettu è misuratu
cu ni porta nn’avi purtatu.
U malu cumpagnuni
porta l’omu o sdurrupuni.
Cu di sceccu ti fa mulu i primi cauci su i soi.
Supra u bruciatu non ci po’ cchiù focu.
30
Miti, leggende e tradizioni
La leggenda di Angelina Loria
Osservando i muri, le rocce, le scalinate o le finestre del Castello di Castiglione,
benché lasciati in abbandono, ci sentiamo riportare con la nostra mente in un tempo lontano,
impercettibile, che possiamo solo fantasticare. E vediamo, quasi viva, passeggiare per le
ampie stanze la bella e innamorata Angelina.
Mentre abitava in questo castello Ruggero di Lauria, uomo ricco e liberale, - ci
racconta lo storico castiglionese Giulio Filoteo di Amadeo - vennero alcuni mercanti francesi,
uno dei quali si chiamava Giacchetto. Il barone gli fece grandissime accoglienze, come era
suo costume, e lo ospitò per alcuni giorni, durante i quali Giacchetto ebbe più volte
l'occasione di vedere la bella figlia del castellano, Angelina, che stimò degna d'un re. Tornato
in Francia ne informò il Delfino, cioè l'erede al trono, che se ne innamorò pur senza averla
vista. Questi in incognito venne in Sicilia e si recò a Castiglione in compagnia di Giacchetto
per poter constatare con i propri occhi tanta bellezza. Il barone riservò anche a lui una calda
accoglienza. Il Delfino, appena vide la giovane principessa, ne rimase affascinato e si adoperò
per ottenere un segreto incontro con lei attraverso la sua balia di nome Franca. L'incontro
avvenne tra le fredde stanze del castello e i due si dissero calde parole d'amore. Il Delfino,
dopo essersi fatto riconoscere, sposò Angelina in gran segretezza, ma non consumò il
matrimonio e le promise che sarebbe ritornato nel mese d'agosto dell'anno successivo per
portarla in Francia e farla regina. Il segnale pattuito per far sapere del suo ritorno sarebbe stato
un fuoco acceso sopra una collina poco discosta dal fiume Alcantara.
Tutto si svolse come previsto. L'anno successivo il Delfino tornò in Sicilia, sbarcò con
alcune navi sulla riviera di Taormina e, giunto sulla collina, fece il segnale convenuto. Franca,
che quella notte stette sempre in guardia, appena si avvide del suo arrivo avvisò la principessa
e la aiutò a fuggire attraverso una scala di seta legata al pilastro di marmo di una finestra. Il
Delfino, giunto in Francia, celebrò un fastoso matrimonio. Poi i novelli sposi, ritornati in
Sicilia e riappacificatisi con Ruggero, per liberalità e grazia del re Guglielmo il Buono, fecero
edificare sopra la collina, che aveva visto accendere il fuoco dell'amore, un castello, cui
diedero il nome di Francavilla perché, si dice, Angelina nelle notti d'attesa, facendo stare
Franca alla vedetta, non le andava dicendo altro che: «Franca, vigghia; Franca, vigghia».
31
La leggenda del monte Santa Maria
Nei pressi del monte di Santa Maria, alla base del cratere dell’Etna, si dice che esiste
una grotta di una certa dimensione, detta della Femmina o del Calzolaio, per il fatto che un
uomo e una donna vi morirono dentro dopo essere stati incatenati.
Racconta la leggenda che la grotta fosse l’abitazione abituale di una masnada di
briganti, che in tutto si dice fossero 24. Essi si davano ad ogni scorreria e rubavano e
seminavano il terrore in tutto il territorio dell’Etna. Ma una volta, mentre si mieteva il grano,
vennero arrestati nella pianura di Catania e di loro non si seppe più notizia.
Dopo un certo tempo un pastorello, che forse di nascosto serviva i banditi, pensò di
recarsi là. Sapeva infatti che vi erano custoditi immensi tesori e vi si recò con le bisacce nella
speranza di poter fare fortuna. L’entrata della grotta era chiusa con una grossa botola di pietra
quadrata, alla quale era attaccato un anello di ferro come segnale di riconoscimento. Cercò e
cercò tanto che infine la trovò.
Appena entrato restò abbagliato quando vide 24 mucchi d’oro disposti in giro per la
grotta. Riempì allora le bisacce e le tasche pensando di ritornarci un’altra volta per riprendersi
quanto era rimasto. Ma ecco che quando si appresta ad uscire, appena si trova sul limitare
dell’ingresso della grotta, sente un lamentevole e sepolcrale grido di donna che veniva dal
fondo.
- Piccolo pastore, così te ne vai e ti porti i soldi senza dire nulla?
Il povero pastore si spaventò, ammiccò gli occhi, ma non vide nessuno. Spaventato da
quella voce paurosa e ignota, si liberò subito delle bisacce, chiuse la grotta e scappò via a
gambe levate.
Della grotta si è persa ogni traccia. Gli spiriti dei due sventurati morti di fame là
dentro stanno a guardia del tesoro. La pietra, che il pastorello per la fretta mise con la boccola
di dentro, non è stato possibile trovarla. Così si è perso un immenso tesoro.
32
Gastronomia tipica
Diverse sono le specialità gastronomiche tipiche sia tra i primi piatti che tra i secondi e
i dolci. Tra i primi piatti si ricordano i maccheroni caserecci conditi con sugo di coniglio
insaporito con estratto di pomodoro e rosmarino, le lasagne o fettucce con sugo o broccoli o
fagioli, la pasta con fave secche, detta 'a mmaccu'.
I secondi piatti sono molto più numerosi: cavoli affogati nel vino con un pizzico di
aceto, aglio e olive nere; caponata di peperoni, melanzane, cipolle e pomodoro fresco;
pomodori arrostiti con peperoncini e conditi con olio vergine di oliva; merluzzo secco o
stoccafisso in brodo con olive, cipolla, pomodoro e prezzemolo; pomodori secchi, melanzane,
peperoni e peperoncini sott'olio.
Tra i dolci è doveroso ricordare gli sciauni, fatti con ricotta, cannella e zucchero,
avvolti in una sfoglia di pasta e poi fritti; le gustose paste di nocciola e di mandorla; i
mastazzoli con ripieno di nocciole, mandorle, miele e bucce tritate di mandarino; i bersaglieri
ricoperti da uno strato di cioccolato; i cuddureddi: ciambelle ripiene di noccioline tostate e
miele; i torroncini e la frutta martorana preparati artigianalmente.
Tra i prodotti locali sono da ricordare ancora la ricotta fresca, la ricotta infornata e il
gustosissimo formaggio pecorino fresco con pepe nero, detto tuma, o stagionato. Infine
squisita è la produzione di miele locale. Il tutto può essere gustato con bicchieri di ottimo vino
doc bianco, rosso o rosato.
33
Artigianato e industria
Abbastanza fiorente è a Castiglione di Sicilia l'artigianato. Il punto ago è nello stesso
tempo l'orgoglio e la passione di ogni donna castiglionese, dalle cui mirabili mani escono
lavori bellissimi: arazzi, coperte, lenzuola, tovaglie, ricami che sembrano ispirarsi alle guglie
dei campanili o alle decorazioni delle splendide chiese. Si tratta di manufatti frutto di un
innato senso artistico affiancato ad una pazienza certosina. Ad essi sono da accostare gli
intarsi marmorei di eccezionale fattura, che qualche abile artigiano locale sa creare facendo
quasi rivivere il Rinascimento, o le figure umane, le sagome di animali e le fantastiche
chimere che provetti scultori traggono dal legno o dall'argilla.
I travagghi ‘nglisi o i cosi ‘nglisi, così come è detto il punto ago nel dialetto locale, ha
a castiglione un’atichissima tradizione. Si dice che siano stati introdotti nel nostro paese agli
inizi del secolo scorso da una donna inglese Miss Mabel Hill, residente per molto tempo a
Taormina.
Il punto ago si paga “a buco”. Una coperta in media ha circa tremila buchi. Il lavoro di
solito viene divisotra più persona. C’è la ricamatrice che fa la “campionatura”, cioè il delicato
lavoro di sfilare la stoffa, c’è poi chi ritaglia i vari quadratini, c’è chi invece fa i “bastoni”,
cioè completa i vari quadratini entro i quali vengono ricamati i disegni. L’ultima fase della
lavorazione è quella del punto ad ago. Dentro i quadratini vengono ricamate le figure più
diverse: fiori, ruote, stelle e varie combinazioni tra i più diversi elementi. Il lavoro più
complesso è costituito di cosiddetti “pupi”. Si tratta di figure umane ricamate con molta
attenzione e impegno. Negli anni passati, ma in parte anche oggi, buona parte dell’economia
del paese era basata su questo tipo di lavoro artigianale.
Nelle frazioni di Solicchiata e Passopisciaro, oltre che a Castiglione, esistono altri tipi
di lavoro artigianale che possono avvicinarsi all’industria e sostengono in buona parte
l’economia del paese. Negli ultimi decenni sono sorte infatti alcune piccole aziende industriali
che lavorano la plastica, costruiscono radiatori, confezionano abiti e riciclano la carta.
34
Agricoltura
L'economia di Castiglione, come quella di tanti altri paesi siciliani, è basata anche
sull'agricoltura.
Uno dei più noti proverbi dell'hinterland dice:
A Castigghiuni su li fimmini beddi
ca notti e ghiornu scacciunu nuciddi.
Ed è infatti il noccioleto, che nel corso dei secoli non ha subito variazioni nei metodi di
coltura, ad essere predominante insieme al vigneto.
I vini, ricordati già in una storia dei vini italiani del 1596, sono di ottima qualità.
Diverse cantine sociali producono vini DOC bianchi e rossi, esportati in tutto il mondo.
Questo permette al Comune di fare parte dell'Associazione Nazionale delle Città del Vino.
Castiglione, gemellata alla città irlandese di Killarney, fa parte dell'Associazione
Nazionale delle Città del Vino. Il vino nella valle dell'Alcantara è una tradizione antichissima.
Rinomato era al tempo dei greci quello di Naxos, come testimoniano le numerose monete che
raffigurano Bacco, il grappolo d'uva e il «kàntaros» per versare il vino. Ma durante il dominio
romano la tradizione non è venuta meno. Marziale vanta il vino che si produce nel messinese,
mentre una iscrizione su un'anfora pompeiana dice: «vino di Taormina», dando quasi un
marchio Doc al prodotto della valle.
I vigneti nel corso dei secoli hanno subito delle evoluzioni. A partire dal Medioevo è
prevalsa la coltivazione ad alberello con le viti piantate ad uguale distanza o a filari più larghi
per permettere ai buoi o ai muli di arare la terra con più facilità. Alle piantagioni ad alberello,
a causa della meccanizzazione della lavorazione, i produttori preferiscono oggi le piantagioni
a filari o a tettoia. E' interessante a proposito riandare indietro nel tempo. In antichi atti
notarili del XIV secolo si scrive che il vigneto veniva zappato almeno tre volte l'anno. Una
prima volta tra febbraio e marzo «scanzando e ricanzando», cioè togliendo prima e mettendo
poi la terra al piede della vite. Nel mese di maggio invece la terra veniva «riminata», cioè
rizappata, e molto probabilmente all'inizio dell'estate veniva rimossa di nuovo per togliere le
erbe cresciute dopo eventuali piogge. Comunque è certo che fino a pochi decenni fa la vigna
veniva zappata tre volte: la «prima zappa», la «seconda zappa» o «zappuneddu» e «rifunniri»,
che consisteva nel fare dei monticelli tra una vite e l'altra, una prima e una seconda volta,
finché non venivano rifusi, appianando il terreno.
Il proverbio dice che la vigna è come la tigna: viene sempre grattata. Oltre alla
zappatura si eseguivano, infatti, altri lavori durante l'anno, tra cui la potatura, che avviene tra
gennaio e febbraio, il mettere i pali, il legare le viti, la spampinatura, il legare i tralci, la
solfatura, il togliere le erbe dai muri e, appena finita la vendemmia, togliere i pali e concimare
il terreno con le «fangate», lunghi fossi riempiti di frasche e concimi organici.
Fino a tutto il primo millennio cristiano, la spremitura avveniva in palmenti scavati nella
roccia, di cui vari esempi si vedono ancora nelle contrade di Santa Maria la Scala,
Pietramarina e Sovere. Si pigiava l'uva in una vasca soprelevata, da cui il mosto colava in un
tino, ponendo dei pesi sulle vinacce. Dal tino il mosto veniva messo in grossi recipienti di
terracotta, per essere poi travasato in vasi più piccoli.
Se con gli arabi la produzione di vino è venuta meno per motivi religiosi, nei secoli
successivi ha cominciato a rifiorire, apportando delle modifiche soprattutto nel procedimento
di spremitura delle uve. Vennero costruite forse durante il periodo normanno le prime «domus
torculares» o «case torculares», cioè palmenti dentro edifici in muratura e coperti da tegole,
con i muri delle vasche in cocciopesto e calce, a volte con la pavimentazione in basole
laviche. I palmenti sono diventati allora più complessi e più grandi, i vigneti più estesi, i
torchi più sofisticati. L'uva, gettata dai vendemmiatori nel «pista», veniva pigiata e ridotta in
una poltiglia di mosto e vinacce, messi a fermentare per alcuni giorni in un'altra vasca più in
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basso, detta «schiccia». Si passava poi alla spremitura con il torchio, detto «chianca», i cui
elementi principali sono, nella parte anteriore, la «pietra», un grosso macigno a tronco di cono
o a tronco di piramide, la «vite» e la «scufina», poggiata sulla forcella della trave. Nella parte
posteriore c'è la «scala», un legno a buchi che funge da fulcro mobile, mentre tra le due
«scale» di mezzo viene messa la «trafitta», un grosso ferro che permette di sollevare o
abbassare il fulcro per fare maggiore o minore pressione sul «conzo».
I palmenti spesso erano parte integrante delle case di campagna, «masserie» dalle
strutture complesse, un tempo abitate per buona parte dell'anno dai proprietari. In esse c'erano
pure il cortile, le stalle, la cisterna, la cantina seminterrata e infine l'abitazione del «massaro»,
che accudiva alla campagna.
Se attive fino a qualche decennio fa erano a Passopisciaro le distillerie che traevano
l'alcool non solo dalle vinacce, ma anche dalla feccia e dal vino guasto, oggi Castiglione
possiede delle cantine sociali all'avanguardia, dove la pigiatura e la spremitura avvengono
automaticamente. I numerosi produttori sfruttano i metodi moderni della lavorazione
vitivinicola per produrre vini Doc, denominati Etna, bianchi, rossi e rosati, con un tasso
alcoolico che spesso raggiunge i tredici gradi. Le possibilità di successo per un prodotto di
qualità, ormai esportato in tutto il mondo, sono quindi molte. Il vino dell'Etna ha un sapore
unico e il suo profumo è simile a quello delle ginestre che per tutta la primavera e l'inizio
dell'estate ornano con i loro fiori gialli le falde del vulcano.
La riscoperta di antiche tradizioni e la fiducia in un futuro sviluppo del settore hanno
spinto il Comune di Castiglione di Sicilia a dare vita ad una mostra permanente dei vini
siciliani, tra cui non mancano nomi locali come il Pietramarina, il Verzella, il Torrepalino,
prodotti soprattutto nelle frazioni di Verzella, Rovittello, Passopisciaro e Solicchiata. Si tratta
di vini forti e corposi, dai sapori e dagli odori della lava e del sole, vini che mettono in
evidenza tutta la loro essenza della terra siciliana, una terra fertile che sa sposare la qualità
alla quantità.
Oltre al vigneto, una certa importanza riveste l'uliveto, in rapida espansione, che
occupa soprattutto la fascia media del Comune, ma non esiste al presente una
commercializzazione razionale del prodotto. L'agrumeto invece, che si estende tra le frazioni
di Gravà e Mitogio, ha buone rese produttive, anche se la crisi agrumicola degli ultimi
decenni non l'ha risparmiato.
In passato nel territorio erano diffuse anche altre coltivazioni, tra cui la piantagione di
lino e della canapa lungo le sponde del fiume Alcantara e l’allevamento del baco da seta. «In
tempi andati –scrive Vincenzo Sardo – era esercitata su larga scala con lucro non indifferente
l’estrazione della seta. Cessata intorno al 1840, restò di essa il solo allevamento di bozzoli,
limitato ai contadini, laddove prima era diffuso nelle altre classi». I setifici e l’industria tessile
furono quindi un tempo molto fiorenti.
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Istituzioni e associazioni
Pur non avendo allo stato attuale la Città strutture turistiche e alberghiere proprie, in
avanzata fase di realizzazione è un albergo ubicato all'interno del centro storico, in prossimità
del palazzo di Città, che renderà possibile un turismo residenziale. Adesso però è possibile
affittare delle camere o dei miniappartamenti molto comodamente arredati per piccoli gruppi
e famiglie, per cui conviene rivolgersi all'ufficio informazioni turistiche.
Da tempo è operante una sede dell'Archeoclub d'Italia, associazione che opera
attivamente per far conoscere i beni artistici e culturali della Città, e da qualche anno una sede
di SiciliAntica, associazione a carattere regionale avente le medesime finalità. Ad esse ci si
può rivolgere per qualsiasi informazione e i soci, con spirito di volontariato, sono sempre
disponibili a fare da guida a coloro che vogliono conoscere monumenti, storia e cultura del
comune etneo. Tra le altre associazioni sono da ricordare la Pro loco, l'A.S. Castiglione, che
cura la locale squadra di calcio, Castiglione 2000 con la squadra di softball, un'associazione di
motocross e infine una sezione dell'Arci. Vi è pure una sede della Misericordia d’Italia, molto
attiva, fornita di ambulanza, e una sede della protezione civile.
Di recente è stata fondata a Castiglione l’Accademia Internazionale “Il Convivio”,
associazione culturale a livello internazionale con sede principale nella frazione di Verzella.
L’Accademia conta molte sedi locali non solo in Italia, ma pure all’estero, come in Spagna,
Argentina, Brasile, Australia, pubblica una rivista letteraria e artistica (sia in italiano che in
altre lingue europee) diffusa tra i numerosissimi soci sparsi in tutto il mondo, ed organizza un
Premio Letterario, cui partecipano in gran numero validi poeti, scrittori e artisti di ogni lingua
e nazionalità.
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SCHEDA INFORMATIVA
UFFICI PUBBLICI E INDIRIZZI UTILI
Prefisso telefonico: 0942.
Palazzo di Città: Piazza Lauria, 1.
Centralino, tel. 0942-980211
Ufficio del Sindaco, tel. 0942-984008 / 980230
Comando vigili urbani, via Rosario Cimino 1, tel. 0942-980244
Numero verde: 1670-10552
Sito internet:
http://www.explorer.it/citvino/castigli/home.ht
Posta elettronica:
E-Mail Comune:
comune.castiglionesicilia @ explorer.it
E-Mail Sindaco:
comune.castiglionesicilia.sindaco @ explorer.it
Ufficio Relazioni col Pubblico(URP): via Regina Margherita, tel. 0942-980243.
Mostra Permanente dei Vini di Sicilia: via Regina Margherita, tel. 0942-980243.
Sportello di assistenza al turista e alle imprese, Piazza XI Febbraio.
CASERME DEI CARABINIERI:
Contrada San Francesco - Castiglione, tel. 0942-984000;
Via Guardiola 4, - Passopisciaro, tel. 0942-983000.
GUARDIA MEDICA: via Rosario Cimino 1, tel. 0942-984285.
AMBULANZA (Confraternita Misericordia): via Rosario Cimino 1, tel. 0942-984346.
FARMACIE:
via Marconi 50, - Castiglione, tel. 0942-984064
via Regina Margherita 43, - Passopisciaro, tel. 0942-983035.
UFFICI POSTALI:
piazza Lauria 13, - Castiglione, tel. 0942-984100.
Via Nazionale 41, - Solicchiata, tel. 0942-986285 / 986017.
Via Regina Margherita 147, - Passopisciaro, tel. 0942-983181.
SCUOLE: Istituto Comprensivo di Scuola Materna Elementare e Media, Via Abate
Coniglio 1 / 3, tel. 0942-984101 (Direzione);
Scuola media, Via Marconi, tel. 0942-984073;
Scuola materna ed elementare - Passopisciaro, Via Guardiola, tel. 0942-983114;
Scuola materna elementare e media - Solicchiata, Via Nazionale, tel. 0942-986253.
Liceo socio-psico-pedagogico - Castiglione, Via Marconi, tel. 0942-984017.
BANCHE:
Sicilcassa-Divisione del Banco di Sicilia Spa: via Regina Margherita 3, - Castiglione,
tel. 0942-984034.
Banca di Credito Cooperativo San Marco di Calatabiano Ag. di Solicchiata: via
Nazionale 57b, tel. 0942-986354 / 986355 / 986292.
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Bancomat: Banca di Credito Cooperativo San Marco-Tesoreria Comunale, Via Regina
Margherita
BIBLIOTECHE:
Biblioteca Villadicanense: via Biblioteca Villadicanense - Castiglione.
Biblioteca Comunale: via Rosario Cimino 1, Castiglione.
Biblioteca Popolare Sacro Cuore di Gesù: via Nazionale - Solicchiata.
UFFICIO CIRCOSCRIZIONALE DEL LAVORO: piazza Lauria 8, tel. 0942-984027.
ASSOCIAZIONI CULTURALI:
Accademia internazionale Il Convivio: Sede centrale, Via Pietramarina-Verzella, 66 – 95012
Castiglione di Sicilia. Tel. 0942-989025.
Archeoclub d'Italia sede di Castiglione: via Carmine 2, tel. 0942-989025 / 984498; fax
984871
SiciliAntica sede di Castiglione: via Pietramarina 66, tel. 0942-989025.
Pro Loco: Via Umberto 31.
Arci: Via Regina Margherita.
ASSOCIAZIONI SPORTIVE:
Il Pìcciolo Golf Club srl, Società Sportiva, strada statale 120, km 200, contrada
Rovittello, tel. 0942-986252.
A.S. Castiglione.
Castiglione 2000 - softball.
AGENZIA VIAGGI
0942-984044.
E TURISMO:
Purello viaggi, via Regina Margherita 25, - Castiglione, tel.
RISTORANTI-SALE RICEVIMENTI-ALBERGHI:
Belvedere d'Alcantara, via Abate Coniglio, tel. 0942-984397.
Ristorante-albergo del Pìcciolo Golf Club, c.da Pìcciolo, SS 120 km 200 - Rovittello,
tel. 0942-986171, fax 0942-986252.
Kastalia Cucina Casalinga Pizzeria, via Comunale 58, Mitogio, tel.0942-985113.
Club Italia La Cuba, cucina casalinga, C.da Sciambro, tel. 0338-8650329 / 0942984724.
Orfanotrofio Regina Margherita, Punto A.I.G. (Ostello della gioventù), Via Abate
Coniglio 7, tel. 0942-984056 / 984926.
CANTINE SOCIALI:
Torrepalino, strada statale 120, n. 174, - Solicchiata, tel 0942-986072.
Antichi Vinai srl, via Castiglione 49, - Passopisciaro, tel: 0942-983232.
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Nota bibliografica
Bibliografia generale
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di Sicilia, Linguaglossa, XXI distretto scolastico, Randazzo 1997.
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F. De Roberto, Randazzo e la Valle dell'Alcantara, Arti grafiche, Bergamo 1909.
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E. Magnano di San Lio, I castelli di Castiglione di Sicilia, istituto di Urbanistica, 1985.
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Randazzo nei suoi costumi, XXI distretto scolastico, 1986
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S. Agati, L’Oinochoe col mito dei Boreidi, Tringale, 1982.
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Randazzo-Notizie, periodico trimestrale a cura del Comune di Randazzo.
S. Incorpora, Sciara e Ginestre, Linguaglossa.
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S. Incorpora, S. Francesco di Paola a Linguaglossa.
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S. Calì, Il mio paese, ed. Camene, Catania.
S. Incorpora, Il coro Ligneo della maggiore chiesa di Linguaglossa, Grafica Sgroi Catania.
S. Calì, I diavoli del Gebel Leggendario dell’Etna, Gelke Editori.
S. Calì, Le strade aspettano un nome, Edizione Camene.
Parco dell’Etna, Carta turistica Ente Parco, Touring Club Italiano.
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Viaggio nel Parco dell’Etna, C.A.R.T.H.U.S.I.A.
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A. Cavallaro, Idrostoria di Linguaglossa, Graficatre.
P. Concetto da Linguaglossa, La custodia di Pietro Bencivinni.
Riviste:
Linguaglossa e il bosco Ragabo
Oasis
Airone
Atlante
Etna territorio
Mareneve, Gennaio 1952.
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Scheda sui vini e sul territorio viticolo di Castiglione
Ettari vitati: 700;
Ettari ricadenti in zona D.O.C.: 5.300
Produzione media annua di vino in ettolitri: 15.000
Numero di aziende operative: 560
Cultivar: Caricante, Catarratto Bianco, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio.
Vini Doc prodotti: Etna Bianco, Etna Rosso, Etna rosato.
Caratteristiche dei vini:
Etna Bianco: Vitigno base è il Caricante o Catanese Bianco, ma possono essere
presenti Catarratto, Insolia e Minnella; ha un colore paglierino vivo e brillante, sapore fresco e
rotondo, bouquet intenso.
Etna Rosso: Vitigni base sono il Nerello Mascalese (per circa l’80%), e Nerello
Cappuccio (per il restante 20%), coltivati ad alberello o a spalliera; ha un colore rosso rubino,
sapore secco, morbido, giustamente ricco di corpo e armonico, bouquet vellutato.
Etna Rosato: Prodotto da vitigni di Nerello (senza inizio di fermentazione in vinacce),
si distingue per la sua limpidezza, l’odore fruttato, il gusto abboccato ed armonico.
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