Premessa Pubblicare una guida turistica su uno dei tanti paesi
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Premessa Pubblicare una guida turistica su uno dei tanti paesi
Premessa Pubblicare una guida turistica su uno dei tanti paesi adagiati alle falde dell’Etna, come Castiglione di Sicilia, è l’estremo tentativo di voler far rivivere la storia e la cultura di uno dei molti centri agricoli etnei o siciliani. È giunto, infatti, il momento in cui anche Castiglione faccia conoscere al turista, che scala la stupenda collina sormontata da rocce arenarie e da case, le bellezze del suo territorio, le sue tradizioni culturali, lo splendore dei suoi monumenti, le sue radici storiche, l’operosità dei suoi abitanti, l’importanza strategica che ha dato origine al toponimo, in poche parole la sua identità di antichissimo centro abitativo le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Il turista non può lasciare un paese così piacevole senza portare con sé, quale ricordo, una segno della sua bellezza: ecco perché da tanti anni i Soci delle sedi locali dell’Archeoclub d’Italia e di SiciliAntica hanno lavorato, sia attraverso ricerche storiche che documentazioni fotografiche. La loro iniziativa ha permesso la realizzazione di un mezzo pratico e semplice per conoscere Castiglione. All’impegno dei numerosi Soci va aggiunta la disponibilità dell’intera Amministrazione Comunale che è stata prodiga di consigli e spesso di sprone a proseguire nell’impresa. Si ringrazia quindi l’intero staff amministrativo, soprattutto per aver voluto pubblicare un lavoro frutto d’amore e passione verso la propria terra e i suoi abitanti. Tutto questo con l’augurio che anche i giovani castiglionesi possano accostarsi e approfondire le radici della propria cultura e del proprio modo di essere. Angelo Manitta 1 Aspetti socio-culturali tra Etna e Alcantara Castiglione Festività e manifestazioni religiose e folcloristiche……………………………………… 3 Il territorio comunale………………………………………………………………………4 La storia……………………………………………………………………………………5 Beni artistici e culturali Monumenti civili…………………………………………………………………..8 Monumenti religiosi……………………………………………………………….11 Itinerari artistici……………………………………………………………………19 Beni ambientali e naturali Riserva dell’Alcantara…………………………………………………………….21 Parco dell’Etna…………………………………………………………………….23 Il campo da golf…………………………………………………………………...25 Le grotte………………………………………………………………………...…26 Le colate laviche………………………………………………………………..…28 Itinerari naturalistici……………………………………………………………….29 Cultura Uomini di cultura………………………………………………………………….31 Proverbi e poesie popolari………………………………………………………...33 Miti, leggende e tradizioni………………………………………………………...36 Gastronomia tipica………………………………………………………………...37 Attività economiche Artigianato………………………………………………………………………..38 Agricoltura………………………………………………………………………..40 Istituzioni e associazioni………………………………………………………………….43 Bibliografia………………………………………………………………………………46 2 Festività e manifestazioni religiose e folcloristiche La festa della Patrona, Maria SS.ma della Catena, è certo la manifestazione religiosa e folcloristica più importante e sentita dalla cittadinanza. Ogni primo sabato del mese di maggio molti pellegrini, provenienti da ogni parte della valle dell’Alcantara (Solicchiata, Gravaà Mitogio, Francavilla, Moio Alcantara, Malvagna, Linguaglossa, Randazzo e anche paesi più lontani) si riversano nel santuario della Madonna, facendo molti per voto la strada a piedi. Il pomeriggio del sabato molto frequentata è la messa vespertina, alla conclusione della quale la statua della Madonna viene spostata dalla nicchia sull’altare, tra il luccichio dell’oro che la riveste. Essa infatti è addobbata come una sposa: un lungo manto rosso con ricami dorati dalle spalle giunge fino ai piedi. La domenica mattina il paese si riempie di gente, in particolare modo ogni cinque anni, quando la statua della Madonna viene portata in processione per le vie piccole e strette del paese. La sacra immagine, posta su un carro, viene tirata con corde da un’infinita schiera di uomini e ragazzi. Vincenzo Sardo scrive: «La devozione di questo popolo tocca l’apice del fanatismo! Lungo le vie percorse dalla processione si trovano pronte delle donne con asciugamani bianchissimi per tergere il sudore ai baldi giovani che portano a spalla la pesante statua, su una pesantissima bara. Quegli asciugamani venivano religiosamente conservati quali amuleti». Tra le altre festività religiose si ricordano in particolar modo: Maria SS.ma del Rosario, che si celebra a Passopisciaro, frazione di Castiglione, la prima domenica di Luglio; San Giovanni Bosco , la terza domenica di Luglio, a Verzella; Madonna del Carmelo, intorno alla metà di luglio a Rovittello; Sacro Cuore, la prima domenica di Agosto, a Solicchiata. Santa barbara, ai primi di novembre, nella frazione di Gravà. Tra le manifestazioni civili molto sentita è l’estate castiglionese, che si svolge tra luglio e agosto, con spettacoli teatrali, cabaret, spettacoli musicali, proiezioni cinematografiche. Molto sentita è pure la festa del 4 novembre e del 12 agosto, nelle cui giornate dopo un lungo corteo si depongono corone di fiori o di alloro al monumento dei caduti e alla lapide che ricorda le sedici vittime civili fatte dai nazisti durante la ritirata del 12 agosto 1943. 3 Il territorio comunale Castiglione di Sicilia, un presepe tra l'Etna e l'Alcantara, incastonato tra boschi di castagni, noccioleti e querce, sorge su una collina di roccia arenaria tra Randazzo e Taormina. La sua altezza è di circa 600 metri sul livello del mare, conta circa 4560 abitanti, ma ha una densità di popolazione tra le più basse della provincia di Catania. Diversi sono i nuclei abitati. Oltre al centro storico, Castiglione conta sei frazioni: Solicchiata, Passopisciaro, Verzella, Rovittello, Gravà e Mitogio. Il suo territorio, esteso 120,41 kmq, è distribuito su altezze diverse. Il punto più alto, che coincide con la sommità del cratere nord-est dell'Etna, raggiunge i 3348 metri, mentre il più basso, a pochi chilometri da Giardini-Naxos, sfiora i 60 metri. Di conseguenza grande è la varietà di paesaggi: dall'imponente mole del vulcano, che domina l'intera Sicilia orientale, ai boschi che ornano le sue basse falde, dalle grotte a scorrimento lavico alle profonde e lunghissime gole del fiume Alcantara, dalle estese coltivazioni di aranceti, vigneti e noccioleti alle brulle lave che caratterizzano alcuni tratti del territorio, dai mandorli ammantati di rosa in primavera alle ampie distese d'asfodeli o di ginestre: scenari incantevoli che nello stesso tempo suscitano stupore e riverenza: stupore per ciò che è grande, immenso e gigantesco; riverenza per ciò che è bello, armonioso e piacevole. Data la conformazione fisica anche il clima è piuttosto vario. Da una temperatura mite, che si riscontra a valle durante l'intero anno quasi a perpetuare una perenne primavera, si giunge ad un clima alpino nella parte più alta, dove la neve persiste fino ad estate avanzata. Il territorio comunale ha la forma quasi di un martello. Esso confina a nord, per un buon tratto, con il fiume Alcantara, che per alcuni chilometri si snoda pienamente all’interno del territorio comunale, e quindi con alcuni comuni della provincia di Messina: Roccella Valdemone, Moio Alcantara, Malvagna, Francavilla di Sicilia, Motta camastra, Graniti, Gaggi, Taormina. A sud est confina con Calatabiano, Linguaglossa, Sant’Alfio. Scarsi sono i corsi d’acqua, soprattutto perché il terreno è in buona parte di origine vulcanica. Oltre all’Alcantara, si devono ricordare alcuni torrenti come il S. Giacomo, che costeggia Castiglione a ovest, e il Medda, situato ad est. 4 La storia Castiglione non è solo bellezze naturali e tradizioni, economia ed artigianato, Castiglione è anche storia. Prima dell'arrivo dei greci, giunti in Sicilia nel 735 a. C. per fondare Naxos, l'intera isola era abitata da popoli che gli storici chiamano Siculi, Sicani ed Elimi. Questi erano ben organizzati politicamente, vivevano in villaggi, conoscevano la ceramica, inumavano i cadaveri. Alcuni scavi archeologici, fatti di recente dalla Soprintendenza ai Beni Culturali della Provincia di Catania in una grotta in contrada Marca nei pressi del fiume Alcantara vicino alla chiesa di San Nicola, come numerosi altri sporadici rinvenimenti, dimostrano che l'intera valle era densamente popolata nel Neolitico e soprattutto nell'età del rame e del bronzo. In questa grotta sono venuti alla luce resti umani, frammenti di ossidiana e ceramiche, tra le quali una coppa fonda con decorazioni in nero su rosso e una tazza attingitoio monoansata acromica datate intorno alla fine del terzo millennio a.C., appartenenti artisticamente alle ceramiche di Piano Conte, tipicamente eoliane. Pertanto le origini della città si perdono nella notte dei tempi, anche se numerosi studiosi hanno fissato la sua fondazione al 403 a.C. quando i Nassi, sconfitti da Dionisio di Siracusa, risalirono il fiume Akesine, cioè l'Alcantara, accrescendo con molta probabilità gli sparuti insediamenti già esistenti nella contrada Imbischi-Acquafredda e a Francavilla, luoghi in cui recenti scavi hanno messo in evidenza vere e proprie città e fra l'altro i ruderi di un santuario dedicato al culto di Persefone. Scarse sono invece le testimonianze dell'epoca romana, come pochissimo sappiamo del periodo delle invasioni barbariche. Nel 535, però, la Sicilia viene occupata dai greci bizantini, che risvegliano la cultura e l'economia dell'isola e della nostra vallata. Loro palese testimonianza sono i numerosi tempietti rustici, detti Cube, tra cui quello di Santa Domenica a Castiglione, quello integro di Malvagna e quelli ridotti a semplici ruderi nei pressi di Randazzo. L'attuale Castiglione sorge nel pieno Medioevo (sec. XII) in seguito alla cacciata degli Arabi da parte dei Normanni, i quali diedero inizio ad una espansione demografica e fondarono numerose città e monasteri. Ciò è attestato non solo dalla pianta irregolare del paese e dalla sua posizione, ma anche da alcune testimonianze architettoniche, come il Castello o il Cannizzo, che costituivano dei solidi baluardi difensivi. Il XIII secolo fu per la città di Castiglione un periodo florido, tanto che Federico II di Svevia (primo con questo nome come re di Sicilia) le concesse nel 1233 l'appellativo di Animosa e le confermò il privilegio di battere moneta. Ma alla fine dello stesso secolo cominciò per l'abitato una lenta decadenza. Ai Normanni si sostituirono gli Angioini, i quali con le loro esose tasse e col trasferimento della capitale da Palermo a Napoli suscitarono molto malcontento tra gli isolani, tanto che con la guerra del Vespro, iniziata nel 1282, vennero cacciati dall'isola con l'ausilio dell'ammiraglio Ruggero di Lauria, che appoggiava Pietro d'Aragona. In premio il Lauria ottenne diversi feudi, tra cui anche Castiglione, che scelse spesso come residenza estiva. Ma in seguito passato dalla parte di Giacomo, erede al trono di Spagna, combatté il legittimo erede di Sicilia Federico II che riconquistò la Città dopo alcuni mesi di assedio. Con la declinata potenza del Lauria decadde anche l'importanza di Castiglione che perse così la sua demanialità e venne assegnata come feudo all'infante Giovanni, duca di Randazzo. Qualche secolo dopo, nel 1373, Castiglione, dopo aver fatto parte della Camera della Regina e quindi aver goduto di una certa libertà, venne concessa in baronia a Pirrone Gioeni e poi riconfermata a Giovanni Tommaso Gioeni nel 1517 come marchesato. Infine Tommaso Gioeni nel 1602 venne nominato dal re di Spagna Filippo III primo principe di Castiglione. Il sistema feudale, venuto nuovamente in auge con gli spagnoli, determinò una lenta ma inesorabile decadenza di Castiglione, finché nel 1612 l'animo orgoglioso ed intraprendente 5 dei suoi cittadini non riacquistò le sue libertà civiche attraverso il riscatto del mero e misto impero, cioè il diritto di esercitare la giurisdizione civile e criminale. La maggiore libertà permise la formazione di una borghesia terriera e di un apprezzabile sviluppo urbanistico, come attesta la costruzione di alcuni palazzi e di alcune chiese, sparsi lungo la via Regina Margherita, in piazza Lauria e in piazza Sant'Antonio Abate: il palazzo Camardi, il palazzo Imbesi già dei Tuccari, il palazzo Sardo, la sede del Peculio poi modificato in Municipio, il palazzo Saglimbeni, il monastero delle Benedettine, l'ospedale San Giovanni di Dio, la chiesa di Sant'Antonio Abate, la chiesa di San Giacomo e molte ville di campagna. Ma, malgrado l'apparente floridezza economica, nel XVII e XVIII secolo continuarono a verificarsi ricorrenti carestie. Nel 1636 si fondò perciò il Peculio, una istituzione che aveva lo scopo di creare un patrimonio comunale che permettesse l'acquisto di una quantità di frumento bastante al consumo della locale popolazione, frumento che nei casi di necessità sarebbe stato rivenduto ad un prezzo politico. Ricchezza e povertà, carestia e abbondanza, incremento demografico e sviluppo urbanistico, furono le contraddizioni più vistose di questi due secoli. La vita della povera gente, che abitava le nostre contrade, non era certo da invidiare. I più erano costretti a lottare giorno per giorno con la morte. Il pane, alimento fondamentale della dieta dei poveri, spesso non era fatto con farina di frumento, ma con altri cereali, come segale e mais, e condito con pomodori, cipolle, formaggio, frutta, verdura, mentre la carne veniva consumata solo per le feste. Ad alleviare le sofferenze dei poveri erano spesso le istituzioni religiose. Fiorivano, infatti, diversi ordini monastici, come gli Agostiniani, che nel 1610 avevano fondato il monastero dell'alto Milio fuori paese, trasferendosi poi nel 1648 in città; i Carmelitani, che costruirono il loro convento nei pressi della chiesa di San Martino, poi intitolata alla Madonna del Carmelo; i Cassinesi, la cui abbazia si trovava nei pressi della chiesa di San Nicola sotto il titolo della Trinità; e infine le Benedettine, che gestivano un orfanotrofio. Nel 1860 viva fu la partecipazione alla causa dell'unità d'Italia, preparata da logge massoniche. Si aspettava anche qui da parte dei contadini una divisione delle terre. Sorsero vari tumulti, un manifestante venne ucciso, ma Nino Bixio ordinò al maggiore Dezza: «Vi do piena facoltà: arrestate e tenete prigionieri i rivoltosi». Grande fu il tributo di sangue offerto dai castiglionesi durante la grande guerra (1915'18), ma ancora più grande lo fu durante la seconda guerra mondiale, quando il 12 agosto 1943 il generale Rodt, comandante della XVI divisione Granatieri, entrava in Castiglione per compiere il primo vero eccidio nazista in terra italiana. Sedici inermi cittadini vennero massacrati senza un perché, mentre altri circa 200 vennero presi in ostaggio. 6 Monumenti civili Dopo questo breve excursus storico è opportuno addentrarsi nel paese per conoscere quanto di artistico ed architettonico i nostri progenitori nel corso dei secoli hanno tramandato alle generazioni future. Il presente è frutto e sintesi del passato. Se non conoscessimo la nostra storia e i nostri beni culturali e ambientali è come se non avessimo memoria. 'U Cannizzu Appena ci si avvicina alle prime case balza subito agli occhi un torrione circolare, detto Cannizzu, con accanto una piccola chiesa, quella di San Vincenzo. Il termine cannizzu risale alla metà del secolo scorso e gli è stato dato forse per la sua forma molto simile ai recipienti conosciuti con questo nome, costruiti con canne spaccate e intrecciate, in cui in passato si conservava il grano. Il Cannizzu, uno dei simboli di Castiglione, di recente restaurato per conservarlo dalle intemperie, è dislocato proprio in uno dei siti più incantevoli del paese: una parete a strapiombo è frammezzata da stretti passaggi tra blocchi di arenaria; diverse grotte di origine eolica, che un tempo ospitavano uomini, si aprono tra uno strato e l'altro di roccia e danno riparo a lucertole e pipistrelli; un fertilissimo terriccio fa crescere rigogliosi ulivi, viti, fichidindia ed altri alberi da frutta, tanto da dare al luogo l'aspetto d'un paradiso. La torre, vista dal basso, appare imponente ed è leggermente più larga alla base. Essa, alta circa sei metri, con un raggio di circa tre metri, fatta con arenaria locale squadrata, ha sfidato i secoli. La sua origine risale tra il XIII e il XIV secolo. La fortezza si trovava fuori le mura di cinta della città e fu la prima roccaforte ad essere espugnata da Federico II re di Sicilia, quando nel 1301 riconquistò il feudo, togliendolo a Ruggero di Lauria. Essa molto probabilmente faceva parte di una fortificazione più complessa, detta Cittadella, ed era sicuramente un posto di vedetta. Da quella posizione si domina, infatti, l'intera alta valle dell'Alcantara. Si entra nella torre attraverso una porta soprelevata dal suolo qualche metro, porta che veniva chiusa dall'interno con una grossa trave inserita nel corpo della costruzione. Sono intatte ancora due feritoie, mentre altre tre sono state ricavate dai recenti restauri. Due solai, uno a livello della base della porta e l'altro a circa tre metri d'altezza, permettevano alle guardie di inoltrare lo sguardo attraverso di esse. La parte culminale, cui era possibile accedere attraverso una scala interna di legno, doveva essere coperta probabilmente da un terrazzo sprovvisto di merli, come lascia intuire il mosaico che si trova nella chiesa di Sant'Antonio Abate raffigurante una scena di caccia, in cui compare la torre e la vicina chiesa della Trinità. Quest'ultima, dedicata a San Vincenzo Ferreri da Melchiorre Sardo che l'aveva acquistata nel 1854 col terreno circostante riaprendola al culto, è quanto rimane dell'abbazia della Trinità, appartenente all'ordine religioso dei Cassinesi e ubicata nei primi secoli del millennio nei pressi della chiesa di San Nicola. L'abbazia tra il XV e il XVI secolo raggiunse un grande prestigio, tanto che l'abate, la cui elezione spettava al Contestabile, occupava il 59° posto nel Parlamento del regno di Sicilia. Il Castello L'altra grande struttura architettonica civile di Castiglione è il castello. Esso nel Medioevo costituiva la parte centrale e la roccaforte del paese. La sua posizione è quella tipica di molti altri castelli medievali, che permettevano il controllo su un vasto territorio, oltre che sulle vie di comunicazione, garantendo un opportuno isolamento, fattore essenziale 7 di difesa. Non abbiamo notizie certe sulla sua origine, ma le due finestre bifore della parte ovest ci lasciano intuire che il nucleo principale sia stato edificato molto probabilmente durante il periodo normanno-svevo. Tale sito nel corso della storia dell'abitato ha avuto di sicuro una funzione molto rilevante tanto da dare il nome al paese. E' certo che Castiglione nel XII secolo viene chiamato Quastallum dal geografo arabo Edrisi, Castillo in un diploma di Ruggero II re di Sicilia, Castillio in un diploma di papa Eugenio III, castellou in un documento greco, cioè semplicemente Castello. L'attuale nome, invece, significa Castello grande. Al latino medievale castellum, infatti, è stato aggiunto il suffisso accrescitivo -ione, facendolo diventare Castellione, che gli Aragonesi prima e gli Spagnoli poi pronunziavano Casteglione. Il termine ben presto comunque venne interpretato come Castello del Leone per offrire al paese un marchio di regalità, dando luogo anche allo stemma: un castello e due leoni accovacciati. Il castello nel Medioevo, collegato alla roccaforte del Castelluccio e ad un avamposto identificabile con la chiesa di San Pietro, era messo in comunicazione con questi da passaggi sotterranei, che giungevano, si dice, fino al Cannizzo. Essi costituivano un vero e proprio complesso architettonico e difensivo, ed un vecchio stemma cinquecentesco della città, con tre torri, mette in evidenza la loro importanza. I vari quartieri del castello assumevano funzioni diverse. Vi era la parte più nobile riservata al castellano; vi erano le scuderie, i fienili, le stalle, le abitazioni per i servi e per gli addetti alla manutenzione; vi erano le carceri, all'interno delle quali, nelle scomode celle dette dammusi, lunghe non più di due metri e alte appena un metro, venivano rinchiusi spesso i più facinorosi avversari politici e i più incalliti delinquenti; vi erano le cisterne per conservare l'acqua piovana o per nascondervi, durante gli assedi, vettovaglie e suppellettile preziosa; vi erano le rotonde bombe di pietra, pronte per essere scagliate contro i nemici; vi era nella parte più alta un ampio locale, detto Solecchia, che comunemente si ritiene fosse la zecca dove si coniavano le monete, ma poteva essere la garçonnière o il luogo dove il feudatario si riparava dal sole, dopo aver contemplato quasi per intero il suo vastissimo feudo. Piazza Lauria In piazza Lauria, la principale del paese, si svolgono le più importanti attività sociali, politiche ed economiche. Vi si trovano, infatti, la banca, l'ufficio postale, la sede di un sindacato e il Municipio. Quest'ultimo si è insediato nel 1907 nei locali dell'antico Peculio e sulla sua facciata, semplici e spoglie d'ogni ornamento, si leggono due lapidi. La prima ricorda la visita del deputato Edoardo Pantano in occasione dell'eruzione dell'Etna del 1911, mentre la seconda commemora le vittime dell'eccidio nazista del 12 agosto 1943. Le mura e i quartieri Come molti paesi sorti nel Medioevo Castiglione era cinto da mura e diviso in quartieri. Le mura avevano nove porte, di cui rimangono scarse testimonianze ma si conservano i nomi, come quelle dello Speziale, del Castello, della Pagana, della Iudecca, del Portello, della Bocceria, di San Pietro, di San Martino e del Re. I quartieri storici, che si trovavano entro le mura, sono quelli di San Pietro, Santa Maria, San Basilio, San Marco, Santa Caterina, Sant'Antonio Abate e dei Cameni. Fuori le mura erano invece i borghi di Santa Barbara, della Fontana Vecchia, di San Martino e della Pattina, detto anche Burguru. 8 Monumenti religiosi La Chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo Come in tutti i paesi d'un certo rilievo il potere politico e il potere religioso spesso si fronteggiavano e si scontravano. Al Castello si contrapponeva la Chiesa Madre. Al principe o al barone si contrapponeva l'arciprete. E le loro dimore sorgevano, quasi per sovvergliarsi visivamente e controllare il territorio, nei punti più alti. Così anche a Castiglione. La Chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, fondata come sembra dal conte Ruggero nel 1105, sorge nella parte più alta del paese, all'interno del complesso difensivo medievale che occupava l'intera cima della collina, di cui anzi era probabilmente la cappella. Alcuni storici, tra cui il Filoteo, riferiscono che i sovrani normanni hanno concesso a questa chiesa numerosi privilegi, dandole perfino un'ampia giurisdizione sui paesi vicini: Francavilla, Linguaglossa, Roccella, Calatabiano e Mascali. Ma tali notizie non sempre sono controllabili. Il campanile s'innalza sulle rovine di una torre a forma cilindrica, che si crede costituiva il mastio della roccaforte. I conci regolari di lava e arenaria locale, di cui esso è costituito, separati nella loro slanciata struttura da archetti pensili tubolari e da formelle floreali, ci testimoniano l'origine normanno-sveva, origine confermata da alcune finestre dello stesso stile che si trovano nella parete del lato nord e da una finestra sulla porta centrale, di recente riaperta nel contesto di un restauro globale della chiesa. Molti benefattori si sono prodigati nel corso dei secoli per arricchire la Matrice di oggetti preziosi, arredi sacri, paramenti ed opere d'arte. Innanzitutto è da ricordare l'abate Giuseppe Coniglio, vicario foraneo, che lasciò alla cappella dei Santi Pietro e Paolo un ingente capitale, sei mila onze. Il principe di Malvagna (il potere politico ha spesso fatto pressione sul potere religioso) chiese più volte a Cesare Gioeni, arciprete dal 1650 al 1702, di concedergli in prestito tale somma. Ma egli non accondiscese, benché sia stato costretto a subire persecuzioni e ad essere rinchiuso nella Cittadella di Messina insieme al sacrista, d'accordo col quale aveva nascosto il denaro dentro una tomba. Giacomo Gioeni, arciprete dal 1702 al 1737, istituì la chiesa di San Pietro erede universale dei suoi beni e molto egli fece per metterla alla pari con le cattedrali, restaurandola ed abbellendola con marmi e con pitture. A lui si deve la costruzione del campanile, completato nel 1709, come testimonia l'iscrizione a carattere cubitale che lo orna: "Iacobus Abbas Gioeni Aragona Vicarius et Visitator Generalis Anno 1709". E fu egli che la fece consacrare per la prima volta il 18 novembre 1717 da mons. Migliaccio, arcivescovo di Messina, alla quale diocesi Castiglione appartenne fino al 1872. Antonino Sardo (1781-1823) non fu da meno del Gioeni, ottenendo importanti privilegi, mentre Giovan Battista Calì Sardo (1823-1874), nipote del precedente, molto si adoperò per il suo restauro dopo il disastroso terremoto del 1818, anno in cui venne chiusa al culto. Riaperta nel 1837, venne riconsacrata il 27 giugno 1889 dall'illustre castiglionese mons. Luigi Cannavò, vescovo di Smirne, assistito da mons. Genuardi, vescovo di Acireale. All'arciprete Calì si deve anche la sistemazione di tutto il materiale superstite ai numerosi incendi con la creazione di un vero e proprio archivio e la fondazione della Biblioteca Villadicanense, arricchita con pregiati volumi, incunaboli e manoscritti, alcuni dei quali purtroppo andati dispersi. Entrando dalla porta principale balzano subito agli occhi quattro tele di grandi dimensioni, poste sugli altari laterali. La prima raffigura l'episodio evangelico della Madre di Zebedeo che chiede a Gesù di far sedere nel Regno dei Cieli i propri figli, Giacomo e Giovanni, uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra; la seconda la Conversione di San Paolo, dipinta nel 1917 da Paolo Leonardi; la terza il vescovo San Biagio; la quarta l'Immacolata. 9 Nei due bracci di destra e di sinistra sono le Cappelle del SS. Crocefisso e del Sacramento. La prima trae il nome da uno splendido crocefisso scolpito in un unico pezzo d'arancio nel XVII secolo, la seconda dal fatto che vi si conserva il Cristo nelle mistiche specie in un dorato tabernacolo, sovrastato da una espressiva figura del Redentore. Sopra l'arcata della navata centrale invece nel 1951 è stato realizzato un grande affresco da G. Licata e F. Contraffatto, che raffigura Gesù Cristo nell'atto di consegnare le chiavi a San Pietro, mentre gli altri apostoli, tra cui San Paolo, gli fanno cerchio. Infine sono da ricordare, oltre al fonte battesimale dovuto all'arciprete Gioeni, i pregevoli ritratti degli arcipreti e dei sacerdoti più illustri di Castiglione, collocati in sacrestia al di sopra di un pregevole mobile settecentesco, e la Meridiana, unica esistente nella valle dell'Alcantara, costruita dall'astronomo palermitano Temistocle Zona nel 1882. La Chiesa di Sant'Antonio Abate In uno dei quartieri più caratteristici e più antichi di Castiglione, quello dei Cameni, sorge la Chiesa di Sant'Antonio Abate. Essa venne cominciata a costruire nel 1601, quando la vecchia chiesa, che sorgeva nei pressi del torrente San Giacomo, era stata rovinata da una frana. Mancando i mezzi per realizzarla, i rettori pensarono di ricorrere ai contributi di persone devote e soprattutto dei componenti della Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio, che era stata fondata il 20 ottobre del 1605 con un privilegio dell'arcivescovo di Messina F. Bonaventura, patriarca di Costantinopoli. Ma la confraternita, detta anche dei Bianchi o dei Trentatré perché poteva avere solo un tale numero di associati scelti tra l'aristocrazia, venne ben presto sciolta e sostituita da quella di Sant'Antonio Abate, tuttora fiorente. Quando la chiesa venne ultimata non aveva rendite ed era molto semplice e spoglia. Ma alla fine del secolo fu abbellita ed arricchita soprattutto da parte della famiglia Sardo con lasciti e benefici, divenendo il gingillo dell'aristocrazia castiglionese. Fu infatti ad opera di Melchiorre Sardo Roggeri, procuratore della chiesa, che venne decorata nel secolo successivo con marmi a mosaico, eseguiti da Tommaso Amato nel 1712, e con tele del Tuccari, pittore messinese. Sul finire del XVIII secolo il procuratore Melchiorre Sardo Campisi fa completare l'esterno con una stupenda facciata. Sulla porta maggiore si legge l'anno: 1796. La concava facciata, nobilitata da modanature classiche, dà a tutto l'insieme un tocco armonioso di linee e forme che non risentono degli eccessi del barocco, forse perché dovuta a maestranze locali che si sono avvalsi di modelli romani. Il campanile, delimitato nelle strutture architettoniche dalla pietra lavica, spicca con la sua cupola a bulbo rispetto al resto della chiesa, nella quale abbonda l'arenaria. Questo gioco di chiaroscuro, molto bene adeguato ai frontespizi dei palazzi che circondano la piazza, dà al complesso architettonico leggerezza e grazia. L'interno della chiesa, ad una sola navata, con una cappella laterale, offre una visione globale serena, luminosa ed armonica. Tra i mosaici policromi, equilibrati nelle loro linee strutturali, bello ed espressivo è l'altare maggiore (l'unico rimasto dopo l'eliminazione in passato di quelli laterali), nel quale spiccano il medaglione del paliotto che raffigura Sant'Antonio Abate, lo stupendo tabernacolo, le colonne tortili e le lesene laterali, oltre alle due piccole mensole collocate ai suoi lati che tratteggiano, quella di sinistra un pappagallo che divora dei frutti, quella di destra una scena di caccia. Splendido ed unico è anche l'arcone centrale in marmo di Taormina che divide la navata dall'abside. Alcune tele, qualcuna delle quali purtroppo non molto ben conservata, rappresentano la vita del Santo anacoreta. Nella prima di sinistra, ad esempio, Sant'Antonio e San Paolo Eremita appaiono seduti all'ingresso d'una tomba scavata nella roccia, nella seconda è raffigurato il Santo tentato dal demonio che compare sotto forma di donna, nella terza la 10 Madonna, detta Odigitria, protegge il viaggio di due frati. Altre due tele raffigurano San Michele Arcangelo che sconfigge Satana e un angelo custode che tiene per mano un bambino. Tra le altre opere d'arte degna di rilievo è sicuramente la statua in legno di Sant'Antonio, dovuta a Nicolò Bagnano e voluta dal barone Santo Camardi, che dovette dare all'autore una somma maggiore della pattuita in quanto l'opera sotto il profilo artistico riuscì superiore alle aspettative dello scultore. La Chiesa di San Marco La Chiesa di San Marco, un tempo una delle tre parrocchie di Castiglione insieme a quelle di Santa Maria e di San Pietro, ha un grande rilievo sotto l'aspetto storico. Alcune finestre di stile normanno ed un arco a sesto acuto, riapparso durante i lavori di restauro ancora in corso, lasciano intuire che la sua costruzione è contemporanea alla chiesa di San Nicola e a quella di San Pietro (secolo XII). Il primitivo tempio venne però ampliato e modificato intorno al XVII secolo, costruendovi anche un campanile. L'interno conservava alcune tele del Chitè e del Gramignani, ora poste in altre chiese, alcuni affreschi ormai irrimediabilmente perduti, molti pregevoli marmi di altari e stucchi barocchi, un caratteristico pulpito-confessionale in legno ornato con molti fregi ed incisioni, un pezzo ricco di grazia formale, opera di buon artigianato barocco. D'un certo rilievo per la storia di questa chiesa è la notizia che diversi storici ci riferiscono, cioè la presenza di un'urna mortuaria, poi trasformata in fonte d'acqua benedetta, sulla quale era incisa una iscrizione latina: "Diis Manibus Liunio Asia Tirano vix anni XXIII Marcia Severa bene de se merito", cioè "Agli dei Mani per il meritevole Liunio Tirano proveniente dall'Asia, vissuto 23 anni, dedica Marcia Severa". L'iscrizione riporta al periodo romano e diversi storici, tra cui il Lamonica e il Giannetto, hanno supposto che vi si potesse trovare un tempio pagano. L'urna nel 1613, sotto l'arcipretura del Rametta, in tempi cioè di restaurazione religiosa, venne fatta voltare da alcuni gesuiti con l'iscrizione verso il muro, mentre l'arciprete Riganato nel 1645 la fece addirittura murare nel fonte battesimale. La Basilica della Madonna della Catena Tra il Castello e il Castelluccio, la parte centrale di quell'ampia fortificazione che copriva l'intera sommità della collina, si trova la chiesa di San Giacomo Apostolo, meglio nota con il titolo di Basilica della Madonna della Catena per la stupenda immagine che vi si venera. Essa è una delle più belle chiese e sicuramente la più grande di Castiglione. La sua costruzione ebbe inizio nel 1655, in seguito ad una frana che interessò l'antica chiesa dedicata allo stesso Santo e posta appena fuori paese lungo il torrente San Giacomo, all'interno della quale fin dal XV secolo era fiorita la devozione della Madonna della Catena, giunta a Castiglione quasi subito dopo il miracolo avvenuto a Palermo nel 1392. Ma fu solo a partire dal 1612, in seguito al miracoloso sudore della statua, verificatosi mentre i cittadini si prodigavano per il riscatto del mero e misto impero, che la sua devozione si consolidò. La nuova piccola costruzione venne, tra la fine del XVII secolo e la metà di quello successivo, ampliata ed abbellita con una monumentale facciata barocca, realizzata da Baldassare Greco, cui si deve anche la Statua di San Filippo del 1744, collocata nella nicchia destra. La Statua di San Giacomo invece, sulla sinistra, è dovuta a Tommaso Amato, che la realizzò nel 1709 poco prima dei mosaici di Sant'Antonio Abate. Tra il 1860 e il 1880 l'unica navata della chiesa è stata trasformata a croce latina e coronata da un'ampia ed imponente cupola. Agli inizi di questo secolo, però, è stata ancora modificata e ingrandita, assumendo l'attuale forma a croce greca. Data la grande rilevanza che essa ha assunto da più secoli per la popolare devozione verso la Madonna, nel 1986 viene 11 elevata a basilica minore, per cui tanto si prodigò l'arciprete don Gaetano Cannavò e soprattutto mons. Gaetano Alibrandi, nunzio apostolico d'Irlanda. All'interno vi si trovano pregevoli opere d'arte. Prima fra tutte spicca la Statua della Madonna della Catena, in marmo bianco di Carrara, del peso di circa sette quintali. Incerto è l'autore, ma appartiene con sicurezza alla scuola dei Gagini, famiglia di scultori che operò in Sicilia dal XVI al XIX secolo. I documenti e le ipotesi vertono tutti su Giacomo e Antonio, figli di Antonello. La grazia singolare dell'opera, la raffinatezza dei volti della Madre e del Bambino e la corposità del manto fanno presumere un'influenza michelangiolesca. Giacomo Gagini, infatti, fu per alcuni anni discepolo del grande artista fiorentino. In onore della Madonna si svolge ogni anno una sontuosa festa, che è tra le più sentite nell'alta valle dell'Alcantara. Nel XVII e XVIII secolo essa si svolgeva il giorno successivo a quella di San Giacomo, cioè il 26 luglio, mentre dal 1784 si celebra la seconda domenica d'agosto. Nel 1809, in seguito ad una colata lavica che devastò parte del territorio comunale, dopo un voto pubblico che prevedeva un digiuno annuale, nacque invece la cosiddetta festa votiva, che si doveva celebrare la prima domenica dopo Pasqua, ma che a partire dal 1848, non sappiamo per quali motivi, venne spostata alla prima domenica di maggio. Tra le altre opere d'arte che la chiesa conserva sono da ricordare un Crocefisso ligneo del XVIII secolo, una Santa Margherita Maria Alacoque del 1890 del pittore romano Pietro Vanni, un San Marco Evangelista e una Pentecoste realizzate nel 1779 da Francesco Gramignani. Pregevoli sono anche gli stucchi, dovuti a Giovanni Pannucci di Bronte che li realizzò tra il 1886 e il 1889. La Chiesa di Santa Maria Percorrendo la via Santa Maria si scoprono subito alcuni dei quartieri più antichi e caratteristici di Castiglione con le loro viuzze strette, ripide e spesso a gradini, con le case piccole ed addossate l'una sull'altra, con qualche raro orto. Chi vi si avventura rimane affascinato da questo squarcio di Medioevo rimasto quasi intatto. La struttura dell'abitato è tipicamente normanna, anche se con molta probabilità già i greci bizantini vi si erano stabiliti, e i nomi dei tre quartieri intersecati dalla via lo confermano: San Basilio, Pagana, Santa Caterina. Il primo quartiere desume il nome da un'omonima chiesetta, di cui s'è persa ogni traccia; quello della Pagana dal fatto che vi abitava la popolazione di lingua araba rimasta dopo la conquista normanna; e infine quello di Santa Caterina dalla chiesetta di cui ancora esistono abbondanti ruderi. La Chiesa di Santa Maria, a tre navate, è stata edificata proprio addosso alle vecchie mura della città. L'interno, migliorato ed abbellito dall'arciprete Giacomo Gioeni, venne rifatto quasi completamente dall'arciprete Calì, che impiegò marmi tolti alla chiesa di Sant'Antonio Abate. In essa pregevole è l'altare di Maria SS. del Rosario, proveniente dalla chiesa di San Vincenzo. La Chiesa di San Benedetto Accanto alla chiesa di San Pietro sorge quella di San Benedetto, semplice nella sua linearità, la cui facciata è ornata dalle statue di San Benedetto e di Santa Scolastica. All'interno si può ammirare una splendida Madonna col Bambino, tela del pittore acese Vito d'Anna, sicuramente una delle opere più pregevoli che Castiglione possegga. Nelle adiacenze della chiesa intorno al 1400 era stato fondato un monastero da una pia donna, chiamata Linuccia, sotto il titolo di Santa Maria del Riposo. Ma dopo circa due secoli le monache vennero trasferite a Messina e l'edificio andò in rovina. L'attuale costruzione, adibita ad opera pia, un tempo fiorente orfanotrofio, è dovuta al sacerdote Giuseppe Coniglio e venne completata nel 1747. Dopo la soppressione delle corporazioni religiose l'edificio 12 divenne di proprietà comunale e alla fine dell'Ottocento fu affidato alle suore di Sant'Anna, che molto hanno dato sotto l'aspetto sociale e religioso a Castiglione e che purtroppo da qualche anno sono state chiamate in altre sedi. Altre chiese Accanto all'Orfanotrofio un tempo sorgeva il convento degli Agostiniani, fondato nel 1610. Soppresso nel 1866, come tanti altri ordini monastici, il Municipio vi insediò gli uffici del Comune. In seguito al terremoto del 1908 gli amministratori comunali credettero opportuno chiudere al culto anche la chiesa annessa, dedicata alla Madonna Annunziata e successivamente, nel 1935, al suo posto sorsero le scuole elementari. La Chiesa della Madonna del Carmine, secondo alcuni, ha origini bizantine e si dice che un tempo fosse la matrice del paese. Dedicata prima a San Martino, col sorgere del convento dei Carmelitani nel 1659 essa venne totalmente rifatta e consacrata alla Madonna del Carmelo. Il convento fiorì fino alla soppressione degli ordini religiosi nel 1866 e il fabbricato, in seguito al terremoto del 1908, venne abbandonato perché minacciava rovina. La chiesa, oggi completamente restaurata, conserva ancora pregevoli pitture attribuite a scuole diverse. Fra queste spiccano gli affreschi della volta, con figure allegoriche del vecchio testamento. La Chiesa di San Giuseppe, che sovrasta la piazza San Martino, è oggi un'ampia sala di ritrovo. Nel 1711 il sacerdote Giuseppe Badolato vi fece annettere un oratorio intitolato a San Filippo Neri con l'obbligo di mantenere le scuole di grammatica, filosofia e teologia. Ma con la sua morte tutto andò in frantumi. Nel 1840 vi si insediò la confraternita di San Giuseppe che, disciolta nel 1843, si ricostituì nel 1850. Nella cripta, adibita fino al XIX secolo al trattamento dei cadaveri per la successiva sepoltura, si trovano alcuni pregevoli affreschi, fra cui d'un certo rilievo è il trapasso di San Giuseppe. Numerose altre chiese si trovano nel circuito suburbano, tra cui quella in stile neoromanico della Madonna di Lourdes che, inaugurata il 6 febbraio 1904, dall'alto domina l'intero paese, offrendo un suggestivo panorama; quella della Madonna della Luce da tempo abbandonata e infine quella di Santa Barbara, ormai chiusa al culto. La Chiesa di San Nicola La Chiesa di San Nicola invece è una delle più antiche e suggestive di Castiglione. Essa s'innalza proprio sulle sponde del fiume Alcantara, accanto all'antica strada regia che collegava Messina a Palermo attraverso l'interno dell'isola. La chiesa, che fu cappella del monastero dei monaci cassinesi, presenta dal punto di vista architettonico un grazioso rosone, un portale principale a sesto acuto, alcune finestre monofore e una porta cinquecentesca nel lato nord. Essa venne costruita probabilmente intorno al 1338 come si legge in una iscrizione, riportata dallo storico siciliano Rocco Pirro, che dice: «Il monumento è stato posto in opera nell'anno 1338 da Mastro Isidoro con la grazia di Dio». All'interno nell'abside sono stati scoperti di recente degli affreschi bizantineggianti d'un certo rilievo: un Cristo Pantocratore con i dodici apostoli, alcuni angeli e nella parete frontale quattro figure: due vescovi e due diaconi. I vescovi, i cui volti non sono ben identificabili, potrebbero essere San Nicola, cui era dedicata la chiesa, e San Martino, cui i castiglionesi erano molto devoti. Alla fine del XV secolo tali affreschi vennero coperti con la calce, mentre le pareti laterali furono dipinte con figure geometriche a tempera e con personaggi raffiguranti San Nicola, posto entro una nicchia e molto simile nell'iconografia al San Nicola del Gagini di Randazzo, una Madonna col Bambino e degli angeli. La Cuba bizantina 13 Una particolare attenzione richiede la Chiesa di Santa Domenica, detta comunemente Cuba, la cui struttura è a pianta quadrata e divisa da quattro pilastri in tre navate. La copertura è fatta con tre sistemi diversi. L'abside ha una volta a conca, le due navate laterali una volta a botte, quella centrale invece ha una cupola a superficie sferica con nascimenti angolari a mensola. Tracce di intonaco e di pittura lasciano intendere che l'interno doveva essere in parte affrescato. La caratteristica facciata dà l'impressione di una cappella basiliana e, come quella di San Nicola, ha l'abside rivolta verso oriente e la porta centrale verso occidente. La particolare costruzione della cupola a conci autoportanti di pomice squadrata, la caratteristica pianta basilicale, le finestre monofore, bifore e trifore, il discreto stato di conservazione, benché non ci sia stato intervento della pubblica amministrazione ricadendo il monumento in proprietà privata, ha spinto parecchi studiosi a farne oggetto dei loro studi. Primo tra tutti il Freshfield, poi il Sardo, il Bottari, il Lojacono e non ultimo il Pace nel 1938. Riguardo alla datazione il Pace, confrontandola con la chiesa di San Salvatore di Rametta, vede nella Cuba di Castiglione un momento stilistico posteriore, datandola in un periodo che va dalla fine dell'VIII all'inizio del X secolo. "La sua maggiore adesione a forme propriamente bizantine - scrive - va forse ricondotta all'afflusso di monaci dall'oriente che è registrato in questo periodo. In ogni caso l'assenza di qualsiasi elemento arabo-normanno conferma la sua sicura appartenenza al periodo bizantino prearabo, il quale del resto in questa parte siciliana verso Messina, si prolungò per mezzo secolo rispetto a Siracusa, occupando anche i primi anni del sec. X quando solamente, con la presa di Rametta, vi fu esteso il dominio musulmano". Una recente ipotesi invece, basata su osservazioni stilistiche, strutturali e architettoniche, quali per esempio la presenza di nascimenti angolari a mensola e la direzione dell'abside verso est, oltre alla divisione in tre navate che dà l'impressione di una croce latina, propugna l'idea che il monumento sia stato costruito nella primissima epoca normanna, subito dopo quindi la cacciata degli arabi dalla Sicilia. 14 Itinerario turistico urbano TEMPI DI PERCORRENZA: due ore, a piedi. DISLIVELLO: 70 metri. DIFFICOLTÀ: nessuna. PERIODO CONSIGLIATO: tutto l'anno. Per il centro storico di Castiglione è consigliato un itinerario turistico che può farsi benissimo in ogni periodo dell’anno e permette di visitare tutte le sue bellezze artistiche e monumentali. Si può giungere con la macchina direttamente in piazza Lauria, ma si consiglia lasciarla nella piazza XI febbraio, dove esiste un ampio parcheggio, d’obbligo per i turisti che giungono con il pullman. Dopo aver guardato da una panoramica balconata la vallata sottostante, dove si adagia il paese di Francavilla di Sicilia, si percorre un tratto della via Umberto. All’incrocio si consiglia di imboccare la via Federico, sulla destra, lastricata con basalti lavici. Subito dopo alcuni metri ci si imbatte in una scalinata costruita nel 1935, come indica il numero XIII della datazione del Ventennio. Ci si trova di fronte alle scuole elementari, che appunto intorno alla metà del secolo scorso sono state costruite al posto dell’antico convento degli Agostiniani, rovinato irrimediabilmente dal terremoto di Messina del 1908. Dopo aver percorso la leggera salita di via Abbate Coniglio, lungo la quale si costeggia l’ex Orfanotrofio Regina Margherita, si giunge in un piccolo slargo da dove è possibile ammirare il bellissimo campanile della Chiesa Madre, dedicata ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, e la chiesa di San Benedetto. Si sale sulla sinistra un’antica scalinata. Visitata la Chiesa Madre, si segue per un breve tratto la via IV novembre. A destra ci si immette subito nella piazzetta S. Antonio Abbate, sulla quale danno alcuni dei palazzi più antichi di Castiglione. Visitata la chiesa con i suoi marmi intarsiati e le sue tele, si prende la via Savoia e ci si immette nella via Federico. Dopo essere scesi per un breve tratto si incontra la chiesa di San Marco. Si percorre quindi la via San Marco, poi la via Madonna della Catena e, dopo aver imboccato una strada stretta e a gradini che sembra far immergere il visitatore nel Medioevo, si giunge nei pressi della Basilica della Madonna della Catena. In alto si possono ammirare i ruderi del Castello Piccolo, mentre in basso si presenta agli occhi del visitatore un meraviglioso panorama: la parte inferiore della valle dell’Alcantara con Francavilla e Motta Camastra. Percorrendo la via Pantano si può notare in basso lo snodarsi del fiume Alcantara sulla destra, mentre sulla sinistra si innalza da una parte la Basilica della Madonna della Catena e dall’altra il Castello che sorge proprio su caratteristiche rocce arenarie. Sempre ammirando il panorama sottostante è possibile osservare la torre circolare, detta Cannizzu, la chiesa di San Vincenzo e i quartieri di Santa Maria e della Pagana. Dopo aver visitato il Castello, si giunge di fronte alla Basilica della Madonna della Catena con la sua facciata baroccheggiante. All’interno, la bellissima statua della Madonna in marmo bianco del XVI secolo, opera di scuola gaginesca. Percorsa tutta la via Pantano si giunge in piazza Lauria, dove ha sede il Municipio, una costruzione secentesca rimaneggiata più volte sino agli inizi del secolo scorso. Si imbocca allora la via Regina Margherita, a basalti lavici, lungo la quale si incontra qualche bel palazzo settecentesco o ottocentesco, come quello dei Carciopolo o degli Imbesi. Nei pressi di quest’ultimo si trova anche la chiesa Santa Maria. Dopo essersi rimessi sulla via principale, lungo la quale si trova una mostra di vini siciliani e alcuni negozi di souvenir, si giunge nuovamente in piazza XI febbraio. 15 Beni ambientali e naturali La Parco dell’Alcantara Di Castiglione non si possono sicuramente lasciare sotto silenzio le bellezze ambientali del territorio, in particolare la Parco Fluviale dell'Alcantara e il Parco dell'Etna, che in un certo senso integrano i beni architettonici. La Parco dell’Alcantara è stata istituita con decreto del 10 aprile 1991, nell’ambito dell’approvazione del piano regionale di parchi e riserve naturali. La Riserva interessa diversi comuni, Randazzo, Roccella Valdemone, Moio Alcantara, Malvagna, Francavilla di Sicilia, Castiglione di Sicilia, Motta camastra, Graniti, Gaggi, Calatabiano, Taormina, Giardini Naxos, e prevede due zone: A e B. La zona A comprende praticamente il letto del fiume e le sue sponde, mentre la zona B va da una estensione minima di 100 metri ad un massimo di 600 metri. Di questa zona, oltre il 70% ricade nel comune di Castiglione di Sicilia. Il Parco è attraversata dal fiume Alcantara, uno dei più importanti della Sicilia. Esso è lungo 52 chilometri, nasce dal monte Feliciano nei pressi di Floresta a 1250 metri sul livello del mare e fa per buona parte da limite tra la provincia di Catania e quella di Messina. Le sue acque abbondanti, specialmente nel corso inferiore, rendono fertile ed ubertosa la valle ed alimentano nei pressi di Gravà e Mitogio due centrali idroelettriche, sorte all'inizio di questo secolo e ammodernate nell'ultimo decennio. Il fiume ha assunto nei vari secoli diversi nomi. I greci lo chiamavano Akesine o Assinos, come scrivevano nelle loro monete i naxioti, e forse anche Akis, collegando ad esso il mito di Aci e Galatea. I romani lo chiamavano Asines o Asinius. Il nome Alcantara invece risale agli arabi, i quali, conquistando la Sicilia tra il IX e il X secolo, si imbatterono, lungo la via consolare che da Messina portava a Siracusa, in un ponte di eccezionale robustezza e resistenza, costruito dai romani in pietra lavica nei pressi di Calatabiano. I nuovi conquistatori chiamarono il fiume al-Quantarah, cioè il Ponte. Il suo letto è costituito da un substrato roccioso di natura lavica basaltica di epoca preistorica. Da tempo si è ritenuto che tale lava provenisse dal vulcanetto di Moio Alcantara, ma recenti studi, compiuti da ricercatori dell'Università di Catania e di Palermo, hanno dimostrato che essa invece sarebbe derivata da eruzioni avvenute sulle pendici settentrionali dell'Etna, nella zona di Montedolce in territorio di Castiglione, tesi questa già sostenuta da Antonio Filoteo degli Omodei intorno alla metà del XVI secolo nella sua Descrizione della Sicilia. La colata lavica raggiunse la costa ionica e, raffreddandosi rapidamente, produsse forme particolari di rocce chiamate colonnari basaltici di sezione poligonale con interposte fessurazioni. Nei millenni successivi l'azione erosiva dell'acqua portò alla formazione di vere e proprie voragini in cui i colonnari basaltici vennero messi a nudo. Si spiegherebbe così la genesi delle gole della contrada Giardinelli, di Mitogio e di Ficarazzi, meglio note queste ultime come Gole dell'Alcantara. La profonda voragine, larga mediamente 5 metri, alta circa 50 e lunga quasi mezzo chilometro, può essere davvero considerata una delle più spettacolari opere della natura. Avventurarsi nei suoi meandri suscita infinite emozioni, causate soprattutto dallo stupendo gioco di acqua e di luce, oltre che dalle ripide pareti di nere rocce laviche, che a volte sembrano pendere da invisibili fili sospesi nel vuoto. La Riserva dell'Alcantara offre anche una vegetazione unica, con i suoi oleandri fioriti per sei mesi all'anno, con i salici che crescono spontanei lungo le sponde del fiume, con i platani che ombreggiano le sue rive, con le querce che si ramificano nel cielo. Non mancano piante erbacee e fiori spontanei: orchidee, asfodeli, verbaschi, euforbie, valeriane, zafferani, ciclamini, anemoni, lupini, cecerchie, rosolacci. Anche le ginestre, che si insediano sulla viva sciara, con i loro fragili fiori coprono decine di ettari di terreno. Tali condizioni favoriscono il 16 moltiplicarsi della fauna. Non è raro incontrare infatti istrici, volpi, ghiri, ricci, conigli, faine, taccole, gufi, ghiandaie, gazze, cardellini, upupe e allocchi. 17 Il Parco dell’Etna L’Etna è un vulcano sulle falde del quale l’uomo da migliaia di anni convive con il fuoco. In questa splendida meraviglia della natura colate di lava coesistono con zone verdeggianti adibite a pascolo. Boschi secolari di querce, pini, faggi e betulle proteggono pometi e vigneti posti sui fianchi della montagna. Il Parco dell’Etna ha la funzione di conservare e proteggere questo autentico spettacolo della natura. I comuni, il cui territorio ricade nell’area del Parco, sono: Adrano, Belpasso, Biancavilla, Bronte, Castiglione di Sicilia, Giarre, Linguaglossa, Maletto, Mascali, Milo, Nicolosi, Pedara, Piedimonte Etneo, Randazzo, Ragalna, Sant’Alfio, Santa Maria di Licodia, Trecastagni, Viagrande e Zafferana. L’Etna non è solo il vulcano più attivo d’Europa, ma una montagna dove sono presenti colate laviche recenti, su cui ancora non si è insediata alcuna forma di vita, e colate laviche antichissime, su cui sono presenti boschi di pino laricio, faggio e betulla. Il Vulcano ha una perimetro di base di circa 250 km ed una superficie di 1260 kmq. La sua altezza, in corrispondenza dei crateri sommitali, raggiunge la quota di 3350 metri, ma tale altezza varia nel tempo, in quanto la sua attività spesso determina crolli e accrescimenti. Se facciamo una passeggiata in auto lungo le sue falde vediamo un paesaggio rurale unico, di cui caratteristiche sono le case costruite con pietra lavica a secco, con i tetti ricoperti dai cosiddetti coppi. Così furono costruiti in passato ricoveri e case di campagna, palmenti e magazzini che arricchiscono e abbelliscono il paesaggio di mezza montagna. Anticamente vivevano nell’area animali ormai scomparsi come cinghiali, daini, caprioli e lupi. Le cause della loro scomparsa sono state l’apertura di nuove strade, il diboscamento selvaggio e la caccia. Nonostante questo sull’Etna vivono ancora istrici, volpi, gatti selvatici, martore, conigli, lepri e altri animali più piccoli come il ghiro e il riccio. Moltissimi sono gli uccelli e in particolare i rapaci, tra i quali troviamo lo sparviero, il falco pellegrino, l’aquila reale tra i diurni, tra i notturni invece il barbagianni, l’assiolo, il gufo comune. Tra le diverse specie di serpenti, l’unica pericolosa è la vipera, la cui presenza negli ultimi anni è aumentata per la distruzione dei suoi predatori. Il Parco dell’Etna è stato il primo ad essere istituito in Sicilia nel marzo 1981. Nel Parco, quasi giardino del Mediterraneo, molte specie arboree crescono tra le nude rocce e gli animali selvatici vivono la loro perenne libertà. Noti sono gli estesi boschi di pini, di faggi, di castagni, di betulle, di querce e di pioppi. Tra le piante endemiche sono da ricordare la ginestra dell'Etna (Genista aetnensis), la calicotome infesta, il citiso (Cytisus villosus Pourret), la saponaria sicula e, ad altezze considerevoli, lo spino santo (Astragalus siculus). Note sono anche diverse specie di funghi commestibili. In particolare si ricordano il porcino nero (Boletus aereus), il fungo di ferula (Pleurotus eryngii var. ferulae), i chiodini (Armillaria mellea), la mazza di tamburo (Lepiota procera), i gallinacci (Cantharellus cibarius), i prataioli (Psalliota campestris ed arvensis), varietà diverse di clitocibe (Clitocybe cinerascens e geotropa). L’Etna ha sempre attirato molti viaggiatori, alcuni dei quali hanno lasciato anche delle testimonianze scritte. Tra i più noti ricordiamo Empedocle, che dice la tradizione si sia gettato dentro il cratere, e poi l’imperatore romano Adriano che è salito sul cratere centrale. Anche Pietro Bembo, uno scrittore del XVI secolo, ha visitato l’Etna, ma le sue informazioni sono molto limitate. Descrizioni dettagliate e cronache accurate, oltre a una grande quantità di toponimi, ci vengono invece lasciate da due viaggiatori del ‘500: Tommaso Fazello e Antonio Filoteo degli Omodei. Filoteo, nato a Castiglione di Sicilia, ci racconta anche delle attività lavorative legate alla montagna e descrive l’esplorazione di una grotta, quella di Monte Dolce. Con lui si può dire che è nata la speleologia dell’Etna, perché primo si avventura anche in numerose altre grotte. Nella seconda metà del ‘700 i viaggiatori aumentano e soprattutto riproducono su cartoncino numerosi scorci del Vulcano. Il più noto rimane Jean Hovel, molto ricercato nelle 18 sue efficaci riproduzioni. Col passare del tempo si fanno sempre più numerose le persone che vogliono visitare l’Etna, perciò si rende necessario un nuovo mestiere: la guida alpina. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento l’Etna diventa una meta turistica consueta. A Nicolosi a partire dal 1875 il servizio delle guide viene organizzato dalla sezione catanese del Club Alpino Italiano (CAI). Ha così inizio l’era contemporanea delle escursioni guidate sull’Etna. 19 Il campo da golf Uno scenario perfettamente integrato con l'ambiente, ma frutto del lavoro umano, è il Campo da Golf, sorto negli ultimi anni nella zona D del parco dell'Etna, nei pressi di Rovittello, una delle sei frazioni di Castiglione. I fratelli Leonardi di Acireale, insieme ad alcuni amici, hanno trasformato un infruttuoso terreno in un complesso variegato di colline coperte da prati frammezzati da chiazze di bosco (querce, bagolari, noccioli). E' l'unico in Sicilia a 18 buche e ciò gli permette di presentarsi con le carte in regola nei salotti buoni del golf italiano ed europeo. Per arrivarci, da Catania o da Messina, bisogna prendere l’autostrada A18, uscire a Fiumefreddo e proseguire lungo la S.S. 120 in direzione Randazzo. Dopo aver attraversato Linguaglossa, a circa 800 metri oltre il bivio per Castiglione, sulla sinistra si incontrano due grandi pini, tra i quali vi è un cancello: è l’ingresso del Picciolo Golf Club. 20 Le grotte L'Etna, chiamato anche Mongibello, è il vulcano attivo più alto d'Europa ed ha stimolato da sempre la fantasia popolare, ispirando poeti e scrittori di tutti i tempi. Sulle sue pendici, accanto a colate laviche preistoriche ricche di vegetazione, sono presenti colate recenti sulle quali non si è ancora insediata alcuna forma di vita. La lava spesso ha scompaginato l'assetto morfologico del territorio, seppellendo per sempre fertili terreni e alterando il flusso di corsi e sorgenti di acqua. Al fenomeno vulcanico è legata pure la formazione di numerose grotte, molte delle quali ricadono nel comprensorio di Castiglione. Utilizzate dall'uomo fin dalla preistoria, come dimostrano i reperti dell'età del bronzo in alcune di esse rinvenuti, prendono origine da un meccanismo peculiare. Mentre le grotte carsiche, infatti, si formano per l'azione sulle rocce carbonatiche delle acque meteoriche che scorrono nel sottosuolo, quelle vulcaniche si costituiscono durante l'eruzione della lava attraverso lo svuotamento della colata per le diverse caratteristiche reologiche tra interno ed esterno. Alcune grotte vanno semplicemente menzionate: grotta Anemmi, Acquaria, dei Ladroni, Bue, Ilicio. Altre meritano invece una descrizione più dettagliata. La Grotta di Montedolce, situata a circa 800 metri sul livello del mare e descritta per la prima volta dallo storico castiglionese Antonio Filoteo degli Omodei nella sua opera Aetnae topographia, è ubicata a circa 200 metri a sud-est del Montedolce, a pochi metri dal ciglio della strada di penetrazione agricola ivi esistente. La grotta si presenta al visitatore con un'ampia e profonda volta che va a digradare fino a trasformarsi in uno stretto cunicolo lungo circa cinque metri, oltre il quale si accede in una grande cavità alta mediamente otto metri, larga altrettanto e profonda circa 75 metri. Scrive il Filoteo: «Alla fine vinti dal freddo e dal gelo pungente, sebbene fossimo quasi al solstizio d'estate, ma anche da terribile paura, senza aver trovato il termine della caverna, aggomitolando di nuovo la fune, ripercorremmo il cammino fatto e tornammo alla luce, a rivedere il volto del sole, senza aver portato a termine l'impresa». Certamente più per la paura dell'ignoto che per il freddo e il gelo! A quota più alta, a circa 1575 metri sul mare, in contrada Germanera si trova la Grotta delle Palombe, descritta dal Filoteo ed esplorata scientificamente verso la metà del secolo scorso dal Gemmellaro e da Sartorius von Walterhausen. Secondo recenti ricerche speleologiche non si tratterebbe di una grotta a scorrimento lavico, bensì di una «cavità da frattura», cioè di una cavità che si forma alla fine di una eruzione per svuotamento della frattura interposta tra bocca eruttiva e condotto principale di risalita del magma. Si trova nei dintorni di una casermetta della forestale, è percorribile per circa cento metri e prende il nome delle Palombe perché in essa trovano rifugio le colombe selvatiche. Ad una quota di poco superiore si trova la Grotta delle Femmine, percorribile per circa 80 metri, all'interno della quale sono stati trovati reperti archeologici riconducibili allo stile ceramico di Castelluccio di Noto dell'antica età del bronzo (prima metà del secondo millennio a. C.). A circa 1770 metri sul livello del mare, in una zona chiamata Passo dei Dammusi caratteristica per la presenza delle cosiddette lave a corda e a lastroni, si trova la Grotta dei Lamponi, profonda circa 700 metri. E' caratterizzata dalla presenza delle cosiddette stalattiti da rifusione che derivano dalla fluidificazione della lava della volta a seguito di una reazione tra gas liberati dal magma e ossigeno proveniente dall'esterno attraverso fenditure. La grotta è raggiungibile percorrendo la strada sterrata che dalla caserma Pitarrona porta verso Randazzo. Trovandosi a così alta quota non si può fare a meno di salire a circa 2000 metri in contrada Sciara del Follone, ricadente nel comune di Randazzo e raggiungibile dal Passo dei Dammusi attraverso un percorso naturalistico di eccezionale rilievo, per visitare la Grotta del Gelo lunga circa cento metri, perennemente occupata da depositi di ghiaccio che producono particolari effetti ottici per via della rifrazione della luce. 21 Le colate laviche Molte sono state le colate laviche avvenute nel corso della storia nel territorio castiglionese. Di quelle preistoriche possiamo solo costatarne l’esistenza, ma poche testimonianze scritte abbiamo di quelle di epoca greca, romana e alto medievale. Una prima data certa ce l’abbiamo per il 1285, quando una imponente eruzione provocò gravi danni al territorio, così come riferisce uno storico del ‘700, Giuseppe Luigi Sardo. Essa nel suo percorso incontrò la chiesetta di Santo Stefano, che circondò miracolosamente senza devastarla. Del 1566 è invece una colata che partì, secondo il Gemmellaro, dal bosco di Castiglione delle Concazze, giungendo alle basse falde del vulcano. Ancora dello stesso secolo nota è quella detta delle Sciarelle, di cui è visibile il cono che vi ha dato origine. Questa eruzione ha fatto nascere il modo di dire popolare: Misiricordia dissinu l’ariddi quannu focu ittanu li Sciareddi. Nel 1603 avvenne la colata di monte Alastruso, che devastò tutte le campagne sottostanti, mentre nel 1643 si verificò un’altra colata lavica dal monte delle Concazze nel bosco di Castiglione. Nel 1646 da Montenero si aprì una voragine e la lava scorse fino alla strada che collegava Linguaglossa a Randazzo. Secondo il Manoscritto Sardo nel 1735 si verificò un’imponente eruzione, forse dal cratere sommitale. Grande pioggia di lapilli e sabbia infatti cadde sulla città di Castiglione dalle ore 22 per tutta la notte successiva, tanto che lo strato di cenere raggiunse l’altezza di ben 4 centimetri. Nel 1809 un grande torrente di fuoco dal Monte Santa Maria si diresse verso la piana cosiddetta di Cerro. La colata raggiunse la contrada Pìcciolo, proprio ai confini tra il territorio di Linguaglossa e Castiglione. Nel 1879 tra le contrade Timpa Rossa e Montenero si ebbe un’altra imponente eruzione che, attraversando le contrade Collebasso e Passochianche, giunse a Passopisciaro, devastando una grandissima quantità di vigneti. La lava durò 11 giorni, dal 26 maggio al 6 giugno. Tredici giorni invece durò quella di Solicchiata nel 1911, che devastò una grande quantità di vigneti. La lava era scaturita ad un’altezza di 2250 sul livello del mare e raggiunse nella quota più bassa i 550 metri. Del 1923 invece è la colata di Cerro che si sovrappose in buona parte a quella del secolo precedente che era scaturita dalla contrada Cirmanera nel 1809. Creatasi la spaccatura a 2500 metri raggiunse i 600 metri s.l.m, distruggendo completamente la frazione di Castiglione denominata Catena. Del 1943 è invece una colata lavica scaturita dal Montenero, ed è l’ultima in ordine di tempo nel territorio castiglionese, ma che in buona parte si era sovrapposta a colate precedenti. Percorsi naturalistici 22 Suggeriamo, per chi vuole conoscere gli angoli più suggestivi del fiume Alcantara e nel contempo visitare alcuni monumenti e beni storico-artistici del territorio, i seguenti itinerari: DA GRAVÀ ALLE GOLE DELL'ALCANTARA IN CONTRADA FICARAZZI TEMPI DI PERCORRENZA: dieci minuti con l'auto, tre quarti d'ora a piedi. DISLIVELLO: in pianura. DIFFICOLTÀ: nessuna. PERIODO CONSIGLIATO: tutto l'anno. Il nucleo abitato di Gravà si raggiunge abbandonando la Statale 185 nei pressi di Francavilla e immettendosi sulla Provinciale 220. Raggiunto il centro abitato si gira a sinistra in via Volta Pafumi, che di fatto corrisponde alla Provinciale 81. Dopo circa un chilometro la strada si restringe, non è più asfaltata, bensì sterrata. La si percorre per circa un chilometro e mezzo fino a che, superato il nucleo abitato di Ficarazzi - poche case ai margini della strada -, si arriva in un ampio piazzale di proprietà privata, situato a sinistra e contornato da alberi di quercia dove si può parcheggiare. Da lì si ode già il mormorio delle turbolente acque e si diparte un viottolo scosceso, delimitato da ringhiere metalliche, che porta verso il fiume. Dopo pochi metri si possono ammirare dall'alto il profondo baratro delle gole e i caratteristici colonnari basaltici: uno scenario veramente suggestivo ed emozionante! Sul versante opposto, in contrada Larderia, esiste una struttura ricettiva che di fatto ha permesso da anni la fruizione di questo bene ambientale. 23 DALLA CHIESA DI SAN NICOLA ALLA CUBA BIZANTINA TEMPI DI PERCORRENZA: dieci minuti con l'auto, un'ora a piedi. DISLIVELLO: cento metri circa. DIFFICOLTÀ: molto consistenti lungo il corso del fiume, nessuna seguendo il percorso in macchina. PERIODO CONSIGLIATO: tutto l'anno. Dopo aver visitato la chiesa di San Nicola con i suoi affrechi bizantineggianti, accostandosi alla riva del vicino Alcantara, si può ammirare il massiccio ponte in pietra lavica squadrata, a sesto acuto, di epoca normanno-sveva, con le fondamenta incastonate sulle solide rocce basaltiche che delimitano il letto del fiume. Il ponte faceva parte integrante della cosiddetta trazzera regia che da Messina portava a Palermo attraverso l'interno dell'isola. Da qui si può risalire a piedi l'Alcantara sulla sponda destra e dopo circa un chilometro di percorso, più o meno agevole, tra cespugli, arbusti, alberi e grosse pietre levigate dall'acqua, ai margini dei terreni coltivati, si intravedono le inconfondibili gole in contrada Giardinelli, chiamate anche Piccole Gole. Da qui, imboccando una stradina asfaltata in direzione sud, si arriva dopo poche centinaia di metri alla Cuba bizantina di Santa Domenica. Chi non è in condizione di seguire questo percorso naturalistico a piedi, può risalire verso Castiglione fino al bivio Galluzzo, immettersi sulla Provinciale 7/II e imboccare la seconda strada di penetrazione agricola che si incontra dopo alcune centinaia di metri sulla destra, recentemente ristrutturata con fondo stradale e muri laterali in pietra lavica per rendere più agevole la visita della Cuba e delle Piccole Gole. E' presente in loco adeguata segnaletica turistica. 24 DA GRAVÀ O DA CASTIGLIONE PER MONTE MIRAMARE TEMPI DI PERCORRENZA: due o tre ore circa. DISLIVELLO: da 219 metri presso il torrente Medda a 826 metri del Monte Salice DIFFICOLTÀ: limitate partendo da Castiglione, più consistenti da Gravà. PERIODO CONSIGLIATO: autunno e primavera. Per andare al Monte Miramare si possono seguire due itinerari: 1) Da Castiglione si imbocca la via Rosario Cimino per giungere alla vecchia ferrovia FCE e seguirne il tracciato. Dopo qualche chilometro, ci si immette sulla sinistra in una strada sterrata tra noccioleti e vigneti finché non ci si imbatte in una nicchia con l'immagine della Madonna. Da quel momento in poi ci si trova sulla cresta della collina da dove si può proseguire ammirando da una parte il mare e la bassa valle dell'Alcantara, dall'altra l'alta valle costellata dai suoi numerosi paesi. 2) Da Gravà è possibile andare al monte Miramare fermandosi con la macchina appena si incontra il torrente Medda. Da quel punto, lungo una strada sterrata si costeggia per qualche chilometro il torrente. Dopo aver attraversato ripidi pendii tra ampelodesmi e querce, si giunge ad un pianoro, dove sono ancora leggibili alcuni ruderi. Si tratta del Monastero dell'Alto Milio, fondato nel 1610 dagli Agostiniani. Ci si imbatte quindi in una seconda strada sterrata. Si può proseguire verso est e immettersi tra una vegetazione spontanea ed unica. Di tanto in tanto appaiono vecchi casolari, case coloniche o semplici rifugi di contadini. Tutto il territorio si trova nella Riserva dell'Alcantara. Continuando la strada si arriva al monte Vutturi e poi al monte Miramare. Si può proseguire quindi per Linguaglossa, passando per monte Salice, o ritornare sui propri passi. 25 Uomini di cultura Sotto l'aspetto culturale Castiglione ha sempre mostrato molta vivacità. Numerosi sono stati gli studiosi, gli scrittori, gli storici che hanno lasciato ampia e documentata testimonianza di sé A partire dal XVI secolo spiccano due figure originali e di un certo rilievo della cultura siciliana. Innanzitutto lo storico Antonio Filoteo degli Omodei, autore di una Descrizione della Sicilia, scritta in un italiano accademico e avvincente nella lettura, cosa rara per uno scrittore del Cinquecento, quando i libri di storia di solito venivano scritti in un italiano misto a dialetto o in latino. L’opera non ha nulla da invidiare al coevo De Rebus Siculis di Tommaso Fazello. Il Filoteo è autore anche dell'Aetnae Topographia, una meravigliosa descrizione dell’Etna pubblicata nel 1591, e di una Compilazione dei Decreti del Concilio di Trento. Un suo consanguineo, forse fratello, forse cugino, era invece Giulio Filoteo di Amadeo, autore di un prolisso romanzo in quattro volumi dal titolo La notabile et famosa historia del felice innamoramento del Delfino di Francia et di Angelina Loria. Il romanzo racconta la ben nota leggenda di Angelina. Nel Seicento spicca tra i letterati il sacerdote Michele Felsina, che scrisse numerosi epigrammi in onore del re Carlo II e del papa Innocenzo XI. Nel secolo successivo brillò invece il giurista Giuseppe Luigi Sardo, che compose una pregevole monografia su Castiglione e sui suoi usi e diritti civici. Nell'Ottocento un grande impulso diede alla cultura l'arciprete Giovan Battista Calì Sardo, il quale fondò la Biblioteca Villadicanense e sistemò l'archivio ecclesiastico, mentre Emanuele Lamonica scrisse le Memorie sull'origine di Castiglione e Francavilla. Di questo secolo invece è doveroso ricordare Salvatore Raccuglia, coautore di una monografia su Castiglione insieme a F. Cimino, Vincenzo Sardo, autore di un volume di storia cittadina dal titolo Castiglione città demaniale e città feudale, il criminologo Alfredo Niceforo che scrisse un testo di Criminologia in cinque volumi pubblicati tra il 1941 e il 1953, l'architetto Vitaliano Poselli che molte opere architettoniche (ponti, edifici pubblici e privati) progettò, oltre che in Italia, tra la Grecia e la Turchia, lo storico Cesco Giannetto, autore di una storia locale, e infine Francesco Spadaro autore di un romanzo semistorico, ambientato durante la guerra civile spagnola, frutto di una sua esperienza diretta. Era stato, infatti, in Spagna in quel periodo come cappellano militare. 26 Proverbi e poesie popolari Poesia anonima su Castiglione O Castigghiuni, paiseddu miu Supra sta muntagnedda situatu, Vaddannuti ‘i luntanu mi ricriu O paiseddu, paiseddu miu. Lu to passatu storicu è un turmentu Ni parra lu casteddu di Lauria E lu Cannizzu dda misu a lu ventu Tuttu parra di tia, sulu di tia. Li furisteri chiddi allittirati Mentri l’Etna fuma e jetta focu Cca leggiunu nta sti petri appinzirati E la sciumara ca scurri e chiacchiaria Vaddunu a tia, o Castigghiuni caru, cuntenti ritornunu a to via. Serenate Mi patti e mi pattiu di luntanu Nto n’ura ava fattu stu caminu Ora sugnu rivatu nta stu chianu Canzuni ti ni cuntu di cuntinu. Non ti cridiri ca sugnu cocchi stranu, sugnu l’amanti toi cca vicinu ca mi chiamu… (si dice il nome) Io di sta strata non ci aiu passatu E a vostra figghia non vi la sapeva. Na sula vota la visti ffacciata Tutti li cantuneri strauggeva. Iò non vogghiu li vostri palazzi, ma li biddizzi di… (si dice il nome della ragazza). Canti popolari Vadda ca vinni a sdilliggiari Sta scoccia scecca e rupezza badduni Ca fica non ci ni lassa a la ficara Ca tutti ci li pigghia a muzzucuni O si rifinuta comu na campana Ca cu ti voli sunari ti sona. 27 Quantu pampini avi sta’alivara tanti biddizzi teni sta figghiola sa mamma ca la teni tanta cara idda mi parra intra e iò di fora. Nna stu quatteri c’è na bona donna Si mi dura a so figghia a chiamu mamma S’annunca scialarata donna. O parummedda ca passi lu mari Spetta quantu ti dicu du paroli. Ci aiu a scriviri na littra a lu me beni E si pi sorti ci la voi puttari Ci ‘a posi ‘n taulinu e ti nni veni. Si evi bonu mi l’a salutari Si non evi bonu mi lu veni a diri. Parumma parummedda ti ddivai ‘nsemi lu parummeddu quali toi. Quannu criscisti l’ali li tagghiai Vidennu ca sbulari non putevi. Alla matina quannu mi ffacciai In aria ti visti cu l’aroi. Parumma parummedda ti chiamai, scinni cca ssutta si beni mi voi. Non ci aiu scinnutu e non ci scinnu mai Si non mi pigghi cu li mani toi. Alterco Lui Mi lu mannasti un mazzettu di Francia. Bedda, non li sapisti mmazzittari. Chi ti manca lu filu a culuri O lu modu di sapilli fari? Lei Non mi manca lu filu a culuri E mancu u modu di sapilli fari. La donna a stari un passu arreti Ca lu cori di l’omu è tradituri. L’amuri non si avi a tradimentu. Cu cori stranu si rispetta tantu. Ci voli cori a canusciri a genti Massimamenti a l’ommini birbanti. Preghiere popolari Io mi cuccu na stu lettu Cu Maria supra lu pettu. Iò dommu e idda vigghia Si c’è cosa mi risvigghia. 28 Alla testa lu Signuri, a li pedi s. Micheli, l’angili mi su santi, i serafini mi sunu cuscini e ora ca aiu st’amici fidili mi fazzu a cruci e pozzu durmiri. Sant’Antuninu quann’era malatu, tutti li santi lu enu a vidiri, cu ci purtava ‘mpumu o ranatu, la Matri Santa du puma gentili, e ci dicia: “Guverniti ciatu ca mparadisu n’avemu a iri”. Sant’Antuninu quann’era malatu Fici votu di iri ‘nTurchia, ma era tuttu cunfusu e spavintatu comu l’aveva a fari tanta via. S’avissi ‘ncavadduzzu bonu firratu Cu l’anima e lu corpu ci vinia. Sant’Antuninu mannatici sonnu, mannaticcinni tri voti o jornu, unu a la sira, unu a la matina, e n’autru quannu suna manzijornu. Viniti sonnu, viniti e non tardati, dummisciti stu figghiu e vi nni iti stu figghiuleddu non mangia muddica e mancu acqua di funtana bivi. Lu sonnu è fattu pi li picciriddi Massimamenti pi li figghi beddi. Proverbi Penza la cosa prima ca la fai Ca dopu pinzata è bella assai Cu ti voli beni ti fa cianciri Cu ti voli mali ti fa ridiri. Lu sceccu ca si mangia la ficara Lu viziu si lu leva quannu mori. Cu cancia a vecchia ca nova sapi chiddu ca lassa e non sapi chiddu ca trova. Celu picurinu O chiovi a sira o chiovi o matinu. 29 Pedi ca caminau Bona lomina non ni puttau O si rumpiu o si scavigghiau. Cu avi a cumidità e non sa pigghia Ttacculu a mangiatura e dacci pagghia. Cu si marita sta cuntentu un gnornu Cu mmazza un porcu sta cuntentu un annu. Lu rispettu è misuratu cu ni porta nn’avi purtatu. U malu cumpagnuni porta l’omu o sdurrupuni. Cu di sceccu ti fa mulu i primi cauci su i soi. Supra u bruciatu non ci po’ cchiù focu. 30 Miti, leggende e tradizioni La leggenda di Angelina Loria Osservando i muri, le rocce, le scalinate o le finestre del Castello di Castiglione, benché lasciati in abbandono, ci sentiamo riportare con la nostra mente in un tempo lontano, impercettibile, che possiamo solo fantasticare. E vediamo, quasi viva, passeggiare per le ampie stanze la bella e innamorata Angelina. Mentre abitava in questo castello Ruggero di Lauria, uomo ricco e liberale, - ci racconta lo storico castiglionese Giulio Filoteo di Amadeo - vennero alcuni mercanti francesi, uno dei quali si chiamava Giacchetto. Il barone gli fece grandissime accoglienze, come era suo costume, e lo ospitò per alcuni giorni, durante i quali Giacchetto ebbe più volte l'occasione di vedere la bella figlia del castellano, Angelina, che stimò degna d'un re. Tornato in Francia ne informò il Delfino, cioè l'erede al trono, che se ne innamorò pur senza averla vista. Questi in incognito venne in Sicilia e si recò a Castiglione in compagnia di Giacchetto per poter constatare con i propri occhi tanta bellezza. Il barone riservò anche a lui una calda accoglienza. Il Delfino, appena vide la giovane principessa, ne rimase affascinato e si adoperò per ottenere un segreto incontro con lei attraverso la sua balia di nome Franca. L'incontro avvenne tra le fredde stanze del castello e i due si dissero calde parole d'amore. Il Delfino, dopo essersi fatto riconoscere, sposò Angelina in gran segretezza, ma non consumò il matrimonio e le promise che sarebbe ritornato nel mese d'agosto dell'anno successivo per portarla in Francia e farla regina. Il segnale pattuito per far sapere del suo ritorno sarebbe stato un fuoco acceso sopra una collina poco discosta dal fiume Alcantara. Tutto si svolse come previsto. L'anno successivo il Delfino tornò in Sicilia, sbarcò con alcune navi sulla riviera di Taormina e, giunto sulla collina, fece il segnale convenuto. Franca, che quella notte stette sempre in guardia, appena si avvide del suo arrivo avvisò la principessa e la aiutò a fuggire attraverso una scala di seta legata al pilastro di marmo di una finestra. Il Delfino, giunto in Francia, celebrò un fastoso matrimonio. Poi i novelli sposi, ritornati in Sicilia e riappacificatisi con Ruggero, per liberalità e grazia del re Guglielmo il Buono, fecero edificare sopra la collina, che aveva visto accendere il fuoco dell'amore, un castello, cui diedero il nome di Francavilla perché, si dice, Angelina nelle notti d'attesa, facendo stare Franca alla vedetta, non le andava dicendo altro che: «Franca, vigghia; Franca, vigghia». 31 La leggenda del monte Santa Maria Nei pressi del monte di Santa Maria, alla base del cratere dell’Etna, si dice che esiste una grotta di una certa dimensione, detta della Femmina o del Calzolaio, per il fatto che un uomo e una donna vi morirono dentro dopo essere stati incatenati. Racconta la leggenda che la grotta fosse l’abitazione abituale di una masnada di briganti, che in tutto si dice fossero 24. Essi si davano ad ogni scorreria e rubavano e seminavano il terrore in tutto il territorio dell’Etna. Ma una volta, mentre si mieteva il grano, vennero arrestati nella pianura di Catania e di loro non si seppe più notizia. Dopo un certo tempo un pastorello, che forse di nascosto serviva i banditi, pensò di recarsi là. Sapeva infatti che vi erano custoditi immensi tesori e vi si recò con le bisacce nella speranza di poter fare fortuna. L’entrata della grotta era chiusa con una grossa botola di pietra quadrata, alla quale era attaccato un anello di ferro come segnale di riconoscimento. Cercò e cercò tanto che infine la trovò. Appena entrato restò abbagliato quando vide 24 mucchi d’oro disposti in giro per la grotta. Riempì allora le bisacce e le tasche pensando di ritornarci un’altra volta per riprendersi quanto era rimasto. Ma ecco che quando si appresta ad uscire, appena si trova sul limitare dell’ingresso della grotta, sente un lamentevole e sepolcrale grido di donna che veniva dal fondo. - Piccolo pastore, così te ne vai e ti porti i soldi senza dire nulla? Il povero pastore si spaventò, ammiccò gli occhi, ma non vide nessuno. Spaventato da quella voce paurosa e ignota, si liberò subito delle bisacce, chiuse la grotta e scappò via a gambe levate. Della grotta si è persa ogni traccia. Gli spiriti dei due sventurati morti di fame là dentro stanno a guardia del tesoro. La pietra, che il pastorello per la fretta mise con la boccola di dentro, non è stato possibile trovarla. Così si è perso un immenso tesoro. 32 Gastronomia tipica Diverse sono le specialità gastronomiche tipiche sia tra i primi piatti che tra i secondi e i dolci. Tra i primi piatti si ricordano i maccheroni caserecci conditi con sugo di coniglio insaporito con estratto di pomodoro e rosmarino, le lasagne o fettucce con sugo o broccoli o fagioli, la pasta con fave secche, detta 'a mmaccu'. I secondi piatti sono molto più numerosi: cavoli affogati nel vino con un pizzico di aceto, aglio e olive nere; caponata di peperoni, melanzane, cipolle e pomodoro fresco; pomodori arrostiti con peperoncini e conditi con olio vergine di oliva; merluzzo secco o stoccafisso in brodo con olive, cipolla, pomodoro e prezzemolo; pomodori secchi, melanzane, peperoni e peperoncini sott'olio. Tra i dolci è doveroso ricordare gli sciauni, fatti con ricotta, cannella e zucchero, avvolti in una sfoglia di pasta e poi fritti; le gustose paste di nocciola e di mandorla; i mastazzoli con ripieno di nocciole, mandorle, miele e bucce tritate di mandarino; i bersaglieri ricoperti da uno strato di cioccolato; i cuddureddi: ciambelle ripiene di noccioline tostate e miele; i torroncini e la frutta martorana preparati artigianalmente. Tra i prodotti locali sono da ricordare ancora la ricotta fresca, la ricotta infornata e il gustosissimo formaggio pecorino fresco con pepe nero, detto tuma, o stagionato. Infine squisita è la produzione di miele locale. Il tutto può essere gustato con bicchieri di ottimo vino doc bianco, rosso o rosato. 33 Artigianato e industria Abbastanza fiorente è a Castiglione di Sicilia l'artigianato. Il punto ago è nello stesso tempo l'orgoglio e la passione di ogni donna castiglionese, dalle cui mirabili mani escono lavori bellissimi: arazzi, coperte, lenzuola, tovaglie, ricami che sembrano ispirarsi alle guglie dei campanili o alle decorazioni delle splendide chiese. Si tratta di manufatti frutto di un innato senso artistico affiancato ad una pazienza certosina. Ad essi sono da accostare gli intarsi marmorei di eccezionale fattura, che qualche abile artigiano locale sa creare facendo quasi rivivere il Rinascimento, o le figure umane, le sagome di animali e le fantastiche chimere che provetti scultori traggono dal legno o dall'argilla. I travagghi ‘nglisi o i cosi ‘nglisi, così come è detto il punto ago nel dialetto locale, ha a castiglione un’atichissima tradizione. Si dice che siano stati introdotti nel nostro paese agli inizi del secolo scorso da una donna inglese Miss Mabel Hill, residente per molto tempo a Taormina. Il punto ago si paga “a buco”. Una coperta in media ha circa tremila buchi. Il lavoro di solito viene divisotra più persona. C’è la ricamatrice che fa la “campionatura”, cioè il delicato lavoro di sfilare la stoffa, c’è poi chi ritaglia i vari quadratini, c’è chi invece fa i “bastoni”, cioè completa i vari quadratini entro i quali vengono ricamati i disegni. L’ultima fase della lavorazione è quella del punto ad ago. Dentro i quadratini vengono ricamate le figure più diverse: fiori, ruote, stelle e varie combinazioni tra i più diversi elementi. Il lavoro più complesso è costituito di cosiddetti “pupi”. Si tratta di figure umane ricamate con molta attenzione e impegno. Negli anni passati, ma in parte anche oggi, buona parte dell’economia del paese era basata su questo tipo di lavoro artigianale. Nelle frazioni di Solicchiata e Passopisciaro, oltre che a Castiglione, esistono altri tipi di lavoro artigianale che possono avvicinarsi all’industria e sostengono in buona parte l’economia del paese. Negli ultimi decenni sono sorte infatti alcune piccole aziende industriali che lavorano la plastica, costruiscono radiatori, confezionano abiti e riciclano la carta. 34 Agricoltura L'economia di Castiglione, come quella di tanti altri paesi siciliani, è basata anche sull'agricoltura. Uno dei più noti proverbi dell'hinterland dice: A Castigghiuni su li fimmini beddi ca notti e ghiornu scacciunu nuciddi. Ed è infatti il noccioleto, che nel corso dei secoli non ha subito variazioni nei metodi di coltura, ad essere predominante insieme al vigneto. I vini, ricordati già in una storia dei vini italiani del 1596, sono di ottima qualità. Diverse cantine sociali producono vini DOC bianchi e rossi, esportati in tutto il mondo. Questo permette al Comune di fare parte dell'Associazione Nazionale delle Città del Vino. Castiglione, gemellata alla città irlandese di Killarney, fa parte dell'Associazione Nazionale delle Città del Vino. Il vino nella valle dell'Alcantara è una tradizione antichissima. Rinomato era al tempo dei greci quello di Naxos, come testimoniano le numerose monete che raffigurano Bacco, il grappolo d'uva e il «kàntaros» per versare il vino. Ma durante il dominio romano la tradizione non è venuta meno. Marziale vanta il vino che si produce nel messinese, mentre una iscrizione su un'anfora pompeiana dice: «vino di Taormina», dando quasi un marchio Doc al prodotto della valle. I vigneti nel corso dei secoli hanno subito delle evoluzioni. A partire dal Medioevo è prevalsa la coltivazione ad alberello con le viti piantate ad uguale distanza o a filari più larghi per permettere ai buoi o ai muli di arare la terra con più facilità. Alle piantagioni ad alberello, a causa della meccanizzazione della lavorazione, i produttori preferiscono oggi le piantagioni a filari o a tettoia. E' interessante a proposito riandare indietro nel tempo. In antichi atti notarili del XIV secolo si scrive che il vigneto veniva zappato almeno tre volte l'anno. Una prima volta tra febbraio e marzo «scanzando e ricanzando», cioè togliendo prima e mettendo poi la terra al piede della vite. Nel mese di maggio invece la terra veniva «riminata», cioè rizappata, e molto probabilmente all'inizio dell'estate veniva rimossa di nuovo per togliere le erbe cresciute dopo eventuali piogge. Comunque è certo che fino a pochi decenni fa la vigna veniva zappata tre volte: la «prima zappa», la «seconda zappa» o «zappuneddu» e «rifunniri», che consisteva nel fare dei monticelli tra una vite e l'altra, una prima e una seconda volta, finché non venivano rifusi, appianando il terreno. Il proverbio dice che la vigna è come la tigna: viene sempre grattata. Oltre alla zappatura si eseguivano, infatti, altri lavori durante l'anno, tra cui la potatura, che avviene tra gennaio e febbraio, il mettere i pali, il legare le viti, la spampinatura, il legare i tralci, la solfatura, il togliere le erbe dai muri e, appena finita la vendemmia, togliere i pali e concimare il terreno con le «fangate», lunghi fossi riempiti di frasche e concimi organici. Fino a tutto il primo millennio cristiano, la spremitura avveniva in palmenti scavati nella roccia, di cui vari esempi si vedono ancora nelle contrade di Santa Maria la Scala, Pietramarina e Sovere. Si pigiava l'uva in una vasca soprelevata, da cui il mosto colava in un tino, ponendo dei pesi sulle vinacce. Dal tino il mosto veniva messo in grossi recipienti di terracotta, per essere poi travasato in vasi più piccoli. Se con gli arabi la produzione di vino è venuta meno per motivi religiosi, nei secoli successivi ha cominciato a rifiorire, apportando delle modifiche soprattutto nel procedimento di spremitura delle uve. Vennero costruite forse durante il periodo normanno le prime «domus torculares» o «case torculares», cioè palmenti dentro edifici in muratura e coperti da tegole, con i muri delle vasche in cocciopesto e calce, a volte con la pavimentazione in basole laviche. I palmenti sono diventati allora più complessi e più grandi, i vigneti più estesi, i torchi più sofisticati. L'uva, gettata dai vendemmiatori nel «pista», veniva pigiata e ridotta in una poltiglia di mosto e vinacce, messi a fermentare per alcuni giorni in un'altra vasca più in 35 basso, detta «schiccia». Si passava poi alla spremitura con il torchio, detto «chianca», i cui elementi principali sono, nella parte anteriore, la «pietra», un grosso macigno a tronco di cono o a tronco di piramide, la «vite» e la «scufina», poggiata sulla forcella della trave. Nella parte posteriore c'è la «scala», un legno a buchi che funge da fulcro mobile, mentre tra le due «scale» di mezzo viene messa la «trafitta», un grosso ferro che permette di sollevare o abbassare il fulcro per fare maggiore o minore pressione sul «conzo». I palmenti spesso erano parte integrante delle case di campagna, «masserie» dalle strutture complesse, un tempo abitate per buona parte dell'anno dai proprietari. In esse c'erano pure il cortile, le stalle, la cisterna, la cantina seminterrata e infine l'abitazione del «massaro», che accudiva alla campagna. Se attive fino a qualche decennio fa erano a Passopisciaro le distillerie che traevano l'alcool non solo dalle vinacce, ma anche dalla feccia e dal vino guasto, oggi Castiglione possiede delle cantine sociali all'avanguardia, dove la pigiatura e la spremitura avvengono automaticamente. I numerosi produttori sfruttano i metodi moderni della lavorazione vitivinicola per produrre vini Doc, denominati Etna, bianchi, rossi e rosati, con un tasso alcoolico che spesso raggiunge i tredici gradi. Le possibilità di successo per un prodotto di qualità, ormai esportato in tutto il mondo, sono quindi molte. Il vino dell'Etna ha un sapore unico e il suo profumo è simile a quello delle ginestre che per tutta la primavera e l'inizio dell'estate ornano con i loro fiori gialli le falde del vulcano. La riscoperta di antiche tradizioni e la fiducia in un futuro sviluppo del settore hanno spinto il Comune di Castiglione di Sicilia a dare vita ad una mostra permanente dei vini siciliani, tra cui non mancano nomi locali come il Pietramarina, il Verzella, il Torrepalino, prodotti soprattutto nelle frazioni di Verzella, Rovittello, Passopisciaro e Solicchiata. Si tratta di vini forti e corposi, dai sapori e dagli odori della lava e del sole, vini che mettono in evidenza tutta la loro essenza della terra siciliana, una terra fertile che sa sposare la qualità alla quantità. Oltre al vigneto, una certa importanza riveste l'uliveto, in rapida espansione, che occupa soprattutto la fascia media del Comune, ma non esiste al presente una commercializzazione razionale del prodotto. L'agrumeto invece, che si estende tra le frazioni di Gravà e Mitogio, ha buone rese produttive, anche se la crisi agrumicola degli ultimi decenni non l'ha risparmiato. In passato nel territorio erano diffuse anche altre coltivazioni, tra cui la piantagione di lino e della canapa lungo le sponde del fiume Alcantara e l’allevamento del baco da seta. «In tempi andati –scrive Vincenzo Sardo – era esercitata su larga scala con lucro non indifferente l’estrazione della seta. Cessata intorno al 1840, restò di essa il solo allevamento di bozzoli, limitato ai contadini, laddove prima era diffuso nelle altre classi». I setifici e l’industria tessile furono quindi un tempo molto fiorenti. 36 Istituzioni e associazioni Pur non avendo allo stato attuale la Città strutture turistiche e alberghiere proprie, in avanzata fase di realizzazione è un albergo ubicato all'interno del centro storico, in prossimità del palazzo di Città, che renderà possibile un turismo residenziale. Adesso però è possibile affittare delle camere o dei miniappartamenti molto comodamente arredati per piccoli gruppi e famiglie, per cui conviene rivolgersi all'ufficio informazioni turistiche. Da tempo è operante una sede dell'Archeoclub d'Italia, associazione che opera attivamente per far conoscere i beni artistici e culturali della Città, e da qualche anno una sede di SiciliAntica, associazione a carattere regionale avente le medesime finalità. Ad esse ci si può rivolgere per qualsiasi informazione e i soci, con spirito di volontariato, sono sempre disponibili a fare da guida a coloro che vogliono conoscere monumenti, storia e cultura del comune etneo. Tra le altre associazioni sono da ricordare la Pro loco, l'A.S. Castiglione, che cura la locale squadra di calcio, Castiglione 2000 con la squadra di softball, un'associazione di motocross e infine una sezione dell'Arci. Vi è pure una sede della Misericordia d’Italia, molto attiva, fornita di ambulanza, e una sede della protezione civile. Di recente è stata fondata a Castiglione l’Accademia Internazionale “Il Convivio”, associazione culturale a livello internazionale con sede principale nella frazione di Verzella. L’Accademia conta molte sedi locali non solo in Italia, ma pure all’estero, come in Spagna, Argentina, Brasile, Australia, pubblica una rivista letteraria e artistica (sia in italiano che in altre lingue europee) diffusa tra i numerosissimi soci sparsi in tutto il mondo, ed organizza un Premio Letterario, cui partecipano in gran numero validi poeti, scrittori e artisti di ogni lingua e nazionalità. 37 SCHEDA INFORMATIVA UFFICI PUBBLICI E INDIRIZZI UTILI Prefisso telefonico: 0942. Palazzo di Città: Piazza Lauria, 1. Centralino, tel. 0942-980211 Ufficio del Sindaco, tel. 0942-984008 / 980230 Comando vigili urbani, via Rosario Cimino 1, tel. 0942-980244 Numero verde: 1670-10552 Sito internet: http://www.explorer.it/citvino/castigli/home.ht Posta elettronica: E-Mail Comune: comune.castiglionesicilia @ explorer.it E-Mail Sindaco: comune.castiglionesicilia.sindaco @ explorer.it Ufficio Relazioni col Pubblico(URP): via Regina Margherita, tel. 0942-980243. Mostra Permanente dei Vini di Sicilia: via Regina Margherita, tel. 0942-980243. Sportello di assistenza al turista e alle imprese, Piazza XI Febbraio. CASERME DEI CARABINIERI: Contrada San Francesco - Castiglione, tel. 0942-984000; Via Guardiola 4, - Passopisciaro, tel. 0942-983000. GUARDIA MEDICA: via Rosario Cimino 1, tel. 0942-984285. AMBULANZA (Confraternita Misericordia): via Rosario Cimino 1, tel. 0942-984346. FARMACIE: via Marconi 50, - Castiglione, tel. 0942-984064 via Regina Margherita 43, - Passopisciaro, tel. 0942-983035. UFFICI POSTALI: piazza Lauria 13, - Castiglione, tel. 0942-984100. Via Nazionale 41, - Solicchiata, tel. 0942-986285 / 986017. Via Regina Margherita 147, - Passopisciaro, tel. 0942-983181. SCUOLE: Istituto Comprensivo di Scuola Materna Elementare e Media, Via Abate Coniglio 1 / 3, tel. 0942-984101 (Direzione); Scuola media, Via Marconi, tel. 0942-984073; Scuola materna ed elementare - Passopisciaro, Via Guardiola, tel. 0942-983114; Scuola materna elementare e media - Solicchiata, Via Nazionale, tel. 0942-986253. Liceo socio-psico-pedagogico - Castiglione, Via Marconi, tel. 0942-984017. BANCHE: Sicilcassa-Divisione del Banco di Sicilia Spa: via Regina Margherita 3, - Castiglione, tel. 0942-984034. Banca di Credito Cooperativo San Marco di Calatabiano Ag. di Solicchiata: via Nazionale 57b, tel. 0942-986354 / 986355 / 986292. 38 Bancomat: Banca di Credito Cooperativo San Marco-Tesoreria Comunale, Via Regina Margherita BIBLIOTECHE: Biblioteca Villadicanense: via Biblioteca Villadicanense - Castiglione. Biblioteca Comunale: via Rosario Cimino 1, Castiglione. Biblioteca Popolare Sacro Cuore di Gesù: via Nazionale - Solicchiata. UFFICIO CIRCOSCRIZIONALE DEL LAVORO: piazza Lauria 8, tel. 0942-984027. ASSOCIAZIONI CULTURALI: Accademia internazionale Il Convivio: Sede centrale, Via Pietramarina-Verzella, 66 – 95012 Castiglione di Sicilia. Tel. 0942-989025. Archeoclub d'Italia sede di Castiglione: via Carmine 2, tel. 0942-989025 / 984498; fax 984871 SiciliAntica sede di Castiglione: via Pietramarina 66, tel. 0942-989025. Pro Loco: Via Umberto 31. Arci: Via Regina Margherita. ASSOCIAZIONI SPORTIVE: Il Pìcciolo Golf Club srl, Società Sportiva, strada statale 120, km 200, contrada Rovittello, tel. 0942-986252. A.S. Castiglione. Castiglione 2000 - softball. AGENZIA VIAGGI 0942-984044. E TURISMO: Purello viaggi, via Regina Margherita 25, - Castiglione, tel. RISTORANTI-SALE RICEVIMENTI-ALBERGHI: Belvedere d'Alcantara, via Abate Coniglio, tel. 0942-984397. Ristorante-albergo del Pìcciolo Golf Club, c.da Pìcciolo, SS 120 km 200 - Rovittello, tel. 0942-986171, fax 0942-986252. Kastalia Cucina Casalinga Pizzeria, via Comunale 58, Mitogio, tel.0942-985113. Club Italia La Cuba, cucina casalinga, C.da Sciambro, tel. 0338-8650329 / 0942984724. Orfanotrofio Regina Margherita, Punto A.I.G. (Ostello della gioventù), Via Abate Coniglio 7, tel. 0942-984056 / 984926. CANTINE SOCIALI: Torrepalino, strada statale 120, n. 174, - Solicchiata, tel 0942-986072. Antichi Vinai srl, via Castiglione 49, - Passopisciaro, tel: 0942-983232. 39 Nota bibliografica Bibliografia generale A. Manitta, S. Agati, A. Cavallaro, Patrimonio artistico e culturale di Randazzo, Castiglione di Sicilia, Linguaglossa, XXI distretto scolastico, Randazzo 1997. Giulio (Antonio) Filoteo degli Omodei, Descrizione della Sicilia nel XVI sec., a cura di G. Di Marzo, Tipografia di Pietro Montaina e Comp., Palermo 1876. Carmelo Grassi, Notizie storiche di Motta Camastra e della valle dell'Alcantara, tip. Agatino Micale, Catania 1905, vol. I, pag. 62 e seg. F. 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Giuseppe Luigi Sardo, Compendio di tutte le cose memorabili della città di Castiglione (a cura di Angelo Manitta) I.T.M. 1991. A. Manitta, Santa Maria della Catena venerata a Castiglione di Sicilia e oltreoceano, Edizioni culturali 'Il Peloritano', Messina 1997. E. Magnano di San Lio, I castelli di Castiglione di Sicilia, istituto di Urbanistica, 1985. Cesco Giannetto, Cast’ghiuni, Milano 1986. 40 Emanuele Lamonica, Memorie sulle origini di Castiglione e Francavilla, Tip. G. Donzuso, Acireale 1849. Cimino-Raccuglia, Castiglione, Tip. Umberto I, Acireale 1902 Giuseppe Ragno, Francavilla di Sicilia Leggenda e storia, Dimensione '80, Roma 1981, pp. 14-15. A. Manitta, Verzella e le sue contrade, I.T.M, 1991. S. Giglio, La chiesa bizantina in contrada Santa Domenica presso Castiglione di Sicilia, Giarre 1997. S. Agati, Randazzo una città medievale, Maimone editore, 1988. S. Agati, L’oinochoe col mito dei Boreidi, Tringale 1982. Randazzo e le sue opere d’arte, voll. 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Francesco di Paola a Linguaglossa. 41 S. Calì, Il mio paese, ed. Camene, Catania. S. Incorpora, Il coro Ligneo della maggiore chiesa di Linguaglossa, Grafica Sgroi Catania. S. Calì, I diavoli del Gebel Leggendario dell’Etna, Gelke Editori. S. Calì, Le strade aspettano un nome, Edizione Camene. Parco dell’Etna, Carta turistica Ente Parco, Touring Club Italiano. Parco dell’Etna, Piccola guida alla scoperta del Parco. Viaggio nel Parco dell’Etna, C.A.R.T.H.U.S.I.A. S. Mazza, Crusti di sali, A. Cavallaro, Eruzioni storiche nel territorio di Linguaglossa, ed. Graficatre A. Cavallaro, Linguagrossa … la sua storia, Graficatre. A. Cavallaro, Idrostoria di Linguaglossa, Graficatre. P. Concetto da Linguaglossa, La custodia di Pietro Bencivinni. Riviste: Linguaglossa e il bosco Ragabo Oasis Airone Atlante Etna territorio Mareneve, Gennaio 1952. 42 Scheda sui vini e sul territorio viticolo di Castiglione Ettari vitati: 700; Ettari ricadenti in zona D.O.C.: 5.300 Produzione media annua di vino in ettolitri: 15.000 Numero di aziende operative: 560 Cultivar: Caricante, Catarratto Bianco, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio. Vini Doc prodotti: Etna Bianco, Etna Rosso, Etna rosato. Caratteristiche dei vini: Etna Bianco: Vitigno base è il Caricante o Catanese Bianco, ma possono essere presenti Catarratto, Insolia e Minnella; ha un colore paglierino vivo e brillante, sapore fresco e rotondo, bouquet intenso. Etna Rosso: Vitigni base sono il Nerello Mascalese (per circa l’80%), e Nerello Cappuccio (per il restante 20%), coltivati ad alberello o a spalliera; ha un colore rosso rubino, sapore secco, morbido, giustamente ricco di corpo e armonico, bouquet vellutato. Etna Rosato: Prodotto da vitigni di Nerello (senza inizio di fermentazione in vinacce), si distingue per la sua limpidezza, l’odore fruttato, il gusto abboccato ed armonico. 43 44