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W. PAUL YOUNG
IL RIFUGIO
con Wayne Jacobsen e Brad Cummings
Proprietà letteraria riservata
© 2007 by William P. Young
This edition published by arrangement with Windblow Media Inc.,
All rights reserved
© 2008 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-17-07960-0
Titolo originale dell’opera:
The Shack
Traduzione di Michele Foschini
Prima edizione Rizzoli 2008
Prima edizione BURextra 2009
Prima edizione BUR novembre 2014
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il rifugio
Questa storia è stata scritta per i miei bambini:
Chad ~ Il Gentile Profondo
Nicholas ~ Il Tenero Esploratore
Andrew ~ L’Affetto Dolcissimo
Amy ~ La Gioiosa Esploratrice
Alexandra (Lexi) ~ Il Potere Lucente
Matthew ~ La Meraviglia Cangiante
ed è dedicata in primo luogo a
Kim, la mia Amata,
grazie perché mi salvi la vita
e poi, a
... all us stumblers who believe Love rules.
Stand up and let it shine.
... tutti noi che inciampiamo,
ma continuiamo a credere nell’Amore.
Alziamoci e facciamolo splendere.
Bruce cockBurn
Premessa
Chi non sarebbe scettico, sentendo qualcuno sostenere
di aver trascorso un intero fine settimana insieme a Dio
e, come se non bastasse, in un rifugio? E in quel rifugio,
per di più.
Conosco Mack da più di vent’anni, dal giorno in cui
ci presentammo entrambi alla porta di un vicino per aiutarlo a raccogliere il fieno del suo campo, per le sue due
vacche. Da allora ci siamo frequentati piuttosto spesso,
per condividere una tazza di caffè o, nel mio caso, di
chai bollente con latte di soia. Le nostre conversazioni
mi danno una grande gioia; sono interrotte da continue
risate e, a volte, da qualche lacrima. Per dirla tutta, più
diventiamo vecchi più ci piace stare insieme, non so se
sia mai successo anche a voi.
Il suo nome per intero è Mackenzie Allen Phillips,
anche se quasi tutti lo chiamano Allen. È una tradizione
di famiglia: gli uomini portano lo stesso primo nome,
ma vengono chiamati con il secondo, probabilmente per
evitare aggiunte snob come I, II e III, o Junior e Senior.
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È un metodo che funziona per identificare subito quelli
che telefonano per venderti qualcosa, soprattutto se ti si
rivolgono come se fossero i tuoi migliori amici. Così lui
e suo nonno, suo padre e ora il suo figlio maggiore sono
tutti Mackenzie, ma vengono chiamati quasi sempre con
il secondo nome. Solo Nan, sua moglie, e gli amici più
cari gli si rivolgono con il nomignolo Mack (anche se ho
sentito perfetti sconosciuti gridargli: «Ehi, Mack, dove
hai imparato a guidare?»).
Mack viene dal Midwest, è un uomo di campagna
nato in una famiglia di irlandesi d’America con i calli
alle mani e regole rigorose. Benché pretendesse di essere
molto religioso, suo padre, un uomo severo e bacchettone, beveva in segreto, soprattutto quando la pioggia
non arrivava, o arrivava troppo presto, e quasi sempre
tra una pioggia e l’altra. Mack non parla spesso di lui,
ma quando lo fa il suo volto si prosciuga di ogni espressione, come se stesse calando la marea, e gli occhi gli
diventano scuri e senza vita. Dalle poche storie che mi
ha raccontato ho capito che suo padre non era un alcolizzato di quelli che si addormentano felici la sera, ma
uno di quelli che picchiano la moglie e poi chiedono
perdono a Dio.
Le cose erano precipitate quando, a tredici anni,
Mackenzie si era sfogato con un catechista della parrocchia, durante un ritiro. Sopraffatto dall’emozione, aveva
confessato tra le lacrime di non aver fatto nulla per aiutare sua madre nelle numerose occasioni in cui il padre,
ubriaco, l’aveva picchiata fino a farle perdere i sensi.
Quello che non aveva preso in considerazione era che la
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persona con cui si era confidato era un collega di lavoro
del padre e frequentava la stessa chiesa. Così, quando
era tornato a casa l’aveva trovato sulla porta d’ingresso
ad attenderlo, mentre mamma e le sue sorelle non c’erano. Aveva appreso in seguito che erano state mandate in
tutta fretta dalla zia May perché suo padre fosse libero
di impartire al figliolo ribelle una lezione sul rispetto.
Per quasi due giorni, legato alla grande quercia dietro
casa, era stato preso a cinghiate alternate a versetti della
Bibbia, ogni volta che il padre si svegliava dal torpore
abbastanza a lungo da posare la bottiglia.
Due settimane dopo, quando era stato in grado di
mettere di nuovo un piede davanti all’altro, se n’era semplicemente andato di casa. Prima di farlo, però, aveva
versato veleno per topi in ogni bottiglia di liquore trovata
nella fattoria. Poi aveva disseppellito dal prato accanto al
capanno la scatola di latta con dentro i suoi tesori: una
foto di famiglia in cui tutti strizzavano gli occhi guardando il sole (suo padre era l’ultimo a destra); una figurina
del baseball del 1950, il primo anno di campionato di
Luke Easter; una bottiglietta con circa due dita di Ma
Griffe (l’unico profumo che sua mamma avesse mai posseduto); una matassa di lana e un paio di aghi; un piccolo
caccia F-86 della U.S. Air Force in metallo; e i risparmi
di una vita, quindici dollari e tredici centesimi. Era rientrato in casa di soppiatto e aveva lasciato un biglietto
sotto il cuscino di mamma, mentre suo padre russava,
di nuovo sbronzo. Il biglietto diceva solo: spero che un
giorno mi perdonerai. Giurò di non guardarsi mai indietro e, per moltissimo tempo, non lo fece.
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A tredici anni non si è affatto adulti, ma Mack non
ha avuto altra scelta se non adattarsi in fretta. Non parla
molto degli anni che seguirono. Ha trascorso la maggior
parte del tempo all’estero, lavorando nei luoghi più disparati e mandando soldi ai nonni, che li facevano avere
a sua madre. Credo si sia procurato una pistola durante
un conflitto in uno di quei Paesi lontani; da che lo conosco, ho sempre saputo del suo viscerale odio per la guerra. Alla fine del suo peregrinare, è finito in un seminario
in Australia. Quando si è stancato della teologia e della
filosofia, è tornato negli Stati Uniti, ha fatto pace con
la madre e le sorelle e si è trasferito in Oregon, dove ha
conosciuto e sposato Nannette A. Samuelson.
In un mondo di chiacchieroni, Mack è uno che pensa
e agisce. Non dice molto, se non gli rivolgi qualche domanda diretta, e la maggior parte della gente ha imparato a evitare di farlo. Quando parla, viene da chiedersi
se non sia una specie di alieno, che osserva il panorama
delle idee e delle esperienze umane in modo diverso da
tutti gli altri.
Il fatto è che ciò che esprime ha perfettamente senso,
e per questo risulta scomodo alle orecchie di persone
che preferirebbero sentirsi ripetere le solite cose, ovvero
sciocchezze. Chi lo conosce di solito lo apprezza, a patto
che tenga i propri pensieri per sé. E quando parla non è
che piaccia meno, è che chi lo ascolta all’improvviso si
piace un po’ meno.
Una volta mi ha raccontato che quando era più giovane diceva spesso quel che gli passava per la testa. Per
sua stessa ammissione, era un meccanismo di difesa per
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coprire le ferite; spesso finiva con il confessare i propri
dolori a chiunque gli capitasse a tiro. Ma era anche capace di mettere a nudo le debolezze degli altri, umiliandoli, per non perdere il proprio senso di falso potere,
di controllo. Non era certo una caratteristica piacevole.
Mentre scrivo queste parole, rifletto sul Mack che ho
sempre conosciuto: una persona normale, speciale solo
per chi lo capisce davvero bene. Sta per compiere cinquantasei anni ed è privo di segni particolari: basso, di
carnagione chiara, lievemente sovrappeso, con una calvizie incipiente; somiglia a molti uomini di queste parti.
È probabile che tra la folla non lo notereste, e non vi
sentireste a disagio sedendovi accanto a lui mentre sonnecchia sulla metropolitana durante la sua spedizione
settimanale in città per una vendita. Per lo più lavora in
un piccolo ufficio ricavato in casa sua, in Wildcat Road.
Vende articoli ad alta tecnologia, gadget che non fingerò di capire: oggetti elettronici che fanno andare la vita
più veloce, come se non scappasse via già abbastanza in
fretta.
Non ti rendi conto di quanto sia intelligente, se non ti
capita di ascoltare una sua conversazione con un esperto. A me è successo: i termini che utilizza non sembrano appartenere alla nostra lingua, e mi ritrovo a cercare
di trattenere i concetti, che sgorgano come un ruscello
di pietre preziose. Parla con acume di quasi ogni argomento e, anche se si capisce subito che ha convinzioni
radicate, ha un modo gentile di esporle che ti permette
di tenerti le tue.
Ama discutere di Dio, della Creazione e del perché la
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