CONSACRATE PER SALVARE ANIME
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CONSACRATE PER SALVARE ANIME
CONSACRATE PER SALVARE ANIME 1. I principali concetti teologici Centralità del carisma La riflessione attuale sulla Vita Consacrata sottolinea che esiste una stretta interdipendenza tra carisma, consacrazione e missione. Il carisma infatti è il dono ispiratore che sta all’origine di ogni Famiglia religiosa, e dà alla persona che lo accoglie una chiara identità, un nuovo modo di essere e di agire, abilitandola allo stesso tempo a partecipare della missione di Cristo. Questa capacità donata, chiede una risposta libera e consapevole alla chiamata a vivere la stessa vita di Gesù Cristo, per crescere e maturare come persone libere, create ad immagine di Dio. La consacrazione ha dunque il suo senso nell’essere la modalità di incarnazione storica del carisma, in vista della missione. In altre parole possiamo affermare che il carisma sta all’origine della nostra Famiglia religiosa, e quindi della nostra identità, del nostro essere Piccole suore della Sacra Famiglia, del nostro vivere nello spirito di Nazareth. E’ in questa famiglia religiosa, e quindi a partire da questo carisma, che siamo consacrate, chiamate ad entrare in questo mistero e a lasciarci da esso penetrare, esprimendolo attraverso la professione con voto pubblico dei consigli evangelici. La consacrazione, così come la missione, non è feconda se non nasce dal carisma; non può appoggiarsi sul nostro sforzo di vivere una vita povera, casta e obbediente, ma è sempre riconoscimento di un dono accolto e risposta attraverso l’assunzione di un preciso stile di vita. La modalità radicale di vita espressa dalla professione dei consigli evangelici, ha lo scopo di suscitare una maggiore libertà interiore per rispondere al carisma. Il carisma mantiene nel tempo tutta la sua potenzialità; ad esso siamo chiamate a partecipare attraverso quella che viene definita “fedeltà dinamica”, cioè la capacità di cogliere il nucleo essenziale del carisma stesso per poterlo tradurre nella realtà attuale; l’appartenenza allo stesso carisma fa nascere un sentire spirituale comune che determina lo stile di vita della comunità e spinge alla missione vissuta con una particolare sfumatura che ci caratterizza e che dovrebbe identificarci come “Piccole suore della S. Famiglia” in ogni situazione e realtà. Il comune carisma ci abilita cioè a vivere operativamente fedeli alla nostra spiritualità, nelle espressioni storiche che cambiano e nella forma di vita alla quale ci impegna la professione dei consigli evangelici. Porre al centro il carisma e riconoscere lo stretto legame che esso ha con la consacrazione e la missione significa: riconoscere la relatività di ogni espressione storica contingente, considerando le strutture (cioè le opere, ma anche le forme di partecipazione, l’organizzazione, le modalità di attuazione della dimensione caritativa…) strumenti a servizio del carisma e non fini a se stesse; riconoscere un nostro modo di esprimere la consacrazione, di vivere i consigli evangelici, di “stare con il Signore”, di compiere scelte apostoliche e di servizio al Regno di Dio, ponendo attenzione ad identificare la nostra specificità e superando il rischio di omologazione con le altre espressioni della comunità ecclesiale. 1 La consacrazione, dono particolare La consacrazione è dono particolare, non speciale; intendiamo con il termine “speciale”, che pure in passato è stato utilizzato, creando qualche confusione, l’essere “di più” delle altre forme di vita, mentre con il termine “particolare” intendiamo che si tratta di un dono che ha una sua “specificità”, una sua particolare configurazione ed espressione. La vita consacrata infatti suppone “una distinta vocazione e una specifica forma di consacrazione” (VC 31) che non sono una semplice e logica conseguenza della consacrazione battesimale. Se fosse così, ogni battezzato sarebbe chiamato alla vita consacrata, e solo noi, i consacrati, saremmo coloro che hanno saputo vivere fino in fondo la vita cristiana; questo farebbe di noi persone “speciali”. Il battesimo invece non comporta in se stesso un orientamento verso il celibato, la rinuncia ai beni e l’obbedienza ai superiori; è invece chiamata ad essere uniti al Signore “con cuore indiviso” (1Cor 7,35), in qualunque stato di vita. Nella nostra chiamata riconosciamo invece l’appello a vivere la consacrazione battesimale secondo quella particolare forma di vita, espressa dalla consacrazione religiosa (art. 1), che risponde ad un invito rivolto da Gesù ad alcuni discepoli. Egli li chiama “non solo ad accogliere il regno di Dio nella propria vita, ma anche a porre la propria esistenza a servizio di questa causa, lasciando tutto e imitando da vicino la sua forma di vita” (VC 14). Ad accogliere il Regno di Dio sono dunque chiamati tutti i battezzati, a porre tutta la propria esistenza a servizio di questa causa sono chiamati i consacrati 1. Il consacrato vive un progetto di vita interamente strutturato in funzione della ricerca di Dio e del servizio del Regno, e le realtà della fede e della sequela diventano la sua preoccupazione costante e l’impegno centrale. Tutto ciò che fa e qualunque cosa faccia, trova un senso nell’essere orientato a Dio. Dono e risposta È Dio che dà il dono: non si tratta di iniziativa umana, ma di una risposta. La professione assume il significato di manifestazione pubblica di adesione alla chiamata di Dio, chiamata alla quale si è creduto e si è dato il proprio libero assenso. La consacrazione suppone sempre una vocazione specifica e un dono particolare dello Spirito: “è lui che suscita il desiderio di una risposta piena; è Lui che guida la crescita di tale desiderio, portando a maturazione la risposta positiva e sostenendone poi la fedele esecuzione; è Lui che forma e plasma l’animo dei chiamati, configurandoli a Cristo casto, povero e obbediente e spingendoli a far propria la sua missione” (VC 19). Di conseguenza si entra a far parte del proprio istituto non per realizzare i propri progetti, ma per rispondere ad una chiamata, e questo per il bene della persona e “per l’utilità comune”. Ciò si realizza tanto più quanto più la persona si lascia trasformare dal carisma che è chiamata a vivere. Quando parliamo di consacrazione, esprimiamo dunque la consapevolezza che l’iniziativa è di Dio, è Lui che ci consacra e ci riserva per sé e per il suo disegno di salvezza (art. 12); ma in qualche misura intendiamo anche riferirci alla risposta che la persona dà; il documento VC usa spesso il termine “consacrazione” in questa accezione2. Si tratta della risposta di un essere-soggetto, che ha la capacità di dire sì o no, e che assume la responsabilità della propria decisione. Possiamo dunque 1 Può essere utile un paragone ad es. con la musica; un conto è apprezzarla e accoglierla come elemento significativo della propria vita, e un conto è dedicarvi la vita, imparare uno strumento e addirittura comporla, dedicando ad essa tutto il proprio tempo e le migliori energie. 2 Alcuni esempi: “la persona si consacra totalmente a lui (Dio) e al suo disegno di salvezza” (17); “chi ha consacrato pienamente la propria vita a Cristo…” (28); Dio è “il formatore per eccellenza di chi si consacra a lui” (66); “chi aspira a consacrarsi…” (68). 2 parlare di consacrazione a partire dall’azione di Dio (consacrazione ontologica, che produce un cambiamento nel soggetto) o a partire dalla risposta della persona (consacrazione etica, che impegna il soggetto in una forma particolare di esistenza cristiana), che sottolinea l’adesione libera e responsabile della persona. Consacrazione e vocazione umana La vocazione alla vita religiosa riguarda la modalità di attuazione della vocazione umana fondamentale, che è vocazione comunionale, all’amore, vocazione che Cristo ha attualizzato pienamente. Lo spirito di Nazareth che ci identifica è capacità donata a rispondere in piena consapevolezza alla chiamata a vivere la forma di vita di Gesù Cristo, per crescere e maturare come persone libere, create ad immagine di Dio, e tendere alla piena comunione con il Padre e con i fratelli. La peculiarità del modo e dello stile di vita propri della vita consacrata richiede una maturazione umana forte e continua, e allo stesso tempo la provoca, attivando il dinamismo di maturazione nel rapporto con se stessi, gli altri, le cose. Possiamo definire la maturità della persona consacrata come una chiara coscienza della propria identità, che vede la consacrazione come elemento centrale: la nostra è sempre un’identità di donne, e di donne consacrate. La vita fraterna in comune esige da parte di tutte un buon equilibrio psicologico, entro cui possa maturare la vita affettiva della singola persona. Componente fondamentale di tale maturazione è la libertà affettiva, grazie alla quale il consacrato ama la propria vocazione, e secondo la propria vocazione3. La maturazione principale non è tanto nell’ambito culturale o in quello del fare, quanto in quello affettivo, che significa possedere un’autonomia propria e non difensiva, interiorizzare un sistema di valori che orientano le scelte quotidiane, raggiungere un equilibrio emotivo e relazionale, essere capaci di impegno stabile ed equilibrato. Maturità affettiva significa capacità di uscire da sé per andare verso gli altri non per compensazione o per possesso, ma per mettersi realmente a loro disposizione, per servirli. Tutto questo richiede una forte libertà da se stessi e consapevolezza della natura relazionale della propria esistenza4. I consigli evangelici La professione con voto pubblico dei consigli evangelici è dunque espressione dell’appartenenza a Cristo e testimonianza dello spirito delle beatitudini, in vista della trasformazione del mondo secondo il progetto di Dio5. Questo significa che la risposta del consacrato alla chiamata di Dio si traduce nell’impegno ad amare di più, non a rinunciare ad amare. I voti professati diventano 3 “Il processo di maturazione avviene nella propria identificazione con la chiamata di Dio. Un’identità incerta può spingere, specie nei momenti di difficoltà, verso un’autorealizzazione malintesa, con bisogno estremo di risultati positivi e di approvazione da parte degli altri” (VFC 36). 4 “Amare secondo la propria vocazione è amare con lo stile di chi in ogni rapporto umano desidera essere segno limpido dell’amore di Dio: non invade e non possiede, ma vuole bene e vuole il bene dell’altro con la stessa benevolenza di Dio” (VFC 37). 5 “Compito peculiare della vita consacrata è di tener viva nei battezzati la consapevolezza dei valori fondamentali del Vangelo, testimoniando «in modo splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle Beatitudini». In tal modo la vita consacrata fa continuamente emergere nella coscienza del popolo di Dio l'esigenza di rispondere con la santità della vita all'amore di Dio riversato nei cuori dallo Spirito Santo” (cfr Rm 5, 5) (VC 33). “«Vieni Signore Gesù» (Ap 22, 20). Questa attesa è tutt'altro che inerte: pur rivolgendosi al Regno futuro, essa si traduce in lavoro e missione, perché il Regno si renda già presente ora attraverso l'instaurazione dello spirito delle Beatitudini, capace di suscitare anche nella società umana istanze efficaci di giustizia, di pace, di solidarietà e di perdono” (VC 27). 3 cammino per una piena libertà che ha come obiettivo la pienezza dell’amore umano, riflesso dell’amore di Dio. I consigli evangelici ci aiutano a non avere uno sguardo ingenuo sulle inclinazioni naturali dell’uomo (sessualità, possesso, potere), che se da un lato tendono al bene, dall’altro hanno bisogno di essere continuamente purificate. Castità, povertà e obbedienza sono quindi possibilità di orientare le energie migliori per divenire più umani, ricordando a se stessi e al mondo il senso della vita, che è la relazione e la comunione. La vita religiosa dovrebbe essere conquista di un’umanità più piena, perché illuminata da Dio; né privilegio, né condanna, ma via che Dio ci apre per realizzare la nostra umanità. Castità La castità consacrata, che comporta il celibato, è finalizzata a sviluppare in noi un’intimità particolare con Cristo e a renderci ripiene di amore per amare e donarci agli altri come ama e si dona Cristo6. La castità non è dunque contro la sessualità, né la considera come l’insidia più forte. Non sminuisce il valore del matrimonio, ma è a servizio della piena capacità di amare liberamente, gratuitamente e senza compensazioni. Chi vive la castità consacrata si lascia forgiare un cuore capace di essere vicino con amore ad ogni persona, in qualunque situazione si trovi. È testimonianza della potenza dell’amore di Dio nella fragilità della condizione umana. Il rapporto personale di appartenenza reciproca ed esclusiva con Cristo, dal quale riceviamo ogni bene, genera dunque una forza speciale che ci abilita a dedicarci interamente, con slancio e amore gratuito, alla missione derivante dal nostro carisma: ci manda nel mondo a testimoniare l’amore di Dio per l’uomo, a partire dalla pienezza di umanità alla quale la castità ci educa, senza dimenticare che la nostra è sempre un’umanità declinata al femminile, e che quindi è chiamata ad esprimerne i tratti. La castità testimonia il primato dell’amore, unica realtà che riempie di significato la vita umana, e ci rende anticipazione della vita futura, donando senso e pienezza alla nostra esistenza. Povertà La povertà evangelica è finalizzata a renderci interiormente libere da noi stesse per essere a servizio dei fratelli e delle sorelle. Aiuta a liberarsi dalle sicurezze umane, materiali e spirituali, per affermare che l’unica sicurezza è la fiducia in Dio. È Dio la vera ricchezza dell’uomo, e la persona è il valore assoluto, a cui va restituita la dignità, negata dall’ingiustizia causata dall’uomo. La povertà evangelica è dunque un dono finalizzato al servizio degli uomini, specialmente dei poveri. Abilita il consacrato, reso libero e capace di dedicare tutte le energie al regno di Dio, ad annunciare che Dio in Cristo raggiunge l’uomo per liberarlo dall’incertezza, dalla povertà di umanità, e per farlo ricco offrendogli il vero senso della vita, che non è quello dell’accumulo di beni7. La povertà presenta diverse sfaccettature: l’accento può essere posto sulla dimensione materiale, sugli atteggiamenti di sobrietà, di condivisione… La povertà è testimoniata sia singolarmente, attraverso scelte personali e concrete, che comunitariamente, attraverso uno stile di vita comunitario e scelte condivise, ed è frutto di un cammino graduale espresso mediante scelte progressivamente più impegnative. 6 “La verginità dilata il cuore sulla misura del cuore di Cristo e rende capaci di amare come lui ha amato” (RdC 22). “La povertà rende liberi dalla schiavitù delle cose e dei bisogni artificiali a cui spinge la società dei consumi, e fa riscoprire Cristo, l'unico tesoro per il quale valga la pena di vivere veramente” (RdC 22). 7 4 Obbedienza L’obbedienza religiosa è finalizzata a vivere la comunione con Dio, con le sorelle e i fratelli, a partire dall’esperienza della figliolanza. È il dono dell’intimità con Dio, e mette in gioco la libertà, che è la realtà più intima della persona. Non c’è contraddizione tra obbedienza e libertà: obbedire significa riconoscere la propria radicale dipendenza filiale da Dio e aderire liberamente e responsabilmente al progetto del Padre. La comunione con Dio che nasce dall’obbedienza filiale è la fonte da cui scaturisce la comunione fraterna che, a sua volta, diventa segno visibile della comunione con Dio, criterio della sua autenticità. L’obbedienza ci abilita cioè a camminare insieme nella ricerca e nell’adempimento della volontà di bene che Dio ha per ciascuno. Ci pone in mezzo ai fratelli e alle sorelle come “ascoltatrici della Parola” che annunciano l’azione dello Spirito nella storia, a partire dalla capacità di vivere in fiducioso abbandono nelle mani del Padre8. L’obbedienza ci pone infine di fronte al nodo problematico del ruolo delle mediazioni: quella dei superiori, ma anche quella di ogni realtà che incontriamo. 2. Commento agli articoli delle Costituzioni rinnovate Consacrate nella sequela di Cristo Art. 12 Dio Padre, nel suo infinito amore, con la consacrazione religiosa ci riserva totalmente per sé e per il suo disegno di salvezza, ci chiama alla sequela di Cristo casto, povero e obbediente e ci immerge nella sua Pasqua di morte e di resurrezione. Lo Spirito suscita il desiderio di una risposta radicale, rende operante in noi la vita nuova del Risorto e ci pone a servizio dell’umanità, in cammino verso la definitiva trasfigurazione. L’articolo mette in evidenza come la consacrazione sia primariamente azione del Signore, accoglienza di un dono che ci precede e chiede una risposta per poter divenire operante nella vita di ciascuna. La vita consacrata chiede di seguire Cristo casto, povero e obbediente, e questo significa realizzare un’esistenza umana come Dio l’aveva progettata creando l’uomo secondo l’immagine del Figlio. In questo senso la crescita deve essere un processo che continua per tutta la vita, fino alla morte. Sotto l’azione dello Spirito Santo, siamo poste alla sequela di Cristo, verso il Padre. Non si tratta di un dono per noi stesse, ma come tutti i doni dello Spirito è per il bene comune, e diviene quindi servizio per l’umanità, con la quale siamo in cammino. Con la Santa Famiglia siamo inserite nel progetto di salvezza del Padre e ad esso collaboriamo attraverso la nostra esistenza vissuta seguendo i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza. Professione dei consigli evangelici Art. 13 Con la professione dei consigli evangelici di castità, povertà, obbedienza, emessa con voto pubblico, siamo consacrate da Dio nella Chiesa e per la Chiesa e diveniamo segno e profezia di Dio, l’Altissimo. Unite a Gesù, Maria e Giuseppe dedichiamo a Dio Padre tutta la nostra vita come servizio di amore. 8 “L'obbedienza pone la vita interamente nelle sue mani perché egli la realizzi secondo il disegno di Dio e ne faccia un capolavoro” (RdC 22). 5 L’articolo ricorda che la consacrazione ci porta a dedicare tutta la vita a Dio in unione con la Santa Famiglia, come servizio di amore. Il riferimento per il dono di noi stesse è Nazareth, dove la vita di Gesù Maria e Giuseppe è stata completamente rivolta al progetto del Padre. La Professione, che ci incorpora nell’Istituto, ci rende partecipi dello stesso carisma. È un legame forte, perché condividiamo il medesimo progetto che è dono dall’Alto, dell’Altissimo e Sommo Bene. Nell’Istituto totalmente per Cristo Art. 14 Con la Professione veniamo incorporate all’Istituto e ne diveniamo membri effettivi. Partecipiamo allo stesso carisma che ci riunisce in comunità fraterne, per crescere nell’amore a Cristo ed esprimerlo da sorelle nella vita e nell’attività apostolica. Viviamo i consigli evangelici con fedeltà rinnovata ad ogni batter di polso, per dire la nostra appartenenza a Cristo, vivere della sua vita e testimoniare lo spirito delle beatitudini. L’essere partecipi dello stesso carisma ci rende sorelle; è il carisma che ci riunisce in comunità fraterne, ed è la comunità che diviene espressione del carisma nella concretezza della vita, lasciandosi toccare e sollecitare dalle necessità dei fratelli. L’articolo 14 indica anche un modo nostro di vivere la castità, la povertà e l’obbedienza: viviamo i consigli evangelici con fedeltà rinnovata ad ogni batter di polso. Dopo questi articoli introduttivi, nel testo delle Costituzioni ritroviamo uno schema ripetuto nello sviluppo dei singoli consigli evangelici. I commenti agli articoli 15-33 seguiranno la tabella sottostante, nella quale gli articoli sono raggruppati in base alla dimensione che viene considerata. Castità Natura del voto: fondamento trinitario e risposta Povertà Obbedienza 15 20 26 - impegno continenza sobrietà e dipendenza in un progetto condiviso obbedienza libera e matura nel discernimento comune - annuncio centralità di Dio Dio è la vera ricchezza Dio è il Signore della nostra vita 16 21 27 Stile carismatico 17 22-23 29-30 Dimensione profetica 19 24 33 Alcune sottolineature 18 25 28-31-32 Oggetto del voto: 6 NATURA DEL VOTO Ciascuno dei tre voti trova il suo fondamento nell’amore che lega le tre persone della Trinità; praticare i consigli evangelici significa tendere continuamente verso questo amore, in risposta alla chiamata. È quanto ci dicono gli artt. 15, 20, 26. Art. 15 L’amore infinito che unisce le tre Persone nella profondità del mistero trinitario è il fondamento della castità consacrata. Il Padre, unica ragione del vivere di Cristo, ci dona la gioia di appartenere totalmente a lui e di esprimere, nello Spirito, il mistero della verginità sponsale della Chiesa. Art. 20 In Cristo, fatto povero per arricchirci, trova fondamento la povertà consacrata. Lo Spirito ci inserisce nell’offerta del Figlio al Padre, vissuta nella condivisione totale della condizione dell’uomo, amato fino alla morte di croce, e ci conforma a Cristo nella vita operosa e nascosta di Nazareth. Art. 26 L’obbedienza del Figlio di Dio, incarnatosi per compiere la volontà del Padre che lo ha mandato, è il fondamento della nostra obbedienza. Il Signore Gesù, che Dio ha consacrato in Spirito Santo e potenza, ci comunica la bellezza di un rapporto filiale vissuto in costante ascolto e accoglienza del Padre, nella libertà del dono totale di noi stesse. Ogni articolo che tratta della natura del voto esplicita un particolare aspetto della relazione trinitaria che costituisce il fondamento del voto stesso. Per la castità il nucleo centrale è l’amore che lega reciprocamente e indissolubilmente le tre Persone divine; per la povertà è l’offerta di Cristo al Padre, sostenuta dallo Spirito; per l’obbedienza è l’adesione del Figlio al progetto del Padre che lo manda nel mondo per la redenzione dell’uomo, consacrandolo nello Spirito Santo. È interessante notare come lo Spirito, che accompagna la vita del Figlio di Dio e ne rende possibile l’incarnazione, è il medesimo Spirito che rende partecipi anche noi degli stessi dinamismi perché ci fa entrare in comunione con il Signore Gesù e ci abilita a dare una forma simile alla nostra esistenza. Questa forma assume tre aspetti: appartenenza totale a Dio (castità), condivisione con i fratelli in una vita operosa e feriale come a Nazareth (povertà), sviluppo di una identità filiale caratterizzata dall’ascolto e dall’accoglienza del Padre che conduce al dono di sé liberamente scelto (obbedienza). Prendendo brevemente in esame ciascuno dei tre articoli possiamo fare qualche considerazione più specifica: Castità: l’articolo 15 parla di appartenenza totale a Dio. Questo aspetto di totalità ci richiama le parole di Gesù ai suoi discepoli (Lc 14, 26; Lc 18, 29-30), parole che contengono richieste radicali: nella realtà nuova ed escatologica portata da Gesù ciò che è decisivo è mettersi al servizio del Regno, seguire Gesù fino ad abbandonare tutto. La famiglia, i vincoli di sangue, il lavoro, la casa, la terra, sono tutte realtà benedette, ma tutto questo perde il primato, che va accordato a Gesù, al Regno, al Vangelo. È solo nella sequela di Gesù che la castità consacrata riceve valore: si è talmente attratti da Cristo e dal suo Regno che si desidera vivere in totale comunione con lui, concentrando il desiderio, la speranza, l’amore sulla sua persona. Questo ci 7 permette di dare al nostro amore verso i fratelli i tratti dell’universalità e della concretezza: aperto a tutti e allo tesso tempo personale. Un amore che riceve tutti senza fare selezioni, un’accoglienza oltre ogni preferenza. Nell’articolo si fa riferimento anche al nostro divenire segno del mistero della verginità sponsale della Chiesa. Il linguaggio della “sponsalità” riferito alla relazione con il Signore e utilizzato dalla tradizione cristiana a proposito della verginità consacrata, va correttamente inteso: non si tratta infatti di considerare Cristo sostituto dello sposo, ma di una immagine usata per indicare il mistero della relazione di Alleanza tra Dio e l’umanità, tra Cristo e la Chiesa. Povertà: l’articolo 20 ricorda che Cristo si è fatto povero per noi. È bene innanzitutto precisare che in se stessa, intesa come mancanza di mezzi per vivere, la povertà non è mai un valore, anzi, è il frutto dell’ingiustizia dell’uomo e perciò va combattuta, perché deturpa il volto bello dell’uomo e nasconde i segni della paternità di Dio. All’origine, infatti, Dio ha posto la sua benedizione sull’uomo e lo ha rivestito di una dignità infinita, donandogli tutto il necessario per una vita buona e felice. La risposta a ciò che si oppone alla dignità dell’uomo è la fraternità, la condivisione. Dio, infatti, ha scelto di farsi povero non perché la povertà in sé è un valore, ma per mettersi dalla parte dell’uomo e riabilitare il suo volto. Per noi, allora, scegliere la povertà significa vivere e comunicare la solidarietà piena di Dio con chi è ultimo ed emarginato dalla storia. Così abbracciamo anche la dignità dell’uomo ferito e diciamo che a nessuno è tolta l’identità di figlio amato consegnata dal Padre a ogni creatura. L’articolo ricorda che lo spogliamento del Figlio di Dio è per la condivisione piena con l’esistenza dell’uomo; è quanto siamo chiamate a vivere anche noi, facendoci prossimo a ogni persona, da sorelle. Siamo mandate ad accompagnare, prenderci cura, farci compagne di cammino, donando all’altro uno spazio di fraternità e di accoglienza. Se viviamo così la povertà consacrata saremo rese capaci di riaprire la speranza, rilanciare il futuro, orientare i fratelli verso le infinite possibilità di Dio, lasciando spazio alla sua azione creatrice. Tutto questo si realizza per noi nel quotidiano, nel servizio semplice e discreto che ci caratterizza, nell’operosità fattiva, concreta, pronta che impariamo da Nazareth e che i Fondatori hanno vissuto in prima persona. Obbedienza: l’articolo 26 fa riferimento all’incarnazione come evento che manifesta l’obbedienza del Figlio al Padre. Si tratta di un’obbedienza all’amore, espressione di comunione con Dio e con gli uomini. Anche per noi l’obbedienza è relazione, cioè ascolto di Dio e di ciò che Lui fa per me, e questo si manifesta nelle opere concrete. Obbedire al Signore ci rende libere e la libertà rende capaci di obbedire. Dire di sì al Signore è dare l’assenso a una promessa, a un dono da riaccogliere ogni giorno perché non si possiede mai fino in fondo. Questo dono è il bene per me e l’obbedienza dice il mio riconoscimento che questo bene non deriva dalla mia persona ma va ricevuto da un Altro, dal Padre che mi ha resa figlia. L’ascolto, l’accoglienza e la fiducia, fondamentali per poter obbedire, scaturiscono solo dove c’è una relazione filiale e non servile. In Cristo tutti noi siamo resi figli dell’unico Padre. L’obbedienza, insieme agli altri voti, educa la libertà alla gratuità, perché la libertà vera è la carità. Siamo chiamate continuamente a orientare verso l’altro ciò che siamo e abbiamo. Questa è obbedienza responsabile: offrire il proprio contributo dentro una prospettiva che va oltre il “mio” e l’”io”, senza ritirare la fiducia e senza spirito di rivalsa. L’obbedienza autentica sollecita sempre la responsabilità: Dio è aperto all’uomo e lo conduce verso gli altri in una dimensione di 8 fraternità e di dono. L’obbedienza è povertà di potere per il servizio, rinuncia a sottomettere e controllare gli altri per prendersi cura di loro. In sintesi, possiamo dire che la nostra risposta al dono ricevuto con la chiamata si caratterizza come disponibilità ad entrare in un nuovo dinamismo, una novità di vita che ci è donata dal Padre, ci raggiunge tramite lo Spirito e ci configura al Figlio. Tale novità di vita si esprime come amore, che si declina in varie forme ma rimanda sempre alla sua sorgente, la Trinità, che è agape. OGGETTO DEL VOTO Ogni battezzato è chiamato a vivere i consigli evangelici, ciascuno secondo la propria specifica forma di vita. Professarli con voto pubblico significa anche impegnarsi ad una specifica modalità di essere casti, poveri e obbedienti, che diventa annuncio del volto di Dio, un volto buono e desiderabile. È quanto ci dicono gli artt. 16, 21, 27. Art. 16 Con il voto di castità assumiamo consapevolmente l’obbligo della continenza perfetta nel celibato per il regno dei cieli. Proclamiamo che Cristo Signore, centro della nostra esistenza, è il Tutto per noi e ci rende libere per amare ogni creatura. Art. 21 Il voto di povertà comporta la scelta di una vita sobria e la dipendenza dalle superiore nell’usare e nel disporre dei beni secondo il Diritto proprio e in linea con un progetto carismatico condiviso. Il cammino di libertà da noi stesse e dalle cose diventa annuncio che Dio è la vera ricchezza dell’uomo, che tutto viene da lui e a lui tutto va restituito, per cui non ci appropriamo di nulla. Per costruire comunità evangeliche mettiamo in comune tutto quello che riceviamo a motivo del lavoro, di donazioni, sovvenzioni, assicurazioni e pensioni. Art. 27 §1. Con il voto di obbedienza ci è fatto dono di aderire pienamente alla volontà di Dio Padre e di manifestare la sua signoria nella nostra vita. Ci obblighiamo a sottomettere la nostra volontà e ad obbedire con libertà e maturità personale alle superiore quando comandano secondo le Costituzioni, e accogliamo la loro mediazione in tutto ciò che è conforme al Diritto universale e proprio; ci inseriamo così in un fraterno e corresponsabile cammino di discernimento e di attuazione del disegno di salvezza del Padre. Diamo significato evangelico a tutte le mediazioni e collaboriamo con dialogo costruttivo, in un processo di crescita umana che ci rende capaci di assumere compiti e responsabilità. §2. Qualora una sorella non accolga un’obbedienza, la Superiora generale può dare un precetto formale per iscritto o alla presenza di due testimoni, e sempre per motivi gravi, dopo aver tentato ogni altro mezzo. Questi articoli ci ricordano quali sono gli impegni che scaturiscono dalla professione dei voti: la continenza nel celibato (castità); la sobrietà e la dipendenza nell’uso dei beni dentro un progetto condiviso (povertà); l’obbedienza nella libertà e maturità umana, accogliendo le mediazioni (obbedienza). Sono atteggiamenti che si iscrivono in un cammino di libertà e responsabilità, dentro un progetto carismatico condiviso, in vista di una maturazione personale e comunitaria che conduce a collaborare attivamente al disegno di salvezza del Padre. 9 Il celibato che ha il Regno come motivazione, causa e fondamento, è possibile e diviene realtà profetica ed escatologica, non funzionale: è un dono fatto al discepolo, chiamato a “far spazio in sé”. Non si tratta dunque di un comando dato per essere “perfetti”, di una scelta ispirata dal desiderio di purezza e di integrità fisica, come se le relazioni sessuali fossero in opposizioni alla vita spirituale, ma di un carisma da accogliere per chi si riconosce in una specifica forma di sequela e sa farle spazio. Va dunque ricevuto nella libertà e per amore, a motivo del desiderio di concentrare tutto di sé nella persona di Cristo. Lo stile della sobrietà, il rifiuto del possesso e dell’accumulo, sono espressione del fatto che non si confida nei mezzi materiali, ma nella forza della Parola. Riconoscere questo primato fa crescere nella libertà, perché ci educa a vincere l’egoismo e ci dispone all’abbandono fiducioso per il servizio ai fratelli, nella gratuità. Come nella prima comunità dei discepoli, il mettere tutto in comune permette che nessuna sia nel bisogno: la comunità voluta dal Signore è comunione in cui ogni cosa è condivisa. L’accoglienza delle mediazioni (i cambiamenti, le novità, le richieste della vita e della storia, le persone, in particolare quelle che hanno un ruolo di autorità) è un atteggiamento necessario nella dinamica dell’obbedienza a Dio. Obbedire significa scoprire come la realtà in cui mi trovo, seppure limitata, ferita, talvolta persino irrazionale, può essere spazio per l’azione di Dio. È un modo di decidere di se stessi libero, e quindi adulto, ma mai a prescindere dalla situazione oggettiva. L’obbedienza è dunque attiva, e non passiva. Questo ci permette di riconciliarci con noi stesse e con coloro che riteniamo responsabili di quella situazione, e allo stesso tempo riconsegna la realtà alla nostra responsabilità di persone adulte, capaci di decisioni e di azioni autonome. Non si tratta di “spiritualizzare”, attribuendo valenza positiva a ciò che in realtà non ce l’ha, ma di riconoscere che nulla giustifica la disperazione, perché Dio non cessa di fare alleanza con l’uomo. L’obbedienza religiosa, con la sua struttura di obbedienza ad una regola e ai superiori, a vari livelli, ha molto a che fare con il modo in cui intendiamo la nostra libertà e con la nostra capacità di attribuire senso alla realtà con tutti i suoi limiti. Nella regola e nei superiori non si dovrebbero cercare motivazioni razionali per obbedire, ma un aiuto per aderire liberamente a Cristo. Gli ultimi documenti della Chiesa ci ricordano che l’autorità deve essere principalmente autorità spirituale9, a servizio dell’obbedienza a Dio10. Vivere queste dimensioni riveste un carattere profetico, poiché è annuncio di un particolare aspetto del volto di Dio. Con la castità diciamo che Cristo è centro e compimento della nostra esistenza, fondamento di quella libertà che ci permette di amare tutti senza legarci a nessuno. Con la 9 “Nella vita consacrata l'autorità è prima di tutto un'autorità spirituale. Essa sa di essere chiamata a servire un ideale che la supera immensamente, un ideale al quale è possibile avvicinarsi soltanto in un clima di preghiera e di umile ricerca, che permetta di cogliere l'azione dello stesso Spirito nel cuore d'ogni fratello o sorella. Un'autorità è “spirituale” quando si pone al servizio di ciò che lo Spirito vuole realizzare attraverso i doni che Egli distribuisce ad ogni membro della fraternità, dentro il progetto carismatico dell'Istituto” (Faciem Tuam 13a). 10 “Nella vita consacrata ognuno deve cercare con sincerità la volontà del Padre, perché diversamente sarebbe la ragione stessa della sua scelta di vita a venire meno; ma è ugualmente importante portare avanti insieme ai fratelli o alle sorelle tale ricerca, perché è proprio essa che unisce, rende famiglia unita a Cristo. (…) La persona chiamata ad esercitare l'autorità deve sapere che potrà farlo solo se essa per prima intraprende quel pellegrinaggio che conduce a cercare con intensità e rettitudine la volontà di Dio. (…) Nell'intento di fare la volontà di Dio, autorità e obbedienza non sono dunque due realtà distinte o addirittura contrapposte, ma due dimensioni della stessa realtà evangelica, dello stesso mistero cristiano, due modi complementari di partecipare alla stessa oblazione di Cristo” (FT 12). 10 povertà diciamo che Dio è il tesoro e la perla preziosa, l’unica autentica ricchezza dell’uomo, la fonte di ogni bene alla quale tutto ritorna, senza essere da noi trattenuto. Con l’obbedienza diciamo che Cristo è l’unico Signore della nostra vita, non abbiamo idoli a cui affidarci; solo il Dio vivente è colui nel quale confidiamo e al quale consegniamo la nostra vita, con fiducia e amore. STILE CARISMATICO La radice carismatica della vita consacrata fa sì che i consigli evangelici siano vissuti con una sfumatura particolare data dal carisma, che ci introduce in una prospettiva “relazionale” dei voti, permeata in modo sostanziale, anche se non sempre esplicito, dallo spirito francescano. Art. 17 La castità, che ha reso feconda la vita nella Famiglia di Nazareth, rinsalda i nostri vincoli di fraternità, ci apre a relazioni mature in uno scambio d’affetto sincero, libero e creativo; favorisce rapporti sereni di amicizia e ci rende capaci di esprimere il progetto di comunione di Dio con l’umanità. Art. 22 Dal Fondatore e da madre Maria accogliamo l’atteggiamento di abbandono alla provvidenza del Padre scegliendo sempre, personalmente e comunitariamente, la vita semplice e povera di Nazareth. L’esperienza della comunione fraterna ci educa a superare l’egoismo e la volontà di possesso, a crescere nell’amore per metterci a servizio degli altri. Art. 23 Dalla Famiglia di Nazareth impariamo a vivere del nostro lavoro, mezzo di redenzione, impegno responsabile ed esperienza di solidarietà con tutti. Siamo attente e provvediamo alle necessità delle persone e, nello spirito del Fondatore, esprimiamo la sollecitudine per il povero popolo con forme opportune di risposta e promozione, riconoscendo la povertà nelle sue molteplici dimensioni. Coltiviamo lo spirito di povertà che animava le prime sorelle, protese ad una concreta testimonianza evangelica di condivisione e di accoglienza del vivere quotidiano in spirituale letizia. Art. 29 Come Maria e Giuseppe, disponibili al dono di sé per il compimento dell’Incarnazione del Figlio di Dio, consegniamo la nostra volontà nelle mani del Padre con libertà e fiducia incondizionate, perché l’abbandono in lui colmi la vita di amore. Attuiamo così quella realizzazione personale che risponde al disegno di Dio su di noi e che è graduale cammino di liberazione e adesione responsabile al suo progetto. Art. 30 Con il voto di obbedienza condividiamo l’esperienza della Famiglia di Nazareth, scelta da Dio per manifestare la sua volontà di bene per ogni creatura. La vita fraterna diventa il luogo privilegiato ove discernere forme e modalità per vivere l’unica vocazione alla santità, e camminare insieme in unione di mente e di cuore. Gli articoli 17, 22, 23, 29, 30 dicono lo stile con cui noi Piccole Suore viviamo i voti di castità, povertà e obbedienza. È uno stile che scaturisce dal mistero di Nazareth, dal quale ci lasciamo ispirare e plasmare nel nostro modo di vivere ciò che è comune a tutti i consacrati. Possiamo raggruppare come segue le peculiarità della spiritualità nazaretana in riferimento ai voti: le relazioni in comunità (castità); la vita semplice, operosa e feriale, l’attenzione e il servizio ai 11 bisognosi (povertà); l’abbandono fiducioso al Padre, nella libera e responsabile adesione al suo piano di salvezza (obbedienza). Analizziamo più da vicino questi elementi: la castità è in funzione di una più grande umanità e maturità nelle relazioni. Non inaridisce la nostra capacità di amare ma al contrario la allarga e approfondisce, la rende più libera e meno possessiva, più creativa e gratuita. Siamo rese capaci di esprimere affetto e vicinanza in modo autentico, pieno e sereno. La fecondità che ci è donata non è nell’ambito fisico ma non per questo è meno reale o meno significativa in quanto l’amore libero e gratuito ha la forza di generare le persone a una nuova vita, ad una umanità più matura e responsabile. E questo è un grande servizio che rendiamo a noi stesse e a quanti avviciniamo. La castità consacrata è una condizione che richiede un’intensa relazione con il Signore, ma richiede anche, e allo stesso tempo rende possibile, una intensa vita di relazione nello spazio comunitario ed è legata alla missione a cui siamo inviate. In altre parole la castità riguarda la triplice relazione con Dio, con le sorelle e con gli uomini tutti11. È l’aver messo al centro il Signore che apre alla possibilità della vita comunitaria, ed è la fraternità riunita attorno al Signore che dà significato e fecondità alla castità consacrata. Tutto della persona consacrata è orientato al servizio del progetto comunitario, e da esso riceve il senso e i tratti specifici. Per noi il riferimento a cui guardare per vivere questa dimensione è la Famiglia di Nazareth, nella quale la fecondità delle relazioni deriva da una apertura incondizionata al progetto del Padre, accolto da Gesù Maria e Giuseppe e vissuto in un cammino umano di maturazione nella capacità di ascolto, accoglienza, attesa, fiducia. Non solo Gesù ma anche i suoi genitori crescono in sapienza e grazia, lasciandosi condurre dallo Spirito anche quando non comprendono, custodendo nel cuore come Maria e nel silenzio come Giuseppe, agendo sempre con apertura di mente e di cuore alla voce del Padre. La povertà è in funzione dell’accoglienza di una vita semplice e feriale vissuta nell’operosità. Non desideriamo cose straordinarie, preziose, ricercate ma accettiamo con gioia quanto la vita ci offre, contribuendo con il nostro lavoro a renderla più umana e vivibile. La povertà chiede scelte personali, che possono esprimerla o contraddirla, nonostante le regole e le indicazioni date, ma anche scelte comunitarie. Ci si trova spesso a camminare lungo una linea di demarcazione molto sottile: si tratta di essere povere, ma non misere; di essere semplici e sobrie, ma non trasandate; di essere esigenti nelle scelte comunitarie, ma non giudici, né moraliste; di curare l’attenzione ad ogni necessità della persona e degli ambienti perché siano ospitali, evitando il lusso. Ogni sorella e ogni comunità sono perciò chiamate ad esercitare la creatività e a discernere come essere fedeli al vangelo. Nazareth ci insegna a valorizzare l’opera delle nostre mani e del nostro ingegno; nemmeno il Figlio di Dio si è sottratto alla legge umana del lavoro e anzi ne ha fatto un luogo di crescita umana e di condivisione con la condizione del suo popolo. Il lavoro diventa allora per noi un 11 Bruno Maggioni afferma che “comunione e missione sono le due strutture entro le quali il celibato si giustifica e trova la sua possibilità di condizione assunta in modo permanente. Per i primi discepoli il celibato si configurava come un servizio per il Regno condotto insieme: in comunione con Gesù e tra loro. Le due dimensioni sono inseparabili. Nella comunione si anticipa il Regno, nella missione ci si pone totalmente al suo servizio”. B. MAGGIONI, Eunuchi per il Regno, in Parole di Vita 4 (1987), p. 46. 12 mezzo attraverso il quale esprimiamo e affermiamo la dignità umana di cui Dio ci ha rivestito. Con il lavoro proseguiamo l’opera creatrice e contribuiamo ad avere cura di un mondo uscito bello e buono dalle mani del Creatore. Infine, il lavoro ci pone in comunione con tutti poiché ci porta a condividere la stessa esperienza dei nostri fratelli e sorelle, aprendoci alla solidarietà con il loro impegno, le loro preoccupazioni e aspettative di futuro. Educate dalla vita comune, siamo rese capaci di lottare per vincere la tentazione della chiusura nei nostri bisogni e della volontà di possesso, per metterci a servizio degli altri con piena disponibilità e amore gratuito. In particolare coltiviamo l’attenzione e il servizio verso le persone in difficoltà, il “povero popolo” di oggi, che manifesta necessità materiali, culturali, relazionali, morali, spirituali… Offriamo occasioni di riscatto e promozione ad una umanità ferita che tuttavia possiede risorse preziose per la sua rinascita. Il Fondatore ci ha insegnato a non lasciare andare neppure un’anima, ad essere aperte a ogni forma di bisogno e a prenderci cura della persona considerata nella sua singolarità e unicità. Facciamo tesoro di questa eredità, raccolta nel tempo da tante sorelle, e ci apriamo a una testimonianza di condivisione e accoglienza del vissuto quotidiano in uno spirito di francescana letizia. L’obbedienza è in funzione di un più forte affidamento a Dio, nella libera e responsabile adesione al suo piano di salvezza. Maria e Giuseppe si sono fidati di un disegno misterioso di Dio che non avrebbero potuto prevedere e che ha cambiato i loro progetti e le loro aspettative. Hanno saputo mettersi in ascolto e hanno deciso di dire “sì” senza avere alcuna certezza, e anzi rischiando di pagare in prima persona conseguenze dolorose. La vita di Gesù, Maria e Giuseppe, vissuta come obbedienza al Padre, non è stata atto di negazione della dimensione di autonomia e discernimento, ma è stata piuttosto esaltazione di questi aspetti. L’obbedienza filiale è quel modo di decidere di sé, libero e dunque adulto, attraverso cui la nostra identità è attualizzata. La prima obbedienza è alla realtà, non come rassegnazione, bensì come spazio riconosciuto quale condizione di attuazione della propria identità, e quindi come spazio in cui dire Dio. Anche noi siamo chiamate a coltivare la stessa infinita apertura alla voce dello Spirito, per imparare a donare la vita con libertà e venire colmate di amore. In questo modo la nostra esistenza raggiunge il suo compimento, secondo quella pienezza di umanità che il Figlio incarnato ci ha rivelato e ha reso possibile anche per noi. La piena e autentica realizzazione della nostra unicità personale è ciò che Dio desidera per noi, attraverso un percorso di liberazione che conduce al dono di sé in forma consapevole, libera e matura. La nostra esistenza trasfigurata a immagine di Cristo secondo i tratti di Nazareth manifesta la volontà di bene che Dio ha per ciascuno dei suoi figli e rivela che è possibile e bello vivere il vangelo. Come Piccole Suore, è nell’obbedienza vicendevole vissuta in comunità che troviamo la via per discernere i modi più significativi con cui esprimere la nostra vocazione, che diventa tanto più comprensibile quanto più esprime la vera comunione fraterna. Obbedire alle sorelle significa in primo luogo accettarle nella loro realtà come dono del Signore; decidiamo di amarle prima ancora di conoscerle. In questo modo rafforziamo la consapevolezza di essere insieme in cammino verso la stessa meta, riconoscendoci nel medesimo carisma. Questo clima fraterno e di reciproca accoglienza è il terreno nel quale può germogliare la corresponsabilità, che è esercizio della responsabilità insieme alle sorelle, volontà di esercitarla in comunione. 13 DIMENSIONE PROFETICA ED ESCATOLOGICA Gli articoli 19, 24, 33 dicono la dimensione profetica ed escatologica dei voti. Questo significa che rivelano qualcosa di Dio e di noi, in particolare esprimono ciò che siamo ora ma anche ciò che saremo nella pienezza dei tempi, quando la nostra umanità sarà definitivamente compiuta a immagine del Cristo risorto, primizia dell’uomo nuovo. ART. 19 Il vincolo sponsale con il Crocifisso Risorto ci apre all’accoglienza piena del suo Spirito, manifesta la bellezza e la forza dell’amore oblativo e della fecondità spirituale che da tale vincolo scaturisce. Ci rende anticipazione della vita futura in cui Dio sarà tutto in tutti e dona senso e pienezza alla nostra esistenza. Art. 24 La povertà vissuta in pienezza apre il cuore alla speranza e ci rende libere per proclamare con la vita che Dio è l’unico e vero Bene. Come i poveri del Vangelo, ci consegniamo al Padre con la radicale fiducia del Fondatore, nell’atteggiamento interiore di chi confida unicamente nel Signore, il Tutto per noi. Art. 33 La progressiva assimilazione a Cristo, attraverso l’adesione filiale alla volontà del Padre, ci immerge nel suo mistero pasquale, che rende già ora presente il Regno. Esprimiamo così il nostro abbandono di creature nelle mani del Creatore, diveniamo segno di contraddizione, attente a cogliere, con uno sguardo di speranza, la presenza di Dio che dà senso anche alla debolezza umana. In questi articoli emergono delle parole-chiave che si ripetono ed esprimono l’essenza della nostra profezia attraverso i voti: si parla di “senso”, “speranza”, “abbandono fiducioso a Dio”. Le analizziamo brevemente. Vivere i consigli evangelici ci apre al senso dell’esistenza perché ci permette di riconoscere e accogliere la presenza di Dio come Colui che rispetta e promuove la nostra vita e nella debolezza fa nascere una opportunità di riscatto. Attraverso i voti ci è dato di portare a compimento la nostra umanità nella forma del dono di sé, che rappresenta la pienezza e il significato di ogni esistenza. Noi anticipiamo ciò che tutti vivremo compiutamente alla fine dei tempi: la comunione con Dio. Vivere i consigli evangelici mantiene il cuore aperto alla speranza perché ci fa sperimentare che Dio è fedele alle sue promesse e porterà a compimento l’opera iniziata in noi. Egli agisce sempre a nostro favore, è il sommo e unico Bene. Vivere i consigli evangelici ci aiuta a rinnovare ogni giorno l’abbandono fiducioso in Dio, riconosciuto come il Tutto della vita. Il Regno diventa il motivo del nostro agire, nella certezza che il Padre provvede a ogni cosa perché ha cura di noi, siamo suoi figli e gli stiamo a cuore. I voti ci ricordano il nostro essere creature che ricevono tutto dalle mani del Creatore, creature che non possono rivendicare nulla ma sono desiderose e aperte a ricevere tutto da Lui. ALCUNE SOTTOLINEATURE Per ogni voto vengono offerte alcune sottolineature particolari: 14 per la castità, l’invito ad andare “alle sorgenti del dono”, e quindi la cura per la vita interiore e per le espressioni, nella vita e nelle relazioni, della nostra femminilità (art. 18); per la povertà, il cammino di graduale approfondimento della gratuità nel servizio (art. 25); per l’obbedienza, la spiritualità di comunione con la quale esprimiamo il nostro essere nella Chiesa (art. 28), il ruolo delle mediazioni (art. 28, 31), la corresponsabilità (art. 31, 32). Alle sorgenti del dono Art. 18 Assetate di Cristo, attingiamo dal quotidiano incontro con il Signore, nella Parola e nell’Eucaristia, la forza e la gioia di vivere in pienezza la castità. L’appartenenza totale a lui accresce la nostra vigilanza nel mantenere integro e fecondo il dono di Dio e nel vivere una solitudine abitata dalla sua presenza. Cresciamo nell’intimità con il Signore attraverso l’orazione, l’ascesi e l’operosità, e con serena consapevolezza esprimiamo nella vita e nelle relazioni la forza del dono, tipica della nostra femminilità. La castità consacrata è tesa alla relazione stretta e assidua con il Signore, che significa “stare” con lui, vivere in radicale comunione con lui, non essere distratti da mille cose, né divisi. Si tratta di una realtà sempre in divenire, poiché in divenire è la realtà della persona umana. La scelta va dunque continuamente rinnovata nelle diverse fasi dell’esistenza, quando il modo di amare cambia, quando il desiderio di affetti stabili si fa più pressante o quando è più difficile tollerare la solitudine che la castità consacrata comporta. Essa infatti chiede di rinunciare ad ogni relazione in cui si “trattiene” l’altro, per farlo crescere e divenire libero, alla distanza che lui vuole; di rinunciare all’illusione di onnipotenza, in cui ogni relazione è perfetta, per accettare di non essere amati da tutti e di non riuscire a “salvare” l’altro dalla sua sofferenza, dal vuoto, dalla mancanza di affetto. Occorre abitare e amare la solitudine, quella propria e quella dell’altro, e in essa divenire “segno” per gli altri. Si tratta di un cammino che coinvolge tutta la persona, ed è un lavoro che richiede molto tempo: la castità non è un punto di partenza, ma una meta verso cui tendere, mettendo ordine continuamente nei propri desideri e in ciò che nel profondo di noi stesse impedisce le relazioni di vera comunione, l’amare “con cuore unificato”. Se vissuto come dono e come risposta di amore, tutto questo diviene motivo di continua relazione con il Signore. La castità consacrata è sostenuta dalla preghiera, dall’ascolto della Parola, dalla celebrazione convinta e partecipata dei sacramenti, perché l’amore per il Signore dipende dalla conoscenza di lui che si ha, si approfondisce e si rinnova. La relazione con il Signore diviene possibilità di portare a pienezza la nostra umanità12, secondo i tratti tipici della nostra femminilità. Vivere i consigli evangelici deve renderci più donne, secondo quei “doni specifici di cui il Creatore ha arricchito l’identità femminile, per dare espressione accogliente, delicata e creativa a tutte le nostre relazioni” (Direttorio art. 14). 12 Enzo Bianchi afferma che “nell’intercessione ci è dato di comprendere e sperimentare che la preghiera per gli altri, portata al Signore insieme al loro volto e alla loro sete, è la custodia più efficace di ogni nostra relazione: infatti, facendo memoria dell’altro davanti al Signore, noi lo affidiamo a lui. E a lui, che diventa in questo modo il centro delle nostre relazioni interpersonali, potremo ogni giorno chiedere che esse siano purificate così da permettere a Cristo di regnare in ogni nostro incontro, quale senso ultimo di ogni nostro scambio”. E. BIANCHI, Nella libertà e per amore, Qiqajon, 2014, p. 91. 15 Cammino di povertà Art. 25 §1. Per conformarci allo stile di vita di Cristo povero e nella consapevolezza che, entrando nell’Istituto, godiamo dei suoi beni spirituali e materiali, viviamo ogni servizio nella gratuità. Conserviamo la proprietà dei beni e la capacità di acquistarne altri in linea patrimoniale. Nello stesso tempo: a. prima della professione temporanea cediamo l’amministrazione dei beni che possediamo o che ci possono pervenire a chi preferiamo, e disponiamo liberamente del loro uso e usufrutto; b. prima della professione perpetua, redigiamo il testamento a norma del Diritto universale in forma civilmente valida. La cessione e il testamento non potranno essere cambiati senza la licenza della Superiora generale, o in casi di urgenza della superiora più prossima, che deve subito notificare alla Superiora generale la modifica introdotta. §2. Per una più profonda unione al mistero della povertà del Signore Gesù, trascorsi almeno dieci anni dalla professione perpetua, possiamo chiedere di rinunciare ai beni patrimoniali posseduti o che possiamo acquistare. È facoltà della Superiora generale, con il consenso del consiglio, concedere la licenza con grande prudenza, dopo aver esaminato il caso. Tale rinuncia sarà fatta in forma civilmente valida. Questo articolo esprime, con il linguaggio tecnico del Diritto canonico, la gradualità del cammino verso la povertà che ci conforma a Cristo, nel progressivo approfondimento della gratuità nel servizio. L’appartenenza all’Istituto ci permette di usufruire di tutti i suoi beni, materiali e spirituali, perché ogni cosa viene messa in comune e condivisa a beneficio di tutte. È il centuplo di cui parla Gesù nel vangelo come segno dell’amore sovrabbondante di Dio che raggiunge chi a lui consegna la vita. La cessione dell’amministrazione dei beni o la rinuncia ad essi non è segno del disprezzo verso la ricchezza, ma desiderio di assumere nella forma più radicale la libertà dai beni per confidare unicamente nel Signore e cercare innanzitutto il suo Regno. È il riconoscimento progressivo che tutto abbiamo ricevuto gratuitamente e tutto restituiamo con gioia, senza trattenere nulla, perché il Padre ha cura di noi. Obbedienza nella Chiesa Art. 28 In comunione con Cristo, unico mediatore, in forza del voto obbediamo al Papa, centro dell’unità della Chiesa e aderiamo al Magistero. Il sentire cum Ecclesia, che ha caratterizzato la vita e la missione del Fondatore e di madre Maria, ci sollecita a vivere un’autentica spiritualità di comunione, come testimonianza concreta dell’amore alla Chiesa. Rinnoviamo la fede nella Parola di Dio espressa attraverso le mediazioni comuni: avvenimenti e situazioni, attese delle persone, soprattutto dei poveri, e quelle proprie della vita religiosa: Codici dell’Istituto, disposizioni delle superiore, decisioni comunitarie, necessità della missione. Obbedienza e corresponsabilità Art. 31 Viviamo l’obbedienza nell’esercizio quotidiano della corresponsabilità e della sussidiarietà. Il clima di fiducia reciproca favorisce la comunicazione e la partecipazione di ciascuna. Accogliamo la decisione ultima che compete alla superiora. Offriamo il nostro contributo affinché nella condivisione la comunità cresca in carità, creatività e fedeltà dinamica. 16 Art. 32 Unite in un progetto comune da condividere consapevolmente e nella responsabilità, viviamo l’obbedienza con la prontezza e la determinazione del Fondatore e di madre Maria. Ciascuna, con senso di appartenenza e disponibilità, mette a frutto doti personali e talenti, cercando con le sorelle di conoscere e attuare il piano di Dio nel suo continuo rivelarsi. Questi articoli sull’obbedienza ci ricordano tre cose: la comunione nella Chiesa e con la Chiesa, nella quale siamo nate alla vita cristiana e che continua ad essere grembo che ci nutre e ci rinnova nella fede. Siamo attente e partecipi di quanto avviene nel contesto ecclesiale, disponibili ad accogliere le indicazioni pastorali, da tradurre con intelligenza e creatività nel contesto in cui operiamo. È importante comprendere come cambia la sensibilità teologica e pastorale, per dare il nostro contributo come Piccole Suore e rispondere ai segni dei tempi (art. 28); il ruolo delle mediazioni, elemento fondamentale nella logica dell’Incarnazione. È dentro il vissuto quotidiano, le relazioni con le persone, il rapporto con le sorelle e con quante hanno responsabilità di guida e di governo che possiamo discernere il cammino adatto a rispondere oggi alla nostra vocazione di Piccole Suore. Alla luce della Parola e mettendo in gioco la nostra intelligenza e libertà siamo chiamate a scoprire come essere sacramento della Presenza in mezzo e insieme ai nostri contemporanei (art. 28, 31); la corresponsabilità, perché tutte siamo parte di uno stesso Istituto, carisma e progetto. Ciascuna è chiamata a offrire il proprio contributo in modo attivo e consapevole, in un clima di fiducia, benevolenza e stima reciproca che favorisce lo scambio e la partecipazione. Il senso di appartenenza e l’adesione all’unica missione ci rendono disponibili e ci sollecitano a mettere in gioco doti e talenti per la crescita di tutte (art. 31, 32). SINTESI FINALE Una brevissima sintesi può aiutare a condensare il significato dei tre voti che noi viviamo da Piccole Suore della Sacra Famiglia. Castità: pienezza e libertà dell’amore, ci apre e ci educa a relazioni mature. Si alimenta alla mensa della Parola e dell’Eucarestia, ci permette di vivere in modo maturo la solitudine e porta a pienezza la propensione al dono di sé tipicamente femminile. Ci rende feconde e segno della vita futura in cui la comunione con Dio sarà piena e definitiva. Povertà: graduale cammino di libertà dalle cose e da noi stesse. Ci educa a vincere l’egoismo e il possesso, a scegliere l’abbandono fiducioso in Dio per il servizio ai fratelli, nella gratuità del dono di sé. La povertà comporta diverse dimensioni: condivisione del lavoro, attenzione alle necessità delle persone cercando risposte concrete, accoglienza del vivere quotidiano anche nei suoi aspetti di limite. La povertà consacrata ci rende libere per annunciare che Dio è l’unico Bene. Obbedienza: attitudine all’ascolto e all’accoglienza del Padre in un rapporto filiale. Ci educa alla responsabilità e alla corresponsabilità; sollecita a vivere un’autentica spiritualità di comunione e ad accogliere la mediazione della Chiesa. L’obbedienza vissuta come ascolto ci aiuta a riconoscere 17 ogni realtà come mediazione della Parola di Dio e a guardarla con speranza. Ci conduce alla realizzazione della nostra unicità personale, a immagine di Cristo che ha donato se stesso in modo libero e consapevole. Esprime il nostro abbandono di creature nelle mani del Creatore; ci rende segno di contraddizione, attente a cogliere la presenza di Dio che dona significato all’esistenza. 18