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Sognare ancora e credere nel futuro (anche all’estero) | Solferino 28 anni
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SOLFERINO 28 anni / che cos’è?
Un raccoglitore di storie, un moltiplicatore di domande, uno spazio per
riallacciare il dialogo tra generazioni. Solferino 28/anni è un blog
pensato per mettere in circolo le idee dei venti-trentenni e di chiunque
pensi che si riparte da qui, da voi, da noi. Da una Generazione Punto
Zero che accumula un grande capitale umano e sociale di esperienze
e relazioni ma fatica a trovare una direzione possibile in un sistema
bloccato. Diteci che cosa vi sta a cuore e quali ostacoli incontrate,
denunciate quello che non funziona, raccontateci successi, tentativi,
progetti. Nella consapevolezza che un sistema o modello socioeconomico che non riesce a offrire lavoro e prospettive ai più giovani
va ripensato.
SOLFERINO 28 anni / crew
Sognare ancora e credere nel futuro (anche all’estero)
di La Redazione
Oggi il settimanale del Corriere della Sera, Sette, esce con un’inchiesta sui giovani. Ospitiamo il pezzo
di copertina. Storie di ragazzi che sono andati all’estero per inventare nuovi percorsi. Non in fuga ma
alla ricerca di un futuro, ovunque sia. Raccontateci anche le vostre esperienze.
«Se mi chiede dove sarò il prossimo novembre, non so cosa rispondere. Potrei andare in Gambia, tornare
in Italia, restare in Danimarca. Si vedrà». Giorgio Caviglia non sta con il trolley in mano per una
multinazionale. Il suo «qui e ora» è – appunto – Copenhagen, Istituto danese dei diritti umani. «Seguo un
progetto sull’albinismo in Africa, nella regione intorno al lago Vittoria». Caviglia è un 27enne di Noli,
provincia di Savona, ha preso una laurea a Genova («Politica economica del Mediterraneo») e un Master
all’European Inter-University Centre di Venezia. Tra l’una e l’altro, ha fatto vari stage all’Onu: «Un paio
d’anni a New York», alla nostra rappresentanza e all’Unicef. «Ho anche lavorato sei mesi alla Camera di
commercio italiana di Santo Domingo e fatto il marinaio su un tre alberi ad Amsterdam: ho scelto di
ritardare i diplomi, volevo che fossero tutte esperienze vere, non solo una bella voce sul curriculum».
Progetti che decide di sei mesi in sei mesi: «Ho trovato sempre le opportunità sui giornali online, preziosi,
e soprattutto attraverso Facebook. Tra contatti, se sappiamo che c’è qualcosa che corrisponde al profilo
di un altro, lo segnaliamo. Sperando che in futuro restituisca la cortesia…». Un’ultima cosa: «In Italia sono
un vigile del fuoco: quando posso, torno per un periodo in caserma». A guadagnare qualcosa per
ripartire…
Questa non è la (solita) storia della fuga dei cervelli. Intendiamoci, di cervello qui ce n’è in abbondanza. E
di ragazzi che lasciano l’Italia come Giorgio c’è la fila ai confini. Ma la loro non ha davvero molto a che fare
con una fuga. Questa, infatti, è la storia di tutti i ragazzi che sognano ancora e vanno alla ricerca di un
futuro. Ovunque sia. È la stessa generazione dei ventenni “startupperoi”, creatori di idee e di nuove
aziende, raccontata sul Corriere l’11 marzo. Sono coloro che hanno guardato alle polemiche su sfigati e
bamboccioni con crescenti gradazioni di rosso in volto, e hanno tirato dritto. Che osservano la costruzione
del nuovo mercato del lavoro mentre giocano con le regole d’ingaggio esistenti. E s’inventano, con spirito
d’iniziativa, nuovi percorsi che li portano anche in giro per il mondo, per poi rientrare – magari – in patria.
«L’IMPORTANTE È SEGUIRE IL FLUSSO»
Come Alice Avallone, che ha 27 anni, è di Asti ed è tornata a casa da New York lo scorso giugno, anche
se sta già progettando di trasferirsi in Australia entro fine anno. Alice ha inventato Nuok, un sito Internet
diventato punto di riferimento per gli italiani all’estero perché racconta loro le città: all’inizio la Grande
Mela, ora anche altri 45 centri. Ha studiato allo Ied di Torino, s’è spostata a Milano per lavoro, anche se la
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Sognare ancora e credere nel futuro (anche all’estero) | Solferino 28 anni
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sua vita è cambiata solo nel 2009, quand’è partita per l’America. «Ho trovato un appartamento provvisorio
via Web da qui, una volta là ho traslocato dopo qualche mese leggendo il cartello di un privato per
strada». A New York si è messa a fare la freelance per una Web Agency (lavoro che fa tuttora), quindi ha
lanciato Nuok, il suo blog personale, in cui raccontava dove mangiava, cosa vedeva, chi incontrava. Così
ha conosciuto artisti, illustratori e fotografi italiani e li ha coinvolti nel progetto, che ha cominciato a
evolvere.
Adesso i nuokers (i suoi collaboratori) sono un neologismo per la Treccani e Nuok, diventato sito, ha vinto
premi prestigiosi come l’Econtent, per il miglior contenuto digitale italiano. «La morale della mia storia è
seguire il flusso. Ho sempre assecondato ciò che si presentava senza forzare le situazioni», racconta.
«Come diceva Steve Jobs (nel suo famoso discorso ai laureandi di Stanford, la Bibbia per diversi di questi
ragazzi, ndr), mi piace unire i puntini. A volte è da un incontro o da una cosa che succede che si aprono
altre connessioni».
Just do it, fallo e basta, recitava una famosa pubblicità degli Anni ’90, quelli in cui sono cresciuti questi
ragazzi. Marco Tantardini did it, l’ha fatto. Ha unito i puntini. Ha studiato Ingegneria aerospaziale al
Politecnico di Milano, poi si è spostato in Olanda, a Delft, per la specialistica in Astrodinamica. «Dopo la
laurea, nel novembre 2009, ho passato quasi due anni in Italia. Dalla mia stanza lavoravo con persone in
vari fusi orari utilizzando email e Skype. Se scrivo a un professore italiano, il più delle volte non mi
risponderà. Negli Usa, se scrivi a un docente, il più delle volte nel giro di qualche ora o di un giorno si farà
vivo». Lui, così, è arrivato fino alla Nasa: ora, a quasi 28 anni, sviluppa idee varie, «la più importante è un
progetto per spostare un piccolo asteroide nell’ambito di test di planetary defence». Adottato dal Keck
Institute for Space Studies, è sviluppato da un team, di cui Marco fa parte, sotto la direzione di un
responsabile Nasa. «Ma passo molto tempo a New York per la mia nascente startup Internet di jazz dal
nome JazzTakeB».
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lu mamegi vesado
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I puntini, Claudia Aragno, 28 anni, se li è proprio andati a disegnare. Non appena si è laureata in
Medicina a Torino: era il 2009. «Ero così stanca che non ho nemmeno festeggiato. E per entrare nella
specialità che sognavo, pediatria, c’erano 11 borse e quasi cento pretendenti, e non avendo io il massimo
dei voti mi sembrava un’impresa difficile». Allora s’è guardata intorno: in Svizzera lavoravano già il suo
ragazzo e un’amica. «Ho iniziato a propormi a vari ospedali: chiedono curriculum, lettera di motivazione e
segnalazioni accademiche. Ero entusiasta: Paese e lingua sconosciuti, più un modo diverso di fare
medicina, che a quanto mi dicevano sarebbe stato più pratico. Ai primi colloqui il mio francese stentava e
ho incassato qualche no. Ma non mi sono persa d’animo». Nella sua città, Savigliano, provincia di Cuneo,
ha continuato a fare la guardia medica per finanziarsi la trasferta. Che arriva a ottobre 2010: l’ospedale di
Montreux la vuole per un anno a farsi le ossa in chirurgia, prima di iniziare la specializzazione. Ora è
assistente in pediatria all’Hospital de l’Enfance di Losanna. «Come medico mi sento molto migliorata.
Anche se il contratto da specializzando qui si rinnova ogni 12 mesi». «Mi lamentavo della facoltà, ma oggi
devo ammettere che mi ha fatto aprire la mente al mondo».
Lapo Tanzj, fiorentino, ha 28 anni. Cinque anni fa, mentre studia Economia dello sviluppo e della
cooperazione internazionale, crea con due compagni di università la cooperativa Lama per lavorare nel
settore non-profit. Cercano stage mandando, a tappeto, email alle Ong. «Alla fine, una di Torino ci ha
detto di sì». In Mali e in India, nel Tamil Nadu, i primi passi. «L’esperienza all’estero è stata decisiva. È
così che abbiamo imparato a relazionarci con gli altri, a coordinare i progetti, a gestire. Oggi facciamo
consulenza nel settore sanitario, abbiamo aperto anche in Cina, da aprile mandiamo una ragazza dall’Italia
nell’ufficio di Pechino». I soci sono diventati 8 – «Tutti sotto i 30 anni» –, il fatturato ha raggiunto nel 2011 i
410 mila euro: «Ritagliato lo stipendio, abbiamo sempre reinvestito tutto nella nostra formazione: corsi di
ogni genere, viaggi».
Aprire la mente. Dovrebbe essere il cuore dell’insegnamento. Così c’è un ateneo che tre studenti, scelti
fra 1.300, ha deciso di mandarli fisicamente in giro per l’Italia alla ricerca della parte migliore del Paese. È
la Luiss di Roma. Ha dato a Carlotta Maraschi, romana, 22 anni, Relazioni Internazionali, Marco Pizza,
avellinese, Economia e management, e Andrea Bramante, ultimo anno di Legge (insieme nella foto), uno
smartphone e la mission di postare su Facebook, Twitter e YouTube i loro incontri. «Ci ha colpito la voglia
di farcela che c’è ovunque, soprattutto fra gli imprenditori locali», si accende Carlotta. «Come Danilo
Smaldone. Brillante e giovane, ha deciso di restare in Basilicata per creare un’impresa di
telecomunicazioni e ora dà lavoro ai giovani di Potenza». Un modello, insomma.
Non è scontato infatti che i ventenni guardino all’estero. I sondaggi che fioriscono in queste settimane
fotografano – per esempio – studenti varesini per lo più attratti dal lavoro sotto casa, al massimo nel
vicino Piemonte, mentre i veneti (1 su 3) sembrano essere pronti a un trasloco stabile oltrefrontiera. Quale
che sia la prospettiva, comunque, Londra resta un inevitabile mezzo verso altri fini. Per l’inglese, e non
solo. Sempre con la necessità di trovare un’occupazione per mantenersi. «Il mio primo lavoro era di drink
& sushi runner: servivo ai tavoli del Gilgamesh, un ristorante chic di Camden Town che ho trovato sul sito
popolarissimo Gumtree.com», racconta Eleonora Parise, 23 anni. Nella capitale inglese ha appena
festeggiato il suo primo anno, e si divide «tra la London Metropolitan University, dove frequento un master
in turismo internazionale, e il pub Red Lion & Sun, a Highgate, dove faccio la cameriera un paio di sere a
settimana». Doveva essere una breve esperienza finita la triennale in Comunicazione all’università
dell’Insubria, ha deciso di restarci ma sta già pensando alla prossima tappa: «Una città dove studiare
un’altra lingua: per essere competitivi occorre parlarne tre». A dicembre, dalla provincia di Gorizia, è
arrivata in Inghilterra (raggiungendo il fratello Marco) anche Valentina Mucchiut, 29 anni. Stesso obiettivo
di Eleonora. La sua laurea in Scienze diplomatiche internazionali le sembra non bastare: «L’inglese devi
saperlo davvero bene se hai ambizioni». Intanto lavora in un caffè ma ha fatto colloqui per posti più
interessanti: l’ultimo, nell’organizzazione delle Olimpiadi.
Costruire un cammino tutto proprio. È zigzagando che cresce la Generazione Fiducia. Il Web,
naturalmente, la fa da padrone. Questi ragazzi non sono nativi digitali, ma padroneggiano Google e i vari
social network in modo da arrivare chirurgicamente ai dati e ai contatti che sono loro necessari. In fondo,
ecco la ricchezza che fa la differenza: l’informazione, soprattutto la capacità di gestirla. «Quando mi sono
laureata in Storia mi è sembrato impossibile trovare un posto da insegnante», racconta Roberta
Campagnolo, di Chivasso, classe ’83. «Ho pensato a un piano B: l’editoria, anche online». Mentre cerca,
approda a uno stage all’ufficio tasse del Politecnico: «Appena ho potuto sono andata via». Verso Parigi.
«Qui gli stage servono davvero a inserirsi». Ha dragato la Rete in ogni anfratto. «In campo umanistico le
opportunità le trovi su siti come Profilculture.com. Ho spedito la domanda, al primo colloquio ho trovato
ciò che cercavo. Responsabile di un portale: tre mesi di prova, poi il contratto». Ora ha già cambiato e ha
un lavoro a tempo indeterminato in un’altra società a 2 mila euro al mese.
«HO RIUNITO LE MIE TRE PASSIONI»
Ma Internet è soprattutto il luogo – quasi fisico – in cui molti di questi ventenni si stanno inventando un
lavoro. Declinato su tutti i possibili supporti. Come l’iPad. Da settembre, 40 mila sono stati i download per
Timbuktu, la prima rivista per tablet dedicata ai bambini. Dietro questa novità editoriale c’è Elena Favilli,
toscana, 29 anni. Una specialistica in Semiotica a Bologna, un anno a Berkeley, in California, per studiare i
nuovi media. Due anni fa, l’idea di realizzare un magazine digitale che attraverso disegni, racconti, video e
musica facesse imparare ai più piccoli in modo divertente. «Le mie tre passioni erano tecnologia, design e
libri per bambini. L’iPad mi sembrava lo strumento perfetto per riunirle». Nel giugno 2010 Elena presenta il
progetto al concorso Working Capital di Telecom e vince una delle 5 borse di studio in palio: «Con quei 15
mila euro ho iniziato a sviluppare la rivista, il resto è tutto autofinanziato». Decide allora di creare la sua
società di editoria digitale (per inciso, Timbuktu Labs ha sede a San Francisco). «Pochi giorni fa il
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magazine è entrato nella Top 5 delle applicazioni educative più scaricate», dice orgogliosa.
Ha trovato l’America in America anche Veronica Diaferia. «Cercavo lustro per il mio curriculum, Filosofia
a Milano mi sembrava un parcheggio, e quando bussavo alle case di produzione pubblicitaria mi dicevano:
“Sei brava ma non possiamo pagarti”», ricorda, proprio mentre spegne le candeline dei 30 anni. «Al primo
colloquio a New York, era il 2004, dissi: “Non so nulla, nemmeno bene l’inglese, ma so che sarò quella che
lavorerà più duramente di tutti”. Mi presero. Dopo sei mesi di tirocinio bussai alla porta dell’executive
producer: “Dovrei andare via, ma posso rimanere? Solo che dovreste assumermi…”. Lui alza la testa e
chiede: “Scusa, ma tu chi sei?”. Be’, mi hanno presa». Dopo qualche anno, Veronica ha aperto la sua
società, Special Team. «Facciamo spot – per Google Maps, per esempio – e cerchiamo giovani talenti
per girare film e documentari. Sì, vorrei tornare sul mercato italiano a dimostrare di che pasta sono fatta.
Ma ho già avuto la grande soddisfazione di vedere i pubblicitari italiani appoggiarsi a noi per le campagne
da girare qui».
«DA MODENA A MILANO VIA CALIFORNIA»
Del resto, non si resiste alla tentazione di dimostrare che si può essere profeti in patria. Ottavia
Spaggiari, 29 anni, startupper, ci sta provando. Facendo una lunga orbita planetaria, lei di Spilamberto,
provincia di Modena, è approdata ora a Milano. Passando per una laurea al Dams di Bologna, e poi da
Santa Monica, California, a studiare regia e far gavetta nella società del creatore della serie tv Dexter.
«All’inizio mi occupavo di valutare le sceneggiature, ne arrivavano migliaia». I soldi delle collaborazioni non
sono sufficienti a mantenersi, Ottavia fa anche la cameriera al ristorante Il Moro. Ogni mattina dalle 5.30
alle 10, prima dell’altro lavoro. «Era pesante. Ma dopo un po’ mi sono accorta che tutti i miei amici
avevano un altro lavoro». Alla scadenza del visto, è tornata in Italia. E qui è nata l’idea della startup,
insegnando in una scuola a Bologna: «Tra i miei allievi c’era un non vedente, ho scoperto che era un
appassionato di cinema». Da lì ha incominciato a lavorare per creare file nei film che spieghino le scene. Il
progetto ha ricevuto un premio del ministero dello Sviluppo Economico e finanziamenti della regione EmiliaRomagna. «Ora dobbiamo superare la fase di startup». Ma questo certo non può spaventare i ventenni
della Generazione Fiducia.
Edoardo Vigna e Irene Bonino
(hanno collaborato Iolanda Barera, Alessandra Dal Monte, Greta Sclaunich, Antonio Sgobba, Irene
Soave)
Tags: estero, giovani, lavoro, università
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Li conosco bene questi "espatriati"
22.03 | 12:26 chimera22
A parte qualche caso degno di menzione, per il resto confermano il modello “figli di papà” e “solo per fare
soldi”. Liberi tutti di andare dove ci pare, per carità, ma è un modello sociale questo? No, è
semplicemente un modello di vita individualista – allora diciamocelo senza tante ipocrisie: in Italia bisogna
faticare, sgobbare e non ci sono tante soddisfazioni se si vuole “emergere”.
Chi scappa semplicemente scappa – tra l’altro si può benissimo scappare anche stando in Italia: non sono
militarista, quindi non ci tengo a fucilare i disertori, ma che non vengano a fare i saputelli!
@ally83 @Lettore_2224807 @balivodibaggio
22.03 | 12:24 Lettore_2216314
Non è che SOLO i figli di persone benestanti vanno all’estero. Di persone che vivono quà e là ne
conosciamo tutti e non affermerei che chi si esprime contro questo post sia ignorante in merito o invidioso.
Certo è che molto spesso (la maggior parte degli esempi riportati nel post?) per andare all’estero ed
abbandonare le proprie sicurezze, con leggerezza, servono STRUMENTI. E sappiamo tutti cosa sono
questi strumenti. @ally83 dice di fare un lavoro normale in Francia e il suo intervento è limpido: non si
trovava bene in Italia ed è andata in Francia a fare il solito lavoro, lasciando tutto. Io dico, se dobbiamo
concentrarci sugli italiani all’estero, perché non ci concentriamo su persone come lei? Persone normali che
fanno lavori normali. All’estero o in Italia poco importa. @Lettore_2224807 parla di “scelte”. Giustissimo.
Cosa sono quelle di @ally83 o @balivodibaggio se non scelte … Mostra tutto
@espatrioFeliceXXX
22.03 | 09:44 Lettore_1117408
Ho inserito il mio post e dopo ho letto il tuo . Sono d’accordo in tutto e per tutto , il mio cruccio sta nel
fatto che ho un figlio di 10 anni e so che dovremo andarcene(lo seguirò spero, se mi vorrà perchè tanto
qui non ci faremmo niente) perchè non voglio che viva questo amaro che tu descrivi così bene. Ciao
@CONTESATOREVERO
22.03 | 09:38 Lettore_1117408
A parte l’assonanza col tuo nik ma quello che dici non sembra vero! Mi sembra difficile credere che un
ragazzo che viene dal sud, ricco e con il Labrador sia sull’orlo di una crisi perchè pensa alla sua Italia
piena di gente intensa ma povera. Io sono pienamente d’accordo con te , sia sul giudizio che dai sul
Lussemburgo che conosco dai resoconti di un bocconiano lavoratore di banca in quel luogo, sia sul fatto
che qui esistano uomini e donne che hanno stoffa e cultura per fare da traino all’europa. Il fatto grave è
che qui siamo arrivati ad un punto morto . La mancanza di una cultura, anche minima, del pragmatismo ha
creato delle modalità-mostro all’interno del mondo del lavoro e le distorsioni sono talmente involute da
diventare paralizzanti. guarda solo la sinistra qui in italia e confrontala con gli omonimi partiti negli stati uniti
o in germania . Qui i vantaggi di una cultura … Mostra tutto
@contestatorevero
22.03 | 09:16 cathay
Non ho mai detto che chi resta è uno sfigato… dico solo che è facile criticare chi parte (com e per noi lo è
criticare chi resta). Dico solo che bisogna saper cogliere le opportunità laddove si trovano: io le ho trovate
altrove (poteva essere in Lussemburgo come a Singapore o in Argentina), ma sono convinto che ce ne
siano in Italia. Ma da imprenditore come potrei investire sapendo che un apparato estremamente vecchio
e farraginoso, tasse altissime e poca sicurezza minerebbero il mio business? Tu conosci il nostro paese:
lo faresti? Qui non parliamo di eroi… qui parliamo di vivere e seguire un proprio sogno. è rarissimo trovare
storie così come le nostre in Italia. Il nostro paese resta uno dei migliori al mondo grazie alle persone,..
ma è proprio a causa delle stesse che è inquinato, maltrattato e burocratizzato. Se voui lottare per
cambiare qualcosa in Italia fai politica… così la
quali figli d'arte? Ci vuole ambizione
22.03 | 02:46 charlotte23
Io non sono figlia d’arte. Per 10 anni mi sono mazziata tra scuola e lavoro negli Stati Uniti, dove mi trovavo
veramente da Dio, e adesso ho creato una startup di moda in Italia. Ma qui sto avendo solo problemi tra
tasse da strozzini e altro. Il prodotto che creo vende solo all’estero. In piu’ mi ha appena assunto una ditta
estera come designer. Quest’estate parlo con un avvocato negli Usa per trasferirmi la’ una volta per tutte.
Io qui ci sono nata e vissuta e ho dei bei ricordi…ma fuori da qui mi sento rinata. Buona notte a tutti!
Mi piacerebbe restare..
22.03 | 01:02 Lettore_2224338
Concordo con chi dice che bisognerebbe restare e combattere piuttosto che andarsene..mi piacerebbe
svegliarmi un giorno tra vent’anni quando tutto sarà stupendo e pensare: “io c’ero”. In realtà, dopo essermi
22/03/2012 15.38
Sognare ancora e credere nel futuro (anche all’estero) | Solferino 28 anni
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laureata in Medicina, tra qualche mese partirò per gli Stati Uniti dove inizierò la mia specializzazione. Sono
conscia che sarà difficile tornare perchè la specializzazione all’estero non viene riconosciuta e si deve
rifare da capo tutti i 4/5/6 anni che siano. Sarà difficile tornare perchè la meritocrazia, gli strumenti, la
ricerca, le possibilità che lì ci sono, purtroppo qui mancano. Ho 25 anni e vorrei il meglio per me. Vorrei
che non si dovesse “lavorare” “gratis” per anni in ospedale e fare il facchino personale di un docente
perchè ti faccia entrare in specializzazione. Vorrei che non si rinunci a provarci perchè ci sono solo 3 posti
per 30 candidati e tra questi candidati c’è… Mostra tutto
Il mondo è bello perchè è vario
21.03 | 23:47 Lettore_2224807
A volte credo che la gente venga qui a lasciare un commento solo per dare libero sfogo al proprio stress.
Non si tratta di avere torto o ragione, si tratta di scelte. Io, per esempio, piuttosto che restare nella mia
città per uno stage non retribuito, ho deciso di vivere in Spagna, in una piccola città, con 500 euro al
mese. I miei genitori sono persone umili, hanno fatto dei sacrifici enormi per farmi studiare e
semplicemente l’Italia mi stava stretta, con la sua mancanza di meritocrazia dilagante e che infetta il bel
paese. Coraggio per chi decide di restare e combattere, coraggio a chi invece si trasferisce a km di
distanza dai propri affetti per realizzare se stesso. Non si tratta di soldi, si tratta di crescere. Ognuno ha le
sue prorità, le sue idee, i suoi sogni… se forse cominciassimo tutto a rispettare queste cose, l’Italia
sarebbe un paese meraviglioso, più di quello che è.
@cathay
21.03 | 22:52 contestatorevero
Caro cathay…tu saresti il modello…vedi…io ho lasciato il mio commento ben preciso senza menarmela
come te…lavoro da 5 anni una famosa custody bank lussemburghese a Esch sur Alzette, i miei guadagni
sono fuori da ogni immaginazione di un italiano di 33 anni come me, vivo secondo standard di vita altissimi
e potrei dire tranquillamente che non mi manca nulla ho una casa di proprietà un Q5 un splendida
compagna e un labrador…ma tu credi che io mi senta soddisfatto realmente…assolutamente no! I veri
eroi non sono quelli come noi, sono quelli che la propria terra non la lasciano , sono quelli che lottano che
riescono a realizzarsi tra raccomandazioni, clientelismo e arrivismo più spietato…e sopratutto tanta tanta
gente preparata…cosa che qui in lussemburgo se la sognano di notte, un paese di una pochezza
indescrivibile, ricettacolo di affaristi che si campano all’ombra di un segreto bancario … Mostra tutto
li stimo, ma non sono un modello.
21.03 | 21:38 balivodibaggio
stimo i ragazzi che hanno trovato una strada all’estero. Ma resta pur sempre una strada all’estero. Quindi
un ripiego innaturale. Nessuno parla di matrimonio e figli. Solo id soldi e “soddisfazione”. Cos’è
soddisfazione? Jo ho quasi 34anni faccio un lavoro che mi piace, non guadagno tantissimo, ma mi sono
sposato e attendo a breve il secondo figlio. Casa mia e un lavoro normale nella mia città valgono molto di
più. E poi, l’erba del vicino sembra sempre più verde. Cambiamo questo Paese invece di andarcene. Ho
fatto attività politica per molti anni, mi son sempre passati davanti i furbetti. Cambiamo questo Paese
invece di andarcene.
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