Art. 122 Uso della lingua italiana. Nomina dell`interprete (1) [I]. In
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Art. 122 Uso della lingua italiana. Nomina dell`interprete (1) [I]. In
Art. 122 - Art. 123 LIBRO PRIMO - DISPOSIZIONI GENERALI Art. 122 Uso della lingua italiana. Nomina dell’interprete (1) [I]. In tutto il processo è prescritto l’uso della lingua italiana. [II]. Quando deve essere sentito chi non conosce la lingua italiana, il giudice può nominare un interprete. [III]. Questi, prima di esercitare le sue funzioni, presta giuramento davanti al giudice di adempiere fedelmente il suo ufficio. La C. Cost., con sentenza 24 febbraio 1992, n. 62, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo, in combinato disposto con gli artt. 22 e 23 l. 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non consentono ai cittadini italiani appartenenti alla minoranza linguistica slovena nel processo di opposizione ad ordinanze-ingiunzioni applicative di sanzioni amministrative davanti al pretore avente competenza su un territorio dove sia insediata la predetta minoranza, di usare, su loro richiesta, la lingua materna nei propri atti, usufruendo per questi della traduzione nella lingua italiana, nonché di ricevere tradotti nella propria lingua gli atti dell’autorità giudiziaria e le risposte della controparte. (1) Art. 123 Nomina del traduttore [I]. Quando occorre procedere all’esame di documenti che non sono scritti in lingua italiana, il giudice può nominare un traduttore, il quale presta giuramento a norma dell’articolo precedente. SOMMARIO 1. Questioni di legittimità costituzionale. 2. Gli atti del processo soggetti all’uso della lingua italiana. 3. Casi nei quali il Giudice è tenuto a nominare un interprete. 4. Applicabilità al processo civile dell’art. 143 cod proc. pen. 5. Mancata prestazione del giuramento da parte dell’interprete: conseguenze. 6. L’obbligo di traduzione degli atti processuali nelle Regioni con minoranze linguistiche a Statuto Speciale. 1. Questioni di legittimità costituzionale. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 122, primo comma, cod. proc. pen., impugnato, in riferimento agli artt. 6 e 10 della Costituzione e 3 dello Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, in quanto non consentirebbe al cittadino italiano appartenente alla minoranza linguistica slovena, nel processo di esecuzione davanti al giudice competente su un territorio dove sia insediata tale minoranza, di usare, su sua richiesta, la propria lingua negli atti da esso compiuti, usufruendo della traduzione in lingua italiana, nonché di ricevere gli atti dell’Autorità giudiziaria o della controparte tradotti nella sua lingua, perché, invece, tali garanzie, non incompatibili con la prescrizione della lingua italiana come lingua ufficiale del processo civile, contenuta nell’impugnato art. 122, primo comma, cod. proc. pen., costituiscono le regole della “tutela minima” che, in difetto di espresse disposizioni dettate dal legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità, come nel caso del processo penale, sono immediatamente operative nel processo civile (e, quindi, non soltanto nella fase dell’esecuzione a cui si riferisce la questione di costituzionalità in oggetto) e vanno rinvenute nell’art. 8 del Trattato di Osimo che richiama l’art. 5 dello Statuto speciale allegato al Memorandum d’intesa del 1954, norme che appartengono al nostro ordinamento e che, seppure non dispongono, per la loro derivazione pattizia, dell’efficacia rafforzata che l’art. 10 della Costituzione indebitamente invocato in questo caso - accorda alle norme generalmente riconosciute dal diritto internazionale, tuttavia, rendono concreto e attuale il principio costituzionale di tutela delle minoranze linguistiche che, così come consacrato negli artt. 6 della Costituzione e 3 dello Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, consente all’appartenente alla minoranza slovena, in quanto “minoranza riconosciuta”, lo speciale diritto a mantenere, anche all’interno del processo civile e indipendentemente dalla garanzia della difesa fondata 462 sull’art. 24 della Costituzione, la sua identità culturale e linguistica, usando nei propri atti la lingua slovena per comunicare, tanto con l’Autorità giudiziaria tanto con la controparte, ed usufruendo a tale fine dell’ausilio adeguato di traduttori ed interpreti. C. Cost., 22 gennaio 1996, n. 15 È manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale delle norme che regolano il procedimento per la dichiarazione dello stato di abbandono e di adottabilità del minore ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, in relazione agli artt. 2 e 24 Cost., nella parte in cui non prevedono, in caso di genitori stranieri, la partecipazione obbligatoria di un interprete o di un mediatore culturale, in quanto la necessità costituzionale e convenzionale della difesa tecnica in favore dei genitori, prevista dall’art. 8, ultimo comma, della legge n. 184 del 1983, unita alla prescrizione normativa della nomina di un interprete nell’ipotesi di non comprensione e conoscenza della lingua italiana (art. 122 cod. proc. civ.) e alla facoltà del giudice di richiedere un’indagine tecnica per integrare, mediante contributi provenienti da diverse discipline, gli elementi di giudizio necessari, con possibilità di nominare consulenti di parte, escludono qualsiasi “vulnus” al diritto di difesa. Cass. civ., sez. I, 22 novembre 2011, n. 26204 Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 22 e 23 L 689/81 in combinato disposto con l’art. 122 c.p.c. nella parte in cui non consentono ai cittadini italiani appartenenti alla minoranza slovena, nel processo di opposizione a ordinanze ingiunzione applicative di sanzioni amministrative davanti al Pretore avente competenza su un territorio dove sia insediata la predetta minoranza, di usare su loro richiesta, la lingua materna nei propri atti usufruendo per questi della traduzione nella lingua italiana, nonché di ricevere tradotti nella propria lingua gli atti dell’Autorità Giudiziaria e le risposte della controparte C. Cost., 24 febbraio 1992, n. 62 2. Gli atti del processo soggetti all’uso della lingua italiana. L’art. 122, primo comma, cod. proc. civ., che prescrive l’uso della lingua italiana in tutto il processo, si riferisce agli atti processuali in senso proprio, ossia agli atti “del” processo, e non agli atti giuridici dei soggetti del processo che a quest’ultimo sono semplicemente coordinati o a quegli atti, come la procura alle liti o, a maggior ragione, la procura rilasciata al rappresentante processuale, che sono preparatori del processo, ai quali TITOLO VI - Degli atti processuali può invece applicarsi, come ad ogni altro documento esibito dalle parti, l’art. 123 cod. proc. civ. Cass. civ., sez. lav, 2 luglio 2004, n. 12162; Cass. civ., sez. I, 19 settembre 2003, n. 13898; Cass. civ., sez II, 2 ottobre 1996, n. 8620 È valida la procura alle liti conferita per atto pubblico rogato da notaio in un paese aderente alla convenzione dell’Aja 5 ottobre 1961, corredato dalla cd. “apostille”, contestualmente autenticata, ancorchè non in lingua italiana, in quanto l’art.122, primo comma, cod. proc. civ. prescrivendone l’uso, si riferisce agli atti endoprocessuali e non pure a quelli prodromici, per i quali vige il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto. Cass. civ., Sez. Un., 2 dicembre 2013, n. 26937; Cass. civ., sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30035 3. Casi nei quali il Giudice è tenuto a nominare un interprete. Nel processo tributario, come in quello civile, la lingua italiana è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non anche per i documenti prodotti dalle parti, relativamente ai quali il giudice ha, pertanto, la facoltà, e non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore ex art. 123 cod. proc. civ., di cui si può fare a meno allorché non vi siano contestazioni sul contenuto del documento o sulla traduzione giurata allegata dalla parte e ritenuta idonea dal giudice, mentre, al di fuori di queste ipotesi, è necessario procedere alla nomina di un traduttore, non potendosi ritenere non acquisiti i documenti prodotti in lingua straniera. Cass. civ., sez. V, 17 giugno 2015, n. 12525 Il principio della obbligatorietà della lingua italiana, previsto dall’art. 122 cod. proc. civ., si riferisce agli atti processuali in senso proprio (tra i quali, i provvedimenti del giudice e gli atti dei suoi ausiliari, gli atti introduttivi del giudizio, le comparse e le istanze difensive, i verbali di causa) e non anche ai documenti esibiti dalle parti. Ne consegue che qualora siffatti documenti siano redatti in lingua straniera, il giudice, ai sensi dell’art. 123 cod. proc. civ., ha la facoltà, e non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, della quale può farsi a meno allorché le medesime parti siano concordi sul significato delle espressioni contenute nel documento prodotto ovvero esso sia accompagnato da una traduzione che, allegata dalla parte e ritenuta idonea dal giudice, non sia stata oggetto di specifiche contestazioni della parte avversa. Pertanto, se, come nella specie, il giudice abbia in un primo tempo disposto la predetta traduzione (avente ad oggetto un contratto in lingua straniera), senza poi ricorrervi in prosieguo, detto ordine può essere ritenuto come implicitamente revocato, senza che ciò dia luogo ad alcuna violazione di legge, tanto più quando non vi sia contrasto sulla comprensione di detto atto. Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2011, n. 13249 (in termini analoghi Cass. civ., sez I, 28 dicembre 2006, n. 27593; Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2005, n. 19756; Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1990 n. 4537; Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1990, n. 4537) Il giudice è tenuto ad esporre le ragioni per le quali non disponga la traduzione solo nel caso che sul significato del documento sia sorta contestazione tra le parti. Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 1968, n. 418; Cass. civ., sez. III, 9 agosto 1962, n. 2479 Il disposto dell’art. 122 cod. proc. civ. che prescrive l’uso della lingua italiana in tutto il processo, non esonera il giudice dall’obbligo di prendere in considerazione qualsiasi elemento probatorio decisivo ancorché espresso in lingua diversa da quella italiana, restando affidato al suo potere discrezionale il ricorso ad un interprete a seconda che sia o meno in grado di comprenderne il significato o che in ordine ad esso sorgano contrasti tra le parti. Cass. civ., sez. lav., 9 settembre 1987, n. 7232 In tema di valutazione delle prove, l’art. 122 cod. proc. civ. che prescrive l’uso della lingua italiana in tutto il Art. 123 processo, non esonera il giudice dall’obbligo di prendere in considerazione qualsiasi elemento probatorio decisivo, ancorché espresso in lingua diversa da quella italiana, restando affidato al suo potere discrezionale il ricorso ad un interprete a seconda che sia o meno in grado di comprenderne il significato o che in ordine ad esso sorgano contrasti tra le parti. Ne consegue che il giudice del merito non può da un lato dichiarare nulla la deposizione testimoniale resa nell’unica lingua, nella specie l’inglese, conosciuta dal teste, in mancanza dell’interprete in udienza, e dall’altro non riconoscere alcun valore giuridico alla dichiarazione del teste tradotta in italiano, atteso che agli scritti provenienti da terzi può riconoscersi, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ., valore probatorio indiziario, in concorso con altri elementi idonei a suffragarne l’attendibilità. Cass. civ., sez. I, 24 gennaio 2011, n. 1608 In senso parzialmente difforme La parte che produce documenti in lingua straniera ha l’onere di produrne anche la traduzione giurata, non essendo consentito al giudice - che non conosca detta lingua - disporre d’ufficio tale traduzione, in mancanza d’istanza della parte interessata a far esaminare i documenti stessi (il cui valore probatorio sia “ex adverso” contestato) e tenuta a sopportare le spese della relativa traduzione. Cass. civ., sez. lav., 17 dicembre 1994, n. 10831; negli stessi termini, Cass. civ., sez. I, 21 novembre 1996, n. 10268 La mancata traduzione del documento, redatto in lingua straniera, dal quale si assuma derivante la legittimazione del difensore non rientra tra le nullità assolute ed insanabili previste dalla legge, ma piuttosto tra le nullità relative suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 157 cod. proc. civ., con la conseguenza che, essa non può essere opposta dalla parte che per tutto il corso del giudizio non abbia contrastato la legittimazione del difensore, giacché, ai sensi dell’art. 157 cit. comma terzo, tale condotta esprime rinuncia tacita all’eccezione. Cass. civ., sez. III, 1 agosto 2002, n. 11434 Ai sensi dell’art. 122 cod. proc. civ., l’italiano resta la lingua ufficiale del processo, che deve essere usata per gli atti compiuti dal difensore della parte appartenente alla minoranza linguista, di cui quest’ultima ha però il diritto di chiedere la traduzione. Il rifiuto eventualmente opposto dal giudice non determina tuttavia, “ex se”, l’invalidità degli atti processuali per mancato rispetto delle norme di garanzia ricollegabili al principio dell’art. 6 Cost., una tale conseguenza potendosi avere solo quando l’interessato deduca che la mancata traduzione non l’ha posto, in concreto, nelle condizioni di comprendere il contenuto di atti processuali compiuti nella lingua ufficiale, menomandolo nei propri diritti di azione e di difesa. La verifica se la parte processuale che gode della protezione conosca o meno la lingua italiana e se la mancata traduzione abbia inciso sul diritto dell’appartenente alla minoranza linguistica di agire e di difendersi nel processo è demandata, previa necessaria specifica denuncia dell’interessato, in via esclusiva al giudice del merito, di tal ché ove questi - con valutazione immune da vizi, e quindi insindacabile in sede di legittimità - escluda un simile pregiudizio, la violazione in sè della tutela accordata dall’ordinamento interno al cittadino appartenente alla minoranza linguistica resta priva di rilevanza (cfr. C. Cost., 22 gennaio 1996, n. 15. Principio espresso in fattispecie di cittadino appartenente alla minoranza linguistica slovena). Cass. civ., sez. V, 10 giugno 2004, n 11038 In tema di opposizione ad ordinanza-ingiunzione emessa nei confronti di cittadino straniero, laddove quest’ultimo abbia fatto istanza di essere ascoltato previa nomina di un interprete, ribadendo la richiesta, tramite il proprio difensore, all’udienza di comparizione, ed essa sia stata disattesa, la relativa pronuncia va cassata, in quanto emessa in violazione del principio, costituzionalmente garantito, del contraddittorio e delle regole di cui all’art. 463 Art. 123 122 cod. proc. civ. Cass. civ., sez. II, 21 aprile 2009, n. 9448 La mera presenza di un interprete di fiducia di un cittadino straniero, parte di un procedimento innanzi all’autorità giudiziaria, non è, di per sé, causa di nullità, ove non risulti che questi sia concretamente intervenuto nell’attività processuale di udienza, traducendo, per l’organo giudicante e per lo straniero medesimo, gli atti ivi svoltisi, fermo restando che l’eventuale nullità, per violazione dell’art. 122 cod. proc. civ., degli atti compiuti con il suo intervento non investe la regolarità del contraddittorio, ma solo le modalità di audizione dello straniero, per cui deve essere eccepita dalla parte interessata non oltre la prima istanza o difesa successiva alla stessa audizione. Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2014, n. 14792 4. Applicabilità al processo civile dell’art. 143 cod proc. pen. Nel giudizio promosso con ricorso contro il provvedimento di espulsione, non vi è alcuna norma che imponga al giudice - chiamato a decidere in termini molto ristretti - di assicurare la presenza di un interprete nella lingua dello straniero, come previsto dall’art. 143 cod. proc. pen.; tale mancata previsione si giustifica con la considerazione che il ricorrente non viene fatto oggetto di contestazioni di sorta, ma deve solo essere sentito nei modi di cui agli artt. 737 cod. proc. civ., ed è sufficiente che sia in grado di comprendere la sostanza dell’interpello. La mancata audizione dell’interessato non è, d’altra parte, causa di nullità del provvedimento, in quanto il giudice è tenuto a decidere in ogni caso entro dieci giorni dalla data del deposito del ricorso, sicché la decisione può essere validamente presa anche in assenza del ricorrente. Cass. civ., sez. I, 11 gennaio 2002, n. 298; negli stessi termini, Cass. civ., sez. I, 6 luglio 2000, n. 9003 5. Mancata prestazione del giuramento da parte dell’interprete: conseguenze. La mancata prestazione del prescritto giuramento, da parte di chi sia stato nominato interprete per sentire persona non di lingua italiana (art 122 cod. proc. civ.), implica una nullità del singolo atto processuale, non rilevabile d’ufficio, ma solo su iniziativa della parte interessata non oltre la prima istanza o difesa successiva all’atto medesimo (art 157 cod. proc. civ.). Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 1980, n. 341 6. L’obbligo di traduzione degli atti processuali nelle Regioni con minoranze linguistiche a Statuto Speciale. In tema di impugnazioni di provvedimenti emessi da organi giurisdizionali della regione Trentino - Alto Adige, è improcedibile il ricorso per cassazione qualora il ricorrente non abbia depositato copia autentica in lingua italiana del provvedimento impugnato emesso in lingua tedesca, posto che l’onere previsto dall’art. 369 c.p.c. non era escluso dalla richiesta di traduzione in lingua italiana all’ufficio di appartenenza del giudice che aveva emesso il provvedimento secondo quanto previsto dall’art. 25 D.P.R.574/1998. Peraltro, le modifiche in proposito introdotte dall’art.13 del decreto legislativo 283/2001- secondo cui, fra l’altro, sono assolti mediante il deposito della sentenza o del provvedimento in lingua tedesca gli obblighi posti a carico delle parti in materia di atti processuali, di sentenze e di provvedimenti in lingua tedesca (da trasmettere ad organi giurisdizionali situati fuori della regione Trentino - Alto Adige) - trovano applicazione, per il principio tempus regit actum operante in materia di attività procedurale, agli atti processuali compiuti dopo la sua entrata in vigore. Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2004, n. 7053; Cass. civ., sez. II, 30 gennaio 2003, n.1445; Cass. civ., sez. I, 22 febbraio 1992, n. 2181 Con riguardo alla speciale normativa sulla lingua nei 464 LIBRO PRIMO - DISPOSIZIONI GENERALI procedimenti giurisdizionali nella regione Trentino - Alto Adige, l’art. 20 del d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574 non prevede la nullità degli atti redatti in lingua diversa da quella che deve considerarsi lingua del processo civile e tale silenzio non può non essere significativo se si considera che, invece, per altre ipotesi (art. 15, 16) considerate nello stesso provvedimento legislativo la nullità è espressamente prevista. Ne consegue che l’inosservanza della citata disposizione può comportare solo sanzioni disciplinari, ai sensi del successivo art. 37. Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 2010, n. 4196; Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2000, n.13295 Con riguardo alla speciale normativa sulla lingua degli atti processuali nella regione Trentino Alto Adige, l’art. 20 del d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574, derogando alla generale disposizione dello art. 122 cod. proc. civ., attribuisce a ciascuna parte del processo civile la facoltà di scelta della lingua dei propri atti processuali prevedendo il processo monolingue solo quando l’atto introduttivo e la comparsa di risposta siano stati redatti nella stessa lingua e, in caso contrario, il processo bilingue, che implica la traduzione degli atti a cura e spese dell’ufficio e la contestuale verbalizzazione nelle due lingue con la conseguenza che, se, per la contumacia del convenuto, sia mancata la comparsa di risposta, il processo deve svolgersi secondo le disposizioni che regolano quello bilingue (e con contestuale verbalizzazione, quindi, nelle due lingue), non ricorrendo il presupposto della comune utilizzazione della medesima lingua al quale, per una esigenza di eguale trattamento e tutela dei diversi gruppi etnici, è rigorosamente legata la possibilità del processo monolingue Cass. civ., sez. II, 6 settembre 1993, n. 9360 Nel processo regolato dalla speciale normativa degli atti processuali nella regione Trentino Alto Adige (art. 20 d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574), l’uso, per la verbalizzazione, di una lingua diversa da quella prescritta, come l’uso di una sola lingua, nel processo cosiddetto bilingue, comportando anche la violazione del diritto di difesa della parte, privata della possibilità di prendere cognizione dei verbali di udienza nella propria lingua, provoca la nullità di questi verbali; tale nullità, però, per il principio dell’art. 159 cod. proc. civ., secondo cui la nullità di un atto non comporta quella degli atti successivi che ne sono indipendenti, non si estende alla sentenza, che, per la posizione di autonomia che assume nello schema del procedimento, è legata da un nesso di dipendenza solo agli atti propulsivi essenziali per la sua provincia, ove nessuno dei predetti atti sia stato posto in essere nella udienza a cui il verbale si riferisce. Cass. civ., sez. II, 6 settembre 1993, n. 9360 Con riguardo alla speciale normativa sulla lingua nei procedimenti giurisdizionali nella Regione Trentino Alto Adige nel processo civile, l’art. 23-bis del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, che prevede la nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo negli atti successivi redatti nella lingua diversa da quella scelta per il processo, si riferisce ai soli atti processuali in senso stretto e non a quegli atti, come la procura alle liti o la procura rilasciata al rappresentante processuale, che sono preparatori al processo, ai quali può applicarsi, come ad ogni altro documento esibito dalle parti, l’art. 123 cod. proc. civ. (Nella fattispecie la S.C. ha affermato che correttamente i giudici di merito avevano ritenuto valido ed efficace - in un cd. processo monolingue - l’appello redatto in lingua tedesca, nonostante la procura a margine del detto atto fosse stata redatta in lingua italiana). Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2011, n. 1916. La sentenza emanata nella regione del Friuli - Venezia Giulia (nella specie, dal Tribunale di Trieste) che non sia tradotta in lingua slovena (in violazione, pertanto, del disposto dell’art. 8 della legge n.73 del 1977, di ratifica del trattato di Osimo), non può ritenersi perciò solo affetta da nullità per mancato rispetto delle norme di garanzia