Prime pagine - Codice Edizioni

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Prime pagine - Codice Edizioni
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Ignazio Licata
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Indice
Prefazione
ix
Dalla fisica alla mente: un invito alla complessità
Capitolo 1
3
Un’idea della mente
Capitolo 2
31
La costruzione matematica del mondo
Capitolo 3
57
La mente, la macchina e la matematica.
Una prospettiva storica
Capitolo 4
83
I teoremi di Gödel, la macchina di Turing e la mente
Capitolo 5
111
Trasparenza semantica, microcognizione e informazione
Capitolo 6
135
Computazione naturale nei sistemi fisici e biologici
Capitolo 7
157
Emergenza e apertura logica
Capitolo 8
191
Quantum brain
Capitolo 9
219
La musica della mente
Epilogo
251
Verso un paradigma quantistico della conoscenza
259
Percorsi di lettura
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Prefazione
Dalla fisica alla mente: un invito alla complessità
Tutto è collegato. Haruki Murakami
Il divario tra le scienze della mente e quelle della materia è stato
per lungo tempo così ampio e radicato da far pensare che ogni
connessione tra loro dovesse comportare una perdita della fisionomia scientifica di entrambe e che l’intero progetto, pur legittimo
nelle sue motivazioni fondamentali, fosse destinato a restare un argomento epistemologicamente mal posto. Ancora oggi, se pensiamo ad uno spettro ideale delle conoscenze, è radicata nella nostra
cultura l’idea che fisica e psicologia rappresentano due estremi
metodologicamente inconciliabili della scienza.
Fortunatamente le cose non stanno più così, ed in questi ultimi
anni lo sviluppo della ricerca ha visto un’interazione sempre più forte ed una convergenza tra scienze cognitive, neuroscienze e fisica
teorica che ha indebolito le vecchie dicotomie e lascia intravedere la
possibilità di una nuova sintesi che rappresenta una delle sfide concettuali più affascinanti della scienza contemporanea, ed ha come
obiettivo la costruzione di una teoria della conoscenza in grado di
comprendere come la mente è radicata nel mondo, in una visione
unitaria centrata sui nuovi concetti e metodi delle scienze della complessità e dell’emergenza.
I grandi successi delle scienze della materia sono dovuti alla capacità di costruire modelli matematici semplici e generali di un sistema fisico analizzando i comportamenti dei suoi costituenti, secondo un approccio riduzionista che equivale sostanzialmente ad
eliminare gli aspetti contingenti di un fenomeno concentrando
l’attenzione su pochi livelli considerati fondamentali. In questa categoria metodologica rientrano le ben note teorie unificate, che
stanno realizzando il sogno di Einstein di costruire una teoria capace di descrivere le connessioni tra spazio-tempo e materia. Leon
Ledermann, uno dei grandi sperimentali impegnati nel progetto,
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offrì una celebre immagine dell’unificazione, dicendo che l’obiettivo era quello di “catturare” gli aspetti essenziali del mondo in una
“teoria del tutto” costituita da un gruppo di equazioni così piccolo
da poter essere riprodotto su una t-shirt! Com’è noto, questo ambizioso programma lavora adesso a scenari ancora più ardui, come le
supercorde, la teoria dei loop e dei twistor, e l’astrazione matematica è arrivata ad un livello di sintesi tale che le equazioni fondamentali oggi possono dirci qualcosa sulla comune origine della materia
e dello spazio-tempo e potrebbero essere contenute in un francobollo (a patto di conoscere l’apparato matematico necessario per
decodificarle!). Gli aspetti seducenti delle teorie unificate portano
con sé inevitabilmente altre domande sulla natura di un programma di questo tipo. Quanta varietà del mondo che osserviamo va
perduta in queste descrizioni? Quanto è “grande” il “tutto” promesso dalle TOE (Theory of Everything)?
Come tutti i fisici della mia generazione anch’io mi sono formato sui problemi della fisica delle particelle e della cosmologia,
ma la pressione di queste domande e lo sviluppo di nuovi strumenti concettuali ha prodotto un mutamento di stile nella ricerca
che rende oggi possibile confrontarsi con problemi che fino a pochi anni fa apparivano impensabili. Da molto tempo infatti i fisici
non si occupano soltanto dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, ma hanno rivolto la loro attenzione alle sfide formidabili della “terra di mezzo” dei processi mesoscopici e dei fenomeni collettivi.
Chi consulta oggi una rivista di fisica o ArXiv, la grande risorsa
on-line di pre-print utilizzata dalla comunità scientifica per comunicare velocemente i risultati, troverà molti articoli dedicati a temi
che in genere non si associano all’attività “tradizionale” del fisico:
DNA e folding protein, organizzazione di eco-sistemi, fluttuazioni del
mercato finanziario, topologia del web, evoluzione del linguaggio
e, in posizione privilegiata, quella che qui chiameremo per semplicità “fisica dei processi cognitivi”, l’espressione naturale dell’incontro tra le domande antiche della tradizione filosofica e le nuove prospettive teoriche della fisica dell’emergenza. Questo mutamento prospettico ha mostrato i limiti dell’approccio riduzionista
ed ha aperto alla fisica nuovi campi d’indagine in cui l’attenzione
è rivolta ai comportamenti collettivi, all’architettura globale del
sistema ed alla dinamica dell’organizzazione che permette la comparsa di strutture non banalmente riconducibili ai costituenti
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elementari. Al riduzionismo si è affiancata una nuova sensibilità
metodologica ispirata ad un rinnovato interesse per l’epistemologia costruttivista e per l’approccio sistemico e cibernetico, in cui
non si considera più la conoscenza come un’attività che procede
dall’analisi dei “mattoni” del mondo ai sistemi più complessi con
un processo lineare di accumulazione di informazioni, ma viene
pensata come l’adozione di una pluralità di strategie cognitive che
considerano in modo integrato più livelli d’analisi in relazione alla
complessità del sistema studiato. Una delle trappole concettuali tipiche del riduzionismo è costituita infatti dall’idea che il mondo
sia “già lì”, organizzato chiaramente dai livelli più piccoli a quelli
più complessi e che questi ultimi non siano altro che un’espressione particolarmente intricata delle interazioni tra un gran numero
di oggetti elementari. Questa non è soltanto una questione di natura filosofica, ma ha influito in modo decisivo a definire la fisionomia delle tecniche matematiche tradizionali della fisica teorica.
Il punto fondamentale è che questa ordinata semplicità coglie soltanto una piccola parte del mondo in cui viviamo e la maggior
parte dei sistemi interessanti – di cui gli organismi viventi ed i processi cognitivi sono esempi evidenti – non possono essere risolti da
un approccio di questo tipo e rimangono invisibili ad un’ottica
epistemica riduzionista.
La scala della complessità comincia con sistemi costituiti da poche particelle ed inattaccabili con il metodo divide et impera del riduzionismo. È il caso ben noto dei sistemi caotici, in cui processi
retti da equazioni molto semplici possono mostrare comportamenti complicatissimi al limite dell’impredicibile, come il problema dei
tre corpi in interazione gravitazionale, sistemi di pochi oscillatori
accoppiati o il flusso di un rubinetto. In tutti questi casi è la tipica
non-linearità del sistema, che dipende dal modo in cui interagiscono i componenti, a rendere questi sistemi intrattabili con i metodi
matematici tradizionali. I computer hanno offerto ai fisici la possibilità di studiare il problema da un altro punto di vista, utilizzando
la simulazione come un laboratorio di “matematica sperimentale”
in cui si potevano controllare e variare a piacimento i parametri del
sistema per analizzarne il comportamento. I matematici all’inizio
trovarono tutto un po’ troppo euristico per il loro concetto di rigore, ma ben presto si resero conto che se il computer non poteva
sostituire il concetto tradizionale di “dimostrazione”, era sicuramente uno strumento utilissimo per esplorare congetture sulla
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natura di un sistema. In un tipico processo caotico è impossibile
fare previsioni sullo stato futuro del sistema, ma si tratta pur sempre
di sistemi deterministici, in cui può essere calcolato “passo dopo
passo” l’andamento dinamico del sistema. Ormai tutti hanno familiarità con i frattali e gli attrattori strani che riempiono lo schermo
nella simulazione di un processo caotico, ma queste “novità” sono
veramente tali? O sono piuttosto la conseguenza di un’estrema
complicazione che può essere colta con la simulazione ma che è
già “tutta lì”, contenuta tra le linee del programma? Nessuno di noi
può calcolare cosa penserà ad un istante di tempo determinato, ed è
dunque evidente che la complessità con cui si ha a che fare quando
si studiano i processi cognitivi è di un ordine ancora più alto rispetto a quella dei sistemi caotici ed i processi emergenti di tipo
più radicale.
Lo sviluppo dei metodi matematici per il trattamento dell’informazione – linguaggi di programmazione, diagrammi di flusso,
organizzazione delle classi di dati –, ha avuto un’influenza molto
forte sugli sviluppi moderni della teoria della conoscenza. Ha dato
infatti agli scienziati la possibilità di disporre di un linguaggio rigoroso per parlare di quel particolare tipo di oggetti concettuali
che sono le teorie fisiche. Qual è la struttura di una teoria? Come
entrano i dati sperimentali e come escono dall’apparato formale
della costruzione matematica? Come si costruisce una rappresentazione del mondo? La tradizione epistemologica aveva trattato
questi temi usando il linguaggio dei filosofi, ma la teoria dell’informazione permetteva per la prima volta di parlare di scienza utilizzando un formalismo per sviluppare un’epistemologia con le
caratteristiche di una vera e propria scienza per studiare il ragionamento scientifico.
Va detto che i fisici hanno sempre avuto una particolare attenzione per la struttura delle loro teorie, interesse che è diventato sempre
più marcato con l’avvento, agli inizi del secolo scorso, della fisica
quantistica. Questa teoria ha modificato in modo così profondo ogni
“evidenza” fisica che ancora oggi il dibattito sulle sue interpretazioni
non può dirsi concluso ed ha trovato nuovi stimoli nelle ricerche di
cosmologia e nello studio quantistico dell’informazione. Da allora
l’attenzione dei fisici si è concentrata in modo particolare verso le
strategie cognitive con le quali si mettono a punto le teorie scientifiche, intese non come una mera “rappresentazione” dei fatti ma piuttosto come un modo, mai unico e neppure univoco, di “organizzarli”
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all’interno di una costruzione teorica. È su questi temi epistemologici
che fisica e cognizione si incontrano naturalmente all’interno del più
generale ed antico problema delle relazioni tra mente e mondo che è
il tema centrale di questo libro.
L’idea di poter formalizzare la teoria della conoscenza tramite
risorse computazionali ha incontrato però nuove e radicali difficoltà. L’ipotesi che i processi cognitivi possano essere descritti da
modelli di questo tipo è alla base dell’Intelligenza Artificiale, disciplina su cui sono stati versati fiumi d’inchiostro. A dispetto dei
suoi numerosi successi tecnologici, l’insegnamento più grande delle “menti artificiali” è stato quello di mostrare le differenze profonde tra i processi cognitivi umani e quelli artificiali. Il riduzionismo computazionale ha mostrato gli stessi limiti di quello fisico,
di cui è per molti aspetti una filiazione. I processi della conoscenza
umana non possono essere “catturati” da un insieme di algoritmi,
non per qualche oscura ragione metafisica ma, come appare sempre più chiaro, proprio per le gerarchie intrecciate della complessità
dei livelli in gioco.
Le difficoltà dell’approccio computazionale e determinista mostrano che una comprensione dei processi cognitivi richiede un nuovo tipo di spiegazione scientifica, in cui l’obiettivo non è la riduzione a componenti fondamentali e la stretta predicibilità degli eventi,
ma consiste piuttosto nel cercare le condizioni in cui un processo
può effettivamente emergere.
In questi ultimi anni si è sviluppata una nuova fisica dell’emergenza il cui compito è proprio quello di indagare le gerarchie intrecciate dell’evoluzione dei sistemi complessi. Il concetto di emergenza
si è sviluppato con lo studio delle transizioni di fase e dei processi
collettivi ed ha fornito potenti strumenti concettuali e matematici
che hanno permesso, con la loro naturale migrazione dalla fisica teorica alla biologia ed ai processi cognitivi, di illuminare con luce nuova l’annosa questione dei rapporti tra mente e mondo.
L’idea centrale è che più un sistema è complesso più aumentano le prospettive da cui può essere osservato, mostrando aspetti e
livelli organizzativi che non possono essere “scomposti” tra loro in
modo netto e risolti da un singolo modello basato su quell’equazione “fondamentale” così importante nei sistemi tradizionali della fisica. La complessità richiede all’osservatore una pluralità di approcci d’indagine, nessuno dei quali di per sé fornisce una spiegazione “definitiva”. In questo modo l’osservatore e le sue strategie
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cognitive diventano parte integrante della teoria, e l’unità cercata
tra fisica e cognizione si realizza in un progetto epistemologico
generale sulle relazioni dialogiche tra l’osservatore e l’osservato, rinnovando il dialogo tra la scienza e le sue radici filosofiche. Come
scriveva il grande storico della scienza Charles Singer:
Quel tipo di filosofo, che si permetteva di ignorare le grandi conclusioni cui è arrivata la scienza, sta ora per scomparire. Sembra piuttosto
che la scienza stessa abbia ora raggiunto uno stadio in cui le sue necessità concettuali la spingono a considerare il mondo come una totalità interconnessa, […] uno stadio in cui scienza e filosofia debbono
procedere affiancate.
È relativamente semplice fare e raccontare la scienza da una prospettiva monodisciplinare, centrata su basi concettuali ben radicate all’interno di un linguaggio condiviso. I problemi inter-disciplinari pongono invece difficoltà molto più grandi alla ricerca che si riflettono
inevitabilmente nella comunicazione di queste ricerche. Troppo
spesso la letteratura divulgativa corre il rischio di raccontare la scienza in modo a-storico e semplificato, come una successione chiara e
lineare di scoperte e deduzioni che sembrano mirabilmente convergere verso risposte incontrovertibili. Questo racconto della scienza a
posteriori ha ben poco del sapore autentico della problematicità della
ricerca, e somiglia più ad un trailer spettacolare che al film vero e
proprio, spesso condito da un’aura prometeica dei protagonisti. La
natura delle questioni trattate ci ha fatto scegliere invece una via più
difficile ma crediamo più stimolante, in cui non ci limiteremo ad
esporre risultati, ma anche prospettive di ricerca che saranno il banco
di prova delle future generazioni di scienziati.
L’arcipelago della complessità qui delineato è composto da molti
temi, ma questo non deve scoraggiare il lettore. Si è provveduto a descrivere ogni isola in modo autosufficiente, e suggerire alla fine una
bibliografia ragionata per ulteriori approfondimenti ed esplorazioni.
In tal modo avremo anche l’occasione di vedere come le idee scientifiche nascono e si confrontano in un processo continuo di scontri,
derive ed integrazioni.Tre concetti fondamentali ci faranno da guida: l’emergenza, l’apertura logica e la computazione naturale. Si tratta di argomenti tra loro profondamente interconnessi sui quali è possibile costruire uno scenario plausibile di come la mente conosce il
mondo, in un accoppiamento profondo che è radicato nella stessa
natura biologica dell’attività cognitiva.
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L’organizzazione del libro può essere riassunta nel seguente diagramma:
Nell’ouverture del primo capitolo si introducono i leit-motiv fondamentali del libro, l’analisi del divario tra scienze della mente e della
materia, il ruolo dell’emergenza come ponte concettuale, la necessità di nuovi approcci alla computazione. Il secondo capitolo è dedicato ad una rapida rassegna della natura e del ruolo dei modelli matematici del mondo, dando particolare rilievo alla prospettiva costruttivista ed alla problematicità che una descrizione di questo tipo
implica. Non esiste una ricetta unica che porta dai dati alle descrizioni senza una valutazione critica dei primi ed un’accurata selezione
dei criteri concettuali che guidano la costruzione di una teoria. In
questo senso l’attività modellistica è simile ad una forma di raffinato
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artigianato matematico che elabora strategie di mediazione tra l’acquisizione empirica e le descrizioni formali. Il terzo capitolo ripercorre sinteticamente la storia della scienza cognitiva, da quella classica, basata sul cognitivismo e sulla rigida impostazione computazionale dell’intelligenza artificiale, alle prospettive del connessionismo,
delle reti neurali e dei sistemi dinamici, che hanno introdotto i primi
concreti elementi di complessità nello studio dei processi cognitivi.
L’interludio del Capitolo 4, dedicato ai fondamentali lavori di
Kurt Gödel ed Alan Turing, è un necessario complemento ai temi
del terzo. L’emozione ed il fascino del lavoro e dello stile dei due
grandi matematici non sono le sole ragioni per soffermarsi ancora una volta sulla loro opera. A dispetto di molta vulgata corrente
il pensiero di entrambi offre spunti estremamente sottili ed attuali sulle prospettive della ricerca contemporanea. Ad esempio una
versione diffusa descrive il ruolo dei teoremi di incompletezza di
Gödel come una sorta di limite invalicabile della conoscenza matematica. È molto più utile e proficua invece l’interpretazione che
ne ha dato Gregory Chaitin sulla matematica come sistema aperto. Per quello che riguarda il pensiero del grande logico austriaco
sui processi cognitivi ci soffermeremo sull’idea della complessificazione impredicibile di una mente “assiomatica” in interazione
con l’ambiente, che da sola costituisce una critica radicale a quello che sarà il programma dell’intelligenza artificiale. Anche Turing
è spesso identificato con la sua celebre macchina, ma ben più illuminanti sono le pagine dei suoi report sulle “macchine bambine”
che apprendono, una fase importante che anticipa il connessionismo e condurrà il genio dello scienziato inglese ad interessarsi
della logica del vivente ed ai primi modelli matematici dei processi di morfogenesi. Il quinto capitolo, forse il più arduo per il
lettore non tecnico, mette a confronto i modelli cognitivi simbolici dell’intelligenza artificiale con quelli dinamici del connessionismo e delle reti neurali. Mostriamo che le due classi di modelli
convergono soltanto in pochi casi particolari, ed è più naturale
adottare l’idea che descrivono aspetti diversi dell’attività mentale
utilizzando strumenti costruiti con finalità e metodi complementari che si differenziano per le modalità specifiche di produzione
dell’informazione rimettendo in discussione il paradigma computazionale classico.
Arriviamo così al nucleo centrale di proposte contenute nei
capitoli sesto e settimo. La computazione di Turing, il modello del
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computer digitale, è astratta ed “incorporea”, mentre la computazione naturale considera l’elaborazione dell’informazione un processo strettamente connesso alla struttura fisica del sistema che
computa. È questa una delle idee centrali per una mente embodied,
inserita in un organismo che è in continua evoluzione nella rete
dei processi naturali. I modelli di computazione naturale hanno rimesso in discussione anche il cosiddetto limite di Turing. Si sa che ci
sono cose che una macchina di Turing non può fare, come il famoso problema della fermata (halting problem), ma che sono accessibili
a strutture dotate di una diversa logica computazionale, a cominciare da particolari configurazioni cooperative di macchine di Turing. Questi sistemi ipercomputazionali indagano la possibilità di
realizzare fisicamente un oracolo, ossia un dispositivo fisico che gestisce e guida la computazione oltre il limite di Turing. Non si tratta di situazioni esotiche, anzi vedremo che in natura ci sono molti
sistemi fisici e biologici che mostrano capacità ipercomputazionali.
Faremo cenno anche a modelli, come gli automi cellulari che, pur
essendo formalmente equivalenti ad una macchina di Turing, hanno vocazioni computazionali diverse e permettono di esplorare
come l’attività informazionale di un sistema naturale è distribuita
nello spazio e nel tempo.
L’apertura logica è un’altra potente idea trans-disciplinare che
permette di definire la complessità di un sistema in relazione alla
sua struttura ed alla rete di processi da cui è definita. In questa teoria un ruolo centrale è giocato dal concetto di vincolo, che va intuitivamente inteso come qualcosa che sostiene l’organizzazione
dinamica di una struttura. Più aumentano i vincoli sulle modalità
di produzione e dissipazione d’energia di un sistema, più questo
sarà in grado di gestire informazione in modo non banale, producendo “novità”. Uno dei problemi delle teorie dell’emergenza è di
chiarire in quali condizioni queste si producono e come classificarle. Il concetto di rottura spontanea di simmetria, che deriva dal formalismo della teoria quantistica dei campi, ci permetterà di costruire una teoria della formazione delle strutture e di definire una
gerarchia di complessità ed una scala di processi emergenti, da
quelli più semplici di tipo computazionale a quelli più radicali, tipici dei sistemi ad alta apertura logica che esibiscono emergenza
semantica. In questi casi il sistema mostra la comparsa di un dominio cognitivo, ossia la capacità di produrre e gestire informazione
in modo autonomo e generalmente irriducibile ad un singolo
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modello formale. Questo ci fa comprendere meglio i limiti e le caratteristiche dell’intelligenza artificiale e delle reti neurali. I modelli simbolici infatti descrivono un’attività cognitiva tramite una sequenza di procedure, dopo che il processo è stato compreso nei
suoi dettagli e ben lontano dalle zone d’emergenza, mentre la dinamica delle reti neurali ed i sistemi connessionisti tendono ad essere più utili quando si indagano le condizioni in cui emerge una
nuova procedura cognitiva. I temi della computazione naturale, del’emergenza e dell’apertura logica hanno in comune un diverso
modo, non banalmente riduzionista, di considerare complessivamente la rete di processi che connettono sistema ed ambiente.
Queste idee sono attualmente al centro di un intenso lavoro di ricerca che sta dando frutti in molte direzioni diverse, dall’emergenza in fisica e biologia alla teoria dell’informazione, aspetto che giustifica il ritorno delle frecce nel diagramma. Nell’attività cognitiva
individuale come in quella collettiva ogni nuova idea traccia non
soltanto strade per il futuro ma ridefinisce le conoscenze acquisite
con l’emergenza di prospettive inedite.
Le richieste che l’apertura logica, l’emergenza e la computazione naturale pongono ad una visione della mente sono realizzate
dalla teoria del quantum brain, descritta nell’ottavo capitolo. Si tratta di uno sviluppo originale della teoria quantistica dei campi che
supera le difficoltà degli approcci tradizionali proponendo un modello dell’attività cognitiva dove i processi mentali sono descritti
da variabili collettive dinamiche che tengono conto degli infiniti
gradi di libertà delle interazioni tra mente e mondo. Nel nono capitolo discuteremo il problema della coscienza e degli stati soggettivi, i qualia. Lungi dall’essere un argomento improprio, come per
molto tempo è stato considerato dalla scienza cognitiva classica, la
coscienza ha invece un ruolo biologico e cognitivo fondamentale.
Come nel fiume di Eraclito, l’irriducibile soggettività della coscienza riflette la nostra immersione nel mondo, modifica le tonalità dell’apertura logica e fa emergere continuamente nuovi e singolari bisogni cognitivi. L’attività cognitiva si delinea dunque
come un processo circolare in cui la definizione di un singolo piano di conoscenza esplica inevitabilmente una pluralità di livelli
che rimettono in discussione la completezza di ogni rappresentazione del mondo. La logica aperta della mente trasforma questa incompletezza nella risorsa vitale della pluralità emergente delle
strategie cognitive.