Untitled - Premio Letterario "Federico Ghibaudo"
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Premio Letterario "Federico Ghibaudo" anno 2007 - 13a edizione “L’INDICE” 1° premio poesia 2° premio poesia Gabriele Bambina Lorenzo Pasciutti 5a - F pag. 3a - D pag. 5 6 1° premio prosa 2° premio prosa Francesca Montanari Matteo Goggia 3a - A pag. 5a - G pag. 12 15 Premi giuria “ “ Luca Cazzaniga Giacomo Delledonne Davide Bovati Giona Casiraghi Marco Galli Valentina Sala Beatrice Castellani 4a - E pag. 4a - E pag. 16 17 3a - H pag. 4a - D pag. 1a - F pag. 18 19 20 5a - F pag. 21 5a - G 3a - E 4a - E 4a - D 4a - D 3a - C 1a - E 2a - E 4a - A 4a - B 4a - F 4a - I 3a - H 5a - C 2a - C 2a - C 30 31 32 34 36 41 44 45 46 47 49 51 52 53 54 55 “ “ altri componimenti in ordine di presentazione: Gabriele Bambina Robetta Motter Anna Caimi Niccolò Panozzo Giacomo Delledonne Chiara Fumagalli Andrea La Mantia Armando Petrella Giulio Pusateri Stefano Sanfilippo Gaia Pagliula Aurora Coatti Paolo Marchiori Andrea Besana Davide Galbiati Greta Tettamanzi Alberto Cantarelli Filippo Dolfini pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. Premio Letterario "Federico Ghibaudo" anno 2007 - 13a edizione “ELENCO FINALISTI PRECEDENTI EDIZIONI” 1°Classificato 2° Classificato 3° Classificato 1995 Alexandra Bonfanti 2a F Loredana Lunadei 2a G Arianna Ferrario 1a G 1996 Martino Redaelli 4a A Elena Cattaneo 4a G Marika Pignatelli 3a C 1997 Niccolò Manzolini 4a A Matteo Pozzi 3a I Elena Cattaneo 5a G 1998 Lorenzo Piccolo 4a A Matteo Pozzi 4a I Lucia Gardenal 2a I 1999 Dacia dalla Libera 3a E Lorenzo Piccolo 5a D Vincenzo Calvaruso 3a H 2000 Giulia Pezzi 4a G Dacia dalla Libera 4a E Cristina Sanvito 4a D 2001 Tiziano Erriquez 4a D Giorgia di Tolle Chiara Grumelli 4a A 4a D 2002 1° Class. poesia 2° 1° Class. prosa 2° Alessandro Sala Federica Archieri Caterina Cenci Alessandro Dulbecco 4a H 5a L 4a H 3a C 2003 1° Class. poesia 2° 1° Class. prosa 2° Alesssandro Farsi Cristina Pozzi Alessandro Dulbecco Pietro Spinelli 5a E 3a D 4a C 4a B 2004 1° Class. poesia 2° 1° Class. prosa 2° Margherita Corradi Riccardo Tremolada Paola Molteni Pietro Spinelli 2a L 2a L 5a F 5a B 2005 1° Class. poesia 2° 1° Class. prosa 2° Margherita Corradi Paolo Marchiori Roberta Motter Veronica Merlo 3a G 2a F 3a G 3a G 2006 1° Class. poesia 2° 1° Class. prosa 2° Armando Petrella Andrea Guadagnino Veronica Merlo Gabriele Bambina 2a C 5a B 4a G 4a F Concorso Letterario "Federico Ghibaudo" anno 2007 - 13a edizione “LA GIURIA” Claudio Rendina Alberto Martinelli Riccardo Galli Elena Brambilla Alice Caprotti Valentino Tucci Margherita Corradi Isabella Cocco Marta Schiurò Alessio Menagia 3a - B 3a - H 3a - F 3a - C 4° - H 4a - D 5a - G 5° - D 5° - D 5a - C “IL CONCORSO” Il concorso è riservato agli studenti del Liceo “Frisi” ed ha un grosso difetto, i vincitori ufficiali sono pochi, mentre ogni partecipante, che ha messo nero su bianco le sue idee, le sue esperienze, la sua fantasia, la sua anima, per farle conoscere agli altri, ogni partecipante, è un vincitore. Ma le regole consolidate per i concorsi, che sono poi le stesse che spingono a partecipare, richiedono una classifica che, per le innumerevoli varianti in campo, non potrà che essere imperfetta. I componimenti sono quelli originali, non è stato previsto nessun intervento sugli stessi da parte di nessuno, con l’obiettivo di non creare interferenze di nessun genere sulla spontaneità degli elaborati. Invitiamo pertanto ogni singolo lettore a trovare il SUO componimento preferito e a far suo lo stile ed il messaggio in esso contenuto. Questo concorso vuole infatti proporsi come punto di ritrovo, come un punto di confronto, una palestra per idee, sentimenti ed emozioni. “INTERNET” I testi di tutti i concorsi, dal primo fino all’attuale si possono trovare su internet al seguente indirizzo: http://www.premio-liceofrisi.it Concorso Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “LA BIBLIOTECA” in biblioteca sono disponibili per la consultazione, i fascicoli delle precedenti edizioni del Concorso... ...oltre una copia dei seguenti libri premio: 1996 L’Alchimista Paulo Coelho - Bompiani 1997 Messaggio per un’aquila che si crede un pollo Istruzione di volo per aquile e polli Antony de Mello..-..Piemme 1998 Il viaggio di Theo Catherine Clèment - Longanesi 1999 Abbiate coraggio Francesco Alberoni 2000 Perchè credo in Colui che ha creato il mondo Antonio Zichicci - il Saggatore 2001 Il mondo di Sofia Jostein Gaarder - Longanesi 2002 Il tao della fisica Fritjof Capra - Adelphi 2003 L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking - Mondadori 2004 Storia della Filosofia Moderna da Cartesio a Kant t 2005 Luciano De Crescenzo - Mondadori Che cosa sappiamo della mente Vilayanur S.Ramachandran - Mondadori 2006 Menti curiose John Brockman - Codice Edizioni 2007 Alla ricerca delle coccole perdute Come diventare un buddha in cinque settimane Giulio Cesare Giacobbe - Ponte alle Grazie Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione Primo Classificato sez. poesia “VERTIGINE” di Gabriele Bambina - 5a F Il testo è stato rimosso su richiesta dell'autore 5 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione Secondo Classificato sez. poesia “mègas alèxandros” “DEL SOLE, DEL SOGNO” di Lorenzo Pasciutti - 3a D Ma la corrente di terra, dov’era la nave, rinforzava, portandola silente sempre più lontano, verso le acque incantate di laggiù. (H.Melville, Benito Cereno) DRAMATIS PERSONAE DÀIMON ALESSANDRO, re di Macedonia, conquistatore dell’impero persiano MAZEO, satrapo della Mesopotamia, governatore di Babilonia sotto Alessandro EFESTIONE, generale di Alessandro e suo migliore amico MÈGAS ALÈXANDROS DEL SOLE, DEL SOGNO Babilonia, Alessandro il Grande è appena entrato in città dopo aver vinto l’esercito del Gran Re persiano. DÀIMON: Grande e potente l’onda si stende ansiosa e convulsa si fonde alle orme colma il deserto, non cura il cammino e s’innalza in potenza, e tanto che cede lei giunge al confine per chiudersi stretta al pensiero del folle suo volo e al vivo disio in cui attende di farsi più turgida ancora; al pari dell’onda io gonfio la mente e gl’istinti più alti, com’ella io spingo ai più grandi pensieri quei corpi mortali, e solo per me ardono gesta che fanno immortali, genero io vostr’anima tutta: mente e fortezza domando gli istinti e facendo virtù. Io sarò guida nel viaggio all’altrove, venite con me, ora demone vostro ma che lo fui del Grande Alessandro. In scena Alessandro, solo, sulle rive dell’Eufrate ALESSANDRO: Oriente, Oriente tanto agognato e ora presente fosti, sì, tu ambizione di padre e ancora di figlio? Ma se or su di te io tengo l’impero, pur sento per certo che non sei già mio: mi sfuggi lontano al pari d’inganno che puoi prevedere ma mai prevenire, sei forte puledro, indomabile e fiero per chi ne le mani ne tenga l’impero; ti regno, ti stringo, ma non ti conosco, lontano mi sfuggi, dal cuore mio lungi. 6 - Bucefalo, amico, la terra a levante sarà come te? che prima è disio che vien diffidenza e ‘n fine amicizia? – Ma io penso d’altro: ch’altro vi sia, altro dev’esser, certo in altrove. Entra Mazeo MAZEO: ALESSANDRO: MAZEO: ALESSANDRO: MAZEO: ALESSANDRO: MAZEO: ALESSANDRO: MAZEO: ALESSANDRO: MAZEO: ALESSANDRO: MAZEO: ALESSANDRO: MAZEO: ALESSANDRO: O savio satrapo e duce nel nuovo, sii mio compagno, su vieni, Mazeo: distratti son tutti in voci agli dèi. Salute, mio Re! Che vi distringe in quest’ore festose, o solo ai miei occhi parete sì torvo? M’è lungi l’oriente e se pure son re, non tengo potere, cogli il mio cruccio, buon uomo straniero: l’Oriente sognato e a lungo temuto sta sotto i miei occhi, ma vedi, son re né mai sarò figlio d’un mondo lontano, una terra diversa da cui più di prima mi sento distante, dacché è qui sancito un raccordo forzato tra mondi stranieri... Due terre, due storie, due popoli e mondi: qui il sole si leva, su voi poi tramonta e ciò è per natura. Ma or che siam giunti qui lungi a levante? Soliti siate al sorger del sole e non più al tramontare. Così vuol Natura: che s’alzi di qui e discenda di là. Se solo noi fossimo placidi dèi, o Zeus... Ma noi non siamo dèi, né lo possiamo, capisci? Ma Impero del Mondo! lui nasce a ponente e cade a levante, come poi farlo unico e uno senza che sia mezzogiorno comune? Sogni chimere, qual più di questa fu utopica idea? Mai avrai quest’impero, che fratturato sarebbe in se stesso. Dovremo, dunque, lasciare il disio d’universa cultura? Com’esser non può la via d’un incontro se è tutto questo ch’è anima in noi? Siamo accecati, oscurati, ma spirto di luce è questo disio: luce novella ai nostri occhi antichi, legati all’antico e in antico vaganti. E al fine, Mazeo, che spinse alla cerca d’Oriente levante? Non credi ch’è il sogno di glorie ed onori? Ma cerca di sogni è figlia e progenie di chi è insoddisfatto... Lo dici: è ambizione che sfocia in disio, ché mai vi sarà quel pio soddisfatto del dono di dio, né mai potrai creder che ‘n fronte al diamante cedrai dalla cerca di vasta [ miniera: c’è sempre dell’altro che pure desideri e invece non hai... Implacabile gola che pinge da bestia quest’uomo perdente! Ti accontenteresti? Io no, eppur non sono bestiale, ché sopra ho la testa in utopica idea, e dopo vien vivo - a batter tonante - il cuore animoso. Ma ancor più suadente è visione di quel che sull’altro è potente, fortune vincenti sul cuore perdente ch’è in cerca perenne. Ma poi che l’hai viste vuoi esserne parte... Mi sfugge il discorso, mio Re... Veniam di lontano, ma siam ora ciechi dell’alba d’Oriente? Con occhi diversi vediamo quel vostro identico sole. Venissi tu a Pella, vedresti il tramonto, e dagli occhi hai certezza ch’è tale in tramonto, eppure tu vedi qualcosa, non tutto: è nebbia di fuori; così la tua vista è diversa, e un altro tien vista laddove sei cieco, e diciamo a qui giunti ch’io vedo qualcosa e tu pure dell’altro. 7 MAZEO: ALESSANDRO: MAZEO: ALESSANDRO: MAZEO: ALESSANDRO: MAZEO: ALESSANDRO: MAZEO: ALESSANDRO: DÀIMON: Ma il sole lucente è fatto e natura e ch’è più verace di Madre Grandiosa che a noi dà ogni cosa? Qui giunti ti dico che solo vai in alto, insieme lontano e pur che tu creda che l’alto è il divino, or sappi il tuo fallo ché lungi da dio l’umano mortale e il suo esser vi giunge per ratto momento; ma già che vuoi giunger da solo lontano realizza il tuo errore: al passo in un mondo tu senza parole per altre culture, di tanti l’appoggio, ma avrai l’avversione dei molti e dei più e dagl’occhi diversi non trarre disprezzo: saprai più da loro che dal tuo compagno: stess’occhi son uno, diversi fan fronte... O si oppongono... Sì, ma di fronte ad un sole la vista t’è d’uno. E da Pella ad Oriente rimiri quel disco che pareti sorga, ed è giusto qual giusto è il tramonto da Oriente. Qual giusta o sbagliata? Non c’è via o risposta. E se ora ti rechi da Pella ad Oriente, che cambia al pensiero? Ti cambiano gli occhi passati e presenti? Santissimi Numi, è questo l’errore: Mazeo, come cambi quegli occhi se tieni sol quelli: non funge così, ma ti vai in altro luogo, m’intendi, mio amico? S’infiorano i dubbi... Combatter battaglia in falange o in etèri, a destra o a sinistra. In falange tu vinci vincendo paura che cade al nemico; a cavallo poi spingi la schiera al terrore. Son due pari modi di fare la guerra, ma poi ve n’è uno migliore ch’è giusto? Diversi ma in fronte, sì ch’uno non vince e come ad un colpo ti fa tentennare e al nuovo ti stende quel pugile forte, i fanti fan breccia, e a cavallo gli etèri cavalcan vittoria. M’intendi, Mazeo, che al singolo è parte e a tutti è donato un occhio maggiore? S’è ciò tu cedi qualcosa che prima era giusto. Quel che tu cedi per trame guadagno non ti parrà mai tanto importante, ché se lo fosse l’avresti tenuto e invece cedendo ne hai tratto vantaggio. Il danno finale è nullo, Mazeo, ché due paia d’occhi in fronte s’accecan; ma due paia d’occhi di fianco son doppi. Tieni a tesoro la pietra angolare d’impero del mondo. [ Si sentono voci dall’esterno ] Signore, i mie’ ossequi, i libanti mi chiaman, ma hai detto valenti parole, la grazia sia vostra. Addio, mio signore. [ exit Levar il Gran Dario m’è tanto più umano che fare unità, le genti son dubbie, e realtà di due poli è pensiero comune. O cieli! vorrei aver la forza d’Achille. Imeros! Ares! Siate miei scudi. L’impero universo dalle colonne all’Oceano orientale, l’impero di uomini degno di dèi, o cieli - voi Numi - qui siate propizi! [ exit Non canto a più voci, ché il demone è uno. Voi ora sapete la parte divina involata nell’alto: il Grande Alessandro sapea d’esser dio sol per tempo fugente, ché il corpo è di carne: di umane passioni. E qui vi dirò l’incendio doloso che arse quel sogno, 8 ma prima sappiate che primo la fine capì ch’è infinita, quando ai confini non vide l’Oceano bensì nuove terre, e paesi, e nazioni, e infiniti pensieri: una sfida sì ardua a conoscerli tutti con degno rispetto, una sfida sì alta per farli tutt’uno in Impero del Mondo, più ardua e più alta che prender la vetta di monti orientali. E qui cambia il ritmo, insieme a quel mondo, sopra quei ghiacci d’Oriente, [ laggiù. In scena Alessandro, solo, di fronte alle vette dell’Hindukush alle sue spalle l’esercito in colonna. ALESSANDRO: O cultura antica, sei invecchiata in sì breve tempo. Avevi cinto con un mare terre e mondo, ma al di là delle montagne ci sono altre vette e alte, dove son la Macedonia e l’Oceano più orientale? Siamo persi come sogni in vertigini abissali ed il mondo non ha fine. Il dio Fobos stringe i cuori e Febo auriga cala i soli, tempo e tema son rovine dell’esercito marciante. Ma ecco giunger Efestione, amato amico ecco viene. Entra Efestione. EFESTIONE: ALESSANDRO: EFESTIONE: ALESSANDRO: EFESTIONE: ALESSANDRO: EFESTIONE: ALESSANDRO: Dammi tu calore al cuore ch’è di ghiaccio in questi monti. E’ stato il freddo forse, amico, a gelare i miei soldati? Alessandro, ecco, devo dirti che i soldati non son soli: donne e figli sono i più di quest’impero che cammina e non puoi trarli ancora oltre in impervi monti e gelo. O Efestione, il malo ghiaccio sta filtrando anche il tuo cuore? Innanzi a dèi e a tale scena... Per gli dèi, mio Alessandro, il cuor mio pel tuo è di fuoco, ma se il Fato ti ha voluto - credi a me - in luce dea, di questa stessa ha graziato mai alcuno qui nel mondo. E natura che di fronte ad un disegno sì ineffabile è disio da tutte forze di dar fiato all’aria tersa che fragrante sal di viti dalle alte terre d’Ellas e al salino odor del mare che due volte scroscia all’istmo e alle onde come balie a cullare l’Alessandria. Vedi come Tolomeo brami l’aria ch’è in Egitto; Alessandro, cedi il tempo di dar occhio là alle case. Case, case, parli bene, ma dov’è la casa mia? Babilonia, Alessandro, tu sei là, quella è casa. Babilonia? Efestione, ma perdio, non lo sarà! la mia casa è là, è il mondo, è al di là d’ogni barriera: a Pella parve Babilonia, da lì poi è volata altrove. Come posso ceder ora dacché il mondo è fatto nuovo? Come fai a dar acqua al fuoco ch’è sottratto qua agli dèi? Alessandro, il ladro giace qui morente seppur vivo, Zeus l’ha fatto prigioniero e ‘1 rapace mai si leva. E’ la pena dolorosa a chi fa uso del divino. Se gli dèi fossero avversi, pure qua tu non saresti: luna è come la fortuna - lo sai bene com’è in guerra ma se sola fosse stata a condurci fin quaggiù, dimmi quanto fu lei cara pria che il flesso volse altrove? Non è lei, né l’uomo perso, è di fatti il santo Olimpo il fattore del progetto. Ora vedi, finché i dèi ci hanno dato il lor favore 9 EFESTIONE: ALESSANDRO: EFESTIONE: ALESSANDRO: EFESTIONE: ALESSANDRO: EFESTIONE: ALESSANDRO: EFESTIONE: ALESSANDRO: EFESTIONE: ALESSANDRO: EFESTIONE: ALESSANDRO: EFESTIONE: ALESSANDRO: EFESTIONE: ALESSANDRO: abbiam marciato sempre forti, instancabili e non vinti, ma ‘1 disprezzo alla paura ha mosso ad ira Fobos dio: qui è crollata la bilancia e la forza è fatta vana. Alessandro, arde in te ‘1 fuoco divino ma sei solo: cedi dunque ad una tregua, marceremo ma dai tempo. Tempo, amico, tempo! Come puoi parlar di tempo? Che è mai il tempo che finisce in un mondo senza fine? Vedi il mondo, Efestione, tu che solo hai i miei pensieri come corre senza sosta ai nostri occhi di mortali? Infinito panorama di cui arbitri non siamo... Sì, Alessandro, è inconoscibile e lontano. E, per Era, non t’è vivo il disio d’aprirgli gli occhi? Come puoi, amico mio? E’ da dèi unire il mondo. Però a viver questo mondo son mortali, non celesti! Ed è eterno sol l’impero che s’abbracci a ogni nazione, infinito ed immenso come folgore ai miei occhi. Non le vedi tante genti a far viva questa terra? Non t’affascina il mistero che s’adombra nel diverso? La tua viva cerca d’altro non è forse solo l’una, chi, fratello, ti conosce nel tuo vero, nel tuo io? Quanti sono i tuoi seguaci che davvero san chi sei? E a te quanti sono noti? Non la terra, ma la casa ci si svela ognora estranea. Non hai torto, amico mio, ma di te puoi dir lo stesso: tu chi, come, perché sei? Che risposte custodisci? Dico quel che credo d’esser, ed è tutto, mio Alessandro. Tutti d’essere qualcuno abbiam credenza e in più fidanza, e quel che fidi l’usi sol per costruire quel che sei come fossi una città fatta su un progetto tuo, ma lo spunto vien da altro, dacché altro è fuor di noi. Così solo puoi sapere che di te, in fin, non sai. E come dire chi son io e ‘1 vicino che m’è estraneo? Se poniam tali premesse, il nostro saggio che direbbe? Conoscenza d’ogni sorta è materia estranea all’uomo come un flebile miraggio in distesa priva d’acqua. E’ così: un sottil pensiero con scontata conclusione. Certo, intendo, ma mi sfugge come puoi far quel che fai: spinger ciechi a conoscenza di ciò che mai puoi vedere. Dunque se non sai di tutto, ti pregiudichi ogni cosa? Eppur dici che pur poco mi conosci, Efestione, ma alla fine non sarebbe un sostanziale paradosso? Questo è il dubbio, amico mio. Efestione, ascolta ora! Conoscenza non di tutto, questo è certo, ma se non dell’assoluto, ti rimane allora il niente o una parte di cui puoi aver umana cognizione. Ora io non ho pretesa d’esser dio di conoscenza, ma per quanto sono uomo farò quel che è in mio potere con parziale mia sapienza di quell’altro che sta fuori. D’altro parli, di qual altro stai parlando? Ogni cosa, Efestíone. Come dici, niente sai, quindi tutto t’è d’estraneo ed il mondo è sempre altrove. Te n’è esempio questo luogo che nel ghiaccio attraversiamo: vedi ch’è del tutto alieno? eppur muovi passo a passo e in tal modo prendi lenta e parziale conoscenza. E non cedere ‘1 cammino: anche ‘1 passo più meschino sarà innanzi [ e non indietro 10 e anche in morte, con traguardo insuperato non compiangere te stesso: si vedrà laggiù il tuo Oceano dove un figlio giungerà. Non è questa un’utopia, né chimera, né illusione, senza creder lo sarebbe e allor sì, te lo direi, di lasciar stare, ma, per Zeus, credi forte e non fermarti, resta saldo e vola alto! Non dev’esser tema d’altro a bloccare il passo tuo, ché non puoi aver paura di quell’uomo che tu sei. Non temere poi l’altrove, timor mio e anche tuo, ché non puoi temer il mondo cui ti han dato quegli dèi. Non possiam fermarci ora, ogni passo è per noi vita, né possiam tornare indietro, ogni sforzo sarà vano. No! Scendiamo questi monti e vinciam le terre d’India e poi che saremo giunti dell’Oceano sulle rive, volgeremo là le spalle e seguiremo il sole in cielo fino a lì dove Poseidon stringe il carro del dio Apollo, non sarà il mare infinito a far di noi eterei dèi, ma saremo fuoco e acqua, saremo terra e aria tersa, saremo altri l’uno all’altro, dentro il mondo dell’altrove . [ exeunt omnes DAIMON: Che più dire a ciò che uscì da sì alte e nobil labbra? Come chiudere l’altrove - e l’impresa d’un tal uomo - con intrecci di parole? Lo direte sognatore, ma da lui sentite il verbo: “Abbiate forza dentro il cuore e vincete ogni timore, siate pronti a misurarvi con chi in questo non ha fede e neppure impervio monte vi distolga dal cammino!” Alessandro, semidio, sentì il peso di quell’onda che per primo avea levato, ma da folle i miei consigli fece ali e da lui, vo’ imparate che gli dèi dicon parole sol per bocca degli umani, e non dimenticate il nome di quell’uomo ch’è ancor vivo: ditel’ora, sì, il Grande e chiamatelo Alessandro. 11 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione Primo Classificato sez. prosa “2086” di Francesca Montanari - 3a A Nessuno avrebbe potuto immaginare che, di lì a pochi decenni, il mondo avrebbe subito una svolta epocale, presentandosi infine come uno sconfinato suk medioevale. Persone passeggiano per la strada chiacchierando ad alta voce, sostano di fronte a carretti su cui olezzano squallide merci, si spintonano nel vano tentativo di accaparrarsi qualcosa. Le saracinesche abbassate dei negozi sono ormai mangiate dalla ruggine, sopravvive solo qualche bottega di sarto o di fabbro. I cartelli pubblicitari sui muri ormai scollati ed illeggibili, l’asfalto, dissestato e consunto. Le uniche auto, scheletri gettati ai margini della strada. Una donna, vestita di stracci, tira per la mano la propria bimba, affrettandosi verso il mercato. I portoni delle case sono spalancati e qualche gatto randagio rovista tra la misera spazzatura che ricopre il marciapiede. Ragazzi senza età giocano a pallone in mezzo alla strada, usando come porta due vecchi manichini, su cui si intravede il marchio “La Rinascente”. Un vecchio osserva la partita assorto. “Ai miei tempi il calcio era divertente, c’erano giocatori strapagati, dirette tv e megaschermi, schermi di cinema, videocamere, computer e cellulari, e i microonde e c’erano quei cibi congelati che stavano nel freezer e che venivano pronti quando il campanello trillava. “Pronti in 5 minuti” c’era scritto sulla confezione. I fatidici 5 minuti. In 5 minuti potevi fare qualsiasi cosa. Era l’era di internet, della velocità, del progresso! Ora in 5 minuti puoi a malapena accendere una candela. Figuriamoci poi un fuoco per cuocere qualcosa. Ecco, ora mi è venuta fame. Avrei proprio voglia di un bel hamburger. Se ancora esistessero. E quei fast food? Quelli sì che erano delle invenzioni comode. Certo c’erano quelle paure per le intossicazioni alimentari e la pazzia delle mucche… Ma forse per quella avevano creato il rimedio, boh non mi ricordo più, sarà l’età. E sono sicuro che avessero inventato anche delle compresse per la memoria”. Il vecchio vede avvicinarsi un individuo in uniforme. Quello con voce cordiale chiede: “Mi mostra i documenti?”. “Certo” risponde il vecchio estraendo il portafoglio dalla tasca interna del giaccone. “Romanini Emanuele. Anno di nascita 1990” -legge l’agente con voce piatta- “Bene, bene… abbiamo ancora qualche sovversivo in giro. Ero convinto che foste già tutti morti… o in prigione. So che voi sopravvissuti fate uso illegale di pillole. Non lo dico io sa, lo dice la comunità. E poi si guardi... ormai ha quasi cento anni. E’ possibile che sia ancora così sano? Venga con me la porto in centrale.” “Ma quali pillole? So benissimo che sono illegali. Io pillole! si figuri! No no.... del progresso io non ne voglio più sapere. Non mi porti in centrale agente. Sono solo.... longevo” “Su mi segua senza fare storie” “Ma davvero... davvero, io... ”. Dalla strada i bambini si girano a osservare la scena. Il vecchio viene trascinato dall’agente che fende la folla. Le funi ai polsi di un attempato con spalle curve e capelli bianchi vogliono dire sempre la medesima cosa. Le donne si spostano spaventate, gli uomini mormorano parole sprezzanti e qualcuno scuote la testa. Nessuno interviene. Un criminale è un criminale. 12 Il giorno successivo, per le strade, gli strilloni urlano: “Concittadino detiene scorte illegali di pillole contro il mal di testa”, “Medicine casalinghe per reumatismi portano in carcere Emanuele Romanini”, “Altri terroristi nel nostro territorio. Spacciatore di immoralità viene incarcerato”. Ormai i titoli dei pochi giornali in circolo sono sempre gli stessi, ogni settimana, dalla fatidica rivoluzione del 28 febbraio 2008, si scrive solo di progresso immorale e terroristi dell’etica. Era il 2007, il mondo in evoluzione. Erano gli anni dei cellulari cambiati ogni due mesi. Erano gli anni della nanotecnologia, della comunicazione globale. Gli anni della genetica... i bambini in provetta. Il 22 aprile, il cosiddetto “Earth day”, quattro persone manifestavano di fronte al consolato della “grande nazione” che per proteggere gli interessi di pochi rifiutava di aderire ad un accordo che, forse, poteva fermare la degenerazione di un clima di cui non si capiva già più nulla. Il giorno dopo erano diventati otto. Il terzo giorno erano più di quaranta con striscioni e manifesti. Inneggiavano alla bellezza delle mezze stagioni. Avevano ragione? I media iniziarono ad ingigantire il fenomeno e la gente iniziò ad affluire. In tutti gli Stati migliaia di persone occupavano le strade al grido di: “Save the World”. Pian piano tutto degenerò nella follia. Kamikaze si facevano esplodere davanti alle centrali elettriche. Gruppi estremisti attaccavano i centri commerciali. “8 morti da “Media World” al reparto videocamere”, “12 feriti per una bomba nel settore televisori”. “Sventato attacco al reparto frigoriferi e elettrodomestici”. Nessuno poteva sentirsi sicuro. Quella che era partita come una piccola protesta di quattro era in poco tempo degenerata nel terrorismo di massa che lottava contro il progresso. Inaspettatamente, il progresso si fermò. Nessuno scienziato o medico professava più, troppo impauriti da minacce fin troppo chiare. La popolazione si era infine arresa a non surgelare più nulla, a sminuzzare a mano, a sentirsi tramite foglietti attaccati sulle porte, a sopportare il mal di schiena. Nel giro di cinquant’anni gli anni del progresso furono aboliti dai libri di storia e la nuova oligarchia aveva redatto una lista di testi proibiti. La lista era appesa anche nelle carceri, di fianco al decalogo, che aveva sostituito le vecchie leggi. I. II. III. IV. V. Vietato essere in possesso di oggetti tecnologici di qualsiasi tipo Vietato essere in possesso e usare medicinali Vietato lasciare il paese se non autorizzati dal governo Vietato possedere più di un’attività commerciale Vietato aspirare ad una casta superiore se non sotto precisa richiesta del Governo VI. E’ proibito praticare attività quali: chirurgia e meccanica VII. I ragazzi sono obbligati a seguire gli studi fino ai dieci anni. VIII. Le donne non hanno il diritto al lavoro IX. Le caste inferiori e le donne non sono autorizzate al voto X. Solo gli uomini sopra i 34 anni, cioè maggiorenni, di casta superiore possono aspirare ad un ruolo politico Il vecchio, socchiudendo gli occhi nella luce fioca, legge il decalogo. Si parlava di caste, di diritti, di divieti, tutti molto recenti. Sembrava che oltre ad un governo oligarchico si fosse formata una nuova religione. L’organizzazione delle caste poi, gli riporta alla mente le gerarchie in uso in alcuni paesi di quello che, una volta, si chiamava “Terzo mondo”: la casta più bassa: i degradati, un gradino sopra: quella degli indigenti. Le classi superiori sono invece gli aspiranti e gli arrivati. A nessuno è consentito cambiare casta e nessuno ha l’ambizione di farlo. La società è strutturata così perché funziona meglio, o almeno, così dicono. 13 “Non sembra più il mondo del 2000 eh?” la voce era giunta alle spalle di Romanini. Un giovane con schiena curva e testa incassata tra le spalle esce dall’ombra. Legge nel viso del vecchio la stessa espressione di suo padre qualche anno prima. “Questo non è affatto lo stesso mondo del 2000. La Terra alla loro epoca andava avanti, non indietro. Per quell’uomo che osserva tristemente il decalogo, l’ideale di vita è ormai trascorso, ormai lontano. Per quell’uomo, il mondo Medievale del 2086 è irreale, assurdo, illogico. Per quell’uomo la realtà deve essere altrove, forse nello stesso passato.” Il giovane si volta di scatto. Un secondino si avvicina con passo pesante, getta all’interno della cella un giornale. “Leggi. Senti cosa hanno scoperto”. Gracchia la guardia carceraria. “Uomo del nord vende un rimedio per gli ascessi” -inizia a leggere ad alta voce“incredibile ma vero, da qualche mese un uomo, Federico Fumagalli, vende una mistura, in grado di far passare dolori causati da ascessi e afte, ovviamente a base di erbe, nessun commento da parte del ministro per la sicurezza”. Richiude il giornale con calma. “Bella idea” commenta sarcastico. Il vecchio in fondo alla cella tossisce e sorride. Ad alta voce dice soltanto: “Il mondo non è altrove. E’ sempre qui, pronto a svegliarsi per consentirci nuovi sbagli e nuove soluzioni. La cura per gli ascessi non è che il principio. E magari tra dieci anni potrei rimangiarmi un hamburger...” 14 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione Secondo Classificato sez. prosa “IL CIELO PUÓ ATTENDERE” di Matteo Goggia - 5a G Comincia come un sogno, vero? Il buio e il vapore ti avvolgono come una coperta calda e rassicurante e quasi quasi annegheresti lì per sempre, come prima di nascere. Le mani, sostituendo il compito degli occhi, scrutano l’ambiente circostante e dolcemente lasci che la calma piatta dell’oceano in cui sei immerso ti mantenga al largo, senza opporre resistenza. Qualcuno asseriva che è comune difetto degli uomini non tenere conto della tempesta, durante la bonaccia. Lo vedi? Aveva ragione... Aveva ragione come questa corrente che ora ti costringe a sé e sconvolge la quiete dove galleggiavi placidamente; il desiderio di arenarti su fondali di miserie sfuma rapido come questa marea, che colta al flusso mena all’incertezza, al dubbio, al disordine. « Sono morto? » La testa ricolma di banalità che avresti il piacere di pronunciare se solo avessi la più fragile speranza che qualcuno le possa intendere, e con che arroganza ti illudevi che varcare la soglia ti avrebbe condotto a delle risposte, non riesci nemmeno ad accettare che si siano aperte solo altre domande Gocce di luce dagli occhi scivolano a rigare il tuo volto già umido; forse non è ancora tutto perduto. Con energica prepotenza la corrente ti ha ormai intrappolato nel suo mulinello ed inesorabilmente scendi lungo un’aspettativa dai contorni ancora troppo sfuocati per permetterti di giudicarla. Solo ora deboli squarci di luce affiorano a consolare la tua anima in balia degli eventi e come da una finestra rivedi quegli istanti: la busta, la polvere, il sangue, l’odore, la gente curiosa di chi ancora non muore. Stretto, come una catena al tuo braccio quel laccio ti imbrigliava al selciato, mentre accompagnato dalle sirene cercavi di non abbandonarti ad una così futile trama. Ma la gloria degli eroi, si sa, è labile. Pochi secondi, e l’alba della tua vita tramonta in una siringa. Questi dettagli scivolano ancora dalla memoria ora che il vortice ti ha attirato nella morsa dell’imbuto... stai per essere inghiottito. E in fondo cosa ci resta: se un battito d’ali di una farfalla genera davvero un uragano altrove... ... batta le ali, infermiera, e stacchi quella spina. [ In memoria di Max e Nelson ] “Ci incontreremo di nuovo, un giorno, senza politica...” 15 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione Premio Speciale Giuria “MEMORIE DI UN CARCERATO” di Luca Cazzaniga - 4a E Altrove è il nome che ho dato alla mia prigione: sono chiuso tra le pareti della mia mente. Scrivo memorie come un naufrago, sperando che mi salviate; credevo fosse lecito sognare, ma la mente è troppo profonda per trovare l’uscita. Credevo che sognare fosse importante, che avrei avuto tempo per alzarmi, per imparare ciò che c’è da sapere al mondo e perdevo minuto per minuto attendendo di svegliarmi. Ma ho sognato con troppa foga: ora mi trovo lontano, in overdose, come un tossico i sogni sono la mia droga. Sono chiuso dentro Altrove, non riesco più a parlare né a vedere, non avverto nulla fuori dalla mente. Ora che perfino i sogni sono una prigione non so più dove fuggire: riapritemi il cervello, voglio disperatamente uscire. Ma se è una colpa aver sognato condannatemi, perché voglio rimanere io; ma capitemi se ho osato, credevo di trovare Dio. Sono un esule, che ha avuto la sfortuna di scappare: ora non so più qual è il vero. Io sono altrove: aiutatemi a tornare. 16 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “POVERE UMANE MENTI” di Giacomo Delledonne - 4a E Quando mi sento solo in mezzo alla gente Quando i bambini muoiono ma non si sente e l’ingiustizia sovrasta la speranza e l’uomo toglie la vita a un suo simile ho sognato di essere sempre da un’altra parte tranne che qui… Mondo crudele povere umane menti uomini privi del più bel lume di ragione e spenti, nulla bramano se non che sano il corpo sia sempre e che ogni ora gioisca la mente dei piaceri del senso e da sé cacciar il dover cosciente di costruire un mondo migliore e una pace assente. 17 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione Premio Speciale Giuria “STORIA D’AMORE IN III ATTI” di Davide Bovati - 3a H Giona Casiraghi – 3° H Marco Galli – 3° H PIANO I Tiepido respiro Condensa tenue altrove PIANO II Un’ombra è Due Sembra d’essere altrove PIANO III Nell’ascensore Forse era meglio altrove 18 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione Premio Speciale Giuria “ALTROVE” di Valentina Sala - 4a D (Quando il passato diventa un luogo; quando solo i ricordi possono cullarti) Una leggera brezza solletica le tende… Forse è la stessa di molti anni prima… “Mamma mi porti la merenda?” “Si, tesoro” Il suo sorriso era radioso, sereno, dolce la voce… quante volte si fermava, dietro la candida tenda mossa dal vento, per dare un’occhiata al mondo, che timido sembrava voler sbirciare dentro, per respirare un po’ di quella pace, nonostante il suo di mondo fosse al sicuro, tra quelle mura. …i ricordi si rincorrono… Forse la brezza è la stessa, certo tutto il resto è cambiato. ”Mamma…” quante cose vorrebbe dire, tutte le sue paure, tutto ciò che le riempie il cuore, tutto ciò che le fa vibrare forte l’animo di dolore “…grazie” Solo quello sa dirle. Il suo ultimo sguardo, un suono, una linea. E poi un sussurro: “Ti voglio bene” Una lacrima sulla maglietta azzurra… Improvvisamente è di nuovo bambina, piange; poco più in là, abbandonata a terra, la bici nuova, tanto desiderata. Ma la mamma è li, vicino a lei, la accarezza. E sente il suo pianto, quello di allora, quello di adesso, quello che la accompagnerà per tutta la vita; inciso nel suo cuore, come quell’ultimo sguardo, pieno d’amore, pieno di speranza, pieno di lei. Dedicato a S.M. aggrappata ad un ricordo 19 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione Premio Speciale Giuria “ALTROVE” di Beatrice Castellani - 1a F Sfogliando le pagine di un libro, vedevo foto e immagini di un mondo diverso, leggevo racconti e storie di un’altra cultura. Tutto era lontano. Leggevo per il piacere stesso della lettura, sapendo che una volta finito il libro sarei tornata alla mia vita, a quella che è la mia realtà. Leggevo descrizioni di luoghi che non avevo mai visto, come di deserti infiniti o di piccoli villaggi come di campi sterminati o di isole lontane... leggevo e tutto mi appariva inverosimile, leggevo con occhi distanti e incuriositi da un modo di vivere che non era il mio. Prendendo una pausa fra un capitolo e un altro, avevo acceso la televisione e, davanti a una tazza di tè bollente, mi ero ritrovata a guardare un documentario sulla condizione in cui vivono alcune popolazioni indigene; mi sembrava tutto così impossibile... vedevo le immagini e ascoltavo le descrizioni, come se narrassero di un altro mondo, di qualcosa di completamente separato dalla mia vita. In effetti, quando qualcuno ci parla di un luogo lontano, di problematiche di un altro continente, non ci sentiamo mai direttamente in causa, e, anche se magari ci mettiamo a riflettere, alla fine prendiamo tutto con la superficialità di chi pensa al suo come ad un mondo che non ha nulla a che vedere con il resto del pianeta. Pensiamo alle altre civiltà come a gruppi nettamente distinti da noi, e senza nessuna connessione con la nostra vita. In molti tentano di sensibilizzarci con grandi parole, con discorsi toccanti, raccontandoci esperienze di vita in situazioni per esempio disperate... ma credo che, alla fine, nonostante questo, il punto di vista delle persone non cambi. Probabilmente per i due giorni successivi si penserà a quello che è stato detto, ma alla fine non resterà nulla dentro, perché finirà per arrivare la convinzione che si tratta di situazioni lontane da noi... in tutti i sensi. E' arrivata una sera, qualche giorno fa, in cui ho deciso di salire sulla terrazza del mio condominio; non ci ero mai stata prima. Guardai la mia città dall’alto, Monza. Guardai le vie illuminate che la portano a Milano, gli alti palazzi, il parco in lontananza... poi arrivò una persona che mi è cara, forse la persona più importante nella mia vita, e mi disse di sdraiarmi e di osservare il cielo. Ci sdraiammo vicini e, mentre mi teneva per mano, mi disse sussurrando: “Guarda, guarda le stelle sopra di noi.” Io, nonostante la notte fosse serena e fosse davvero uno spettacolo, gli risposi: “E tu guarda in basso, guarda la nostra terra, guarda quello che i nostri padri hanno fatto per noi.” La persona che mi stava in fianco, allora, mi disse una frase che non scorderò mai: '”Questa è la nostra terra, e ognuno vede la propria terra diversamente. Noi siamo abituati a vivere fra case, negozi, strade e tecnologia, altri sono abituati a vivere in capanne in riva a un fiume, in mezzo magari ad alberi e animali. Ma ora alza lo sguardo. Vedi lassù? Quello è lo stesso cielo che vediamo noi e vedono quelle persone, è lo stesso cielo che vediamo noi e vedevano i nostri avi. Ognuno lo vede da un luogo diverso, ma tutti assieme, quando guardiamo verso l’alto, vediamo la stessa cosa.” Allora capii che la parola “altrove” non ha più alcun senso, pensando che tutti, alla mattina, vediamo sorgere lo stesso sole, e che tutti di sera lo vediamo tramontare. Capii che, qualunque potesse essere la lingua, la religione, il modo di vivere e il luogo di residenza delle persone, tutte facevano parte di qualcosa di più grande, e che, quindi, tutto quello che mi sembrava così lontano e distaccato era in realtà solo un altro punto di vista dello stesso universo. 20 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “IL PIPISTRELLO” di Gabriele Bambina- 5a F Il testo è stato rimosso su richiesta dell'autore 23 24 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “OLTRE L’ARA NOTTURNA” di Gabriele Bambina- 5a F Il testo èstato rimosso su richiesta dell'autore 25 26 27 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “LA DOMENICA DELLE PALME” di Gabriele Bambina- 5a F Il testo è stato rimosso su richiesta dell'autore 28 29 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “ALTROMONDO” di Roberta Motter- 5a G Anna Caimi - 5a G Chiudo gli occhi… Mille luci Mille colori Mille cuori Che battono insieme Al ritmo della musica… 30 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “ALTROVE” di Niccolò Panozzo- 3a E La tenerezza di quella ragazza, della sua ragazza, che l’aveva portato lontano, lontano da ogni affanno, lontano da ogni pensiero, pur restando vicino a casa, era paragonabile solo alla sua bellezza. La sua originalità, che l’aveva condotto, attraverso valli sconosciute e sentieri non battuti, a quel piccolo scorcio di serenità, a quell’appartato angolo d’infinità tranquillità, solo alla sua furbesca intelligenza. Lei. Lei che pochi mesi prima l’aveva invitato a mangiare un ghiacciolo, lei, che un po’ di tempo dopo l’aveva portato a un concerto, lei che da quel fatidico giorno l’aveva istruito nelle città d’arte. Lei, che di quando in quando voleva vagare fingendosi cieca, lei che ogni tanto gli chiedeva di portarla in qualche dove col pensiero, lei che appena poteva leggeva di luoghi sconosciuti e lontani. Era stata proprio lei a iniziarlo a quella pratica, a iniziarlo a quell’arte, a quella che ormai era, per lui, necessità. Era stata lei a infondere nel suo animo, insieme con l’amore, buona dose si curiosità, gran quantità di desiderio di fantasticherie e appena un pizzico di studio. E non era forse lei a raccontargli cosa vedeva quando lui l’addormentava? Non gli aveva forse fatto così conoscere il desiderio di scavare più a fondo in quella storia? Era stato peggio che mostrargli il velo che cade ma non la perfezione della nudità: aveva, così facendo, instillato nel suo corpo, nella sua mente, nel suo cuore l’irrefrenabile desiderio di andare oltre, di sapere di più, di squarciare il velo dell’ignoto. E non era forse stato questo a smarrirlo? A fargli perdere la strada del ritorno nel complesso labirinto di associazioni, idee, ragionamenti del pensiero filosofico, dell’elucubrazione puramente teorica, della proiezione ed astrazione del concetto? E non aveva forse, lui, perduto per sempre in questo modo anche il lume della ragione? Già, abbandonato chissà dove chissà quando nell’altrove, in quel regno così sconosciuto eppure familiare, così misterioso, eppure quotidiano. In quella parola, che altro non indica che una situazione, una condizione di benessere, che evoca nella mente dell’uomo un qualcosa di piacevole, un’utopia, un sogno lontano, vago mutevole eppure così accomodante e confortante. In quel suono, al quale le orecchie di tutti i presenti si rizzano e che ingravida il cuore d’immagini. Forse ricordi, forse sentimenti, forse speranze. Altrove 31 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “RABBIA DI UN GIORNO” di Giacomo Delledonne - 4a E Destino: oggi è una maledizione. Verrei essere in un altro luogo, altra dimensione; realtà totalmente distorta: incubi mi assillano, voci anima e corpo mi tormentano, lupi mi sbranano, strappano piccoli pezzi di carne. Sento la tristezza del ramo che sta seccando… …un brivido… Dentro urlo, cerco di spezzare le catene… Ma ecco giunger alle mie orecchie voci soavi di splendide sirene ma lor mi tentano ed io evado dalla mia prigione. un leone inferocito è il mio cuore: sfonda la gabbia in cui era rinchiuso. Tutti mi guardano con stupore; un semplice sguardo fa capire la rabbia e il tremore ch’io ho dentro, e come diceva un povero vecchio: 32 ”anziché maledire il buio è meglio accendere una candela”… Allora ricominciai a vivere rinunciando alla selce nera: quella barca le vele gonfie di scirocco aveva… 33 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “PENSIERI DI UN SUICIDA” di Chiara Fumagalli - 4a D Inverno. Ore 6,30. Fissi svuotato la canna della pistola 11mm che ti punti in gola, cane alzato. E ti perdi ín mille pensieri… ti dici che se potessi tornare indietro avresti fatto di tutto per non esserti trovato lì, avresti fatto di tutto per essere stato altrove... sì, altrove, in un posto un po’ meno grigio, con un odore un po’ meno acre, altrove… in compagnia di qualcun altro, a fare qualcos’ altro. Già, l’agonia data da un momento… tu sai cosa vuol dire, tu sai che significa essere nel posto sbagliato al momento sbagliato..altrove, una muta preghiera. Perché eri li? Chi ti ci ha messo? E se c’era veramente un chi, sapeva a cosa ti stava facendo andare incontro ponendoti nel luogo dove effettivamente ti ha lasciato? Perché lì e non altrove? Ma poi rifletti un momento e ti chiedi… essere altrove che avrebbe comportato? Sì, insomma era davvero la soluzione? Non ti importa, ti dici che qualsiasi altra cosa era meglio che capitare in quel luogo… frase incosciente. E inizi a pensare a tutto ciò che è stato la tua vita, al suo significato che però non trovi… che senso avrebbe avuto essere stato altrove? Bà, forse sarebbe servito unicamente a non farti sentire il sapore ferreo del metallo in gola in questo momento. Altrove, quante volte, quella in questione per prima, avresti voluto non essere dov’eri… forse già nell’utero di tua madre. Altrove… sogno di un carcerato, tentativo di molti poeti, meta di pochi gabbiani o semplicemente annientamento della propria vita? Sì insomma, se le tue esperienze fossero state sostituite dall’altrove saresti tu? Bella domanda… ma… se non essere ciò che sei significa che ora nel tuo campo visivo non vi sarebbe un oggetto nero odorante di polvere da sparo ma la finale di baseball giocata dagli Yankees, probabilmente la cosa avrebbe i suoi lati positivi. E poi, a voler ben guardare, forse non ti ci sei cacciato in quella situazione, ma il tuo suicidio lo stai scrivendo tu, con il tuo inchiostro di sangue… e ti rendi conto di un problema: quando cerchi qualcuno da incolpare non c’è mai… che delusione.. muori senza poter lasciare a nessuno quel gioviale senso di colpa tanto decantato… e ti piacerebbe essere Didone… ok, basta, stai divagando… non hai mica tutto il giorno per suicidarti, no? Che vuoi fare, stare indietro rispetto ai ritmi del resto del mondo?! Tuttavia ti viene da ripensare a quella notte, al momento a cui un attimo prima davi la colpa della spazzatura che è la tua vita… già, perché forse ti sei accorto che quella notte non è stata l’inizio della fine, ma la fine dell’inizio, l’istante da cui hai dovuto fare i conti con ciò che sei diventato, ciò che hai ottenuto… bell’affare! Tutto risolvibile essendo altrove! Ti si palesa la contraddittorietà dei tuoi pensieri e tra un insulto e l’altro alla tua persona ti dici: ma deciditi… dove volevi essere?!! Domanda senza senso… eri dove dovevi stare, concetto semplice e lineare. Altrove, a che scopo, a che giovamento… ma cervello… allora!!! tu non piaci a me e io non piaccio a te, perciò porta pazienza ancora un paio di minuti e poi ti sparo e abbiamo risolto il problema! Sto parlando con il mio cervello… ecco, ora sono altrove! Follia. Inizio a fantasticare sul come la mia vita avrebbe potuto evolversi se non fossi nato in quel luogo, in quel tempo, con quelle persone… è inutile, la mia testa qui non ci vuole proprio stare. Penso se avessi potuto fare a meno del dolce volto di mia madre, all’odore di mio padre, alle torte della nonna e alla feste in famiglia… ricordo i volti delle persone, persone che abbraccerei, altre che renderei partecipi della mia imminente esperienza di bucarmi il cranio con un proiettile. Già, io che molte, troppe volte, anche nelle cose minime, chiedevo di essere altrove… mi rendevo conto delle conseguenze? Sarei riuscito a barattare le mia miserabile vita con quella di un altro? Le mie azioni, le situazioni in cui mi sono trovato… altrove, parola troppo usata, parola pericolosa. La vita è saper accettare e affrontare, e io questo non sono stato palesemente in grado di farlo… forse la soluzione vera non era essere altrove, ma agire nel modo giusto… e io non ci sono riuscito. Non riesco ad arrabbiarmi, non 34 serve. Disillusione. Strano… non mi fermo a pensare che in questo momento sta nelle mie mani la decisione di cambiare strada, di essere altrove tra un paio d’ore e non in una fredda bara, con tutti i miei conoscenti piangenti, chi forzatamente, chi con sincerità. E mi dico che vorrei esserci al mio funerale, così per curiosità. Ma non ritengo mi sarà concesso, me ne vado altrove… credo. Continua tensione tra qui e là. Pensieri persi e ritrovati, pensieri inconsistenti e lontani. Ma ora basta veramente, sono in ritardo e ho fretta. Strano, nei dieci minuti appena trascorsi non ho mai preso in considerazione il momento presente, divagando da una constatazione ad un’altra senza nesso né legame. Premo il grilletto… e il mio ultimo pensiero si chiude sulla parola altrove. 35 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “FOLLETTO” di Andrea La Mantia - 4a D I tuoi occhi mi guardi dal basso mi sovrastano Abbracciami, provami che non sei solo pura illusione, sogno nella nebbia sul confine del vuoto Folletto, uscito da là, spiegami come tornare mostrami la tua vita; convinto tu abbia la magia, mi sappia guidare… portami di là! Ipnotizzato dall’orgoglio costringimi a esserne degno. Saccheggia ciò che vuoi ma poi non andartene via… senza salutare 36 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “GRIGIO” di Andrea La Mantia - 4a D Vago, i miei passi vagano sordi sul metallo. Tutto è immobile nel caotico agitarsi di macchine morte. Perché dentro di me sopravvive la tensione? Il mio corpo carne viva, ribolle: il grigio lo avvolge nelle sue spire ma non lo raffredda. Mi attaccano! Metallo affilato squarcia la carne muscoli tesi – schioccano tendini – schizza sangue! Caldo sangue! Ma subito le macchine demoliscono ogni traccia, aspirano ogni soffio di vita. Settore 39, Livello 285, Costruzione 1725, Agglomerato 98634… continua il viaggio: ”dov’è ciò che vuoi?” E’ sempre stato così non v’è memoria d’altro. Solo la voce dentro di me sembra gridarlo; un’impronta del passato. Sterile odore di luci asettiche asfissiante soffoca e spegne l’urlo dell’anima. 37 Ossa spezzate si perdono in un eco graffiante. “Cosa stai cercando?” Un morbo infecondo infetta lo spazio vergine, edifica, invade, chiude ogni spiraglio e costruendo distrugge. Non c’è un dentro o un fuori; l’Infinito è limitato e il Grande è piccolo. “Non capisco! Cosa vuoi?” non comprende il codice? “1011001!?!” L’Istinto è racchiuso l’Empatia mozzata e la Vita morta. Cavi elettrici la stritolano e la strangolano! Sradicata dalla Terra esplode e lancia alto l’ultimo angosciante grido: “DOV’È IL CIELO?” … [Liberamente ispirata da “Blame!” di Tsutomu Nihei, opera a fumetti in 10 volumi pubblicata in Giappone fra il 1998 e il 2003] 38 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “RELAZIONE SU UNA GIORNATA SCOLASTICA IN TRASFERTA NEL RIDENTE SOBBORGO MILANESE” di Andrea La Mantia - 4a D Giovedì mi sono svegliato 10 minuti prima. C’è stata la gita della nostra classe. Le nostre sudate cinque ore di gita. La giornata si prospetta grigia, la odio perché mi ricorda che sarebbero potuti essere cinque giorni di gita. Comunque mi preparo alla visita alla ridente città di Milano. Sono abbastanza allegro. Ma tranquillo. Non mi aspettavo niente di tutto ciò. Arrivo puntuale davanti a scuola, le macchine sembrano quasi scansarsi per farmi arrivare in tempo; e almeno questo avrebbe dovuto richiamare la mia attenzione: un chiaro segno che qualcosa non sarebbe andato come doveva. Ma niente da fare, il mio mattutino assopimento non mi consente di cogliere questo particolare. Saluto, andiamo a prendere il pullman, salgo timbro il biglietto e aspetto. Intanto il tempo passa. E io passo il tempo, parlo, osservo. Quanta gente su questa strada! Chissà perché tutta questa gente è in coda... forse non lo sanno nemmeno loro. Bè intanto una parte del viaggio è finita. La "gente" è sempre attorno, pressa soffoca, stringe il gruppo di amici in cui mi trovo. A Sesto si prende il metro. Noi scendiamo a Non mi ricordo, la stazione dopo Cadorna. Già perché il nostro obiettivo è il Cenacolo: vogliamo osservarlo. E’ proprio li a due passi. E’ una giornata semplice, ma sto iniziando ad apprezzarla, nonostante non sia una vera gita. Ehi mi diverto! Non è che proprio sono felicissimo, ma mi sento bene! Come si dice... a mio agio! Non sarà il fumo passivo di quella strana sigaretta? Ma no, l’ha detto chiaro alla prof: è solo tabacco! Infatti puzza. Entriamo quasi subito. Bello, è come nelle foto ... c’era da aspettarselo. M sembra un po’ piccolo, però, forse avevo troppe aspettative, troppa fantasia. Ho pensato: è importante, è grande; ora mi ricordo che non sempre è cosi. Bè però a guardarlo bene... si, sembra proprio quello vero. E’ diverso dalle copie. Dalle foto. E’... quello vero!... forse. Bene, dette le solite cose, facciamo il confronto con l’altro dipinto, quello sull’altra parete. Un affresco. Piatto. La differenza la vedrebbe un cieco, uno si muove. l’altro è fermo, questo è piatto, quello è profondo, uno vero, l’altro finto. Bene! Ebbravo il nostro Leonardo! Usciamo, mi sento un po’ in colpa, io non sapevo neanche fosse a Milano, a dir la verità pensavo che non fosse neanche in Lombardia, e ci sono giapponesi a frotte che si affollano e ci lanciano maledizioni perché noi avevamo la visita prenotata. Bè d’altronde non gli abbiamo rubato molto tempo, dopo 15 minuti ci hanno gentilmente sbraitato addosso affinché ce ne andassimo. La custode credo. Allora entriamo nella chiesa attaccata. Santa Maria delle Grazie, una chiesa gotica ma ancora un po’ romanica. Belle le decorazioni tipicamente gotiche! Intrecciate in un inestricabile labirinto di pensieri senza uscita, tessute da una mente malata per intrappolarvi altre menti, prede della sua ragnatela incantatrice. Dopo vari minuti riesco a divincolarmi dalla dolce stretta di questi misteriosi scarabocchi, e continua la visita della chiesa, la parte più spoglia, almeno in apparenza. La prof. spiega, o meglio interpreta. Il quadrato, il Cerchio, Dio, l’uomo. Naturalmente scopro che la parte che piaceva a me è la più brutta! Poi passiamo al coro. E qui sostiamo, mi siedo un attimo sul marmo. Mi chiedo quanto ci hanno messo a fare quegli intarsi di legno. Belle le statue, però non si vedono bene da lontano. E che bello, nasce un discorso! L’arte moderna, in confronto a quella antica. C’è chi si limita, da una parte e dall’altra. Chi ritiene che solo il reale (che sarebbe?) sia bello, non pensa alle emozioni... e chi ritiene che quello di prima sia stupido e non riesca a capire... poi c’è chi ritiene che quest’ultimo ritenga arte tutto ciò che i critici (da dove nascono? come si diventa un critico? che lavoro inutile, eppure ha un grande potere!) gli dicono che lo è, indipendentemente da ciò che pensa lui: cosi si sente colto e superiore a chi “non riesce a capire, non ci arriva”. L’arte è soggettiva. Certo ha una componente oggettiva, ma è soggettiva. Se io guardo una cosa, può emozionarmi oppure no. Certo magari non mi dice 39 niente e ha un significato che non riesco a capire, ma se non lo riesco a capire allora per me non è arte. Lo sarà per chi lo capisce al volo e allora la sente. La sua anima è scossa da ciò che vede, vibra, è stimolata. Per lui sarà arte. Quindi la bravura degli artisti è in relazione stretta con la loro capacità di colpire più persone possibili (la “gente” però da questo è esclusa, perché non vuole nemmeno essere colpita). Bene, poi sento ancora una volta la distinzione fra arte e musica, sento ancore luoghi comuni che non vorrei sentire, che la gente è meglio disposta verso le “avanguardie musicali” che verso quelle artistiche; bè la “gente” probabilmente non conosce le une né le altre, ma le “persone” sicuramente conoscono molto di più l’arte... come dire... visiva. Usciamo da lì. Il Paradiso. L’ho scoperto, anche nella lorda puzzona Milano, c’è una fetta di Paradiso. E’ nascosta però! Fuori e dentro Santa Maria delle Grazie, il cortile interno: quattro alberi, l’erba, i fiori, una fontana, e gli uccellini (anche il piccione stranamente non mi ricorda che siamo a Milano, è così pulito, fa persino il bagno nella fontana!). E il sole che filtra. Si sente ancora Milano; quest’ultimo baluardo delle forze celesti combatte un assedio impari, ma spero nella sua vittoria. In questo luogo mistico spirituale, entriamo in contatto con una delle grandi anime del passato: non so chi è, sembra un filosofo, a tratti un druido, in ogni caso un vecchio saggio. E’ raro vederli ormai, almeno dalle nostre parti. I vecchi saggi! Rispettati, contribuiscono; contribuendo, sono rispettati. Si presenta, poi sfrutta il suo potere di druido, nonché la sua estrema saggezza, che gli suggerisce una oculata adulazione nei confronti del bonario Fra Tac, per farci accedere al luogo proibito: la sacrestia segreta. Il druido pronuncia una formula sconosciuta per invitarci a entrare: “Andèm!”. Qui osserviamo quattro affreschi di santi, e, meraviglia delle meraviglie, abbiamo modo di esercitare le nostre poco stimolate facoltà immaginifiche per creare da un’ombra sul muro una rappresentazione mentale di una delle Vergini delle Rocce di Leonardo o di un suo discepolo, ritratta come di consueto di tre quarti. Il Frate parla, ci narra la storia della sacrestia che era adibita a magazzino, è dimostrazione vivente che c’è una verità dietro la diceria che nei conventi si mangia particolarmente bene; è sereno. Usciamo, il Frate se ne va, ci dice di studiare, il Saggio lo asseconda, rivelandoci in seguito che è più saggio non studiare troppo; tuttavia ci lascia una missione: tramandare ai posteri la nostra esperienza, il che si traduce per me nello scrivere queste frasi. Mangiamo vicino all’ago e al filo colorato (arte moderna?). Focaccia al formaggio panino con le olive frittella con uvette. E si torna a Monza. E si va a casa. Bene! Grazie a tutti. E’ primavera! Ma le parole certe volte non bastano... domisolsifadiesis... 40 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “ASPETTANDO KENSHIRO” di Armando Petrella - 3a C Cemento, ti chiude Finestre, sbarrano l’uscita. Grate e Un buco Quanto sei disposto a rischiare? Gettati. Sentirai il vento Il freddo Il nero L’urlo Il silenzio Questo il tuo altrove Precipita nel vuoto, pioggia. Muori E’ vero, le navi, occhi del mare L’uomo cade, e se è vero, cade Nel paese delle fate e dei folletti Rumori aperti come nelle chiese. Somewhere over the rainbow E se è vero, l’uomo cade da Fermo, tutto gli muove attorno Quanto sarà lungo tutto l’inchiostro del mondo? Poco A poco, arriverà il momento in cui Capiremo La vera realtà, lo scopo e il modo. Nel frattempo, lasciamoci circondare Tanto vale stendersi al sole, ed ascoltare Godot non arriverà Silenzio prego, musica. 41 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “ANOMAL ODE ALLA TROMBA E AI FIATI TUTTI” di Armando Petrella - 3a C Propria dello strumento che brilla d’oro Melodia semplice, pulita Che vien con le dita E col tocco di labbra. E passa senza attenzioni, liberando A poco a poco, posto Note d’ogni mare Terra e d’ogni posto losco. Non è il cumul che colpisce Ma la semplicità Il soffio dal mago Non ferisce, ma scalda l’Otton che alla calura perisce Così note si mischiano all’aria Combinandosi al sole Mai ci fu strumento più loquace di questo E volendo, aggravandolo un po’ Così forte, così presente la voce, possente, bassa basso. Contrappasso contrabbasso satanasso, suoni socci come chi, gote rosse, finito il desinare strizza un poco gli occhi. Paperotti, che in fila seguon la mamma, ancheggiando, barcollando, sempliciotti ingenui, liberi. Desideravo essere bersagliere Piuma al vento, divisa, correre e suonare la marcia Senza Alcuna Sosta. Ubriaco canta amore Gira il vento, a sera Il sole. 42 Che sappiate goder dello strumento. Imparate a stupirvi Di tante cose che vi sono Ogni giorno. Non domandatevi troppo, non state lì a crucciarvi, sappiate nulla dà più sgomento se dirlo mi è concesso che sentir il Louis Braccioforte cantare del suo strumento. 43 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “ALTROVE…” di Giulio Pusateri - 1a E Stavo guardando la luna piena. Ma quando abbassai gl’occhi, li vidi. Erano seduti sull’erba ad una decina di metri da me, erano anche loro con il naso all’insù, abbracciati. Istantaneamente la riconobbi, ma non ci volevo credere, non riuscivo a smettere di fissarli. Ebbi un brivido di freddo misto a disperazione, sentii una pugnalata al cuore e allo stomaco. Era come se non avessi più i polmoni: annaspai alla ricerca di aria e, all’improvviso, tutto attorno a me si fermò, i colori sbiadirono, ogni cosa divenne in bianco e nero. Tutto era immobile, in stasi, pietrificato. Non respiravo e quel dolore rimaneva. Solo un momento prima avevo desiderato di fuggire, non mi importava dove, era sufficiente finire altrove, per non vederli. Ci ero riuscito, ma continuavo a vedere quell’abbraccio, da dovunque fossi. Tornai ad osservare la luna mentre mi chiedevo perché fossero insieme, e rimasi allibito: era purpurea, della stessa tonalità del sangue. Come faceva ad avere quel colore sofferente se era in una dimensione senza colore? Riportai lo sguardo sulla causa di tutto questo. Non saprò mai quanto tempo stetti ad osservare quell’abbraccio da quel freddo altrove, se ore o secondi. Ma dopotutto dovevo andare avanti, non volevo rimanere lì per sempre. Almeno in questo luogo loro non c’erano. Poi, velocemente com’era accaduto, l’ambiente che mi circondava tornò ad acquistare vita. Le mie ferite bruciavano comunque ma almeno ero di nuovo padrone della mia vita. Credo fosse stato questo pensiero a strapparmi all’altrove. Magari ci avrei sofferto, ma alla fine il dolore sarebbe migliorato. Guardai quella maledetta coppia per l’ultima volta e poi mi voltai verso la luna e, anche se avevo superato l’altrove, era rossa, come il sangue. 44 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “ALTROVE” di Stefano Sanfilippo - 2a E Vorrei parlarvi d’altrove e di aulici tramonti su valli inesplorate degli effimeri rifugi che la nostra mente cerca vana e del cantar dei lupi e di selvagge terre e di boschi incantati. Ma il grido straziante della realtà che strappa, che stride come una lima su un bicchiere mi trascina quasi volente nel voluttuoso vortice del presente reale Oh voi che credete che le vostre spalle sian troppo piccole per inarcarsi sotto il peso di un passato che non sapete o non volete portare fareste meglio a ricredervi. Perché voi vivete qui, non altrove Perché è questo il vostro mondo, non l’altrove. Fuggite quanto volete Prima o poi dovrete lasciare gementi l’altrove. Riflettete non vi è dato scampo. 45 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “ALTROVE” di Gaia Pagliula - 4a A “Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte” EDGAR ALLAN POE Mi chiamo… Vivo qui in questo istituto. I miei genitori mi hanno detto che qui sarei stata bene, qui mi avrebbero aiutato; probabilmente non volevano accollarsi il peso di una ragazza “difficile”. Ma poco male, ho smesso di ricercare la loro comprensione, come dopotutto ho smesso di ricercarla in chiunque. Mi hanno detto di scrivere questo diario, mi avrebbe aiutato a capire chi sono; in verità credo che abbiano bisogno di capirlo i miei carcerieri –loro preferiscono dottori- che lo leggono quando pensano non possa scoprirli. Sinceramente non me ne importa, come fanno a pensare che la mia anima si spossa rinchiudere in poche pagine macchiate di inchiostro? Come fanno a volermi rinchiudere nel loro mondo grigio? Il mio mondo, il mio vero mondo è colorato; è colorato del rosso dell’amore, il blu della serenità e dal verde della speranza. Lì non esiste il nero della disperazione, il grigio dell’amarezza o il pallore della morte. Lì non sono più… lì sono giudicata per come sono, non perché porto un braccialetto di carta sul polso. Lì ho ricevuto comprensione. Mi hanno detto di avermi trovata, un giorno, mentre mi dondolavo nel vuoto, seduta sul cornicione di una finestra. Mi ricordo soltanto che stavo cercando di levarmi in volo in compagnia di cavalli dalle ali d’argento e aquile dalle piume d’oro e mentre assaporavo sulle labbra l’aria che mi accarezzava il viso, quella stessa aria che adesso mi è negata, una fredda mano crudele mi ha strappato dalla spensieratezza del mio volo per portarmi con lei nel grigio. Non gli è bastato portare via le mie ali, non gli è bastato costringere la mia mente in questo cranio, hanno rinchiuso anche il mio corpo. E qui, in questa stanza soffocante e assolutamente spoglia, dove, illuminata solo dalla fredda luce artificiale, non riesco nemmeno a distinguere il giorno dalla notte e dove le ore sono scandite dal susseguirsi delle solite interminabili visite, i loro veleni mi hanno fatto cadere i capelli e ingiallire i denti, hanno per sempre cancellato il mio mondo. Guardando il mio offuscato riflesso sul vetro della porta non mi riconosco e mi chiedo perché si ostinano a tenermi legata in questo mondo di sofferenza, perché tutto questo grigio mi circonda; mi chiedo se non sarebbe stato meglio continuare a volare fino alla fine con i cavalli dalle ali d’argento e le aquile dalle piume d’oro. 46 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “RITORNO” di Aurora Coatti - 4a B Dopo essere tornata a casa, mi accorgo di come ormai l’odore della mia camera non mi rassicuri più, di come i sorrisi della gente siano così finti e il colore del cielo così smorto… Piango all’idea che dopo pochi giorni tutto tornerà normale e io dimenticherò completamente la mia splendida esperienza, ma desidererò sempre che il ricordo non tramonti mai. 47 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “VOGLIA DI SCAPPARE” di Aurora Coatti - 4a B Non posso stare qua sempre sola, nessuno con le mie passioni, costretta immobile, evitata se fedele alla mia linea, circondata da amici imposti da un paese di tremila abitanti. Ad un certo punto tutto mi va stretto, e rischia di esplodere. In un altro posto, in un altro momento, istante, o tempo. A un'altra persona, forse, tutto questo non sarebbe successo. Ma fino a quando starò seduta alla finestra a guardar fuori? 48 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “GLI ALTRI” di Paolo Marchiori - 4a F Risuona nelle menti di quei pazzi dissacranti che quel giorno, alzatisi dalla sedia si sono detti: che ci faccio qui? Canto dei pazzi di vita ai quali il tramonto ha suggerito la fuga. dissacratori e peccatori, ora scalzi e vestiti di vento e polvere. Che ci faccio qui nella terra del candore? Ora va e cammina e si perde e si ritrova nella via. Viandante chi sei tu, che crei i confini che attraversi? Capretto liberato nel giorno della festa. Ma ora hai liberato noi Grido alla mia purezza e rido della vostra prigionia Tu causa del male, tu nemico impostore e ladro; tu violatore del sacro, profanatore! Per noi non esisti. Vattene al di là del fiume. La paura Avete paura? Quelli non hanno paura di te, ma di ciò che rappresentate! Canto della gente libera! Viandante chi sei tu? Io non so chi sono! Canto dei senza luogo: hai mai voluto essere un altro? 49 Essere un altro? altro? Io non vorrei essere un altro.. Canto dei senza tempo, chi fugge la morte ed i luoghi di morte; immortale per scelta. Di dove sei? Sono qui, fuori di me..sono qui, al limite. Oltre al fiume tu sei il male che pervade i tuoi valori; la verità loro non vale le tue! Rido della loro prigione e della loro misera verità… Io di verità ne ho rubate millanta… Ladro! Io so chi sono, come loro non sanno nulla della mia alterità; ma non li biasimo. non sono stato riconosciuto. E quelli già si armano con le le spade e si dirigono verso il fiume, verso di me. Nell'attesa costruirò un ponte. Non ci sei mai servito! Ora traduttore, lasciaci fraintendere! 50 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “ECHI DA UN MONDO LONTANO” di Andrea Besana - 4a I E' la morte dei tuo Ego la tua anima evade dal carcere del cuore. Fugge beffarda, approda lontano. Danza il suo nome su un giorno di festa. Non pensare al tuo sogno bambino di un utopico mondo già troppo stuprato da angeli corrotti e demoni ubriachi. Fuggi quel luogo. Troppo buio per i tuoi azzurri occhi troppa luce per la tua cupa mente troppo sangue per la tua arida anima, immersa ormai in quel finto bagliore. 51 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “ALTROVE” di Davide Galbiati - 3a H Solo, Nel rumoroso silenzio Con la mia mente spazio E penso. Altrove, Il tremendo rosso Esce e svuota involucri d’anime Ormai di caldo metallo pieni, Nel beffardo destino. Altrove, Piccoli uomini Di sola speranza protetti In un luogo di rumore e di morte, Vogliono vivere. Altrove, Io penso E con la mia mente spazio Nel rumoroso silenzio, Solo. 52 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “UN ALTROVE” di Greta Tettamanzi - 5a C Maschere allegoriche di anime; gioco di finta finzione; fiume di laghi e lande; fabula di catene di eventi; caos di teste e tentacoli; surplus di immagini illusorie; nuvola di resti di rosso; anafora di gente à gogo; mix di ossimori omologhi; collezione confusa di colloqui; traffico di vuote vacanze, costumi bizzarri di baldoria; legami eventuali e incondizionati; 53 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “IO NON TI CAPISCO” di Alberto Cantarelli - 2a C Io non ti capisco tu non mi capisci; io ti guardo chiedendomi chi veramente tu sia, tu mi guardi chiedendoti cosa io voglia fare; così diversi io il bianco e tu il nero. lo sono un naufrago, un disperso; tu il tuono che sconvolge la tremenda tempesta, il terremoto che muove il deserto infuocato; così violento e impetuoso da far impallidire qualunque male, ogni demone s'inchina al tuo cospetto. E poi eccoti come nessuno ti avrebbe mai immaginato: raggio di luce che conduce al porto, sentiero sicuro che si snoda tra le dune; difficile è fidarsi pensando alla tua natura pur conoscendo la meta. Noi, che siamo lontani a tal punto da essere simili. Gli occhi scrutano rinnegando l'uguaglianza, quasi rinnegando il legarne indissolubile, e cercano di ritrovare la diversità tanto ostentata, ma poi si arrendono. Un sorriso 54 Premio Letterario “Federico Ghibaudo” anno 2007 - 13a edizione “INCANTO” di Filippo Dolfini - 2a C Non basta del trucco, inutili le maschere; una coppia di specchi mostri, in viso. sguardo onnipotente, sorriso solare. l’uno può far piangere il marmo, l’altro renderlo vivo. Personaggio multiplo di una commedia senza re tigre, koala, frate o Griso. Oltre quegli occhi profondi, contornati da un sottile filo nero. Quel filo racchiude i tuoi mondi. Oltre quegli occhi, io vivo. Con un solo sguardo m’ hai chiamato da morte, scriveva il divino tuo, a molti il tuo viso è sufficiente. 55