Untitled - Premio Letterario "Federico Ghibaudo"

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Untitled - Premio Letterario "Federico Ghibaudo"
Premio Letterario "Federico Ghibaudo"
anno 2007 - 13a edizione
“L’INDICE”
1° premio poesia
2° premio poesia
Gabriele Bambina
Lorenzo Pasciutti
5a - F pag.
3a - D pag.
5
6
1° premio prosa
2° premio prosa
Francesca Montanari
Matteo Goggia
3a - A pag.
5a - G pag.
12
15
Premi giuria
“
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Luca Cazzaniga
Giacomo Delledonne
Davide Bovati
Giona Casiraghi
Marco Galli
Valentina Sala
Beatrice Castellani
4a - E pag.
4a - E pag.
16
17
3a - H pag.
4a - D pag.
1a - F pag.
18
19
20
5a - F pag.
21
5a - G
3a - E
4a - E
4a - D
4a - D
3a - C
1a - E
2a - E
4a - A
4a - B
4a - F
4a - I
3a - H
5a - C
2a - C
2a - C
30
31
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altri componimenti
in ordine di presentazione:
Gabriele Bambina
Robetta Motter
Anna Caimi
Niccolò Panozzo
Giacomo Delledonne
Chiara Fumagalli
Andrea La Mantia
Armando Petrella
Giulio Pusateri
Stefano Sanfilippo
Gaia Pagliula
Aurora Coatti
Paolo Marchiori
Andrea Besana
Davide Galbiati
Greta Tettamanzi
Alberto Cantarelli
Filippo Dolfini
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Premio Letterario "Federico Ghibaudo"
anno 2007 - 13a edizione
“ELENCO FINALISTI PRECEDENTI EDIZIONI”
1°Classificato
2° Classificato
3° Classificato
1995 Alexandra Bonfanti 2a F
Loredana Lunadei 2a G
Arianna Ferrario
1a G
1996 Martino Redaelli
4a A
Elena Cattaneo
4a G
Marika Pignatelli
3a C
1997 Niccolò Manzolini
4a A
Matteo Pozzi
3a I
Elena Cattaneo
5a G
1998 Lorenzo Piccolo
4a A
Matteo Pozzi
4a I
Lucia Gardenal
2a I
1999 Dacia dalla Libera
3a E
Lorenzo Piccolo
5a D
Vincenzo Calvaruso 3a H
2000 Giulia Pezzi
4a G
Dacia dalla Libera 4a E
Cristina Sanvito
4a D
2001 Tiziano Erriquez
4a D
Giorgia di Tolle
Chiara Grumelli
4a A
4a D
2002
1° Class. poesia
2°
1° Class. prosa
2°
Alessandro Sala
Federica Archieri
Caterina Cenci
Alessandro Dulbecco
4a H
5a L
4a H
3a C
2003
1° Class. poesia
2°
1° Class. prosa
2°
Alesssandro Farsi
Cristina Pozzi
Alessandro Dulbecco
Pietro Spinelli
5a E
3a D
4a C
4a B
2004
1° Class. poesia
2°
1° Class. prosa
2°
Margherita Corradi
Riccardo Tremolada
Paola Molteni
Pietro Spinelli
2a L
2a L
5a F
5a B
2005
1° Class. poesia
2°
1° Class. prosa
2°
Margherita Corradi
Paolo Marchiori
Roberta Motter
Veronica Merlo
3a G
2a F
3a G
3a G
2006
1° Class. poesia
2°
1° Class. prosa
2°
Armando Petrella
Andrea Guadagnino
Veronica Merlo
Gabriele Bambina
2a C
5a B
4a G
4a F
Concorso Letterario "Federico Ghibaudo"
anno 2007 - 13a edizione
“LA GIURIA”
Claudio Rendina
Alberto Martinelli
Riccardo Galli
Elena Brambilla
Alice Caprotti
Valentino Tucci
Margherita Corradi
Isabella Cocco
Marta Schiurò
Alessio Menagia
3a - B
3a - H
3a - F
3a - C
4° - H
4a - D
5a - G
5° - D
5° - D
5a - C
“IL CONCORSO”
Il concorso è riservato agli studenti del Liceo “Frisi” ed ha
un grosso difetto, i vincitori ufficiali sono pochi, mentre ogni
partecipante, che ha messo nero su bianco le sue idee, le sue
esperienze, la sua fantasia, la sua anima, per farle conoscere
agli altri, ogni partecipante, è un vincitore.
Ma le regole consolidate per i concorsi, che sono poi le
stesse che spingono a partecipare, richiedono una classifica
che, per le innumerevoli varianti in campo, non potrà che
essere imperfetta.
I componimenti sono quelli originali, non è stato previsto
nessun intervento sugli stessi da parte di nessuno, con
l’obiettivo di non creare interferenze di nessun genere sulla
spontaneità degli elaborati.
Invitiamo pertanto ogni singolo lettore a trovare il SUO
componimento preferito e a far suo lo stile ed il messaggio in
esso contenuto. Questo concorso vuole infatti proporsi come
punto di ritrovo, come un punto di confronto, una palestra
per idee, sentimenti ed emozioni.
“INTERNET”
I testi di tutti i concorsi, dal primo fino all’attuale
si possono trovare su internet al seguente indirizzo:
http://www.premio-liceofrisi.it
Concorso Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“LA BIBLIOTECA”
in biblioteca sono disponibili
per la consultazione,
i fascicoli delle precedenti edizioni del Concorso...
...oltre una copia dei seguenti libri premio:
1996
L’Alchimista
Paulo Coelho - Bompiani
1997
Messaggio per un’aquila che si crede un pollo
Istruzione di volo per aquile e polli
Antony de Mello..-..Piemme
1998
Il viaggio di Theo
Catherine Clèment - Longanesi
1999
Abbiate coraggio
Francesco Alberoni
2000
Perchè credo in Colui che ha creato il mondo
Antonio Zichicci - il Saggatore
2001
Il mondo di Sofia
Jostein Gaarder - Longanesi
2002
Il tao della fisica
Fritjof Capra - Adelphi
2003
L’universo in un guscio di noce
Stephen Hawking - Mondadori
2004
Storia della Filosofia Moderna da Cartesio a Kant
t
2005
Luciano De Crescenzo - Mondadori
Che cosa sappiamo della mente
Vilayanur S.Ramachandran - Mondadori
2006
Menti curiose
John Brockman - Codice Edizioni
2007
Alla ricerca delle coccole perdute
Come diventare un buddha in cinque settimane
Giulio Cesare Giacobbe - Ponte alle Grazie
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
Primo Classificato sez. poesia
“VERTIGINE”
di Gabriele Bambina - 5a F
Il testo è stato rimosso su richiesta dell'autore
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Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
Secondo Classificato sez. poesia
“mègas alèxandros”
“DEL SOLE, DEL SOGNO”
di Lorenzo Pasciutti - 3a D
Ma la corrente di terra, dov’era la nave, rinforzava,
portandola silente sempre più lontano, verso le acque
incantate di laggiù. (H.Melville, Benito Cereno)
DRAMATIS PERSONAE
DÀIMON
ALESSANDRO, re di Macedonia, conquistatore dell’impero persiano
MAZEO, satrapo della Mesopotamia, governatore di Babilonia sotto Alessandro
EFESTIONE, generale di Alessandro e suo migliore amico
MÈGAS ALÈXANDROS
DEL SOLE, DEL SOGNO
Babilonia, Alessandro il Grande è appena entrato in città
dopo aver vinto l’esercito del Gran Re persiano.
DÀIMON:
Grande e potente l’onda si stende
ansiosa e convulsa si fonde alle orme
colma il deserto, non cura il cammino e s’innalza in potenza,
e tanto che cede lei giunge al confine
per chiudersi stretta al pensiero del folle suo volo
e al vivo disio in cui attende di farsi più turgida ancora;
al pari dell’onda io gonfio la mente e gl’istinti più alti,
com’ella io spingo ai più grandi pensieri quei corpi mortali,
e solo per me ardono gesta che fanno immortali,
genero io vostr’anima tutta: mente e fortezza
domando gli istinti e facendo virtù.
Io sarò guida nel viaggio all’altrove, venite con me,
ora demone vostro ma che lo fui del Grande Alessandro.
In scena Alessandro, solo, sulle rive dell’Eufrate
ALESSANDRO:
Oriente, Oriente tanto agognato e ora presente
fosti, sì, tu ambizione di padre e ancora di figlio?
Ma se or su di te io tengo l’impero, pur sento per certo che non sei già mio:
mi sfuggi lontano al pari d’inganno che puoi prevedere ma mai prevenire,
sei forte puledro, indomabile e fiero per chi ne le mani ne tenga l’impero;
ti regno, ti stringo, ma non ti conosco, lontano mi sfuggi, dal cuore mio
lungi.
6
- Bucefalo, amico, la terra a levante sarà come te?
che prima è disio che vien diffidenza e ‘n fine amicizia? –
Ma io penso d’altro: ch’altro vi sia, altro dev’esser,
certo in altrove.
Entra Mazeo
MAZEO:
ALESSANDRO:
MAZEO:
ALESSANDRO:
MAZEO:
ALESSANDRO:
MAZEO:
ALESSANDRO:
MAZEO:
ALESSANDRO:
MAZEO:
ALESSANDRO:
MAZEO:
ALESSANDRO:
MAZEO:
ALESSANDRO:
O savio satrapo e duce nel nuovo,
sii mio compagno, su vieni, Mazeo:
distratti son tutti in voci agli dèi.
Salute, mio Re!
Che vi distringe in quest’ore festose, o solo ai miei occhi parete sì torvo?
M’è lungi l’oriente e se pure son re, non tengo potere,
cogli il mio cruccio, buon uomo straniero:
l’Oriente sognato e a lungo temuto sta sotto i miei occhi,
ma vedi, son re né mai sarò figlio d’un mondo lontano,
una terra diversa da cui più di prima mi sento distante,
dacché è qui sancito un raccordo forzato tra mondi stranieri...
Due terre, due storie, due popoli e mondi:
qui il sole si leva, su voi poi tramonta e ciò è per natura.
Ma or che siam giunti qui lungi a levante?
Soliti siate al sorger del sole e non più al tramontare.
Così vuol Natura: che s’alzi di qui e discenda di là.
Se solo noi fossimo placidi dèi, o Zeus...
Ma noi non siamo dèi, né lo possiamo, capisci?
Ma Impero del Mondo! lui nasce a ponente e cade a levante,
come poi farlo unico e uno senza che sia mezzogiorno comune?
Sogni chimere, qual più di questa fu utopica idea?
Mai avrai quest’impero, che fratturato sarebbe in se stesso.
Dovremo, dunque, lasciare il disio d’universa cultura?
Com’esser non può la via d’un incontro se è tutto questo ch’è anima in noi?
Siamo accecati, oscurati, ma spirto di luce è questo disio:
luce novella ai nostri occhi antichi, legati all’antico e in antico vaganti.
E al fine, Mazeo, che spinse alla cerca d’Oriente levante?
Non credi ch’è il sogno di glorie ed onori?
Ma cerca di sogni è figlia e progenie di chi è insoddisfatto...
Lo dici: è ambizione che sfocia in disio,
ché mai vi sarà quel pio soddisfatto del dono di dio,
né mai potrai creder che ‘n fronte al diamante cedrai dalla cerca di vasta
[ miniera:
c’è sempre dell’altro che pure desideri e invece non hai...
Implacabile gola che pinge da bestia quest’uomo perdente!
Ti accontenteresti? Io no, eppur non sono bestiale,
ché sopra ho la testa in utopica idea,
e dopo vien vivo - a batter tonante - il cuore animoso.
Ma ancor più suadente è visione di quel che sull’altro è potente,
fortune vincenti sul cuore perdente ch’è in cerca perenne.
Ma poi che l’hai viste vuoi esserne parte...
Mi sfugge il discorso, mio Re...
Veniam di lontano, ma siam ora ciechi dell’alba d’Oriente?
Con occhi diversi vediamo quel vostro identico sole.
Venissi tu a Pella, vedresti il tramonto,
e dagli occhi hai certezza ch’è tale in tramonto,
eppure tu vedi qualcosa, non tutto: è nebbia di fuori;
così la tua vista è diversa,
e un altro tien vista laddove sei cieco,
e diciamo a qui giunti ch’io vedo qualcosa e tu pure dell’altro.
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MAZEO:
ALESSANDRO:
MAZEO:
ALESSANDRO:
MAZEO:
ALESSANDRO:
MAZEO:
ALESSANDRO:
MAZEO:
ALESSANDRO:
DÀIMON:
Ma il sole lucente è fatto e natura
e ch’è più verace di Madre Grandiosa che a noi dà ogni cosa?
Qui giunti ti dico che solo vai in alto, insieme lontano
e pur che tu creda che l’alto è il divino, or sappi il tuo fallo
ché lungi da dio l’umano mortale e il suo esser vi giunge per ratto
momento;
ma già che vuoi giunger da solo lontano realizza il tuo errore:
al passo in un mondo tu senza parole per altre culture,
di tanti l’appoggio, ma avrai l’avversione dei molti e dei più
e dagl’occhi diversi non trarre disprezzo:
saprai più da loro che dal tuo compagno:
stess’occhi son uno, diversi fan fronte...
O si oppongono...
Sì, ma di fronte ad un sole la vista t’è d’uno.
E da Pella ad Oriente rimiri quel disco che pareti sorga,
ed è giusto qual giusto è il tramonto da Oriente.
Qual giusta o sbagliata? Non c’è via o risposta.
E se ora ti rechi da Pella ad Oriente, che cambia al pensiero?
Ti cambiano gli occhi passati e presenti?
Santissimi Numi, è questo l’errore:
Mazeo, come cambi quegli occhi se tieni sol quelli:
non funge così, ma ti vai in altro luogo, m’intendi, mio amico?
S’infiorano i dubbi...
Combatter battaglia in falange o in etèri, a destra o a sinistra.
In falange tu vinci vincendo paura che cade al nemico;
a cavallo poi spingi la schiera al terrore.
Son due pari modi di fare la guerra, ma poi ve n’è uno migliore ch’è giusto?
Diversi ma in fronte, sì ch’uno non vince
e come ad un colpo ti fa tentennare e al nuovo ti stende quel pugile forte,
i fanti fan breccia, e a cavallo gli etèri cavalcan vittoria.
M’intendi, Mazeo, che al singolo è parte
e a tutti è donato un occhio maggiore?
S’è ciò tu cedi qualcosa che prima era giusto.
Quel che tu cedi per trame guadagno non ti parrà mai tanto importante,
ché se lo fosse l’avresti tenuto
e invece cedendo ne hai tratto vantaggio.
Il danno finale è nullo, Mazeo,
ché due paia d’occhi in fronte s’accecan;
ma due paia d’occhi di fianco son doppi.
Tieni a tesoro la pietra angolare d’impero del mondo.
[ Si sentono voci dall’esterno ]
Signore, i mie’ ossequi, i libanti mi chiaman,
ma hai detto valenti parole, la grazia sia vostra.
Addio, mio signore.
[ exit
Levar il Gran Dario m’è tanto più umano che fare unità,
le genti son dubbie, e realtà di due poli è pensiero comune.
O cieli! vorrei aver la forza d’Achille.
Imeros! Ares! Siate miei scudi.
L’impero universo dalle colonne all’Oceano orientale,
l’impero di uomini degno di dèi, o cieli - voi Numi - qui siate propizi!
[ exit
Non canto a più voci, ché il demone è uno.
Voi ora sapete la parte divina involata nell’alto:
il Grande Alessandro sapea d’esser dio sol per tempo fugente,
ché il corpo è di carne: di umane passioni.
E qui vi dirò l’incendio doloso che arse quel sogno,
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ma prima sappiate che primo la fine capì ch’è infinita,
quando ai confini non vide l’Oceano bensì nuove terre,
e paesi, e nazioni, e infiniti pensieri:
una sfida sì ardua a conoscerli tutti con degno rispetto,
una sfida sì alta per farli tutt’uno in Impero del Mondo,
più ardua e più alta che prender la vetta di monti orientali.
E qui cambia il ritmo, insieme a quel mondo, sopra quei ghiacci d’Oriente,
[ laggiù.
In scena Alessandro, solo, di fronte alle vette
dell’Hindukush alle sue spalle l’esercito in colonna.
ALESSANDRO:
O cultura antica, sei invecchiata in sì breve tempo.
Avevi cinto con un mare terre e mondo,
ma al di là delle montagne ci sono altre vette e alte,
dove son la Macedonia e l’Oceano più orientale?
Siamo persi come sogni in vertigini abissali ed il mondo non ha fine.
Il dio Fobos stringe i cuori e Febo auriga cala i soli,
tempo e tema son rovine dell’esercito marciante.
Ma ecco giunger Efestione, amato amico ecco viene.
Entra Efestione.
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
Dammi tu calore al cuore ch’è di ghiaccio in questi monti.
E’ stato il freddo forse, amico, a gelare i miei soldati?
Alessandro, ecco, devo dirti che i soldati non son soli:
donne e figli sono i più di quest’impero che cammina
e non puoi trarli ancora oltre in impervi monti e gelo.
O Efestione, il malo ghiaccio sta filtrando anche il tuo cuore?
Innanzi a dèi e a tale scena...
Per gli dèi, mio Alessandro, il cuor mio pel tuo è di fuoco,
ma se il Fato ti ha voluto - credi a me - in luce dea,
di questa stessa ha graziato mai alcuno qui nel mondo.
E natura che di fronte ad un disegno sì ineffabile
è disio da tutte forze di dar fiato all’aria tersa
che fragrante sal di viti dalle alte terre d’Ellas
e al salino odor del mare che due volte scroscia all’istmo
e alle onde come balie a cullare l’Alessandria.
Vedi come Tolomeo brami l’aria ch’è in Egitto;
Alessandro, cedi il tempo di dar occhio là alle case.
Case, case, parli bene, ma dov’è la casa mia?
Babilonia, Alessandro, tu sei là, quella è casa.
Babilonia? Efestione, ma perdio, non lo sarà!
la mia casa è là, è il mondo, è al di là d’ogni barriera:
a Pella parve Babilonia, da lì poi è volata altrove.
Come posso ceder ora dacché il mondo è fatto nuovo?
Come fai a dar acqua al fuoco ch’è sottratto qua agli dèi?
Alessandro, il ladro giace qui morente seppur vivo,
Zeus l’ha fatto prigioniero e ‘1 rapace mai si leva.
E’ la pena dolorosa a chi fa uso del divino.
Se gli dèi fossero avversi, pure qua tu non saresti:
luna è come la fortuna - lo sai bene com’è in guerra ma se sola fosse stata a condurci fin quaggiù, dimmi quanto
fu lei cara pria che il flesso volse altrove?
Non è lei, né l’uomo perso,
è di fatti il santo Olimpo il fattore del progetto.
Ora vedi, finché i dèi ci hanno dato il lor favore
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EFESTIONE:
ALESSANDRO:
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
EFESTIONE:
ALESSANDRO:
abbiam marciato sempre forti, instancabili e non vinti,
ma ‘1 disprezzo alla paura ha mosso ad ira Fobos dio:
qui è crollata la bilancia e la forza è fatta vana.
Alessandro, arde in te ‘1 fuoco divino ma sei solo:
cedi dunque ad una tregua, marceremo ma dai tempo.
Tempo, amico, tempo! Come puoi parlar di tempo?
Che è mai il tempo che finisce in un mondo senza fine?
Vedi il mondo, Efestione, tu che solo hai i miei pensieri
come corre senza sosta ai nostri occhi di mortali?
Infinito panorama di cui arbitri non siamo...
Sì, Alessandro, è inconoscibile e lontano.
E, per Era, non t’è vivo il disio d’aprirgli gli occhi?
Come puoi, amico mio? E’ da dèi unire il mondo.
Però a viver questo mondo son mortali, non celesti!
Ed è eterno sol l’impero che s’abbracci a ogni nazione,
infinito ed immenso come folgore ai miei occhi.
Non le vedi tante genti a far viva questa terra?
Non t’affascina il mistero che s’adombra nel diverso?
La tua viva cerca d’altro non è forse solo l’una,
chi, fratello, ti conosce nel tuo vero, nel tuo io?
Quanti sono i tuoi seguaci che davvero san chi sei?
E a te quanti sono noti?
Non la terra, ma la casa ci si svela ognora estranea.
Non hai torto, amico mio, ma di te puoi dir lo stesso:
tu chi, come, perché sei? Che risposte custodisci?
Dico quel che credo d’esser, ed è tutto, mio Alessandro.
Tutti d’essere qualcuno abbiam credenza e in più fidanza,
e quel che fidi l’usi sol per costruire quel che sei
come fossi una città fatta su un progetto tuo,
ma lo spunto vien da altro, dacché altro è fuor di noi.
Così solo puoi sapere che di te, in fin, non sai.
E come dire chi son io e ‘1 vicino che m’è estraneo?
Se poniam tali premesse, il nostro saggio che direbbe?
Conoscenza d’ogni sorta è materia estranea all’uomo
come un flebile miraggio in distesa priva d’acqua.
E’ così: un sottil pensiero con scontata conclusione.
Certo, intendo, ma mi sfugge come puoi far quel che fai:
spinger ciechi a conoscenza di ciò che mai puoi vedere.
Dunque se non sai di tutto, ti pregiudichi ogni cosa?
Eppur dici che pur poco mi conosci, Efestione,
ma alla fine non sarebbe un sostanziale paradosso?
Questo è il dubbio, amico mio.
Efestione, ascolta ora! Conoscenza non di tutto, questo è certo,
ma se non dell’assoluto, ti rimane allora il niente
o una parte di cui puoi aver umana cognizione.
Ora io non ho pretesa d’esser dio di conoscenza,
ma per quanto sono uomo farò quel che è in mio potere
con parziale mia sapienza di quell’altro che sta fuori.
D’altro parli, di qual altro stai parlando?
Ogni cosa, Efestíone. Come dici, niente sai,
quindi tutto t’è d’estraneo ed il mondo è sempre altrove.
Te n’è esempio questo luogo che nel ghiaccio attraversiamo:
vedi ch’è del tutto alieno? eppur muovi passo a passo
e in tal modo prendi lenta e parziale conoscenza.
E non cedere ‘1 cammino: anche ‘1 passo più meschino sarà innanzi
[ e non indietro
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e anche in morte, con traguardo insuperato non compiangere te stesso:
si vedrà laggiù il tuo Oceano dove un figlio giungerà.
Non è questa un’utopia, né chimera, né illusione,
senza creder lo sarebbe e allor sì, te lo direi, di lasciar stare,
ma, per Zeus, credi forte e non fermarti, resta saldo e vola alto!
Non dev’esser tema d’altro a bloccare il passo tuo,
ché non puoi aver paura di quell’uomo che tu sei.
Non temere poi l’altrove, timor mio e anche tuo,
ché non puoi temer il mondo cui ti han dato quegli dèi.
Non possiam fermarci ora, ogni passo è per noi vita,
né possiam tornare indietro, ogni sforzo sarà vano.
No! Scendiamo questi monti e vinciam le terre d’India
e poi che saremo giunti dell’Oceano sulle rive,
volgeremo là le spalle e seguiremo il sole in cielo
fino a lì dove Poseidon stringe il carro del dio Apollo,
non sarà il mare infinito a far di noi eterei dèi,
ma saremo fuoco e acqua, saremo terra e aria tersa,
saremo altri l’uno all’altro, dentro il mondo dell’altrove .
[ exeunt omnes
DAIMON:
Che più dire a ciò che uscì da sì alte e nobil labbra?
Come chiudere l’altrove - e l’impresa d’un tal uomo - con intrecci di parole?
Lo direte sognatore, ma da lui sentite il verbo:
“Abbiate forza dentro il cuore e vincete ogni timore,
siate pronti a misurarvi con chi in questo non ha fede
e neppure impervio monte vi distolga dal cammino!”
Alessandro, semidio, sentì il peso di quell’onda che per primo avea levato,
ma da folle i miei consigli fece ali
e da lui, vo’ imparate che gli dèi dicon parole sol per bocca degli umani,
e non dimenticate il nome di quell’uomo ch’è ancor vivo:
ditel’ora, sì, il Grande e chiamatelo Alessandro.
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Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
Primo Classificato sez. prosa
“2086”
di Francesca Montanari - 3a A
Nessuno avrebbe potuto immaginare che, di lì a pochi decenni, il mondo avrebbe subito
una svolta epocale, presentandosi infine come uno sconfinato suk medioevale.
Persone passeggiano per la strada chiacchierando ad alta voce, sostano di fronte a
carretti su cui olezzano squallide merci, si spintonano nel vano tentativo di accaparrarsi
qualcosa. Le saracinesche abbassate dei negozi sono ormai mangiate dalla ruggine,
sopravvive solo qualche bottega di sarto o di fabbro. I cartelli pubblicitari sui muri
ormai scollati ed illeggibili, l’asfalto, dissestato e consunto. Le uniche auto, scheletri
gettati ai margini della strada. Una donna, vestita di stracci, tira per la mano la propria
bimba, affrettandosi verso il mercato. I portoni delle case sono spalancati e qualche
gatto randagio rovista tra la misera spazzatura che ricopre il marciapiede. Ragazzi
senza età giocano a pallone in mezzo alla strada, usando come porta due vecchi
manichini, su cui si intravede il marchio “La Rinascente”.
Un vecchio osserva la partita assorto.
“Ai miei tempi il calcio era divertente, c’erano giocatori strapagati, dirette tv e
megaschermi, schermi di cinema, videocamere, computer e cellulari, e i microonde e
c’erano quei cibi congelati che stavano nel freezer e che venivano pronti quando il
campanello trillava. “Pronti in 5 minuti” c’era scritto sulla confezione. I fatidici 5
minuti. In 5 minuti potevi fare qualsiasi cosa. Era l’era di internet, della velocità, del
progresso! Ora in 5 minuti puoi a malapena accendere una candela. Figuriamoci poi
un fuoco per cuocere qualcosa. Ecco, ora mi è venuta fame. Avrei proprio voglia di un
bel hamburger. Se ancora esistessero. E quei fast food? Quelli sì che erano delle
invenzioni comode. Certo c’erano quelle paure per le intossicazioni alimentari e la
pazzia delle mucche… Ma forse per quella avevano creato il rimedio, boh non mi
ricordo più, sarà l’età. E sono sicuro che avessero inventato anche delle compresse per
la memoria”.
Il vecchio vede avvicinarsi un individuo in uniforme.
Quello con voce cordiale chiede: “Mi mostra i documenti?”.
“Certo” risponde il vecchio estraendo il portafoglio dalla tasca interna del giaccone.
“Romanini Emanuele. Anno di nascita 1990” -legge l’agente con voce piatta- “Bene,
bene… abbiamo ancora qualche sovversivo in giro. Ero convinto che foste già tutti
morti… o in prigione. So che voi sopravvissuti fate uso illegale di pillole. Non lo dico
io sa, lo dice la comunità. E poi si guardi... ormai ha quasi cento anni. E’ possibile che
sia ancora così sano? Venga con me la porto in centrale.”
“Ma quali pillole? So benissimo che sono illegali. Io pillole! si figuri! No no.... del
progresso io non ne voglio più sapere. Non mi porti in centrale agente. Sono solo....
longevo”
“Su mi segua senza fare storie”
“Ma davvero... davvero, io... ”.
Dalla strada i bambini si girano a osservare la scena. Il vecchio viene trascinato
dall’agente che fende la folla. Le funi ai polsi di un attempato con spalle curve e capelli
bianchi vogliono dire sempre la medesima cosa. Le donne si spostano spaventate, gli
uomini mormorano parole sprezzanti e qualcuno scuote la testa. Nessuno interviene.
Un criminale è un criminale.
12
Il giorno successivo, per le strade, gli strilloni urlano: “Concittadino detiene scorte
illegali di pillole contro il mal di testa”, “Medicine casalinghe per reumatismi portano in
carcere Emanuele Romanini”, “Altri terroristi nel nostro territorio. Spacciatore di
immoralità viene incarcerato”.
Ormai i titoli dei pochi giornali in circolo sono sempre gli stessi, ogni settimana, dalla
fatidica rivoluzione del 28 febbraio 2008, si scrive solo di progresso immorale e
terroristi dell’etica.
Era il 2007, il mondo in evoluzione. Erano gli anni dei cellulari cambiati ogni due mesi.
Erano gli anni della nanotecnologia, della comunicazione globale. Gli anni della
genetica... i bambini in provetta.
Il 22 aprile, il cosiddetto “Earth day”, quattro persone manifestavano di fronte al
consolato della “grande nazione” che per proteggere gli interessi di pochi rifiutava di
aderire ad un accordo che, forse, poteva fermare la degenerazione di un clima di cui
non si capiva già più nulla. Il giorno dopo erano diventati otto. Il terzo giorno erano
più di quaranta con striscioni e manifesti. Inneggiavano alla bellezza delle mezze
stagioni. Avevano ragione? I media iniziarono ad ingigantire il fenomeno e la gente
iniziò ad affluire. In tutti gli Stati migliaia di persone occupavano le strade al grido di:
“Save the World”. Pian piano tutto degenerò nella follia. Kamikaze si facevano
esplodere davanti alle centrali elettriche. Gruppi estremisti attaccavano i centri
commerciali.
“8 morti da “Media World” al reparto videocamere”,
“12 feriti per una bomba nel settore televisori”.
“Sventato attacco al reparto frigoriferi e elettrodomestici”.
Nessuno poteva sentirsi sicuro. Quella che era partita come una piccola protesta di
quattro era in poco tempo degenerata nel terrorismo di massa che lottava contro il
progresso.
Inaspettatamente, il progresso si fermò.
Nessuno scienziato o medico professava più, troppo impauriti da minacce fin troppo
chiare. La popolazione si era infine arresa a non surgelare più nulla, a sminuzzare a
mano, a sentirsi tramite foglietti attaccati sulle porte, a sopportare il mal di schiena.
Nel giro di cinquant’anni gli anni del progresso furono aboliti dai libri di storia e la
nuova oligarchia aveva redatto una lista di testi proibiti.
La lista era appesa anche nelle carceri, di fianco al decalogo, che aveva sostituito le
vecchie leggi.
I.
II.
III.
IV.
V.
Vietato essere in possesso di oggetti tecnologici di qualsiasi tipo
Vietato essere in possesso e usare medicinali
Vietato lasciare il paese se non autorizzati dal governo
Vietato possedere più di un’attività commerciale
Vietato aspirare ad una casta superiore se non sotto precisa richiesta del
Governo
VI.
E’ proibito praticare attività quali: chirurgia e meccanica
VII. I ragazzi sono obbligati a seguire gli studi fino ai dieci anni.
VIII. Le donne non hanno il diritto al lavoro
IX.
Le caste inferiori e le donne non sono autorizzate al voto
X.
Solo gli uomini sopra i 34 anni, cioè maggiorenni, di casta superiore
possono aspirare ad un ruolo politico
Il vecchio, socchiudendo gli occhi nella luce fioca, legge il decalogo. Si parlava di caste,
di diritti, di divieti, tutti molto recenti. Sembrava che oltre ad un governo oligarchico si
fosse formata una nuova religione. L’organizzazione delle caste poi, gli riporta alla
mente le gerarchie in uso in alcuni paesi di quello che, una volta, si chiamava “Terzo
mondo”: la casta più bassa: i degradati, un gradino sopra: quella degli indigenti. Le
classi superiori sono invece gli aspiranti e gli arrivati. A nessuno è consentito cambiare
casta e nessuno ha l’ambizione di farlo. La società è strutturata così perché funziona
meglio, o almeno, così dicono.
13
“Non sembra più il mondo del 2000 eh?” la voce era giunta alle spalle di Romanini. Un
giovane con schiena curva e testa incassata tra le spalle esce dall’ombra. Legge nel viso
del vecchio la stessa espressione di suo padre qualche anno prima. “Questo non è
affatto lo stesso mondo del 2000. La Terra alla loro epoca andava avanti, non indietro.
Per quell’uomo che osserva tristemente il decalogo, l’ideale di vita è ormai trascorso,
ormai lontano. Per quell’uomo, il mondo Medievale del 2086 è irreale, assurdo,
illogico. Per quell’uomo la realtà deve essere altrove, forse nello stesso passato.”
Il giovane si volta di scatto. Un secondino si avvicina con passo pesante, getta
all’interno della cella un giornale.
“Leggi. Senti cosa hanno scoperto”. Gracchia la guardia carceraria.
“Uomo del nord vende un rimedio per gli ascessi” -inizia a leggere ad alta voce“incredibile ma vero, da qualche mese un uomo, Federico Fumagalli, vende una
mistura, in grado di far passare dolori causati da ascessi e afte, ovviamente a base di
erbe, nessun commento da parte del ministro per la sicurezza”.
Richiude il giornale con calma. “Bella idea” commenta sarcastico.
Il vecchio in fondo alla cella tossisce e sorride. Ad alta voce dice soltanto: “Il mondo
non è altrove. E’ sempre qui, pronto a svegliarsi per consentirci nuovi sbagli e nuove
soluzioni. La cura per gli ascessi non è che il principio. E magari tra dieci anni potrei
rimangiarmi un hamburger...”
14
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
Secondo Classificato sez. prosa
“IL CIELO PUÓ ATTENDERE”
di Matteo Goggia - 5a G
Comincia come un sogno, vero?
Il buio e il vapore ti avvolgono come una coperta calda e rassicurante e quasi quasi
annegheresti lì per sempre, come prima di nascere.
Le mani, sostituendo il compito degli occhi, scrutano l’ambiente circostante e dolcemente lasci
che la calma piatta dell’oceano in cui sei immerso ti mantenga al largo, senza opporre
resistenza. Qualcuno asseriva che è comune difetto degli uomini non tenere conto della
tempesta, durante la bonaccia.
Lo vedi? Aveva ragione...
Aveva ragione come questa corrente che ora ti costringe a sé e sconvolge la quiete dove
galleggiavi placidamente; il desiderio di arenarti su fondali di miserie sfuma rapido come
questa marea, che colta al flusso mena all’incertezza, al dubbio, al disordine.
« Sono morto? »
La testa ricolma di banalità che avresti il piacere di pronunciare se solo avessi la più fragile
speranza che qualcuno le possa intendere, e con che arroganza ti illudevi che varcare la soglia
ti avrebbe condotto a delle risposte, non riesci nemmeno ad accettare che si siano aperte solo
altre domande
Gocce di luce dagli occhi scivolano a rigare il tuo volto già umido; forse non è ancora tutto
perduto. Con energica prepotenza la corrente ti ha ormai intrappolato nel suo mulinello ed
inesorabilmente scendi lungo un’aspettativa dai contorni ancora troppo sfuocati per
permetterti di giudicarla. Solo ora deboli squarci di luce affiorano a consolare la tua anima in
balia degli eventi e come da una finestra rivedi quegli istanti:
la busta, la polvere, il sangue, l’odore, la gente curiosa di chi ancora non muore.
Stretto, come una catena al tuo braccio quel laccio ti imbrigliava al selciato, mentre
accompagnato dalle sirene cercavi di non abbandonarti ad una così futile trama.
Ma la gloria degli eroi, si sa, è labile.
Pochi secondi, e l’alba della tua vita tramonta in una siringa.
Questi dettagli scivolano ancora dalla memoria ora che il vortice ti ha attirato nella morsa
dell’imbuto... stai per essere inghiottito.
E in fondo cosa ci resta: se un battito d’ali di una farfalla genera davvero un uragano altrove...
... batta le ali, infermiera, e stacchi quella spina.
[ In memoria di Max e Nelson ]
“Ci incontreremo di nuovo, un giorno, senza politica...”
15
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
Premio Speciale Giuria
“MEMORIE DI UN CARCERATO”
di Luca Cazzaniga - 4a E
Altrove è il nome che ho dato alla mia prigione:
sono chiuso tra le pareti della mia mente.
Scrivo memorie come un naufrago, sperando che mi salviate;
credevo fosse lecito sognare, ma la mente è troppo profonda per trovare l’uscita.
Credevo che sognare fosse importante,
che avrei avuto tempo per alzarmi,
per imparare ciò che c’è da sapere al mondo
e perdevo minuto per minuto attendendo di svegliarmi.
Ma ho sognato con troppa foga:
ora mi trovo lontano, in overdose,
come un tossico i sogni sono la mia droga.
Sono chiuso dentro Altrove,
non riesco più a parlare né a vedere,
non avverto nulla fuori dalla mente.
Ora che perfino i sogni sono una prigione
non so più dove fuggire:
riapritemi il cervello,
voglio disperatamente uscire.
Ma se è una colpa aver sognato condannatemi,
perché voglio rimanere io;
ma capitemi se ho osato,
credevo di trovare Dio.
Sono un esule, che ha avuto la sfortuna di scappare:
ora non so più qual è il vero.
Io sono altrove: aiutatemi a tornare.
16
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“POVERE UMANE MENTI”
di Giacomo Delledonne - 4a E
Quando mi sento
solo
in mezzo alla gente
Quando i bambini
muoiono
ma non si sente
e l’ingiustizia
sovrasta
la speranza
e l’uomo
toglie la vita
a un suo simile
ho sognato di essere
sempre
da un’altra parte
tranne che qui…
Mondo crudele
povere umane menti
uomini privi
del più bel lume
di ragione
e spenti,
nulla bramano
se non che sano
il corpo
sia sempre
e che ogni ora
gioisca
la mente
dei piaceri
del senso
e da sé
cacciar
il dover cosciente
di costruire
un mondo migliore
e una pace
assente.
17
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
Premio Speciale Giuria
“STORIA D’AMORE IN III ATTI”
di Davide Bovati - 3a H
Giona Casiraghi – 3° H
Marco Galli – 3° H
PIANO I
Tiepido respiro
Condensa tenue altrove
PIANO II
Un’ombra è Due
Sembra d’essere altrove
PIANO III
Nell’ascensore
Forse era meglio altrove
18
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
Premio Speciale Giuria
“ALTROVE”
di Valentina Sala - 4a D
(Quando il passato diventa un luogo;
quando solo i ricordi possono cullarti)
Una leggera brezza solletica le tende…
Forse è la stessa di molti anni prima…
“Mamma mi porti la merenda?”
“Si, tesoro”
Il suo sorriso era radioso, sereno, dolce
la voce… quante volte si fermava, dietro
la candida tenda mossa dal vento,
per dare un’occhiata al mondo, che timido
sembrava voler sbirciare dentro, per
respirare un po’ di quella pace,
nonostante il suo di mondo fosse al sicuro,
tra quelle mura.
…i ricordi si rincorrono…
Forse la brezza è la stessa, certo
tutto il resto è cambiato.
”Mamma…” quante cose vorrebbe dire,
tutte le sue paure, tutto ciò che le
riempie il cuore, tutto ciò che le fa
vibrare forte l’animo di dolore “…grazie”
Solo quello sa dirle.
Il suo ultimo sguardo, un suono, una linea.
E poi un sussurro: “Ti voglio bene”
Una lacrima sulla maglietta azzurra…
Improvvisamente è di nuovo bambina,
piange; poco più in là, abbandonata a terra,
la bici nuova, tanto desiderata.
Ma la mamma è li, vicino a lei, la accarezza.
E sente il suo pianto, quello di allora, quello
di adesso, quello che la accompagnerà per
tutta la vita; inciso nel suo cuore, come
quell’ultimo sguardo, pieno d’amore, pieno
di speranza, pieno di lei.
Dedicato a S.M.
aggrappata ad un
ricordo
19
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
Premio Speciale Giuria
“ALTROVE”
di Beatrice Castellani - 1a F
Sfogliando le pagine di un libro, vedevo foto e immagini di un mondo diverso, leggevo
racconti e storie di un’altra cultura. Tutto era lontano. Leggevo per il piacere stesso della
lettura, sapendo che una volta finito il libro sarei tornata alla mia vita, a quella che è la mia
realtà. Leggevo descrizioni di luoghi che non avevo mai visto, come di deserti infiniti o di
piccoli villaggi come di campi sterminati o di isole lontane... leggevo e tutto mi appariva
inverosimile, leggevo con occhi distanti e incuriositi da un modo di vivere che non era il mio.
Prendendo una pausa fra un capitolo e un altro, avevo acceso la televisione e, davanti a una
tazza di tè bollente, mi ero ritrovata a guardare un documentario sulla condizione in cui
vivono alcune popolazioni indigene; mi sembrava tutto così impossibile... vedevo le immagini
e ascoltavo le descrizioni, come se narrassero di un altro mondo, di qualcosa di
completamente separato dalla mia vita. In effetti, quando qualcuno ci parla di un luogo
lontano, di problematiche di un altro continente, non ci sentiamo mai direttamente in causa,
e, anche se magari ci mettiamo a riflettere, alla fine prendiamo tutto con la superficialità di
chi pensa al suo come ad un mondo che non ha nulla a che vedere con il resto del pianeta.
Pensiamo alle altre civiltà come a gruppi nettamente distinti da noi, e senza nessuna
connessione con la nostra vita. In molti tentano di sensibilizzarci con grandi parole, con
discorsi toccanti, raccontandoci esperienze di vita in situazioni per esempio disperate... ma
credo che, alla fine, nonostante questo, il punto di vista delle persone non cambi.
Probabilmente per i due giorni successivi si penserà a quello che è stato detto, ma alla fine
non resterà nulla dentro, perché finirà per arrivare la convinzione che si tratta di situazioni
lontane da noi... in tutti i sensi.
E' arrivata una sera, qualche giorno fa, in cui ho deciso di salire sulla terrazza del mio
condominio; non ci ero mai stata prima. Guardai la mia città dall’alto, Monza. Guardai le vie
illuminate che la portano a Milano, gli alti palazzi, il parco in lontananza... poi arrivò una
persona che mi è cara, forse la persona più importante nella mia vita, e mi disse di sdraiarmi e
di osservare il cielo. Ci sdraiammo vicini e, mentre mi teneva per mano, mi disse sussurrando:
“Guarda, guarda le stelle sopra di noi.” Io, nonostante la notte fosse serena e fosse davvero
uno spettacolo, gli risposi: “E tu guarda in basso, guarda la nostra terra, guarda quello che i
nostri padri hanno fatto per noi.” La persona che mi stava in fianco, allora, mi disse una frase
che non scorderò mai: '”Questa è la nostra terra, e ognuno vede la propria terra diversamente.
Noi siamo abituati a vivere fra case, negozi, strade e tecnologia, altri sono abituati a vivere in
capanne in riva a un fiume, in mezzo magari ad alberi e animali. Ma ora alza lo sguardo.
Vedi lassù? Quello è lo stesso cielo che vediamo noi e vedono quelle persone, è lo stesso cielo
che vediamo noi e vedevano i nostri avi. Ognuno lo vede da un luogo diverso, ma tutti
assieme, quando guardiamo verso l’alto, vediamo la stessa cosa.” Allora capii che la parola
“altrove” non ha più alcun senso, pensando che tutti, alla mattina, vediamo sorgere lo stesso
sole, e che tutti di sera lo vediamo tramontare. Capii che, qualunque potesse essere la lingua,
la religione, il modo di vivere e il luogo di residenza delle persone, tutte facevano parte di
qualcosa di più grande, e che, quindi, tutto quello che mi sembrava così lontano e distaccato
era in realtà solo un altro punto di vista dello stesso universo.
20
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“IL PIPISTRELLO”
di Gabriele Bambina- 5a F
Il testo è stato rimosso su richiesta dell'autore
23
24
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“OLTRE L’ARA NOTTURNA”
di Gabriele Bambina- 5a F
Il testo èstato rimosso su richiesta dell'autore
25
26
27
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“LA DOMENICA DELLE PALME”
di Gabriele Bambina- 5a F
Il testo è stato rimosso su richiesta dell'autore
28
29
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“ALTROMONDO”
di Roberta Motter- 5a G
Anna Caimi - 5a G
Chiudo gli occhi…
Mille luci
Mille colori
Mille cuori
Che battono insieme
Al ritmo della musica…
30
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“ALTROVE”
di Niccolò Panozzo- 3a E
La tenerezza di quella ragazza, della sua ragazza, che l’aveva portato lontano,
lontano da ogni affanno, lontano da ogni pensiero, pur restando vicino a casa,
era paragonabile solo alla sua bellezza. La sua originalità, che l’aveva condotto,
attraverso valli sconosciute e sentieri non battuti, a quel piccolo scorcio di
serenità, a quell’appartato angolo d’infinità tranquillità, solo alla sua furbesca
intelligenza. Lei. Lei che pochi mesi prima l’aveva invitato a mangiare un
ghiacciolo, lei, che un po’ di tempo dopo l’aveva portato a un concerto, lei che da
quel fatidico giorno l’aveva istruito nelle città d’arte. Lei, che di quando in
quando voleva vagare fingendosi cieca, lei che ogni tanto gli chiedeva di portarla
in qualche dove col pensiero, lei che appena poteva leggeva di luoghi sconosciuti
e lontani. Era stata proprio lei a iniziarlo a quella pratica, a iniziarlo a quell’arte,
a quella che ormai era, per lui, necessità. Era stata lei a infondere nel suo animo,
insieme con l’amore, buona dose si curiosità, gran quantità di desiderio di
fantasticherie e appena un pizzico di studio. E non era forse lei a raccontargli
cosa vedeva quando lui l’addormentava? Non gli aveva forse fatto così conoscere
il desiderio di scavare più a fondo in quella storia? Era stato peggio che
mostrargli il velo che cade ma non la perfezione della nudità: aveva, così
facendo, instillato nel suo corpo, nella sua mente, nel suo cuore l’irrefrenabile
desiderio di andare oltre, di sapere di più, di squarciare il velo dell’ignoto.
E non era forse stato questo a smarrirlo? A fargli perdere la strada del ritorno
nel complesso labirinto di associazioni, idee, ragionamenti del pensiero filosofico,
dell’elucubrazione puramente teorica, della proiezione ed astrazione del
concetto? E non aveva forse, lui, perduto per sempre in questo modo anche il
lume della ragione?
Già, abbandonato chissà dove chissà quando nell’altrove, in quel regno così
sconosciuto eppure familiare, così misterioso, eppure quotidiano. In quella
parola, che altro non indica che una situazione, una condizione di benessere, che
evoca nella mente dell’uomo un qualcosa di piacevole, un’utopia, un sogno
lontano, vago mutevole eppure così accomodante e confortante. In quel suono,
al quale le orecchie di tutti i presenti si rizzano e che ingravida il cuore
d’immagini. Forse ricordi, forse sentimenti, forse speranze.
Altrove
31
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“RABBIA DI UN GIORNO”
di Giacomo Delledonne - 4a E
Destino:
oggi
è una maledizione.
Verrei essere
in un altro luogo,
altra dimensione;
realtà totalmente distorta:
incubi
mi assillano,
voci
anima e corpo
mi tormentano,
lupi
mi sbranano,
strappano
piccoli pezzi di carne.
Sento la tristezza
del ramo che
sta seccando…
…un brivido…
Dentro urlo,
cerco di spezzare
le catene…
Ma ecco
giunger alle mie orecchie
voci soavi
di splendide sirene
ma
lor mi tentano
ed io evado
dalla mia prigione.
un leone inferocito
è il mio cuore:
sfonda
la gabbia
in cui era rinchiuso.
Tutti mi guardano
con stupore;
un semplice sguardo
fa capire
la rabbia e il tremore
ch’io ho dentro,
e come diceva
un povero vecchio:
32
”anziché maledire
il buio
è meglio accendere
una candela”…
Allora ricominciai
a vivere
rinunciando alla selce nera:
quella barca
le vele
gonfie di scirocco
aveva…
33
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“PENSIERI DI UN SUICIDA”
di Chiara Fumagalli - 4a D
Inverno. Ore 6,30. Fissi svuotato la canna della pistola 11mm che ti punti in gola, cane
alzato. E ti perdi ín mille pensieri… ti dici che se potessi tornare indietro avresti fatto di tutto
per non esserti trovato lì, avresti fatto di tutto per essere stato altrove... sì, altrove, in un posto
un po’ meno grigio, con un odore un po’ meno acre, altrove… in compagnia di qualcun altro,
a fare qualcos’ altro. Già, l’agonia data da un momento… tu sai cosa vuol dire, tu sai che
significa essere nel posto sbagliato al momento sbagliato..altrove, una muta preghiera. Perché
eri li? Chi ti ci ha messo? E se c’era veramente un chi, sapeva a cosa ti stava facendo andare
incontro ponendoti nel luogo dove effettivamente ti ha lasciato? Perché lì e non altrove? Ma
poi rifletti un momento e ti chiedi… essere altrove che avrebbe comportato? Sì, insomma era
davvero la soluzione? Non ti importa, ti dici che qualsiasi altra cosa era meglio che capitare in
quel luogo… frase incosciente. E inizi a pensare a tutto ciò che è stato la tua vita, al suo
significato che però non trovi… che senso avrebbe avuto essere stato altrove? Bà, forse
sarebbe servito unicamente a non farti sentire il sapore ferreo del metallo in gola in questo
momento. Altrove, quante volte, quella in questione per prima, avresti voluto non essere
dov’eri… forse già nell’utero di tua madre. Altrove… sogno di un carcerato, tentativo di
molti poeti, meta di pochi gabbiani o semplicemente annientamento della propria vita? Sì
insomma, se le tue esperienze fossero state sostituite dall’altrove saresti tu? Bella domanda…
ma… se non essere ciò che sei significa che ora nel tuo campo visivo non vi sarebbe un
oggetto nero odorante di polvere da sparo ma la finale di baseball giocata dagli Yankees,
probabilmente la cosa avrebbe i suoi lati positivi. E poi, a voler ben guardare, forse non ti ci
sei cacciato in quella situazione, ma il tuo suicidio lo stai scrivendo tu, con il tuo inchiostro di
sangue… e ti rendi conto di un problema: quando cerchi qualcuno da incolpare non c’è mai…
che delusione.. muori senza poter lasciare a nessuno quel gioviale senso di colpa tanto
decantato… e ti piacerebbe essere Didone… ok, basta, stai divagando… non hai mica tutto il
giorno per suicidarti, no? Che vuoi fare, stare indietro rispetto ai ritmi del resto del mondo?!
Tuttavia ti viene da ripensare a quella notte, al momento a cui un attimo prima davi la colpa
della spazzatura che è la tua vita… già, perché forse ti sei accorto che quella notte non è stata
l’inizio della fine, ma la fine dell’inizio, l’istante da cui hai dovuto fare i conti con ciò che sei
diventato, ciò che hai ottenuto… bell’affare! Tutto risolvibile essendo altrove! Ti si palesa la
contraddittorietà dei tuoi pensieri e tra un insulto e l’altro alla tua persona ti dici: ma
deciditi… dove volevi essere?!! Domanda senza senso… eri dove dovevi stare, concetto
semplice e lineare. Altrove, a che scopo, a che giovamento… ma cervello… allora!!! tu non
piaci a me e io non piaccio a te, perciò porta pazienza ancora un paio di minuti e poi ti sparo
e abbiamo risolto il problema! Sto parlando con il mio cervello… ecco, ora sono altrove!
Follia. Inizio a fantasticare sul come la mia vita avrebbe potuto evolversi se non fossi nato in
quel luogo, in quel tempo, con quelle persone… è inutile, la mia testa qui non ci vuole proprio
stare. Penso se avessi potuto fare a meno del dolce volto di mia madre, all’odore di mio
padre, alle torte della nonna e alla feste in famiglia… ricordo i volti delle persone, persone
che abbraccerei, altre che renderei partecipi della mia imminente esperienza di bucarmi il
cranio con un proiettile. Già, io che molte, troppe volte, anche nelle cose minime, chiedevo di
essere altrove… mi rendevo conto delle conseguenze? Sarei riuscito a barattare le mia
miserabile vita con quella di un altro? Le mie azioni, le situazioni in cui mi sono trovato…
altrove, parola troppo usata, parola pericolosa. La vita è saper accettare e affrontare, e io
questo non sono stato palesemente in grado di farlo… forse la soluzione vera non era essere
altrove, ma agire nel modo giusto… e io non ci sono riuscito. Non riesco ad arrabbiarmi, non
34
serve. Disillusione. Strano… non mi fermo a pensare che in questo momento sta nelle mie
mani la decisione di cambiare strada, di essere altrove tra un paio d’ore e non in una fredda
bara, con tutti i miei conoscenti piangenti, chi forzatamente, chi con sincerità. E mi dico che
vorrei esserci al mio funerale, così per curiosità. Ma non ritengo mi sarà concesso, me ne
vado altrove… credo. Continua tensione tra qui e là. Pensieri persi e ritrovati, pensieri
inconsistenti e lontani. Ma ora basta veramente, sono in ritardo e ho fretta.
Strano, nei dieci minuti appena trascorsi non ho mai preso in considerazione il momento
presente, divagando da una constatazione ad un’altra senza nesso né legame. Premo il
grilletto… e il mio ultimo pensiero si chiude sulla parola altrove.
35
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“FOLLETTO”
di Andrea La Mantia - 4a D
I tuoi occhi
mi guardi
dal basso
mi sovrastano
Abbracciami,
provami che non sei
solo
pura illusione,
sogno nella nebbia
sul confine
del vuoto
Folletto,
uscito da là,
spiegami come tornare
mostrami la tua vita;
convinto
tu abbia la magia,
mi sappia guidare…
portami di là!
Ipnotizzato
dall’orgoglio
costringimi
a esserne degno.
Saccheggia ciò che vuoi
ma poi non andartene via…
senza salutare
36
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“GRIGIO”
di Andrea La Mantia - 4a D
Vago, i miei passi vagano sordi sul metallo.
Tutto è immobile
nel caotico agitarsi
di macchine
morte.
Perché dentro di me
sopravvive
la tensione?
Il mio corpo
carne viva, ribolle:
il grigio lo avvolge nelle sue spire
ma non lo raffredda.
Mi attaccano!
Metallo affilato squarcia la carne
muscoli tesi – schioccano tendini – schizza sangue!
Caldo sangue!
Ma subito le macchine
demoliscono ogni traccia,
aspirano ogni soffio di vita.
Settore 39, Livello 285, Costruzione 1725, Agglomerato 98634…
continua il viaggio:
”dov’è ciò che vuoi?”
E’ sempre stato così
non v’è memoria d’altro.
Solo la voce dentro di me
sembra gridarlo;
un’impronta del passato.
Sterile odore di luci asettiche
asfissiante
soffoca e spegne l’urlo
dell’anima.
37
Ossa spezzate
si perdono
in un eco graffiante.
“Cosa stai cercando?”
Un morbo infecondo
infetta lo spazio vergine,
edifica, invade, chiude ogni spiraglio
e costruendo distrugge.
Non c’è un dentro o un fuori;
l’Infinito è limitato
e il Grande è piccolo.
“Non capisco! Cosa vuoi?”
non comprende il codice?
“1011001!?!”
L’Istinto è racchiuso
l’Empatia mozzata
e la Vita morta.
Cavi elettrici la stritolano e la strangolano!
Sradicata dalla Terra
esplode e lancia alto
l’ultimo angosciante grido:
“DOV’È IL CIELO?”
…
[Liberamente ispirata da “Blame!” di Tsutomu Nihei, opera a
fumetti in 10 volumi pubblicata in Giappone fra il 1998 e il 2003]
38
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“RELAZIONE SU UNA GIORNATA SCOLASTICA IN TRASFERTA NEL RIDENTE
SOBBORGO MILANESE”
di Andrea La Mantia - 4a D
Giovedì mi sono svegliato 10 minuti prima. C’è stata la gita della nostra classe. Le nostre
sudate cinque ore di gita. La giornata si prospetta grigia, la odio perché mi ricorda che
sarebbero potuti essere cinque giorni di gita. Comunque mi preparo alla visita alla ridente
città di Milano. Sono abbastanza allegro. Ma tranquillo. Non mi aspettavo niente di tutto
ciò. Arrivo puntuale davanti a scuola, le macchine sembrano quasi scansarsi per farmi
arrivare in tempo; e almeno questo avrebbe dovuto richiamare la mia attenzione: un chiaro
segno che qualcosa non sarebbe andato come doveva. Ma niente da fare, il mio mattutino
assopimento non mi consente di cogliere questo particolare. Saluto, andiamo a prendere il
pullman, salgo timbro il biglietto e aspetto. Intanto il tempo passa. E io passo il tempo, parlo,
osservo. Quanta gente su questa strada! Chissà perché tutta questa gente è in coda... forse
non lo sanno nemmeno loro. Bè intanto una parte del viaggio è finita. La "gente" è sempre
attorno, pressa soffoca, stringe il gruppo di amici in cui mi trovo. A Sesto si prende il metro.
Noi scendiamo a Non mi ricordo, la stazione dopo Cadorna. Già perché il nostro obiettivo è il
Cenacolo: vogliamo osservarlo. E’ proprio li a due passi. E’ una giornata semplice, ma sto
iniziando ad apprezzarla, nonostante non sia una vera gita. Ehi mi diverto! Non è che
proprio sono felicissimo, ma mi sento bene! Come si dice... a mio agio! Non sarà il fumo
passivo di quella strana sigaretta? Ma no, l’ha detto chiaro alla prof: è solo tabacco! Infatti
puzza. Entriamo quasi subito. Bello, è come nelle foto ... c’era da aspettarselo. M sembra un
po’ piccolo, però, forse avevo troppe aspettative, troppa fantasia. Ho pensato: è importante, è
grande; ora mi ricordo che non sempre è cosi. Bè però a guardarlo bene... si, sembra proprio
quello vero. E’ diverso dalle copie. Dalle foto. E’... quello vero!... forse. Bene, dette le solite
cose, facciamo il confronto con l’altro dipinto, quello sull’altra parete. Un affresco. Piatto. La
differenza la vedrebbe un cieco, uno si muove. l’altro è fermo, questo è piatto, quello è
profondo, uno vero, l’altro finto. Bene! Ebbravo il nostro Leonardo! Usciamo, mi sento un
po’ in colpa, io non sapevo neanche fosse a Milano, a dir la verità pensavo che non fosse
neanche in Lombardia, e ci sono giapponesi a frotte che si affollano e ci lanciano maledizioni
perché noi avevamo la visita prenotata. Bè d’altronde non gli abbiamo rubato molto tempo,
dopo 15 minuti ci hanno gentilmente sbraitato addosso affinché ce ne andassimo. La custode
credo. Allora entriamo nella chiesa attaccata. Santa Maria delle Grazie, una chiesa gotica ma
ancora un po’ romanica. Belle le decorazioni tipicamente gotiche! Intrecciate in un
inestricabile labirinto di pensieri senza uscita, tessute da una mente malata per intrappolarvi
altre menti, prede della sua ragnatela incantatrice. Dopo vari minuti riesco a divincolarmi
dalla dolce stretta di questi misteriosi scarabocchi, e continua la visita della chiesa, la parte
più spoglia, almeno in apparenza. La prof. spiega, o meglio interpreta. Il quadrato, il Cerchio,
Dio, l’uomo. Naturalmente scopro che la parte che piaceva a me è la più brutta! Poi passiamo
al coro. E qui sostiamo, mi siedo un attimo sul marmo. Mi chiedo quanto ci hanno messo a
fare quegli intarsi di legno. Belle le statue, però non si vedono bene da lontano. E che bello,
nasce un discorso! L’arte moderna, in confronto a quella antica. C’è chi si limita, da una
parte e dall’altra. Chi ritiene che solo il reale (che sarebbe?) sia bello, non pensa alle
emozioni... e chi ritiene che quello di prima sia stupido e non riesca a capire... poi c’è chi
ritiene che quest’ultimo ritenga arte tutto ciò che i critici (da dove nascono? come si diventa
un critico? che lavoro inutile, eppure ha un grande potere!) gli dicono che lo è,
indipendentemente da ciò che pensa lui: cosi si sente colto e superiore a chi “non riesce a
capire, non ci arriva”. L’arte è soggettiva. Certo ha una componente oggettiva, ma è
soggettiva. Se io guardo una cosa, può emozionarmi oppure no. Certo magari non mi dice
39
niente e ha un significato che non riesco a capire, ma se non lo riesco a capire allora per me
non è arte. Lo sarà per chi lo capisce al volo e allora la sente. La sua anima è scossa da ciò
che vede, vibra, è stimolata. Per lui sarà arte. Quindi la bravura degli artisti è in relazione
stretta con la loro capacità di colpire più persone possibili (la “gente” però da questo è esclusa,
perché non vuole nemmeno essere colpita). Bene, poi sento ancora una volta la distinzione
fra arte e musica, sento ancore luoghi comuni che non vorrei sentire, che la gente è meglio
disposta verso le “avanguardie musicali” che verso quelle artistiche; bè la “gente”
probabilmente non conosce le une né le altre, ma le “persone” sicuramente conoscono molto
di più l’arte... come dire... visiva. Usciamo da lì.
Il Paradiso.
L’ho scoperto, anche nella lorda puzzona Milano, c’è una fetta di Paradiso. E’ nascosta però!
Fuori e dentro Santa Maria delle Grazie, il cortile interno: quattro alberi, l’erba, i fiori, una
fontana, e gli uccellini (anche il piccione stranamente non mi ricorda che siamo a Milano, è
così pulito, fa persino il bagno nella fontana!). E il sole che filtra. Si sente ancora Milano;
quest’ultimo baluardo delle forze celesti combatte un assedio impari, ma spero nella sua
vittoria. In questo luogo mistico spirituale, entriamo in contatto con una delle grandi anime
del passato: non so chi è, sembra un filosofo, a tratti un druido, in ogni caso un vecchio
saggio. E’ raro vederli ormai, almeno dalle nostre parti. I vecchi saggi! Rispettati,
contribuiscono; contribuendo, sono rispettati. Si presenta, poi sfrutta il suo potere di druido,
nonché la sua estrema saggezza, che gli suggerisce una oculata adulazione nei confronti del
bonario Fra Tac, per farci accedere al luogo proibito: la sacrestia segreta. Il druido pronuncia
una formula sconosciuta per invitarci a entrare: “Andèm!”. Qui osserviamo quattro affreschi
di santi, e, meraviglia delle meraviglie, abbiamo modo di esercitare le nostre poco stimolate
facoltà immaginifiche per creare da un’ombra sul muro una rappresentazione mentale di una
delle Vergini delle Rocce di Leonardo o di un suo discepolo, ritratta come di consueto di tre
quarti. Il Frate parla, ci narra la storia della sacrestia che era adibita a magazzino, è
dimostrazione vivente che c’è una verità dietro la diceria che nei conventi si mangia
particolarmente bene; è sereno. Usciamo, il Frate se ne va, ci dice di studiare, il Saggio lo
asseconda, rivelandoci in seguito che è più saggio non studiare troppo; tuttavia ci lascia una
missione: tramandare ai posteri la nostra esperienza, il che si traduce per me nello scrivere
queste frasi. Mangiamo vicino all’ago e al filo colorato (arte moderna?). Focaccia al
formaggio panino con le olive frittella con uvette. E si torna a Monza. E si va a casa. Bene!
Grazie a tutti. E’ primavera! Ma le parole certe volte non bastano... domisolsifadiesis...
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Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“ASPETTANDO KENSHIRO”
di Armando Petrella - 3a C
Cemento, ti chiude
Finestre, sbarrano l’uscita.
Grate
e
Un buco
Quanto sei disposto a rischiare?
Gettati.
Sentirai il vento
Il freddo
Il nero
L’urlo
Il silenzio
Questo il tuo altrove
Precipita nel vuoto, pioggia.
Muori
E’ vero, le navi, occhi del mare
L’uomo cade, e se è vero, cade
Nel paese delle fate e dei folletti
Rumori aperti come nelle chiese.
Somewhere over the rainbow
E se è vero, l’uomo cade da
Fermo, tutto gli muove attorno
Quanto sarà lungo tutto l’inchiostro del mondo?
Poco
A poco, arriverà il momento in cui
Capiremo
La vera realtà, lo scopo e il modo.
Nel frattempo, lasciamoci circondare
Tanto vale stendersi al sole,
ed ascoltare
Godot non arriverà
Silenzio prego, musica.
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Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“ANOMAL ODE ALLA TROMBA E AI FIATI TUTTI”
di Armando Petrella - 3a C
Propria dello strumento che brilla d’oro
Melodia semplice, pulita
Che vien con le dita
E col tocco di labbra.
E passa senza attenzioni, liberando
A poco a poco, posto
Note d’ogni mare
Terra e d’ogni posto losco.
Non è il cumul che colpisce
Ma la semplicità
Il soffio dal mago
Non ferisce, ma scalda l’Otton che alla calura perisce
Così note si mischiano all’aria
Combinandosi al sole
Mai ci fu strumento più loquace di questo
E volendo, aggravandolo un po’
Così forte, così presente la voce, possente, bassa basso.
Contrappasso contrabbasso satanasso,
suoni socci
come chi, gote rosse, finito il desinare
strizza un poco gli occhi.
Paperotti, che in fila seguon la mamma,
ancheggiando, barcollando,
sempliciotti ingenui, liberi.
Desideravo essere bersagliere
Piuma al vento, divisa,
correre e suonare
la marcia
Senza
Alcuna
Sosta.
Ubriaco canta amore
Gira il vento, a sera
Il sole.
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Che sappiate goder dello strumento.
Imparate a stupirvi
Di tante cose che vi sono
Ogni giorno.
Non domandatevi troppo,
non state lì a crucciarvi, sappiate
nulla dà più sgomento
se dirlo mi è concesso
che sentir il Louis Braccioforte
cantare del suo strumento.
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Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“ALTROVE…”
di Giulio Pusateri - 1a E
Stavo guardando la luna piena. Ma quando abbassai gl’occhi, li
vidi. Erano seduti sull’erba ad una decina di metri da me, erano
anche loro con il naso all’insù, abbracciati. Istantaneamente la
riconobbi, ma non ci volevo credere, non riuscivo a smettere di
fissarli. Ebbi un brivido di freddo misto a disperazione, sentii una
pugnalata al cuore e allo stomaco. Era come se non avessi più i
polmoni: annaspai alla ricerca di aria e, all’improvviso, tutto attorno
a me si fermò, i colori sbiadirono, ogni cosa divenne in bianco e
nero. Tutto era immobile, in stasi, pietrificato. Non respiravo e
quel dolore rimaneva.
Solo un momento prima avevo desiderato di fuggire, non mi
importava dove, era sufficiente finire altrove, per non vederli. Ci
ero riuscito, ma continuavo a vedere quell’abbraccio, da dovunque
fossi.
Tornai ad osservare la luna mentre mi chiedevo perché fossero
insieme, e rimasi allibito: era purpurea, della stessa tonalità del
sangue.
Come faceva ad avere quel colore sofferente se era in una
dimensione senza colore?
Riportai lo sguardo sulla causa di tutto questo. Non saprò mai
quanto tempo stetti ad osservare quell’abbraccio da quel freddo
altrove, se ore o secondi.
Ma dopotutto dovevo andare avanti, non volevo rimanere lì per
sempre.
Almeno in questo luogo loro non c’erano.
Poi, velocemente com’era accaduto, l’ambiente che mi circondava
tornò ad acquistare vita. Le mie ferite bruciavano comunque ma
almeno ero di nuovo padrone della mia vita. Credo fosse stato
questo pensiero a strapparmi all’altrove. Magari ci avrei sofferto,
ma alla fine il dolore sarebbe migliorato.
Guardai quella maledetta coppia per l’ultima volta e poi mi voltai
verso la luna e, anche se avevo superato l’altrove, era rossa, come il
sangue.
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Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“ALTROVE”
di Stefano Sanfilippo - 2a E
Vorrei parlarvi d’altrove
e di aulici tramonti
su valli inesplorate
degli effimeri rifugi
che la nostra mente cerca
vana
e del cantar dei lupi
e di selvagge terre
e di boschi incantati.
Ma il grido straziante della realtà
che strappa, che stride come una lima
su un bicchiere
mi trascina
quasi volente nel voluttuoso vortice del presente
reale
Oh voi che credete
che le vostre spalle sian troppo piccole
per inarcarsi sotto il peso di un passato
che non sapete o non volete portare
fareste meglio a ricredervi.
Perché voi vivete qui, non altrove
Perché è questo il vostro mondo, non l’altrove.
Fuggite quanto volete
Prima o poi dovrete lasciare
gementi
l’altrove.
Riflettete
non vi è dato scampo.
45
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“ALTROVE”
di Gaia Pagliula - 4a A
“Coloro che sognano di giorno sanno molte cose
che sfuggono a chi sogna soltanto di notte”
EDGAR ALLAN POE
Mi chiamo…
Vivo qui in questo istituto.
I miei genitori mi hanno detto che qui sarei stata bene, qui mi avrebbero
aiutato; probabilmente non volevano accollarsi il peso di una ragazza
“difficile”. Ma poco male, ho smesso di ricercare la loro comprensione,
come dopotutto ho smesso di ricercarla in chiunque.
Mi hanno detto di scrivere questo diario, mi avrebbe aiutato a capire chi
sono; in verità credo che abbiano bisogno di capirlo i miei carcerieri –loro
preferiscono dottori- che lo leggono quando pensano non possa scoprirli.
Sinceramente non me ne importa, come fanno a pensare che la mia anima
si spossa rinchiudere in poche pagine macchiate di inchiostro?
Come fanno a volermi rinchiudere nel loro mondo grigio?
Il mio mondo, il mio vero mondo è colorato; è colorato del rosso
dell’amore, il blu della serenità e dal verde della speranza. Lì non esiste il
nero della disperazione, il grigio dell’amarezza o il pallore della morte. Lì
non sono più… lì sono giudicata per come sono, non perché porto un
braccialetto di carta sul polso. Lì ho ricevuto comprensione.
Mi hanno detto di avermi trovata, un giorno, mentre mi dondolavo nel
vuoto, seduta sul cornicione di una finestra. Mi ricordo soltanto che stavo
cercando di levarmi in volo in compagnia di cavalli dalle ali d’argento e
aquile dalle piume d’oro e mentre assaporavo sulle labbra l’aria che mi
accarezzava il viso, quella stessa aria che adesso mi è negata, una fredda
mano crudele mi ha strappato dalla spensieratezza del mio volo per
portarmi con lei nel grigio.
Non gli è bastato portare via le mie ali, non gli è bastato costringere la mia
mente in questo cranio, hanno rinchiuso anche il mio corpo.
E qui, in questa stanza soffocante e assolutamente spoglia, dove,
illuminata solo dalla fredda luce artificiale, non riesco nemmeno a
distinguere il giorno dalla notte e dove le ore sono scandite dal susseguirsi
delle solite interminabili visite, i loro veleni mi hanno fatto cadere i capelli
e ingiallire i denti, hanno per sempre cancellato il mio mondo.
Guardando il mio offuscato riflesso sul vetro della porta non mi riconosco
e mi chiedo perché si ostinano a tenermi legata in questo mondo di
sofferenza, perché tutto questo grigio mi circonda; mi chiedo se non
sarebbe stato meglio continuare a volare fino alla fine con i cavalli dalle ali
d’argento e le aquile dalle piume d’oro.
46
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“RITORNO”
di Aurora Coatti - 4a B
Dopo essere tornata
a casa,
mi accorgo
di
come
ormai
l’odore della mia camera
non mi rassicuri più,
di come
i sorrisi della gente
siano così finti
e il colore del cielo
così
smorto…
Piango
all’idea
che dopo pochi giorni
tutto
tornerà normale
e io dimenticherò
completamente
la mia
splendida
esperienza,
ma desidererò sempre
che il ricordo
non tramonti mai.
47
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“VOGLIA DI SCAPPARE”
di Aurora Coatti - 4a B
Non posso stare qua
sempre sola,
nessuno
con le mie passioni,
costretta
immobile,
evitata
se fedele alla mia linea,
circondata
da amici
imposti
da un paese di tremila abitanti.
Ad un certo punto
tutto
mi va stretto,
e rischia di esplodere.
In un altro posto,
in un altro momento,
istante,
o tempo.
A un'altra persona,
forse,
tutto questo
non
sarebbe successo.
Ma fino a quando
starò seduta
alla finestra
a guardar fuori?
48
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“GLI ALTRI”
di Paolo Marchiori - 4a F
Risuona nelle menti di quei pazzi dissacranti
che quel giorno, alzatisi dalla sedia si sono detti:
che ci faccio qui?
Canto dei pazzi di vita
ai quali il tramonto ha suggerito la fuga.
dissacratori e peccatori, ora scalzi
e vestiti di vento e polvere.
Che ci faccio qui
nella terra del candore?
Ora va e cammina
e si perde e si ritrova nella via.
Viandante chi sei tu, che crei
i confini che attraversi?
Capretto liberato nel giorno della festa.
Ma ora hai liberato noi
Grido alla mia purezza
e rido della vostra prigionia
Tu causa del male, tu nemico impostore e ladro;
tu violatore del sacro, profanatore!
Per noi non esisti.
Vattene al di là del fiume.
La paura
Avete paura?
Quelli non hanno paura di te, ma di ciò che rappresentate!
Canto della gente libera!
Viandante chi sei tu?
Io non so chi sono!
Canto dei senza luogo:
hai mai voluto essere un altro?
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Essere un altro?
altro?
Io non vorrei essere un altro..
Canto dei senza tempo,
chi fugge la morte ed i luoghi di morte;
immortale per scelta.
Di dove sei?
Sono qui, fuori di me..sono
qui,
al limite.
Oltre al fiume tu sei il male
che pervade i tuoi valori;
la verità loro non vale le tue!
Rido della loro prigione e della loro misera verità…
Io di verità ne ho rubate millanta…
Ladro!
Io so chi sono, come loro non sanno
nulla della mia alterità;
ma non li biasimo.
non sono stato riconosciuto.
E quelli già si armano con le
le spade e si dirigono verso il fiume, verso di me.
Nell'attesa costruirò un ponte.
Non ci sei mai servito!
Ora traduttore, lasciaci fraintendere!
50
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“ECHI DA UN MONDO LONTANO”
di Andrea Besana - 4a I
E' la morte dei tuo Ego
la tua anima evade
dal carcere del cuore.
Fugge beffarda,
approda lontano.
Danza il suo nome
su un giorno di festa.
Non pensare al tuo sogno
bambino
di un utopico mondo
già troppo stuprato da angeli corrotti
e demoni ubriachi.
Fuggi quel luogo.
Troppo buio
per i tuoi azzurri occhi
troppa luce
per la tua cupa mente
troppo sangue
per la tua arida anima,
immersa ormai
in quel finto bagliore.
51
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“ALTROVE”
di Davide Galbiati - 3a H
Solo,
Nel rumoroso silenzio
Con la mia mente spazio
E penso.
Altrove,
Il tremendo rosso
Esce e svuota involucri d’anime
Ormai di caldo metallo pieni,
Nel beffardo destino.
Altrove,
Piccoli uomini
Di sola speranza protetti
In un luogo di rumore e di morte,
Vogliono vivere.
Altrove,
Io penso
E con la mia mente spazio
Nel rumoroso silenzio,
Solo.
52
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“UN ALTROVE”
di Greta Tettamanzi - 5a C
Maschere
allegoriche di
anime;
gioco di
finta
finzione;
fiume di
laghi e
lande;
fabula
di catene
di eventi;
caos di
teste e
tentacoli;
surplus di
immagini
illusorie;
nuvola di
resti di
rosso;
anafora di
gente à
gogo;
mix di
ossimori
omologhi;
collezione
confusa di
colloqui;
traffico di
vuote
vacanze,
costumi
bizzarri di
baldoria;
legami
eventuali
e incondizionati;
53
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“IO NON TI CAPISCO”
di Alberto Cantarelli - 2a C
Io non ti capisco
tu non mi capisci;
io ti guardo chiedendomi chi veramente tu sia,
tu mi guardi chiedendoti cosa io voglia fare;
così diversi
io il bianco e tu il nero.
lo sono un naufrago, un disperso;
tu il tuono che sconvolge la tremenda tempesta,
il terremoto che muove il deserto infuocato;
così violento e impetuoso da far impallidire qualunque male,
ogni demone s'inchina al tuo cospetto.
E poi eccoti come nessuno ti avrebbe mai immaginato:
raggio di luce che conduce al porto,
sentiero sicuro che si snoda tra le dune;
difficile è fidarsi pensando alla tua natura
pur conoscendo la meta.
Noi,
che siamo lontani a tal punto
da essere simili.
Gli occhi scrutano rinnegando l'uguaglianza,
quasi rinnegando il legarne indissolubile,
e cercano di ritrovare la diversità tanto ostentata,
ma poi si arrendono.
Un sorriso
54
Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
anno 2007 - 13a edizione
“INCANTO”
di Filippo Dolfini - 2a C
Non basta del trucco,
inutili le maschere;
una coppia di specchi mostri,
in viso.
sguardo onnipotente,
sorriso solare.
l’uno può far piangere il marmo,
l’altro renderlo vivo.
Personaggio multiplo
di una commedia senza re
tigre, koala, frate
o Griso.
Oltre quegli occhi profondi,
contornati da un sottile filo nero.
Quel filo racchiude i tuoi mondi.
Oltre quegli occhi, io vivo.
Con un solo sguardo m’ hai chiamato da morte,
scriveva il divino tuo,
a molti il tuo viso è sufficiente.
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