MATTEO PERRINI LA NASCITA DELL`EUROPA Dal punto di vista

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MATTEO PERRINI LA NASCITA DELL`EUROPA Dal punto di vista
MATTEO PERRINI
LA NASCITA DELL'EUROPA1
Dal punto di vista geografico, l'Europa costituisce l'estrema appendice nord-occidentale
dell'immenso continente asiatico. L'Europa non ha, infatti, una fisionomia distinta come l'Africa,
l'Australia, le Americhe; non ha confini «naturali» a est. Dal punto di vista etnico – quali che siano le
pur legittime distinzioni tra latini, germanici, slavi o tra nord e sud – i popoli che costituiscono l'Europa
presentano una mirabile commistione razziale. In realtà l'Europa comincia a nascere solo quando nasce
e si afferma un tipo di civiltà. Essere europei, fin dall'inizio, ha significato e significa tuttora non
essenzialmente un fatto geografico o razziale, ma l'appartenenza ad un tipo di civiltà; sì che sul piano
storico i confini stessi dell'Europa si allargano o si restringono, nel corso dei secoli, in rapporto
all'ampliarsi o all'eclissarsi della civiltà europea.
Il processo di formazione storica da cui nacque l'Europa prese le mosse nel Mediterraneo orientale,
nell'Egeo, il mare che vide i greci elaborare nuove forme di pensiero, di espressione, di vita. Dalle isole
egee e da Creta, dall'Asia Minore cominciò la grande avventura che avrà nell'Atene di Socrate e di
Pericle il suo culmine. Di lì sono venuti i poemi di Omero, gli ardimenti della prima ricerca filosofica,
la matematica di Pitagora. Quando nel 399 a.C. Socrate concluse tragicamente la sua luminosa
esistenza, l'Europa era quella parte del continente e del mondo mediterraneo animato e unificato dalla
paideia greca. Se l'ellenismo non era il mondo, era veramente per la sua epoca tutto il nostro mondo,
era l'Europa. Quando Cesare, nel 44 a.C., cadde sotto i colpi dei congiurati, i confini dell'Europa erano
sul Reno e sul Tamigi, cioè dove i soldati e gli ingegneri di Roma avevano portato con il diritto
dell'Urbe la civiltà ellenica. Con Traiano e Marco Aurelio la oicuméne romana significò l'unificazione
europea, cioè greco-romana, del mondo civile di allora. In quel tempo era Europa anche l'Africa
settentrionale, non meno della Spagna e della Romania, dell'Egitto e dell'Asia Minore.
I primi due fattori decisivi, i due grandi influssi formatori nell'età classica sono Atene e Roma. Dai
greci noi deriviamo tutto ciò che è più caratteristico della cultura occidentale: la conoscenza scientifica
con Pitagora, Platone, Euclide, Aristotele; la filosofia come ricerca disinteressata del senso della vita
(che cosa posso conoscere? come debbo agire? che cosa posso sperare?), la letteratura, l'arte; il culto
della bellezza e dell'efficacia espressiva della parola; l'ideale umano come sviluppo armonico del corpo
e dello spirito; il rapporto attivo, spesso drammaticamente antinomico, tra la coscienza morale
dell'uomo e le imposizioni della legge statuale – rapporto che ha trovato una testimonianza altissima,
nella storia, nel destino di Socrate, e nell'arte.
L'allargamento progressivo della paideia greca nei suoi elementi essenziali all'occidente fu la
missione di Roma, la grande intermediaria tra la superiore civiltà greca e i popoli barbarici dell'ovest
europeo. La romanizzazione militare e politica dell'oriente ellenistico e la ellenizzazione dell'occidente
romano costituiscono le due facce di una stessa medaglia, sono due aspetti simultanei e solidali di un
unico processo. L'Europa deve quindi, per tanta parte, la sua esistenza storica, la sua stessa
configurazione politica all'opera di Roma.
La consapevolezza di ciò che il mondo civile doveva a Roma divenne assai acuta e trovò
espressioni commoventi proprio quando nel V secolo d.C., il processo di decadenza toccò l'apice.
«Roma sola accolse i vinti nel suo seno e abbracciò il genere umano sotto un sol nome» canta
Claudiano nel De consolatu Stilichonis e i cristiani Ambrogio, Onorio, Prudenzio, Agostino danno un
significato ancor più ampio al concetto dell'universale missione di Roma, ponendolo in organico
rapporto con gli ideali della nuova religione.
1
Giornale di Brescia, 17 ottobre 1980.
Il terzo grande influsso formatore della coscienza europea è rappresentato dal cristianesimo e dal
suo tramite storico, la chiesa cattolica, che ha in Roma ben presto il suo centro di unità, di
collegamento e di propulsione. L'influsso del cristianesimo sulla formazione dell'unità morale e
religiosa dell'Europa è notevole esempio del modo come il corso dello sviluppo storico viene
modificato dall'intervento di una nuova forza spirituale. La chiesa, il «secondo Israele», del primo
Israele accoglieva l'alto messaggio e lo immetteva nel mondo greco-romano, nel momento stesso in cui
rompeva con l'intransigenza nazionalistica del giudaismo e assumeva in proprio l'universalismo
cristiano.
Il cattolicesimo, sin dai primordi, a cominciare dal filosofo Giustino e dal vescovo Ireneo, non si
lasciò imprigionare da un tradizionalismo ottuso, troppo legato all'Antico Testamento, e rifiutò la
superficiale razionalizzazione del cristianesimo (rischio sempre ricorrente, da Ario a Lessing, da
Feuerbach a Bloch). Nacque così un pensiero filosofico e teologico di schietta ispirazione cristiana,
capace di recuperare per intero il patrimonio di verità presente nel mondo greco, e avente in sé tale
unità e forza da costituire il lievito di ogni sviluppo futuro, l'insostituibile punto di riferimento di ogni
idea, di ogni concezione della vita; come riconobbe Benedetto Croce nel celebre saggio Perché non
possiamo non dirci cristiani (in «La Critica», 1942, pp. 289 e segg.). La novità cristiana, mentre
rivelava Dio all'uomo, rivelava l'uomo a se stesso e la persona acquistava un nuovo e più alto valore ai
propri occhi, guadagnando su tutti i problemi fondamentali della vita un orizzonte chiuso persino ai
geni filosofici dell'Ellade. «E così – nota il Dawson – quando l'impero d'occidente rovinò davanti ai
barbari, la chiesa non venne coinvolta nella sua rovina. Era diventata una istituzione autonoma che
possedeva il suo principio di unità e i suoi propri organi di autorità sociale. Essa era in grado di
diventare contemporaneamente l'erede e rappresentante dell'antica cultura romana e la guida dei
nuovi popoli barbari» (La nascita dell'Europa, Torino, Einaudi, 1959, p. 50). Pensatori come Agostino
di Tagaste, santi come Benedetto da Norcia, papi come Gregorio Magno, vissuti in epoche di
universale rovina, gettarono le fondamenta della nuova Europa: nella decadenza generale essi fecero
della chiesa cattolica il centro di riorganizzazione delle forze della vita. I barbari germanici dettero
all'Europa l'elemento etnico nuovo da cui sarebbero sorti i futuri popoli europei. Convertendo i barbari
a Cristo, la chiesa li immise nel circuito della civiltà e così incorporò quelle gentes all'Europa.
Strumenti mirabili di un'opera così vasta, che si prolunga per secoli, furono il papato e il monachesimo.
L'avanguardia tenace ed eroica della evangelizzazione dell'Europa barbarica fu costituita dagli angloirlandesi, che nell'VIII secolo pervennero ad un incontrastato primato di servizio. Fu uno di loro, san
Bonifacio di Crediton, trucidato dai frisoni nel 754, il grande riformatore della chiesa franca e insieme
l'apostolo della Germania, il fondatore della chiesa tedesca medioevale, colui che portò la fede di Cristo
nel verde cuore della Germania, cioè nell'Assia e nella Turingia. Per opera di san Bonifacio, la
Germania cominciò a diventare un membro vivente della società europea a tal punto che nel 961 con
Ottone I assunse addirittura la leadership del continente. Verso la fine del secolo X e agli inizi del
secolo XI, anche il nord vichingo e normanno è cristianizzato. Nel 1026 il pellegrinaggio di Canuto il
Grande a Roma attestava l'incorporazione dei popoli nordici alla cristianità e l'Europa si allargava
finalmente alle inviolate regioni del nord. In quello stesso tempo, mille anni fa, pervenendo alla fede
cattolica si danno coscienza di popolo e convengono in qualche modo in unità politica i piccoli slavi di
Polonia e di Boemia e gli ungheresi. È la missione dei «santi coronati» Ladislao, Venceslao, Stefano,
iniziatori per i loro popoli di una storia nazionale post-barbarica. Grazie alla loro opera emerge la
nuova realtà dell'Europa orientale. Dal punto di vista etnico l'Europa aveva trovato il suo definitivo
assestamento: i popoli europei sono ancora oggi quelli che entrarono a far parte della civiltà europea
intorno al mille.
Gli sviluppi successivi della storia del nostro continente – in un intreccio di miseria e grandezza, di
oblii e di rinnovata consapevolezza dei valori che fondano e caratterizzano la nostra civiltà – attestano
che «L'Europa è stata unita culturalmente e spiritualmente anche nelle epoche di maggiore divisione
politica e statuale» (D. A. Seeber). Le grandi università medioevali, l'umanesimo filosofico e teologico
del XIII secolo, con Tommaso e Bonaventura, l'umanesimo rinascimentale di Pico, di Ficino, di
Erasmo, di Moro, sono fatti di straordinaria eloquenza e rappresentano un patrimonio comune di idee e
di aspirazioni. L'emergenza degli stati nazionali e la bella fecondità delle letterature nazionali non
cancellano per sé la comunanza delle origini, delle fonti d'ispirazione, degli stessi parametri morali e
religiosi. Dante non sarebbe nemmeno concepibile senza Virgilio e senza Francesco d'Assisi, senza
Tommaso d'Aquino e Petrarca non s'intenderebbe prescindendo da Agostino e da Cicerone. Il senso di
appartenenza a una patria più ampia, all'Europa, non si spezza neppure con la frattura religiosa fra il
protestantesimo e il cattolicesimo. L'Europa come società degli spiriti, fu fermamente sentita nel
Seicento e nel Settecento. Fu l'Europa degli artisti, dei letterati, dei giuristi, degli scienziati, dei filosofi,
delle accademie: l'Europa degli scambi culturali, del confronto critico, dell'integrazione di apporti
multiformi e tuttavia cospiranti a costruire una comune e più alta civiltà. L'illuminismo avvertì
l'importanza di un simile compito, ma fraintese grossolanamente un'epoca intera della storia
dell'Europa, il medioevo, e, ancor peggio, uno degli apporti decisivi senza di cui l'Europa non sarebbe:
il cristianesimo. Il romanticismo e la storiografia dell'Ottocento e del Novecento apportarono le
necessarie variazioni alla visione illuministica.