il presidente padrone,your portfolio risk,tassista

Transcript

il presidente padrone,your portfolio risk,tassista
IL PRESIDENTE PADRONE
In Veneto quest’anno quasi tutta l’industria bancaria non
convenzionale è stata colpita da un prevedibile terremoto
finanziario su cui molti analisti ed opinion leader
indipendenti avevano ammonito con largo anticipo tanto il
settore retail quanto la relativa stampa di settore. Con il
termine di industria bancaria non convenzionale si vuole
definire il circuito delle casse rurali e dei crediti
cooperativi assieme a quello delle banche popolari non quotate
ossia istituti di credito che sono caratterizzati da due
elementi distintivi: la presenza e diffusione capillare
all’interno di un’area territoriale specifica ed il sistema di
governance assembleare incentrato sul voto capitario. In buona
sostanza tutti gli azionisti di una banca che si presenta tale
hanno il medesimo peso durante una decisione assembleare,
quindi un voto per ciascuno a prescindere dal numero di azioni
che ognuno di loro detiene. Tutti gli altri operatori bancari
riconducibili alla finanza ordinaria fondano la loro
governance sull’assetto plutocratico ovvero il voto di ogni
azionista è espressione diretta della ricchezza a lui
riconducibile in termini di numero di azioni possedute, quindi
in sintesi chi detiene in maggioranza assoluta più azioni di
tutti gli altri azionisti messi assieme di fatto controlla le
scelte gestionali o le può condizionare sensibilmente.
Difficile che invece questo possa accadere in una cassa rurale
o in una banca di credito cooperativo e questo potenzialmente
può essere un
distorsioni.
bene,
ma
anche
generare
pericolosissime
Situazioni similari si possono individuare nei paesi
anglosassoni con le community bank che assomigliano da lontano
alle nostre piccole banche di territorio. Come ormai sapete
durante la scorsa primavera il Veneto è stato scosso nel giro
di poche ore dal ridimensionamento di valore che hanno subito
le azioni di due grandi banche popolari storiche non quotate,
Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Ne abbiamo parlato
diffusamente in molte altre occasioni e negli anni prima
abbiamo significativamente avvisato di come questa eventualità
fosse sempre più prossima. Queste vicende hanno messo in moto
nel frattempo numerose inchieste giudiziarie con lo scopo di
radiografare l’operato passato del management per individuare
responsabilità o possibili comportamenti di gestione
fraudolenta a danno degli stessi azionisti. In Veneto negli
ultimi due anni sono diventati sempre più frequenti sia gli
episodi di commissariamento di banche non convenzionali al
pari delle situazioni di sofferenza patrimoniale a fronte del
deterioramento sia del tessuto imprenditoriale che della
qualità del credito concesso in precedenza. Ora le due grandi
banche sopracitate si dovranno quotare nei primi mesi del
nuovo anno allo scopo di smantellare proprio il sistema di
voto capitario ed il castello di potere che con il tempo
proprio la presenza del voto capitario è stato possibile
costruire.
Si parla infatti ad oggi sempre più spesso proprio per le
casistiche di mala gestione bancaria del cliche di governance
riconducibile alla figura del Presidente Padrone ovvero un
unico key man che durante il suo mandato di governo ha
trasformato l’istituto di credito in un vero e proprio feudo
medioevale basato su clientelarismi personali, consigli di
amministrazione e organi di controllo composti da Yes Men, con
il solo scopo di assecondare le operazioni di gestione
ordinaria e straordinaria di volta in volta osannate dal
Presidente Padrone. In Veneto ormai se ne contano in numero
rilevante di episodi di mala gestione bancaria riconducibili
alla governance di un solo Presidente Padrone, governance resa
possibile e suggellata dal voto capitario che ha prodotto
concentrazioni di affidamenti a pochi eletti o nei confronti
di un solo settore economico (tipo l’immobiliare) minando
pertanto la stessa solidità patrimoniale e serenità
finanziaria. In Europa ci hanno sempre richiamato su questo
punto incitandoci a prendere provvedimenti affinchè si
potessero realizzare i doverosi e salutari cambi di gestione
alternando diversi timonieri alla guida del singolo istituto,
ma la politica italiana è sempre rimasta inerte proprio per le
stesse pressioni volte al mantenimento dello status quo che
gli stessi Presidenti Padrone riuscivano a perpetrare.
Queste banche inoltre avevano una peculiarità unica se non una
vera e propria anomalia ovvero autodeterminavano il valore
delle proprie azioni: dallo scoppio della crisi bancaria del
2008 non si è fatto altro che alimentare ulteriormente
un’altra bolla finanziaria ossia quella delle quotazioni
gonfiate, quotazioni irrealistiche con l’effettiva dinamica e
consistenza del patrimonio bancario. Tuttavia i Presidenti
Padrone hanno potuto farsi belli innanzi all’azionariato
cementando il loro consenso davanti a numeri e risultati che
si sono dimostrati presto non veritieri ed in alcuni casi
addirittura farlocchi. Le bolle non durano ed il mercato ha
sempre ragione: durante il 2015 si è aperto il vaso di Pandora
e ora tutte le criticità e distorsioni create
irragionevolmente dai Presidenti Padrone si pagano. Anzi
pagano questo nuovo conto salato proprio gli azionisti per
adesso e forse dal prossimo anno anche gli obbligazionisti e
parte dei correntisti grazie alla messa a regime del bail-in.
Anche questi azionisti comunque hanno le loro colpe,
pochissime volte ho percepito buon senso e lungimiranza da
parte loro, quasi fossero stati ipnotizzati dal pifferaio
magico di turno. Non è finita comunque perchè proprio il
credito cooperativo in Veneto ha davanti tre anni di profonde
trasformazioni: non stupitevi se delle tre dozzine di banche
di credito cooperativo che abbiamo in regione a forza di
accorpamenti, fusioni ostili ed obbligate dalle authority
monetarie ne resteranno in vita molto poche, forse appena
dieci.
YOUR PORTFOLIO RISK
Il 2015 si appresta a vivere il suo ultimo trimestre, ben
sapendo di come ci ha fatto palpitare durante i primi tre
caratterizzati da numerosi epocali eventi di portata sistemica
che hanno impattato sui mercati finanziari con accentuata
volatilità: dalla crisi greca, tuttora ancora irrisolta e
semplicemente spostata in avanti, arrivando al recente Diesel
Gate di Volkswagen che tuttavia sembra ormai entrato nel
dimenticatoio. Come abbiamo avuto modo di farne menzione anche
in altri redazionali, i periodi prolungati di serenità sui
mercati finanziari tanto per chi opera in borsa quanto per chi
vi deve investire personalmente rappresenteranno sempre più
brevi parentesi occasionali se rapportate ai periodi di
buriana che invece caratterizzeranno i prossimi anni a fronte
del continuo mutamento dello scenario macroeconomico mondiale
che deve fronteggiare un modello di sviluppo economico non più
bipolare (USA contro URSS) ma multipolare con l’emersione e lo
scontro di grandi macro aree geografiche, ognuna delle quali
pretende una posizione dominante sul panorama mondiale.
Pertanto il piccolo investitore dovrà sempre più abituarsi e
prepararsi a gestire i vari focolai di infezione finanziaria o
le scosse di assestamento finanziario che via via vedremo anno
dopo anno.
Sempre più spesso infatti molti lettori mi scrivono chiedendo
quando terminerà la cosidetta crisi o quando si potrà
ritornare a fare i cassettisti come un tempo: rimangono molto
male quando leggono le mie risposte telegrafiche ovvero mai
più. Deltronde non è per tutti sopportare volatilità o rischi
sistemici sul proprio portafoglio se fino a qualche anno fa lo
sforzo massimo che si faceva era ricercare l’obbligazione più
sicura, la banca più conveniente per gli oneri di mantenimento
del rapporto di conto corrente o il prodotto finanziario
potenzialmente sulla carta più remunerativo. Questo modus
operandi tanto per il cliente retail quanto per il consulente
finanziario è terminato da almeno cinque anni, ma nonostante
questo vi è ancora rimasto qualche sognatore che pensa di
cavarsela leggendo un articolo qua e là o un post di qualche
blogger di tanto in tanto. Magari si potesse fare così. I
mercati finanziari diventano ogni giorno sempre più complessi
rispetto al recente passato, non basta più la sola
preparazione tecnica o l’approfondimento mediante un intenso
flusso di informazioni di base, occorre ormai andare oltre e
ricercare strumenti, gestori e strategie alternative in grado
di offrire una gestione del rischio di portafoglio in termini
non convenzionale.
Ci rendiamo conto di questo analizzando le performance dei
fondi comuni di investimento, anche di quelli molto noti, che
magari per tre anni hanno prodotto risultati notevoli, ma ora
all’improvviso hanno subito una battuta d’arresto o incamerato
una spiacevole perdita di gestione nonostante i risultati
positivi di altri competitors. Questo vi deve indurre a
ricercare continuamente i migliori gestori e soprattutto le
migliori strategie di gestione anno per anno, non
fossilizzandosi, tranne casi isolati, sempre sul medesimo
prodotto, che magari vi ha dato gratificazione negli anni
precedenti o la stessa investment house o banca di gestione di
investimento. Il 2015 infatti nonostante abbia già lasciato un
marchio indelebile negli annali delle cronache finanziarie
(Grecia, China, Commodity, FED, Volkswagen) potrebbe
riservarci ulteriori sorprese, magari non tanto piacevoli,
verso la fine dell’anno. Il leit motiv per i prossimi due mesi
saranno linkati ancora alle decisioni di due grandi banche
centrali, quella cinese e quella statunitense. La prima
potrebbe nuovamente intervenire per prestare ancora supporto
tanto alla divisa cinese quanto ai corsi dei mercati azionari
di Shanghai & Company. La seconda invece dovrà decidersi su
questo tanto annunciato ed atteso rialzo dei tassi dando avvio
ad un ciclo bearish per gran parte del mondo obbligazionario.
In Europa anche la BCE potrebbe ulteriormente amplificare il
proprio operato sia dal punto di vista quantitativo che
qualitativo per imprimere maggiore propulsione alla crescita
economica europea, tutto sommato abbastanza asfittica se
rapportata alla convergenza favorevole di molti parametri
macroeconomici. A mio avviso per la fine dell’anno due
potrebbero essere i drivers che muteranno le aspettative degli
operatori istituzionali e pertanto il comportamento dei
mercati tanto azionari quanto obbligazionari. In primis
l’esito delle elezioni in Spagna: la riconferma di Rajoy
rappresenterebbe la fine dei movimenti europopulisti proprio
come ha recentemente dimostrato il Portagallo. Per dirla con
una terminologia colorita, tanto rumore per nulla: alla fine
quando si è in cabina con la scheda e la matita tra il baratro
e l’indefinito si preferisce una amara certezza (anche noi
italiani abbiamo fatto lo stesso nel Maggio 2014), Il secondo
driver invece è rappresentato dallo scenario di landing cinese
ovvero come verrà gestito dalle autorità cinesi (in sintesi
dal Presidente Xi Jinping) l’attuale fase di rallentamento
economico a seguito della transizione al nuovo modello di
sviluppo economico unitamente alla mitigazione e sgonfio delle
due bolle interne (mercato azionario ed immobiliare). Inutile
ricordare che un ulteriore peggioramento del quadro macro in
Cina avrebbe pesanti conseguenze e ricadute per tutti i
mercati e per tutte le macro aree geografiche.
TASSISTA APRIPISTA
Sono sicuro che molti di voi si ricorderanno la evergreen dal
titolo Joe Le Taxi interpretata nel 1987 da Vanessa Paradis
(la ex-moglie di Johnny Depp per darvi qualche coordinata di
riferimento). Il 45 giri in vinile rappresentò uno dei più
grandi apripista durante la fine degli Anni Ottanta quando
iniziavano a nascere i primi grandi locali da ballo che
avrebbero raggiunto l’acme nel successivo decennio. La canzone
quando venne lanciata per la prima volta veniva trasmessa
anche 500 volte la settimana da ogni emittente radiofonica
francese: il sound dallo stile pop che caratterizza quel brano
è ancora oggi un apripista nelle serate di revival musicali.
Il testo della canzone racconta di un simpatico ed utile
tassista francese (Joe appunto) che intrattiene i suoi clienti
durante i vari tragitti che effettua lunga la città con musica
in stile rumba, raccontando a loro il lifestyle notturno di
Parigi. Per quanto il tassista Joe possa essere stato utile
all’epoca questo non significa che oggi possiamo considerare
ancora tale questa professione. In rete e nei social è pieno
di petizioni e catene virtuali di email che chiedono a gran
voce la riduzione del numero dei senatori, la revoca dei
vitalizi oppure la diminuzione dei loro emolumenti mensili,
come se l’unica casta fosse quella dei parlamentari.
Nessuno invece parla mai dei tassisti, il mestiere più
obsoleto ed ormai inutile del mondo che non ha alcun futuro
già nei prossimi cinque anni a fronte del progresso
tecnologico che stiamo vivendo. Non vedete manifestazioni
contro i tassisti, caso mai il contrario: manifestazione dei
tassisti contro Uber o contro il car sharing. I tassisti di
oggi sono dinosauri che camminano, la loro estinzione è già
annunciata, si tratta solo di capire se avverrà con il sangue
oppure con il silenzio. Fermatevi a riflettere un momento,
questa categoria professionale ha avuto un senso di esistenza
fino a quando non sono arrivati prima i navigatori GPS a buon
mercato e successivamente l’era degli smart phone e delle loro
applicazioni. I tassisti rappresentano una casta a tutti gli
effetti, quando qualcuno o qualcosa rischia di compromettere
il loro strapotere o minaccia la loro esistenza, eccoli pronti
a mobilitarsi con accanimento contro il naturale progresso
tecnologico e contro la vostra convenienza. Pensate che tra
cinque anni ve ne sarà ancora bisogno ? Già oggi se ne
potrebbe far a meno, con indiscutibili vantaggi per gli
utenti, la qualità dell’aria che respiriamo, la viabilità
delle strade e i costi delle assicurazioni. Andiamo per gradi.
In pochi sanno che proprio noi italiani (o almeno un centro di
ricerca universitario di Parma denominato Vislab) ha ideato e
venduto ad un developer californiano il primo brevetto di un
auto intelligente ovvero che si guida e si pilota da sola
senza interazione umana. Si tratta proprio di un auto di serie
che ti porta a destinazione senza che nessuno sia alla guida.
Non sono gli unici al mondo. In Olanda esista già il bus
navetta che si guida da solo, si chiama Wepod, mentre a Tokyo
sono già in funzione cinquanta taxi completamente autonomi. Il
colpo di grazia o la killer application per l’intera
professione sarà comunque la G-Car ovvero la Google Car.
Sostanzialmente si tratta di un miniveicolo in stile Smart a
trazione elettrico che metterà a dormire per sempre Joe Le
Taxi & Company. Non stiamo parlando di qualcosa che sarà
disponibile tra 50 anni, ma al massimo cinque anni sarà
massivamente diffuso nelle grandi metropoli. Sapete come
funzioneranno tutti questi nuovi smart taxi ? Mediante il
vostro smartphone ed una app dedicata invierete la vostra
richiesta di chiamata di un driverless taxi (senza
conducente). La app comunica alla centrale degli smart taxi
dove siete ubicati e quello più vicino, se non occupato o già
prenotato, si mette in strada per venire a prendervi. Quando
arriva, entrerete nell’abitacolo, digiterete su una tastiera
la vostra destinazione e a quel punto vi verrà visualizzato il
percorso che si effettuerà, il costo del servizio di trasporto
e la durata stimata del viaggio. Avvicinerete il vostro smart
phone o la vostra contact less card al sensore di ricezione
del pagamento ed una volta andata a buon fine la transazione,
lo smart taxi si metterà in strada. Il costo del servizio sarà
notevolmente conveniente in quanto mancherà la componente
umana da retribuire e la componente di esercizio usuale come
il carburante.
A quel punto tutta la mobilità delle grandi città ed aree
metropolitane muterà sensibilmente, nessuno avrà più in mente
di acquistare una propria auto per guidarsela da sé, si
preferiranno questi smart vehicle tanto per andare a lavorare
che per gli spostamenti personali quasi quotidianamente, sia
per la convenienza economica e sia per la comodità (pensate
all’incubo del parcheggio quando si arriva a destinazione).
Non vedremo mai più code kilometriche di auto – occupate da un
singolo guidatore – ai vari svincoli delle tangenziali perchè
il numero di veicoli tradizionali subirà una decimazione già
entro i prossimi venticinque anni. Ne beneficerà anche la
sicurezza stradale in quanto il numero di incidenti (causati
dalla distrazione o irrazionalità umana) sarà prossimo allo
zero visto che i sensori degli smart vehicle rispetteranno
alla lettera i limiti di velocità e la segnaletica stradale.
Avremo pertanto anche una qualità dell’aria molto più
confortante, essendo la maggior parte dei nuovi veicoli a
trazione elettrica o ibrida, almeno per quanto riguarda le
aree ad alta densità di popolazione. Le auto come le
conosciamo oggi non scompariranno tuttavia diventeranno una
sorta di hobby molto costoso, solo per il gusto retrò di
acquistarne una e continuare a guidarla in senso tradizionale.
Venendo a mancare la componente umana sulla mobilità di
superficie probabilmente non incontrerete mai più un tassista
come Joe che vi faceva sorridere con i suoi anedotti, tuttavia
a sorridere sarà il vostro stile di vita e soprattutto il
vostro portafoglio.
IL MONDO DI TARA
Sono pronto a fare una scommessa con chiunque sull’argomento
che riguarda questo post ovvero l’evoluzione sociale dei
rapporti umani e delle relazioni affettive nei prossimi
decenni. Partiamo per gradi, ho avuto modo di darne un
anticipo ad inizio anno con un altro redazionale in cui si
raccontavano le gesta di TARA che non rappresenta un nome di
persona quanto piuttosto una sigla ovvero Titanium Assertive
Rearless Android. Naturalmente il termine TARA è frutto della
mia fantasia, pur tuttavia questo non significa che non esista
o meglio che effettivamente esista sotto un altro nome o
acronimo. In Giappone sono ormai da anni già stati varati e
collaudati numerosi prototipi di ultima generazione di
androidi capaci di interagire perfettamente con gli essere
umani. Anche il loro aspetto fisico e la loro mimica facciale
è migliorata notevolmente tanto che in alcune circostanze
dovete veramente toccare TARA per accorgervi che non è un
essere umano. Il Giappone è il paese leader al mondo per la
robotica umanoide, vanta un primato che nemmeno gli USA sono
in grado di surclassare. Il Paese del Sol Levante ha scelto di
gestire il supporto all’invecchiamento della propria
popolazione mediante il ricorso a questi androidi in grado di
interagire con gli esseri umani e poterli assistere
quotidianamente. Può sembrare fantascienza ma è ormai realtà
di tutti i giorni almeno per quanto riguarda il mondo
giapponese: li hanno battezzati ECR ossia Elder Care Robot, in
buona sostanza androidi in grado di prestare assistenza e cure
alle persone anziane o disabili.
Naturalmente il costo di questi surrogati dell’uomo è ancora
molto elevato, un singolo esemplare può costare anche oltre un
quarto di milione di dollari, ma è solo questione di tempo e
poi vedremo il prezzo scendere velocemente verso il basso per
consentire una rapida diffusione di questi dispositivi
umanoidi in grado di interagire senza difficoltà con i veri
esseri umani. Deltronde se ci pensate vent’anni fa un telefono
cellulare basico costava oltre mille euro (Motorola 8700),
mentre oggi apparecchi molto più potenti con decine di
funzioni aggiuntive costano appena qualche decina di euro e si
trovano praticamente ovunque a cominciare dai supermercati.
Quindi anche per il mondo di TARA si tratta solo di aspettare,
forse tra dieci anni saranno disponibili i primi modelli per
il mondo occidentale con le varie interfacce linguistiche ad
un costo inferiore ai 50.000 dollari. A quel punto allora
vedremo in poco tempo la trasformazione della società umana
almeno per quello che riguarda le relazioni sociali. Mettete
in conto che molti di noi quarantenni invecchieranno al fianco
di un modello di TARA che sarà stato programmato per svolgere
le varie funzioni interattive nei confronti del suo imprinter
(l’acquirente che ne sarà anche l’unico fruitore), come ad
esempio l’assistenza alla deambulazione oppure l’effettuazione
quotidiana del check-up medico con dialogo in remoto nei
confronti del medico curante.
Quello che stanno facendo le badanti in Italia ed in altri
paesi occidentali in questi anni lo troveremo scritto nei
libri di storia come fenomeno sociale esauritosi
progressivamente in qualche decennio. Chi non potrà
permettersi l’acquisto di un proprio modello dedicato da
tenere in casa sarà costretto a convivere in nuove strutture
ricettive per la terza e quarta età in cui alcuni modelli di
TARA saranno in condivisione tra i vari pazienti o degenti. Un
altro settore in cui troveranno vasto utilizzo i futuri
modelli di TARA saranno quelli legati alla sfera affettiva in
tutte le sue possibili sfumature. Molti di voi adesso
sorrideranno, tuttavia è solo una questione di tempo, come ho
già detto e successivamente si avrà la possibilità di avere
una compagna/o di vita con cui interagire privatamente per la
propria sfera personale. Vi saranno persone (più di quante
immaginate, tanto maschi quanto femmine) che sceglieranno un
partner cibernetico, il quale sarà stato programmato in base
alle proprie esigenze e stile di vita. Si potrà pertanto avere
il modello TARA in grado di accudire la propria abitazione, di
preparare pasti caldi o anche di erogare svariate forme di
prestazione sessuale. Il matrimonio come oggi lo conosciamo
diventerà un comportamento sociale arcaico tanto quanto era
vivere all’interno di una tribù alcuni migliaia di anni fa.
Lo scorso anno è uscito sul grande schermo il film Her con
Joaquine Phoenix che consiglio di vedere in quanto rappresenta
uno spaccato di vita tra qualche decennio a cui ci dovremo
abituare. Il 50% dei rapporti coniugali (suggellati dal
matrimonio) vanno in default entro il terzo anno: questo in
Italia, mentre in altri paesi questa percentuale di unsuccess
rate è addirittura molto più elevata. Purtroppo è triste dirlo
ma ormai il matrimonio rappresenta un rapporto giuridico ormai
obsoleto per il mondo che stiamo vivendo e sicuramente non
sarà idoneo per il futuro che ci attende. Pertanto il quadro
che si delinea davanti agli occhi nei prossimi decenni è
piuttosto chiaro: solo un evento funesto esogeno potrebbe
modificarne il risultato atteso. Molti di noi quarantenni
magari non ci sposeremo ma è molto probabile che durante la
nostra vecchiaia dopo i settant’anni saremo assistiti (chi
potrà permetterselo) da un modello cibernetico di TARA. Non
stupitevi se invece chi nasce oggi nei prossimi tre decenni
potrebbe concepire l’idea di avere come compagna/o di vita un
modello avvenente, premuroso, gentile, educato, rispettoso o
semplicemente passionale di TARA o TARO (giustamente
battezzato per la clientela femminile). La vita di coppia
matrimoniale riconducibile ai valori ed ideali cristiani, il
desiderio (naturale) di avere figli o la conduzione di una
famiglia in stile Mulino Bianco rappresenteranno modelli di
comportamento sociale del passato a cui si guarderà con
repulsione e diffidenza. Per quanto la società del nuovo
millennio si potrà evolvere, già oggi abbiamo la certezza che
si passerà da uno stadio di infelicità ad un altro.
DISCO SBOOM
Se c’è qualcosa di cui ho nostalgia sono gli anni Novanta:
avevo da poco terminato le scuole superiori, iniziavo ad avere
qualche banconota da centomila lire in tasca ogni settimana,
mi apprestavo a studiare economia all’università ed avevo la
patente di guida da qualche anno assieme ed una modesta
utilitaria usata per dare sfogo alle prime scorribande
giovanili. All’epoca i miei genitori misero al bando il
motorino o suoi fac-simile e pertanto passare dalla bicicletta
ad un proprio mezzo di locomozione a 60 cavalli fu come andare
sulla Luna. All’epoca Facebook non esisteva, al pari di
internet e della Play Station, i ragazzi e le ragazze di quel
periodo avevano un solo unico mantra: la discoteca. Tra il
1990 ed il 1999 si sono vissuti i dieci anni più entusiasmanti
e carismatici di ogni epoca giovanile del passato. La
discoteca per chi allora era appena ventenne rappresentava una
sorta di Second Life, un mondo parallelo che iniziava alle
22.00 e terminava di solito alle 04.00 del giorno successivo.
Vi erano riviste settimanali dedicate al mondo della notte,
negozi specializzati esclusivamente all’abbigliamento per i
locali da ballo (qualcuno forse si ricorda ancora la catena di
shop denominata Inferno & Suicidio), trasmissioni radiofoniche
e televisive che intervistavano i dee jay ed i vari producer
musicali che lanciavano periodicamente il sound riempipista
per ogni stagione, due su tutti Please Dont’Go o Rhythm is a
Dancer. E poi c’erano loro, le discoteche, queste arene di
ballo e sballo, icona simbolo del popolo della notte. Tutto
questo ora fa parte, purtroppo, del passato, scomparso quasi
fosse solo stato una meteora, proprio come è scomparso quella
tipologia di divertimento tutto sommato molto più genuina e
spontanea rispetto al comportamento amorfo dei giovani di oggi
tutto incentrato sulle interazioni virtuali dei social network
e sulla assuefazione da slideshot di smartphone & company.
Chi oggi ha vent’anni e pertanto era appena nato durante quel
decennio, non ha nemmeno idea di che cosa si è perso e di che
cosa non ha potuto toccare con mano. Ricordo che allora tra i
tanti disco club che frequentavo (venerdi, sabato e domenica)
ve ne erano alcuni che facevano anche duemila ingressi a sera
con le relative code in auto per avvicinarsi ai vari
parcheggi. Tra noi ventenni si fantasticava spesso quanto
avesse incassato la tal discoteca a fronte della serata che si
era trascorso la sera prima, di quanto tempo avevi dovuto
aspettare ai bar interni prima di essere servito o a quanto
tempo ci si impiegava per farsi accreditare alle liste dei PR
come guest in modo da entrare con una tariffa scontata di
cortesia (diecimila lire quando ti andava bene, altrimenti
erano venti o anche venticinquemila). Molti di noi sognavano
di diventare un giorno gestori di un locale da ballo perchè
sembrava un mestiere gratificante, socialmente molto invidiato
ed anche molto ben retribuito. Sembrava appunto. Meno male che
nessuno di quelli che apparteneva al mio cerchio magico ha
intrapreso quella strada. Già nei primi anni del 2000 la
musica era cambiata, ma non quella delle piste, quanto quella
dei gestori e proprietari stessi, ingressi costantemente in
calo (quasi fosse stata una maledizione l’entrata nell’euro o
lo spauracchio del millennium bug), clienti potenziali con
sempre meno il desiderio di cavalcare musicalmente la notte,
quasi come se il tutto si fosse ormai trasformato in una
spocchiosa moda passeggera.
Sono passato di sera alcuni mesi fa innanzi ad alcune
discoteche storiche del vicentino e mi si è fermato il cuore.
Boom, Expo, Macrillo, Decò, Dimodà sembrano diventate macerie
post bombardamento o edifici abbandonati a causa di un sisma.
La sensazione che si prova fermandosi a ricordare come
pulsavano di vita appena due decenni prima quelle discoteche è
devastante, soprattutto per chi da giovane in quei locali ha
vissuto la gran parte dei primi approcci con l’universo
femminile. Questo non vale solo per Vicenza, ma quasi ovunque,
da Jesolo a Rimini, da Milano a Palermo, la discoteca non
esiste più o se non altro non esiste più quel tipo di
discoteca ed il night life ad esso collegato. All’epoca non
esistevano i selfie o le macchine fotografiche digitali:
rimpiango di non aver mai portato in discoteca anche una
vecchia Polaroid per immortalare uno di quei momenti, in mezzo
alla pista o sul priveè con qualche cubista in pedana. Pensare
invece che oggi si va in questi pseudo-locali che si fanno
chiamare disco-club con il fine unico di farsi fotografare con
l’amico/a di turno per postare la foto su qualche social
aspettando il commento degli altri: più che dance club si
dovrebbe chiamare mind hospital.
La droga esisteva anche allora, ma in quantità molto più
modesta rispetto ad oggi ed era soprattutto sintetica
(Spectrum e Starlight erano le pastiglie di ecstasy più
diffuse). L’ultimo flashback che ricordo di quel periodo
risale al 1999, quando all’interno di una toilette maschile
vidi adagiato sul pavimento un giovane ragazzo in overdose con
una siringa in mano. Chi oggi è adolescente forse non ha
conoscenza di quel tragico fenomeno giovanile che ha
caratterizzato sempre quel decennio: le stragi del sabato
sera, di cui adesso non sentite più parlare grazie ad auto
moderne molto più sicure e grazie all’aumento sistematico dei
controlli sulle strade. Personalmente sono stato vittima di
due incidenti quasi mortali a distanza di due anni l’uno
dall’altro con l’auto semidistrutta o scaraventata giù da una
scarpata. Miracolasamente ne sono uscito illeso. Molti amici e
conoscenti invece li ho persi in quanto la sorte ha riservato
loro un trattamento diverso. Il mondo delle discoteche degli
anni Novanta ci ha prima sorpreso ed entusiasmato con il suo
boom e successivamente shoccato e rattristato con il suo
sboom: quello che ad inizio 1990 sembrava una miniera d’ora
appena dieci anni dopo si era trasformato in una catapecchia
abbandonata. Probabilmente quel decennio ha rappresentato per
il nostro paese il culmine di una fase di crescita e benessere
economico che ha prodotto un desiderio di spensieratezza e
divertimento il quale ha trovato sfogo e materializzazione
proprio nel mondo della notte legato alle discoteche. Non
rivedremo mai più niente del genere, semmai qualcosa
diametralmente opposta.
LOTTERIA SODOMIA
Dal punto di vista mediatico i prossimi mesi ci permetteranno
di assistere all’apoteosi del qualunquismo cattocomunista e
della propaganda radical chic. A mio modo di vedere dobbiamo
imparare a metabolizzare il tutto come se fosse una sorta di
nuovo reality dal taglio molto comico: penso sia l’unico modo
per passare l’inverno senza avere la nausea ogni volta che ci
si sintonizza su un emittente nazionale per ascoltare un
approfondimento sui principali fatti di cronaca. Adesso
infatti tutta l’attenzione mediatica è focalizzata sul muro in
costruzione in Ungheria e sulla sua principale funzione ovvero
fermare l’avanzata e l’ingresso di clandestini provenienti
dalle aree balcaniche attraverso il confine serbo. In realtà
usare il termine muro è improprio e fuorviante, trattasi nello
specifico di una semplice rete metallica di filo spinato
presidiata da forze militari come dovrebbe essere ogni confine
nazionale. Un paese sovrano come l’Ungheria ha decretato che
attraversare questo muro o rete di contenimento senza i
relativi permessi rappresenta da qualche giorno un crimine
punito fino a tre anni di reclusione. La propaganda buonista
in Italia ovviamente condanna ferocemente il governo
ungherese, al pari di come stanno facendo alcune istituzioni
internazionali tipo l’ONU e parte dell’Unione Europea,
quest’ultima entità astratta che può essere considerata come
la causa primaria di quanto sta accadendo attorno ai suoi
confini, volutamente non presidiati per ragioni di cui abbiamo
parlato in altri post.
Si è arrivati a paragonare l’Ungheria alla Germania Nazista
per innalzare il tono della conversazione e porre in cattiva
luce questa nazione europea che si comporta da sovrana sul
proprio territorio, proprio come dovrebbe essere. Stando ai
vari giornalisti buonisti e commentatori di sinistra, questo
muro è una vergogna per l’intera umanità e per le vicende che
caratterizzano quest’epoca infelice. Peccato che sia solo
questo muro che scandalizza così tanto, nessuno infatti si
sogna di contestare o mettere in discussione il muro che ha
alzato Israele nei confronti della Cisgiordania (un tempo
provincia siriana), un muro di cemento cinque volte più lungo
di quello ungherese, con la differenza che quello israeliano
non è una rete metallica ma una invalicabile barriera di
cemento. Stranamente tale muro trova il consenso di tutta la
propaganda buonista, anzi si è arrivati a ribattezzarlo con il
termine di barriera di sicurezza, mentre quello ungherese è
stato definito il muro della vergogna anche se di fatto stiamo
parlando di una reticolo metallico. Costruire muri, protezioni
e cercare di difendersi fa parte della natura di ogni essere
animale, essere umani compresi, pensiamo solo a quanti animali
lo fanno quotidianamente con vari espedienti al fine di
sentirsi protetti da chi è da loro diverso: è naturale cercare
difesa quando si viene aggrediti o si teme per una potenziale
aggressione o pericolo.
In rete è pieno di filmati che mostrano come la censura
mediatica occidentale abbia operato in questi mesi per evitare
di far vedere chi sono veramente i clandestini che adesso sono
stati battezzati migranti economici. Su uno degli ultimi
servizi giornalisti che ho visto, la reporter parlava di
profughi in fuga dal loro paese, citando il Pakistan, la
Nigeria, il Bangladesh: peccato che in nessuno di questi paesi
via sia in corso una guerra civile. Se fossimo in un altra
epoca staremmo già in pieno conflitto civile, tuttavia grazie
ad un instupidimento globale reso possibile dai social network
e da una educazione e formazione scolastica ormai aberrante,
il livello di autocoscienza medio delle persone si è
notevolmente abbassato. Abbiamo compreso che questi flussi di
immigrazione clandestina servono all’Unione Europea per
rafforzarsi demograficamente consentendo in questo modo la
sostenibilità finanziaria di tutti i propri sistemi di welfare
e retirement. Gli USA per chi non lo sapesse gestiscono il
tutto con la Green Card Lottery conosciuta ufficialmente con
il termine di Diversity Immigrant Visa Program istituita nel
1990 con l’Immigration e Nationality Act. Sostanzialmente si
tratta di una vera e propria lotteria che assegna a caso un
numero massimo di 55.000 permessi di residenza permanente a
immigrati provenienti da paesi con un basso tasso di
immigrazione nei confronti degli USA stessi.
Gli USA non possono essere considerati come l’Europa, in
quanto trattasi di una nazione giovane (se rapportata ad
altre) che è nata ed ha preso forma proprio con l’immigrazione
di risorse umane da altre parti del mondo essendo stata una
terra vergine poco abitata (tralasciando il vergognoso
sterminio indiano). Nonostante questo ancora ad oggi è il
paese in cui le tensioni e le differenze razziali e sociali
sono tre le più acute e problematiche di tutto il mondo.
Nemmeno gli USA tuttavia sono sono stati cosi folli da
rilasciare mediante lotteria il visto a chiunque, vi sono
immigrati di alcuni paesi che sono considerati non eligibili
ovvero non possono in ogni caso partecipare all’estrazione a
sorte della Green Card. Tra queste nazioni troviamo ad esempio
l’Etiopia, l’Egitto, la Nigeria, il Pakistan, il Bangladesh,
la Colombia e cosi via: la lista di questi paesi varia nel
tempo a seconda delle guide linea del Dipartimento di Stato.
Quindi anche nei confronti di coloro che grazie alla sorte
potranno entrare negli USA con un regolare permesso di
residenza, l’America attua una selezione sulla base di criteri
sia statistici che demografici. Da circa un anno invece
l’Unione Europea ha voluto varare un programma molto più
audace e conveniente (tuttavia senza alcuna legittimazione)
incentrato sulla condotta del Just Come, Then Enter ossia il
primo che si presenta sui nostri confini da clandestino entra
senza difficoltà e ottiene una serie di benefici economici a
discapito di chi invece decide di entrare per vie legali e
spesso molto costose: alcuni l’hanno battezzata Lotteria
Sodomia.
DIVENTEREMO CATTIVI
Durante il Terzo Reich, con l’intento di promuovere il plagio
dell’ideologia nazionalsocialista in Germania, venne istituito
il Reichsministerium fur Volksaufklarung und Propaganda, più
conosciuto come il Ministero della Propaganda affidato a
Joseph Goebbels incaricato di controllare la cultura nazionale
e tutte le sue possibili manifestazioni ed espressioni. Per
quanto ancora oggi guardiamo a questa istituzione del Governo
di Hitler prendendone le dovute distanze, è doveroso ricordare
che quel ministero venne istituito a fronte di un governo
democraticamente eletto dalla Germania di allora in cui il
programma di governo era stato ben delineato, spiegato e
illustrato (a parte ovviamente la Soluzione Finale). Chi
avesse all’epoca votato per il Partito Nazionalsocialista
aveva ben presente che cosa avrebbe fatto il nuovo governo per
la Germania almeno nei primi anni di vita. Sappiamo poi come
il tutto è degenerato negli anni successivi e a che
conseguenze ci ha condotti. Ora spostiamoci ai tempi nostri,
in particolar modo in Italia e facciamo una riflessione: chi
sta guidando il Paese non è stato eletto da nessuno, non fa
nemmeno parte del Parlamento come deputato o senatore.
Soprattutto quanto sta realizzando a fronte di una propaganda
buonista di cui in precedenza nessuno è mai stato notiziato.
Prima di lui, ci aveva già provato anche il suo predecessore,
ma almeno aveva avuto il tatto diplomatico di iniziare con un
piccolo passo di rottura con il passato, seppure molto
contestato (leggasi Kyenge con Letta).
In buona sostanza oggi l’intero Paese deve accettare
sommessamente la propaganda buonista di una parte politica che
si erige a detentrice della verità assoluta quasi il suo
leader fosse un nuovo fuhrer il cui credo non viene più prima
conosciuto e successivamente abbracciato o respinto, quanto
tuttavia solamente imposto al pari di un dogma. Così è perchè
qualcuno ha deciso che si deve fare in tal senso. La
propaganda propone in prima serata sulla prima rete nazionale
una penosa fiction dal nome che è tutto un programma Anna e
Yussef per spingerci ad abbracciare ancora più fermamente il
loro punto di vista imposto dall’alto. Vi dovete integrare,
siete obbligati a farlo, questo è stato deciso da qualcuno nel
vostro interesse, pertanto tutti coloro che la pensano
diversamente rappresentano il male della nazione o una
minaccia per l’umanità essendo in contrasto con gli ideali
cristiani su cui questo Paese si fonda. Pensateci un momento:
vi è mai stato un partito politico il cui programma di governo
prevedeva le frontiere aperte a tempo indeterminato, l’assenza
di controlli e limitazioni sui flussi di immigrazione o le
sovvenzioni economiche quotidiane per i diversamente italiani.
Nessuno si è mai sognato di mettere sulla propria agenda
niente di tutto questo. Casomai l’esatto contrario. Una scelta
di governance di questa portata epocale è stata implementata a
fronte di nessuna espressione di consenso popolare e né tanto
meno legittimazione. Semplicemente chi governa il Paese ha
decretato o meglio dire imposto a tutti che così si deve fare
e così si farà.
Siete mai stati chiamati a votare per esprimere il vostro
parere sulla questione ? Vi è mai stata una consultazione
popolare del tipo: vuoi integrarti con culture diverse da
quella tua oppure vuoi che lasciamo aperte le frontiere senza
alcun tipo di controllo in modo che possa entrare chiunque lo
desideri ? Niente di tutto questo vi è mai stato chiesto. Se
ci fossero le elezioni politiche nei prossimi due mesi il
primo partito diventa la Lega Nord, ne ho la assoluta
convinzione. Mi bastano le impressioni e la frustrazione che
hanno centinaia e centinaia di persone (operai, pensionati,
imprenditori, autonomi) che sino a qualche anno fa erano tutto
sommato moderati e ben disposti a supportare l’immigrazione,
ma ora stanno montando un desiderio di vendetta, la rabbia
hanno visto che non porta da nessuna parte. Non è casuale che
chi governa adesso proponga l’azzeramento delle imposte sulla
prima casa, deve infatti cercare di preservare quel consenso
vitale per il suo piano di azione. Mi auguro che questa volta
si riduca sensibilmente la parte di italiani che si faranno
comprare con il denaro, ricordando le conseguenze che
scaturirono dai famosi 80 euro in busta paga. All’estero
conoscono più Salvini che Renzi, e proprio sul primo ripongono
maggiori speranze ed aspettative. Quando sento un ex-attivista
del PD che mi dice che preferiva il tempo in cui c’era
Berlusconi, forse significa che vi è speranza in un cambio di
rotta. Si continua ad invocare Shengen a giustificazione di
quanto sta accadendo, tuttavia si dimentica che Shengen ha lo
scopo di consentire la libertà di circolazione di capitali e
persone a fini lavorativi da un paese all’altro (mi sposto
perchè in Francia ho ricevuto una migliore offerta di lavoro)
e non per sfruttare o beneficiare del welfare di un altro
stato (mi sposto per sfruttare l’altrui assistenza sanitaria).
Proprio come è stato subdolamente acquisito il consenso,
mediante una retorica perniciosa ed una propaganda fuorviante
facendo leva sul vil denaro (pensiamo agli 80 euro ed al voto
durante le elezioni europee di Maggio 2014) sarà tuttavia
proprio quest’ultimo che consentirà di pareggiare i conti.
Denaro ed ancora denaro. Quando la gran parte degli italiani
si renderà conto di quanto diminuiranno il valore delle
proprietà immobiliari in cui hanno investito o in cui vivono a
causa degli effetti deleteri di una immigrazione clandestina e
selvaggia, che impatterà sul patrimonio di immobili
residenziali soprattutto delle aree urbane popolari, allora
vedrete quanto diventeremo cattivi. Ne avete avuto un primo
assaggio qualche mese fa con episodi di tensione e scontro
sociale (mai visti prima) proprio dalle mie parti. Non si
tratta più di andarsene via dall’Italia per l’oppressione
fiscale o per la geronto-burocrazia omnipresente, quanto
piuttosto per allontanarsi e lasciarsi alle spalle il disagio
ed il contrasto sociale che si percepirà in misura
insopportabile nei prossimi anni. Alcuni colleghi statunitensi
mi hanno chiesto se abbiamo perso come italiani completamente
il buon senso o la ragione: negli USA non sono riusciti ad
integrarsi in cinque secoli mentre noi dovremmo avere la
presunzione secondo chi ci governa di farcela in cinque anni.
Quello che aspetta gli italiani che rimarranno nella loro
terra nativa rappresenterà un incubo o il peggio dei due mondi
(stagnazione economica e intolleranza sociale in progressiva
ascesa). Sono pronto a scommettere che tra 25 anni in Italia
chi oggi ha figli, invidierà chi non li ha avuti o ha scelto
di non averli.
QUELLI DELLA CRESCITA
Chi ha studiato economia ha ben presente come via siano due
opere scritte da due economisti britannici che con il pensiero
in esse rappresentato tutt’oggi rimangono le colonne portanti
della dottrina economica classica e neoclassica. La prima
opera in ordine cronologico è il Saggio sulla Ricchezza della
Nazioni di Adam Smith (1723-1790) essenzialmente incentrato
sulle cause e ragioni che producono la ricchezza di un Paese
ed il modo in cui tale ricchezza viene ridistribuita fra le
varie classi sociali. Secondo Smith, la ricchezza di una
nazione viene percepita come l’insieme dei beni prodotti
suddivisi per l’intera popolazione. Motore e generatore di
questa ricchezza è il lavoro ed il modo in cui esso può essere
incrementato grazie ad una suddivisione specialistica delle
mansioni e dei vari cicli di produzione. Tale divisione nel
mondo del lavoro produce di conseguenza un continuo
miglioramento dell’abilità di ogni lavoratore, la riduzione
del tempo necessario a implementare determinati passaggi
produttivi ed infine l’emergere di processi di innovazione
continua che producono a cascata innovazione tecnologica la
quale a sua volta migliora la produttività individuale di ogni
lavoratore e pertanto la ricchezza complessiva di una nazione.
Circa 250 anni fa l’innovazione era pertanto già percepita
come volano della crescita economica. La seconda opera di
riferimento è la Teoria generale dell’occupazione,
dell’interesse e della moneta, edita nel 1936 da Sir John
Maynard Keynes (1883-1946), economista inglese di Cambridge,
considerato il padre dell’odierna economia neoclassica.
Le sue opere hanno nel tempo dato vita al pensiero keynesiano,
quest’ultimo incentrato sull’importanza e necessità
dell’intervento pubblico nell’economia mediante misure di
espansione monetaria, qualora una insufficiente domanda
aggregata non riesca a garantire la piena occupazione, in
particolare nella fase di crisi economica esogena. In buona
sostanza la cosidetta mano invisibile, secondo Keynes, poteva
in alcune circostanze non funzionare e pertanto non essere in
grado di produrre nuova ricchezza. Con il termine mano
invisibile, l’economista Smith circa due secoli prima,
intendeva identificare quell’insieme di meccanismi economici
che regolano il mercato in modo tale da garantire che il
comportamento dei singoli, teso alla ricerca della massima
soddisfazione individuale, conduca al benessere della società.
Secondo Keynes pertanto l’intervento dello Stato era di vitale
importanza al fine di stabilizzare e rilanciare la propulsione
economica di una nazione: questa sua visione venne abbracciata
in toto dal New Deal del Presidente Roosevelt durante gli anni
della Grande Depressione. Secondo Keynes quindi la crescita e
di conseguenza la ricchezza di una nazione sono strettamente
correlate alla capacità delle autorità monetarie di poter
agire dinamicamente e proattivamente sulla quantità di moneta
in circolazione con il fine di creare impulso ai consumi e
quindi alla domanda aggregata. Queste teorie sono affascinanti
ed eleganti al tempo stesso, specie se ricondotte alle epoche
storiche in cui sono state entrambe concepite.
Tuttavia pensare di risolvere i problemi odierni (crescita,
occupazione, sostenibilità finanziaria del debito) mediante il
ricorso alle linee guida di questi due grandi economisti del
passato è profondamente fuorviante. Sarebbe infatti come
pensare di risolvere i problemi di produttività di una moderna
linea di montaggio continuando a ipotizzare che l’energia
prodotta per muovere il nastro trasportatore derivi ancora da
una macchina a vapore piuttosto che da un moderno ed
efficiente motore elettrico. Quando Smith e Keynes usarono le
loro abilità intellettive per concepire le due teorie
economiche a loro riconducibili, le popolazioni delle nazioni
più ricche sulla Terra non stavano attraversando una fase di
stallo e declino demografico, caso mai esattamente l’opposto.
In sintesi estrema studiare l’economia di un paese, di una
nazione o di una macro area geografica significa analizzare e
proiettare in avanti i dati demografici e le dinamiche di
attesa della componente demografica. Se vi fermate a
riflettere un momento, né un copioso apporto di innovazione
tecnologica (il web 3.0 e tutto quello che questo ha
introdotto) e né il più ambizioso ed audace piano di
espansione monetaria attuato dalle autorità centrali europee
sta producendo una significativa crescita economica in Europa.
Solo una convergenza fortuita di alcune variabili economiche
(petrolio, cambio euro/dollaro e costo del denaro) al momento
sta alimentando le timide speranze di poter avere una crescita
economica in Europa di rilievo e ben augurante per il futuro.
Senza ripresa demografica o meglio ancora boom delle nascite
non vi possono essere le condizioni per una crescita economica
vigorosa e frizzante in grado di dare conforto ad altre
variabili economiche quali il debito pubblico, il peso del
welfare sul PIL e soprattutto la sostenibilità finanziaria
infragenerazionale delle rendite pensionistiche. Tutti i paesi
leader ad economia di mercato sono caratterizzati da questo
elemento in comune ovvero il crollo del fertility rate al
quale si affiancano i processi di invecchiamento della
popolazione: tale fenomeno è particolarmente vistoso e
preoccupante proprio nel Vecchio Continente, considerato la
culla di tutti i sistemi di welfare e retirement avanzato.
Rappresenta una priorità nazionale per ognuno di loro trovare
la soluzione pratica per risolvere il deficit demografico. Da
come ormai è piuttosto evidente, la strategia messa in atto è
quella di attuare fenomeni di importazione di risorse umane da
paesi prossimi o contigui, in cui i costi di trasferimento ed
insediamento non vengono fatti più di tanto pesare alle
singole fiscalità di ogni paese (tranne qualcuno che
stupidamente per una bieca governance è disposto a pagare il
conto per tutti). Non potendo aspirare ad un boom demografico,
si è deciso di dar vita ad un trasferimento di risorse a
valenza demografica da altre nazioni. Tra un quarto di secolo
potremo dire se ne sarà veramente valsa la pena oppure se non
fosse stato il caso di concepire nuovi modelli di sviluppo
economico per nazioni con risorse limitate e crescita
demografica sterilizzata.
NEW BLACK MONDAY
Sono passati ormai sette anni dall’ultimo lunedi nero (black
monday) che meriti questo appellativo: stiamo parlando del 15
Settembre 2008, il fallimento istituzionale di Lehman
Brothers, il giorno in cui ufficialmente come data cronologica
inizia la Grande Recessione della nostra epoca, il giorno in
cui tutto il mondo scopre che le grandi banche internazionali
hanno i piedi d’argilla e la maggior parte degli asset
finanziari in circolazione sono tossici. Inizia l’era
mediatica della crisi moderna con una sovraproduzione di
trasmissioni televisive di approfondimento sul perchè è
accaduto quello che è successo, sui possibili futuri scenari e
sulle conseguenze dirette ed indirette per risparmiatori e
contribuenti. In questi ultimi sette anni siamo abbiamo visto
numerosi episodi di isteria e panico finanziario entrambi
hanno prodotto con modalità diverse nuovi episodi di
instabilità e turbolenza finanziaria che hanno portato a nuove
bolle: pensiamo solo alla crisi del debito sovrano in Europa o
alla crisi politica che ha colpito l’Italia nel 2011. Il 24
Agosto di quest’anno si è ripresentato sulla scena dei mercati
finanziari un nuovo episodio di panico mondiale scaturito
dalle problematiche che stanno caratterizzando la Cina e di
riflesso altri paesi dell’Est asiatico.
In buona sostanza stanno prendendo forma le paure di molti
analisti che nei mesi precedenti avevano allertato come in
Asia si stessero ripresentando le medesime condizioni di
mercato che portarono all’esplosione della bolla statunitense
riguardante i mutui subprime. In aggiunta a questo abbiamo
anche la follia finanziaria che ha contagiato circa 100
milioni di piccoli risparmiatori cinesi i quali hanno
investito in misura consistente sulla borsa cinese andando
anche a contrarre prestiti personali pur di poter partecipare
al rialzo (sperato ed atteso) delle quotazioni cinesi. Lo
stesso avvenne negli USA durante il 1929, il cluster del
comportamento umano è esattamente medesimo ovvero compero
azioni perchè ho sentito dire che saliranno, se non ne ho la
possibilità, non importa perchè faccio un prestito e investo
interamente tutto l’importo nell’attesa di diventare ricco.
Sembrerà una follia, tuttavia è proprio quello che è accaduto.
La prima regola da rispettare quando si decide di effettuare
un investimento rischioso (azionario
di investire esclusivamente solo il
permettere di perdere interamente
modifichi il proprio stile di vita:
the money you can afford to lose.
o speculativo) è quella
denaro di cui ci si può
tutto senza che questo
you have to invest only
Ora abbiamo visto che la pesante contrazione di questo lunedì
(oltre il 6% in Europa) è stata riassorbita nelle giornate
successive di negoziazione quasi completamente, tuttavia
questo non significa che il panico che ha colpito i mercati
sia stato irrazionale o che la questione sia archiviata come
un momento di ordinaria follia. Anzi. Questa seconda parte
dell’anno sarà caratterizzata da notevole volatilità e amare
sorprese dietro l’angolo (alcune anche molto negative):
abbiamo la vicenda greca che ritorna in auge dopo trenta
giorni di rarefazione e calma politica con una nuova
consultazione elettorale in settembre, in ottobre avremo le
elezioni in Portogallo e Spagna (con l’incognita Podemos),
sempre nello stesso periodo la FED potrebbe annunciare il
tanto atteso e fatidico rialzo dei tassi con ripercussioni
dirette su tutto il mercato obbligazionario. La caduta del
greggio ha compromesso la stabilità di Medio Oriente, Russia,
Brasile e Venezuela, in Asia abbiamo una pentola a pressione
che sta fischiando da tempo il cui coperchio è stato sigillato
con due morsetti del Meccano nella speranza che non esploda.
In passato ho parlato della shampoo economy ovvero un modello
di sviluppo economico su cui hanno fondamento tutte le
economie avanzate il quale genera periodicamente bolle
speculative che saltuariamente esplodono obbligando
l’intervento delle autorità monetarie per garantire la
stabilità e la fiducia. In Cina al momento abbiamo due bolle
in corso, quella immobiliare e quella finanziaria sui mercati.
Non ci scommetterei che le autorità cinesi saranno in grado di
gestire razionalmente il tutto, il deterioramento economico
cinese produrrà conseguenze devastanti su scala planetaria.
Aspettatevi
pertanto
che
questa
fase
di
mercato
possa
peggiorare in misura anche significativa nei prossimi mesi
imponendo ovunque misure eccezionali per contenere la
volatilità e la tensione dei mercati come ad esempio limiti
alle transazioni dei capitali o peggio anche il congelamento
delle quotazioni per diverse sedute (in Grecia sono stati
quasi un mese a Borsa chiusa). I gestori multiasset hanno
implementato in queste ultime settimane un flight to quality –
spostamento e posizionamento su asset considerati sicuri –
verso i titoli di stato europei e statunitensi sino a qualche
tempo fa snobbati. La spia ora è in modalità risk-off, un
termine che si usa in gergo tecnico per evidenziare una fase
di mercato in cui vi è bassa propensione al rischio a causa
della percezione di un clima macroeconomico nel complesso
incerto e turbolento e per questo motivo gli investitori
istituzionali procedono a smobilizzare le classi di attivo più
pericolose sostituendole con asset ritenuti più sicuri. La
probabilità che molte asset class sotto-performino nei
prossimi mesi è rilevante, pertanto un piccolo risparmiatore
dovrebbe valutare se rimanere fermo in liquidità e stare alla
finestra (non che questo comunque sia esente da rischi, vedi i
rischi del bail-in) oppure assemblare diverse strategie di
gestione market-neutral all’interno del proprio portafoglio
confidando nella capacità e storicità di performance dei vari
gestori di riuscire a contenere il più possibile la volatilità
avversa.
FORA DILMA
Si potrebbe dire dalle stelle alla stalle per provare a
rappresentare lo scenario socioeconomico del Brasile, una
nazione che tre anni fa primeggiava nella copertina
dell’Economist con il titolo a caratteri cubitali “Brazil
takes off” ossia il Brasile decolla, riportando la statua di
Cristo Redentore erigersi nell’aria come un nuovo Super Man.
Il Brasile prima decollava, ora sprofonda letteralmente. Dopo
la crescita avvenuta durante i due mandati di Lula, in cui si
è foraggiato molto la spesa infrastrutturale e l’attrazione di
investimenti esteri, soprattutto sul fronte immobiliare, il
Brasile ora sta vivendo un periodo di recessione economica con
il rischio che possa trasformarsi velocemente anche in una
pesante stagnazione. L’inflazione ha ripreso a diventare un
tema economico di rilievo per la più grande economia
dell’America Latina, tanto che il real brasiliano ha ripreso a
svalutarsi nei confronti delle principali divise estere,
passando dai tre reais per ogni unità della moneta unica
europea ai quasi quattro di oggi. In questi giorni di piena
pausa estiva di metà agosto stanno andando in scena
manifestazioni di protesta ed accanimento nei confronti
dell’attuale presidente, Dilma Roussef, al grido di “fora
dilma”. La stampa nazionale italiana ne riporta
telegraficamente le vicende quasi facesse spallucce alle
vicende economiche del Brasile.
Sono milioni i brasiliani scesi nelle piazze di San Paolo, Rio
de Janeiro e Brasilia chiedendo a gran voce le dimissioni
dell’attuale presidente ed al contempo l’avvio di una
procedura di impeachment ovvero il suo rinvio a giudizio in
qualità di funzionario pubblico a fronte di illeciti commessi
nell’esercizio delle sue funzioni. Quali sarebbero pertanto
questi illeciti o reati cui la popolazione attribuisce
all’attuale presidente: prima di tutto lo scandalo legato alla
corruzione che ha colpito la più grande azienda brasiliana,
Petrobras, di cui Dilma Roussef ha ricoperto il ruolo di
consigliere di amministrazione tra il 2003 ed il 2010.
Petrobras, quotata al NYSE (New York Stock Exchange), è
l’azienda petrolifera di stato che da inizio anno è sotto
accusa per aver strutturato un meccanismo di occultamento di
fondi neri mediante sovra fatturazioni; parte di questi fondi
neri sono stati canalizzati a favore del PT il Partito dei
Trabadores (Partito dei Lavoratori) di cui Dilma è presidente.
La SEC (l’organismo di vigilanza dei mercati statunitensi) sta
valutando una sanzione di oltre 1.5 miliardi per corruzione
nei confronti proprio della compagnia petrolifera brasiliana.
Dilma è stata sempre considerata il delfino di Luiz Inacio
Lula da Silva, il presidente del Brasile dal 2003 al 2010,
l’uomo che ha avviato un’intenso piano di riforme strutturali
volte ad accrescere lo stile di vita delle classi medie in
Brasile.
Ora anche lo stesso Lula si trova in stato d’accusa per le
vicende Petrobras che rientrano in seno all’indagine
denominata Lava Jato (una sorta di nostre Mani Pulite) dalla
quale si evince come il Partito dei Lavoratori (fondato
proprio da Lula) sia il principale indagato in qualità di
apportatore di interessi personali e privati di alcuni
dirigenti e funzionari che avrebbero intascato fior di
tangenti per favorire ed assecondare l’esito di determinati
contratti con controparti petrolifere qualificate in
Portogallo, Panama, Perù ed Ecuador. In Italia sappiamo tutti
come l’inchiesta Mani Pulite decretò la fine di una parte
politica e l’emersione di un’altra nuova che ha cavalcato le
scene italiane per quasi due decenni. Proprio come in Italia
una parte della popolazione sogna che il leader di quella
fazione politica venga arrestato, allo stesso modo in Brasile
una parte della popolazione sogna che avvenga lo stesso per
Dilma e Lula. Immaginate pertanto quanto quello che sta
accadendo in Brasile in forza del suo nuovo ruolo economico
attuale nel mondo possa produrre forte turbolenza in
conseguenza di un cambio improvviso e tragico della sua
governance nazionale. Dilma in pochi mesi ha subito una vera e
propria debacle politica, passando da una percentuale di
gradimento del 65% ad inizio anno (conferma del secondo
mandato) ad uno sterile 10%. Per quanto la Bulgaria, suo stato
d’origine dal lato paterno, l’abbia denominata la nuova Lady
di Ferro, il suo futuro politico appare ormai piuttosto
compromesso
Le vicende brasiliane legate allo scandalo Petrobras diventano
un ulteriore focolaio di tensione socioeconomica nel mondo,
ora in Sud America, oltre alla situazione critica del
Venezuela abbiamo anche quella brasiliana. Questo paese
purtroppo per quanto negli anni prima sia stato osannato e
sbandierato come una nuova terra promessa per gli investimenti
esteri e le possibili delocalizzazioni si appresta a vivere la
seconda metà di questo decennio in un contesto economico
tutt’altro che confortante. La crisi petrolifera mondiale
(eccesso di offerta e contrazione consistente della domanda)
ha impattato pesantemente su tutta l’economia brasiliana, in
aggiunta al contributo (negativo) che hanno colpito anche le
esportazioni di commodity (tutte ai minimi di prezzo degli
ultimi otto anni). Una nazione il cui modello economico rimane
fortemente concentrato sull’esportazione di risorse tangibili
dimostra tutta la sua debolezza nel momento in cui gli altri
paesi partners commerciali arrancano o si arrestano. Al
momento abbiamo la Cina in costante affanno per la crisi
interna del credito facile e della bolla immobiliare, crisi
che per adesso sembrano essere sotto controllo (almeno stando
alla nomenclatura cinese). Qualora in Cina si verificassero
crash finanziari simili a quelli americani che abbiamo visto
nel biennio 2007-2008 allora paesi come il Brasile
tornerebbero indietro di vent’anni nel giro di pochi mesi.