Titolo originale: Oblivion Copyright © 2015 by Jennifer L. Armentrout
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Titolo originale: Oblivion Copyright © 2015 by Jennifer L. Armentrout
Titolo originale: Oblivion Copyright © 2015 by Jennifer L. Armentrout Traduzione pubblicata in accordo con Entangled Publishing, LLC. tramite Rightsmix LLC. Tutti i diritti riservati. Realizzazione editoriale: studio pym / Milano Questo libro è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistiti è puramente casuale. www.giunti.it © 2016 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia Piazza Virgilio 4 – 20123 Milano – Italia Prima edizione: aprile 2016 [email protected] 23.02.2016 12:56 Questo libro è per tutte le fan di Daemon Black, che di lui non ne hanno mai abbastanza. Spero che vi piaccia! [email protected] 23.02.2016 12:56 [email protected] 23.02.2016 12:56 1 Mi muovevo silenziosamente nella mia vera forma, più rapido di quanto l’occhio umano riuscisse a percepire, correndo sull’erba e tra le rocce ricoperte di muschio. Non ero altro che una macchia di luce che sfrecciava nel sottobosco. Essere un alieno nato su un pianeta a ventitré miliardi di anni luce da lì aveva i suoi vantaggi... Superai con facilità una di quelle ridicole auto a basso consumo che percorreva lentamente la strada di fronte a casa mia. Come accidenti faceva a trascinarsi dietro un rimorchio? Non che fosse importante, ma insomma. Rallentai e tornai ad assumere forma umana, mantenendomi all’ombra delle querce mentre la macchina si fermava sul vialetto della casa accanto alla mia. «Merda, vicini» borbottai quando la portiera si aprì e venne fuori una donna di mezza età. La vidi chinarsi e dire qualcosa a un’altra persona ancora seduta in auto. Poi rise e ordinò: «Scendi subito». Chiunque fosse non obbedì e la donna alla fine si arrese e chiuse la portiera. Si voltò, percorse il vialetto e andò ad aprire la porta d’ingresso. Com’era possibile? Quella casa doveva restare vuota. Tutte le case lì intorno dovevano rimanere vuote. Quella strada era 7 [email protected] 23.02.2016 12:56 la porta d’accesso per la colonia dei Luxen ai piedi delle Seneca Rocks, e le abitazioni del quartiere non erano certo in vendita. Non poteva essere vero. L’ energia mi sfrigolava sulla pelle, ronzando, e la brama di tornare ad assumere la mia vera forma era difficile da ignorare. Questa cosa mi faceva imbestialire: casa mia era l’unico posto in cui potevo... in cui potevamo essere noi stessi senza paura di farci scoprire, e quei cazzoni del Dipartimento della Difesa lo sapevano benissimo. Strinsi forte i pugni. Vaughn e Lane, i miei due baby-sitter personali stipendiati dal governo, ne erano di sicuro al corrente. E, guarda un po’, si erano dimenticati di dircelo l’ultima volta che erano passati a controllarci, la settimana prima. A un certo punto, la portiera dal lato del passeggero si aprì e la persona che scese dalla Prius, appena fece il giro e riuscii a vederla bene, attirò la mia attenzione. «Oh, merda» mormorai di nuovo. Era una ragazza. A prima vista poteva avere la mia età, forse un anno in meno, e si guardava intorno lentamente, osservando il bosco che confinava con i prati di fronte alle case, con l’aria di una che teme di essere aggredita da un puma con la rabbia. Si avvicinò alla veranda con passo esitante, come se stesse ancora decidendo se voleva davvero entrare. La donna, che immaginavo fosse la madre, a giudicare dai capelli dello stesso colore, le aveva lasciato la porta aperta. La ragazza mise un piede sul primo gradino. La osservai mentre scivolavo in silenzio tra gli alberi. Altezza media. Anzi, a pensarci bene, tutto in lei sembrava «nella media»: i capelli castani, raccolti in una crocchia disordinata; il 8 [email protected] 23.02.2016 12:56 viso pallido, tondeggiante; fisicamente non era una di quelle ragazzine pelle e ossa che detestavo; e poi le sue... Okay, non tutto in lei era nella media. Con lo sguardo indugiai sulle sue gambe. Cavolo, quelle sì che erano gambe. La ragazza si voltò verso gli alberi, incrociando le braccia sul petto. D’accordo. Due aspetti in particolare non erano nella media, lo ammetto. Scrutò il limitare del bosco e i suoi occhi si posarono proprio nel punto in cui mi trovavo. Rimasi lì fermo, non osavo neanche respirare. Stava fissando proprio me. Ma non poteva vedermi, ero ben nascosto all’ombra dei tronchi. Passò qualche secondo prima che rilassasse le braccia ed entrasse in casa, lasciandosi la porta spalancata alle spalle. «Mamma?» Inclinai la testa da un lato al suono della sua voce. Anche quella sembrava... nella media. Non aveva alcun accento che svelasse la sua provenienza. Quello dove avevano abitato fino a quel momento, comunque, doveva essere un luogo davvero sicuro, perché nessuna delle due si era disturbata a chiudere la porta. A pensarci bene, tutti gli umani lì sembravano sentirsi al sicuro. Dopotutto a Ketterman, cittadina situata nei sobborghi di Petersburg, West Virginia, la polizia passava più tempo a portare al pascolo il bestiame e a interrompere feste clandestine che a occuparsi di veri crimini. Anche se gli umani avevano la brutta abitudine di scomparire, in quella zona. Il sorrisetto che avevo sul viso svanì all’istante, non appena pensai a Dawson. Non solo gli umani, purtroppo... Quando pensavo a mio fratello, sentivo la rabbia ribollire 9 [email protected] 23.02.2016 12:56 dentro, risalire in superficie come in un vulcano sul punto di eruttare. Lui non c’era più. Era morto per colpa di una ragazza umana. E ora ne era arrivata un’altra, maledizione, proprio nella casa accanto alla mia. Dovevamo... fingerci umani, mescolarci a loro e perfino comportarci come loro. Ma la loro vicinanza portava sempre guai. Qualcuno spariva o moriva. Non avevo idea di quanto tempo avessi trascorso a fissare la casa, ma alla fine la ragazza ricomparve, distogliendomi dai miei pensieri. Si avvicinò al rimorchio, tirò fuori una chiave dalla tasca dei pantaloncini e aprì le portiere di metallo. O, almeno, ci provò. Una volta, due volte. Armeggiò con la serratura e con la maniglia per un’eternità. Aveva le guance arrossate, le labbra socchiuse. Sembrava sul punto di mettersi a prendere a calci il rimorchio per la frustrazione. Quanto poteva mai volerci ad aprire una serratura? Stava diventando una cosa ridicola ed ero tentato di avvicinarmi e porre fine a quel supplizio. Finalmente riuscì ad aprire le portiere e a tirare giù la rampa. Scomparve dentro e ricomparve poco dopo stringendo tra le braccia uno scatolone. La guardai trasportarlo in casa e tornare indietro, risalire sulla rampa e scendere faticosamente con un altro scatolone, che a giudicare dalla sua espressione sofferente doveva pesare più di lei. Fece il giro del rimorchio con passo malfermo e anche dal punto in cui mi trovavo riuscivo a vedere che le tremavano le braccia. Chiusi gli occhi, irritato da quello spettacolo. Riuscì ad arrivare ai gradini di casa, ma ero certo che non ce l’avrebbe fatta a portare dentro lo scatolone senza cadere e rompersi l’osso del collo. Alzai un sopracciglio. 10 [email protected] 23.02.2016 12:56 Se si fosse rotta l’osso del collo, be’... ecco risolto il problema dei nuovi vicini. Appena posò il piede sul primo gradino, cominciò a barcollare. Se fosse caduta in quel momento, non si sarebbe fatta nulla. Mentre saliva un altro gradino, mi brontolò lo stomaco. Per la miseria, avevo di nuovo fame, anche se un’ora prima avevo divorato qualcosa come dieci pancake. Era quasi arrivata in cima alle scale e, tutto sommato, se anche fosse caduta, non si sarebbe fatta poi così male. Quando posò il piede sul gradino più in alto, dovetti mio malgrado ammettere di essere colpito dalla determinazione che dimostrava con quello scatolone. Quando però prese a barcollare pericolosamente, snocciolai sottovoce una lista di imprecazioni e sollevai un braccio. Concentrandomi sullo scatolone che aveva tra le mani, attinsi alla Fonte e immaginai di sollevarlo con facilità, per alleviare le sofferenze della ragazza. Che si immobilizzò sulla veranda per una frazione di secondo, come se si fosse resa conto del cambiamento, poi scosse la testa ed entrò in casa. Lentamente abbassai il braccio, scioccato da ciò che avevo appena fatto. Lei non poteva immaginare che un tizio nascosto tra gli alberi fosse responsabile di quello che era successo, ma cavolo, era stata comunque una mossa idiota, da parte mia. Rischiavamo di esporci ogni volta che attingevamo alla Fonte, indipendentemente da quanto fosse insignificante l’uso che ne facevamo. La ragazza ricomparve sulla veranda, le guance arrossate per la fatica, e tornò al rimorchio asciugandosi le mani sui pantaloncini di jeans. Ne uscì di nuovo con un altro scatolone che sembrava pesantissimo, e non potei fare a meno di domandarmi dove accidenti fosse sua madre. 11 [email protected] 23.02.2016 12:56 La ragazza incespicò e lo scatolone barcollò pericolosamente, producendo un tintinnio di vetri. E, siccome gareggiavo per diventare il più grande idiota del pianeta, rimasi lì tra gli alberi, lo stomaco che brontolava come un motore, e la aiutai a trasportare dentro uno scatolone dopo l’altro senza che neanche se ne accorgesse. Quando finì (finimmo) di portare dentro le sue cose, ero esausto, affamato e avevo attinto alla Fonte con così tanta frequenza che avrei dovuto farmi controllare da uno strizzacervelli. Mi trascinai su per i gradini di casa ed entrai in silenzio. Non c’era nessuno ed ero troppo stanco per cucinare, perciò mi scolai mezzo litro di latte e svenni sul divano. I miei ultimi pensieri andarono alla nuova, fastidiosa vicina. Il piano era non rivederla mai più. Era calata la sera e dense nubi, scure e impenetrabili, bloccavano i raggi delle stelle e della luna, cancellando ogni speranza di luce. Nessuno poteva vedermi, il che probabilmente era una cosa positiva. Specialmente considerando che mi trovavo – di nuovo – fuori dalla casa dei miei nuovi vicini, come l’inquietante protagonista di un thriller. E tanti saluti al piano di non rivedere mai più quella ragazza. Stava cominciando a diventare una fastidiosa abitudine. Cercavo di convincermi che fosse necessario, che dovessi saperne di più su quella ragazza prima che la mia gemella Dee la vedesse e decidesse che dovevano diventare migliori amiche. Dee era tutto ciò che mi restava al mondo, e avrei fatto qualsiasi cosa per proteggerla. Lanciai un’occhiata a casa mia e sbuffai forte. Sarebbe stato davvero terribile se, che so, avessi dato fuoco a tutto? Cioè, non 12 [email protected] 23.02.2016 12:56 volevo che quelle... quelle umane bruciassero vive, ci mancherebbe. Non ero un mostro. Ma d’altra parte, niente casa, niente problemi. Mi sembrava piuttosto semplice. Un’altra complicazione era l’ultima cosa di cui avevo bisogno. L’ ultima cosa di cui avevamo bisogno, tutti noi. In una delle stanze al piano di sopra c’era la luce accesa, nonostante fosse tardi. Era la sua stanza da letto. Solo una manciata di minuti prima avevo visto il suo profilo passare davanti alla finestra. Purtroppo era completamente vestita. Mi stavo comportando come un vero maniaco. A ogni modo quella ragazza era un bel casino. Era troppo rischioso che qualcuno si trasferisse nella casa accanto alla nostra, e per di più qualcuno della nostra età. Era arrivata da appena due giorni, ma era solo questione di tempo prima che Dee la vedesse. Mi aveva già chiesto un paio di volte se avessi conosciuto i nuovi vicini. Per placare il suo entusiasmo avevo fatto spallucce e le avevo detto che quasi sicuramente era una coppia di anziani che si erano trasferiti in campagna per godersi la pensione, ma sapevo che la vivacità di Dee era impossibile da tenere a freno. Ecco, si parla del diavolo... «Daemon» sussurrò una voce dalla veranda di casa mia. «Ma che cavolo stai facendo?» Decido se radere o meno al suolo la casa dei vicini la prossima volta che escono per andare a fare la spesa, ti basta come risposta? Sì, be’, questa è meglio se la tengo per me. Sospirando mi voltai e mi diressi verso mia sorella, la ghiaia che scricchiolava sotto i piedi. Lei era appoggiata alla ringhiera e guardava la casa accanto, un’espressione curiosa sul viso mentre la brezza le sollevava i lunghi capelli scuri. 13 [email protected] 23.02.2016 12:56 Mi ci volle uno sforzo incredibile per camminare a una velocità normale. Di solito non dovevo preoccuparmene quando ero a casa, mi limitavo a muovermi alla velocità della luce, ma con quelle persone nei paraggi dovevo riprendere abitudini... umane. «Ero fuori, di pattuglia.» Appoggiai un fianco alla ringhiera dando le spalle alla casa dei vicini, come se non esistesse. Dee mi guardò con aria poco convinta. Brillanti occhi color smeraldo, lo stesso dei miei, mi fissavano colmi di sospetto. «Non mi sembrava.» «No?» Incrociai le braccia sul petto. «No.» Lanciò un’occhiata alle mie spalle. «A me pareva che stessi osservando quella casa.» «Mmm-mmm.» Strinse le palpebre. «Allora, ci si è davvero trasferito qualcuno?» Dee era stata dai Thompson negli ultimi due giorni, il che era stato un bene, anche se non mi andava a genio il fatto che passasse la notte a casa di un nostro coetaneo alieno, Adam. Ma aveva funzionato, non aveva idea di chi abitasse lì. Conoscendola, se avesse saputo che era un’umana della sua età, si sarebbe comportata come con un cucciolo abbandonato. Non risposi e lei sbuffò. «D’accordo, devo proprio tirare a indovinare?» «Sì, ci si è trasferito qualcuno.» Spalancò gli occhi sporgendosi verso la casa, che prese a fissare come se volesse trapassare le pareti con lo sguardo. Avevamo poteri straordinari, lo ammetto, ma la vista a raggi X non era tra questi. «Oh, cavolo, non sono Luxen. Sono umani.» Ovviamente l’avrebbe percepito, se fossero stati della nostra razza. «Già. Umani.» 14 [email protected] 23.02.2016 12:56 Scosse piano la testa. «Ma perché? Sanno di noi, forse?» Ripensai alla ragazza con i suoi scatoloni. «Io credo proprio di no.» «Che strano. Perché il Dipartimento della Difesa li ha lasciati venire qui?» chiese, aggiungendo subito: «Be’, chi se ne frega. Spero che siano simpatici». Chiusi gli occhi. Ma certo, Dee non si preoccupava affatto della cosa, neppure dopo quello che era successo a Dawson. Per lei contava solo che fossero simpatici. Non le era venuto in mente neanche per un secondo di che accidenti di pericolo rappresentasse per noi la vicinanza di un umano. No, per mia sorella era tutto unicorni e arcobaleni. «Hai visto chi sono?» chiese eccitata. «No» mentii riaprendo gli occhi. Fece una smorfia e si allontanò dalla ringhiera, battendo le mani. Eravamo quasi alti uguali e negli occhi le vedevo una luce compiaciuta. «Spero che sia un bel ragazzo.» Strinsi i denti. Lei ridacchiò. «O magari una ragazza della mia età. Sarebbe favoloso.» Oddio... «Renderebbe quest’estate più bella, soprattutto ora che Ash sta facendo la tu-sai-cosa» proseguì. «No, non so cosa.» Alzò gli occhi al cielo e disse: «Non fare l’ingenuo, coglione. Lo sai benissimo perché si struscia come una gatta in calore. Pensava che avreste trascorso l’estate insieme, voi due, a fare...». «Le cosacce?» suggerii. «Oh, che schifo. Non volevo dire quello.» Rabbrividì e io non riuscii a nascondere un ghigno compiaciuto mentre mi domandavo se Ash avesse già ammesso che tra noi era già successo, 15 [email protected] 23.02.2016 12:56 anche se ormai parecchio tempo prima. «Si lamenta che non la porterai più dove avevi promesso.» Non avevo idea di che cosa stesse parlando. «Comunque, spero che i nostri vicini siano gente a posto, chiunque siano.» Come un criceto sulla ruota, la mente di Dee continuava a tornare sempre sullo stesso argomento. «Magari potrei andare a trovarli...» «Non finire neanche la frase, Dee. Non sai chi sono né cosa vogliano. Stai lontana da loro.» Si mise le mani sui fianchi e strinse le palpebre: «Come facciamo a sapere che tipo di persone sono, se stiamo alla larga?». «Ci penserò io.» «Non mi fido particolarmente del tuo giudizio sugli umani, Daemon.» E mi lanciò un’occhiataccia. «E io non mi fido del tuo. Come non mi sono mai fidato di quello di Dawson.» Dee fece un passo indietro ed emise un lungo, profondo sospiro. La rabbia svanì subito dal suo viso. «Okay, capisco. Ora so perché...» «Non parliamone. Non stasera» dissi passandomi una mano tra i capelli, che mi rimasero dritti in testa. Dovevo proprio tagliarli. «È tardi e devo fare un altro giro prima di andare a letto.» «Un altro giro?» sussurrò. «Credi che... ci sia qualche Arum nelle vicinanze?» Scossi la testa. Non volevo farla preoccupare, ma la verità era che si trovavano sempre nelle vicinanze ed erano i nostri unici predatori naturali. Lo erano sempre stati, sin dai tempi in cui ancora popolavamo il nostro pianeta originario. Anche loro non erano terrestri. Per molti versi erano il nostro esatto opposto, a livello di aspetto e capacità, e a differenza 16 [email protected] 23.02.2016 12:56 nostra loro uccidevano. Sì, riuscivano a usare la Fonte nutrendosi del Luxen che ammazzavano. Erano come parassiti sotto steroidi. Gli Anziani ci raccontavano sempre che, quando si era formato, l’universo era pieno di luce purissima e coloro che vivevano nell’ombra, gli Arum, erano invidiosi. Così avevano deciso di soffocare tutta la luce, facendo scoppiare la guerra tra i nostri due pianeti. E i nostri genitori erano morti in quella guerra, quando la nostra casa era stata distrutta. Gli Arum ci avevano seguiti fin lì, erano riusciti ad arrivare sulla Terra senza farsi individuare, mascherati da eventi atmosferici. Ogni volta che si verificava una pioggia di meteoriti o di stelle cadenti, io stavo sempre in allerta perché di solito gli Arum si manifestavano dopo eventi del genere. Combatterli non era per nulla facile. Potevamo ucciderli direttamente con la Fonte o con l’ossidiana: sotto forma di lama era mortale per gli Arum, specialmente dopo che si erano nutriti. Quella pietra scomponeva la luce. Procurarsela non era semplice, ma io cercavo di averne sempre un pezzo con me, di solito assicurato alla caviglia. E anche Dee. Non si poteva mai sapere quando ce ne sarebbe stato bisogno. «Voglio solo essere prudente» dissi. «Sei sempre prudente.» Le rivolsi un sorriso tirato. Dopo un attimo di esitazione, mi buttò le braccia al collo e mi baciò sulla guancia. «A volte sei proprio un cazzone patentato, ma ti voglio bene. Ci tenevo solo che lo sapessi.» Ridacchiai e la strinsi in un rapido abbraccio. «Tu invece sai proprio stordirmi con le tue chiacchiere, ma anch’io ti voglio bene.» 17 [email protected] 23.02.2016 12:56 Dee mi diede uno schiaffetto su un braccio e sorrise. «Non fare tardi.» Annuii e la guardai rientrare in casa. Era raro che Dee facesse qualcosa lentamente. Era sempre stata lei quella instancabile. Dawson invece era il pigrone del gruppo, e io... io ero il cretino. Eravamo tre gemelli. Ed eravamo rimasti in due. Stetti per qualche istante a riflettere sul fatto che mia sorella era l’unica cosa su questo pianeta a cui tenessi davvero. Quindi riportai la mia attenzione sulla casa dei vicini. Basta raccontarmi favole: non appena Dee avesse capito che lì accanto abitava una ragazza, le si sarebbe appiccicata come un’alga allo scafo di una nave. E nessuno poteva resistere a mia sorella. Era una stramaledetta, dolcissima pallina di energia pura. Vivevamo tra gli umani, ma non ci avvicinavamo a loro per una lunga serie di motivi. E non avrei permesso a Dee di commettere lo stesso errore di Dawson. Avevo fallito con mio fratello, ma a lei non sarebbe capitata la stessa sorte. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di tenerla al sicuro. Qualsiasi cosa. 18 [email protected] 23.02.2016 12:56