Come i big data cambiano la ricerca sui media,Perché aggiungiamo

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Come i big data cambiano la ricerca sui media,Perché aggiungiamo
Come i big data cambiano la ricerca sui
media
I big data hanno rivoluzionato il modo in cui facciamo acquisti, lavoriamo e interagiamo e stanno
avendo il loro momentum anche nella ricerca accademica. Tra le ultime uscite interessanti dedicate
all’argomento, si segnala la special issue Big Data in Communication Research curata dal Journal of
Communication. L’obiettivo di questa nuova pubblicazione era raccogliere alcuni paper
particolarmente urgenti e fornire un benchmark per innovare la ricerca in questo campo.
Nel suo paper Malcolm R. Parks, docente presso la University of Washington, sostiene che ci
troviamo solamente agli albori della ricerca sui big data nella comunicazione e suggerisce cautela:
analizzare vaste moli di dati, di per sé, non è garanzia di risultati interessanti. Anche l’analisi dei big
data, infatti, non può fare a meno di design di ricerca e test delle ipotesi solidi.
Gli autori dei testi contenuti nella special issue hanno interessi di ricerca vasti, anche se sette degli
otto studi pubblicati hanno a che vedere con la ricerca applicata a Twitter. Elanor Colleoni e i suoi
colleghi, ad esempio, si sono chiesti se gli utenti di Twitter con orientamenti politici simili tendano
ad assimilarsi tra di loro o, al contrario, cerchino di mescolarsi con chi ha opinioni diverse.
Sherry Emery e gli altri autori del paper “Are You Scared Yet? Evaluating Fear Appeal Messages in
Tweets About the Tips Campaign” hanno invece analizzato le reazioni di Twitter a una campagna di
salute pubblica piuttosto controversa. Gli italiani Fabio Giglietto e Donatella Selva, dell’Università di
Urbino Carlo Bo, invece, hanno analizzato il fenomeno del “second screen” studiando un intero
dataset di tweet dedicati alla stagione di un talk show per studiare come i membri della sua
audience interagiscono con il programma in onda.
Tre altri studi, al contrario, si sono concentrati sull’agenda setting e due di questi in relazione alle
campagne politiche. Andreas Jungherr ha analizzato i tweet postati durante la campagna elettorale
per le elezioni federali tedesche del 2009 mentre Chris J. Vargo e i suoi colleghi hanno esaminato i
messaggi inviati via Twitter durante la campagna per le elezioni presidenziali Usa del 2012. W.
Russel Neuman e il suo team, infine, hanno studiato i pattern di framing dei media sociali e
tradizionali nel medesimo contesto politico (le elezioni americane del 2012, ndr), ma senza
concentrarsi solo sulla campagna elettorale.
Benjamin M. Hill e Aaron Shaw, invece, hanno proposto un approccio diverso allo studio dei big data
andando a guardare alle strutture organizzative degli editor di Wikipedia.
Malcolm R. Parks, che è specializzato nello studio dei social network e della comunicazione
interpersonale, ha spiegato all’Ejo quali sono le maggiori sfide dei big data e della ricerca su di essi.
Parks crede che questo settore porti a “nuove domande di ricerca e nuovi modi di pensare alle
domande che già esistono”.
I big data consentiranno certamente ai ricercatori di unire diversi dataset, di diverso tipo,
appartenenti a tempi diversi e provenienti da luoghi diversi, ma secondo il ricercatore americano è
ancora troppo presto per dire se i big data potranno modificare nel profondo il modo in cui si studia
la comunicazione. Gli abbiamo fatto qualche domanda.
Qual è il contributo più importante dei big data alla ricerca sulla comunicazione?
“Al momento i big data devono ancora fornire il loro contributo fondamentale alla comunicazione.
Ma è davvero troppo presto per aspettarsi passi avanti di questa portata, dato che siamo in una fase
ancora esplorativa e dimostrazioni e studi descrittivi dominano ancora quanto pubblicato in questo
campo. Ben poco del lavoro attuale avrà un impatto duraturo, ma contribuirà di sicuro all’avanzata
concettuale e metodologica. Una volta che i metodi diventeranno più facilmente accessibili ai
ricercatori che sono già attivi con domande di ricerca sostanziali, sono certo che assisteremo alla
pubblicazione di contributi fondamentali che hanno a che vedere con i big data”.
Quali sono, invece, le maggiori limitazioni della ricerca fatta con i big data?
“Dal mio punto di vista ne esistono due e hanno a che vedere con il valore e l’accesso. Quanto alla
prima, ci sono spesso dei gap tra l’interpretazione concettuale dei big data e i suoi indicatori e la
realtà stessa degli indicatori. Allo stesso tempo, le limitazioni all’accesso dei dati rimangono
importanti. Spesso non si riesce ad avere accesso ai dati più utili perché questi sono bloccati dietro
barriere proprietarie o governative. Di conseguenza, si corre il rischio di fare troppo con i dati cui
abbiamo accesso”.
Quali sono i prossimi passi nella ricerca sui e con i big data?
“Fin qui, siamo stati in una mentalità di frontiera per quanto riguarda i big data. Restando in questa
metafora, direi che è tempo di muovere i big data dalla frontiera alla città, dove possono essere
messi al servizio dei maggiori quesiti della ricerca. I big data non significano la fine della teoria,
come invece alcuni sostengono. Il loro potenziale per l’avanzata metodologica è immenso, ma solo se
aiutano a orientare le domande teoriche. Le opportunità continuano a crescere, i metodi continuano
a diffondersi e sempre più delle nostre attività sociali vengono archiviate in dataset di ogni tipo. Allo
stesso tempo, la stessa cosa avviene con le sfide etiche e politiche della gestione dell’acceso ai nostri
sempre più ‘dataficati’ sé”.
Photo credit: Infocux / Flikcr CC
Articolo tradotto dall’originale inglese
Perché aggiungiamo i tweet ai preferiti
Twitter è una piattaforma centrale nella diffusione e nello scambio dell’informazione e uno
strumento significativo per il giornalismo, ma ancora poca ricerca è stata fatta su una delle sue
funzioni più utilizzate e sulle ripercussioni per le news: l’aggiunta ai preferiti dei tweet. I ricercatori
Florian Meier, David Elsweiler (entrambi dell’Università di Regensburg) e Max Wilson (Università di
Nottingham) hanno studiato le motivazioni degli utenti del social media quando usano questa
funzione.
L’opzione è apparsa per la prima volta su Twitter nel novembre del 2006 e da allora gli utenti
possono aggiungere ai propri preferiti alcuni specifici tweet cliccando su una piccola icona a forma
di stella. Di conseguenza, questi cinguettii selezionati vanno a finire in una timeline separata per
essere raggiungibili più facilmente sia dal proprietario del profilo che dai suoi follower. Meier,
Elsweiler e Wilson, nella loro ricerca, mostrano come questa funzione sia diventata
progressivamente più popolare: nel maggio 2013, la stelletta è stata cliccata complessivamente 1,6
miliardi di volte, quattro volte di più rispetto all’anno precedente.
La ricerca ha analizzato 606 utenti di Twitter per esplorare i fattori che motivano le persone a
svolgere questa attività digitale. Il campione rappresenta una popolazione di persone con una
formazione forte, il 51,9% dei quali ha ottenuto una laurea triennale. La maggior parte dei
partecipanti (il 74,8%), inoltre, sono utenti di Twitter da molto tempo. Circa il 65% dei partecipanti
ha dichiarato di essere a conoscenza del bottone per aggiungere i tweet ai preferiti e, tra questi, il
73,5% lo ha usato almeno una volta. Ai partecipanti è stata posta una serie di domande sulla
frequenza con la quale hanno usato la funzione e le motivazioni seguite nel r farlo. I risultati hanno
mostrato un sorprendente range di motivazioni eterogenee: gli autori ne hanno infatti individuate
ben 25 diverse, suddivise in tre macrogruppi distinti:
1) Come risposta/reazione al contenuto o ai metadati di un tweet: questo comporta che un
particolare tweet fornisca informazioni che l’utente vuole diffondere o che l’utente vuole costruire o
mantenere una relazione con l’autore del tweet in oggetto, il quale può essere un amico, una
celebrità o una persona con cui iniziare una conversazione; 2) Per svolgere specifiche attività di
bookmarking, comunicazione non-verbale o competizione: in questo gruppo, l’aggiunta ai preferiti è
percepita come molto simile alla pratica del retweet; 3) Per motivi accidentali.
L’apprezzamento è una delle motivazioni più popolari alla base dell’aggiunta ai preferiti di un tweet,
ed è comparsa in 206 casi del totale: molte persone, infatti, associano il bottone a stella di Twitter
con il “Like” di “Facebook”. Solo 58 partecipanti collegano invece questa pratica al riconoscimento
di un valore informazionale dei tweet: gli utenti sembrano agire quando il contenuto specifico
appare come significativo e rilevante per i loro interessi. L’identità dell’autore del tweet è un altro
fattore importante nell’incoraggiare l’aggiunta ai preferiti. 31 partecipanti hanno dichiarato di
cliccare sul bottone a stella se il mittente del tweet è una persona conosciuta o una celebrità che
stimano o sostengono. Per 49 altri, invece, la pratica viene svolta per ragioni di ego, principalmente
perché il tweet in oggetto viene considerato “importante” e “rilevante”. 40 partecipanti hanno
invece detto di aver usato questa funzione per motivi emotivi o perché il tweet era stato considerato
“inspiring”.
Aggiungere ai preferiti come pratica di bookmarking è un’altra categoria molto ricorrente, segnalata
da 75 partecipanti. In questo senso, l’aggiunta ai preferiti avviene per “leggere, mostrare, vedere,
cercare o ritrovare dell’informazione”. In 40 casi, invece, la pratica è stata considerata un mezzo di
comunicazione non-verbale per esprimere approvazione, accordo, partecipazione, consapevolezza e
più genericamente supporto per la causa o la persona in oggetto. Alcuni utenti, invece – 13 nello
specifico – hanno segnalato di aggiungere ai preferiti dei tweet per partecipare a competizioni a
premi. Infine, in 9 casi, la pratica avverrebbe senza particolari motivazioni o per sbaglio: alcuni
utenti hanno anche riferito di aggiungere ai preferiti tutti i tweet che appaiono nella loro timeline,
come per segnare le mail in entrata tra quelle già lette.
Molti utenti hanno anche sottolineato come questa funzionalità si differenzi da quella del retweet, in
particolare alla luce della privacy. Retweettare un messaggio, infatti, comporta sempre che questo
venga ripostato sulla propria timeline e diventi visualizzabile da tutti. Questo impone di conseguenza
non solo l’approvazione dell’informazione contenuta, ma anche il riconoscimento di un valore
aggiuntivo, che merita di essere comunicato ai propri follower. Secondo i partecipanti allo studio,
l’aggiunta ai preferiti è al contrario una pratica più privata di approvazione, anche perché risalire a
un tweet aggiunto in precedenza ai preferiti richiede anche degli sforzi ulteriori. Di conseguenza, si
potrebbe anche considerare questa attività come una forma non-verbale di comunicazione
interpresonale, mentre il retweet assume più i toni di una forma di comunicazione verso molti.
Florian Meier, David Elsweiler, and Max L. Wilson (2014) More than liking and bookmarking?
Towards understanding Twitter favouriting behavior. The study is published by Association for the
Advancement of Artificial Intelligence.
Articolo tradotto dall’originale inglese
Photo credit: Garrett Heath / Flickr Cc
Ucraina: i media e le proteste
Mentre le proteste si diffondono in tutta l’Ucraina, i media digitali e i social network hanno
sostenuto il movimento di protesta. I giornalisti, insieme agli studenti, sono stati la forza iniziale
della rivolta contro la decisione del governo di fermare l’integrazione europea dell’Ucraina qualche
giorno prima del summit “Eastern Partership” della Ue a Vilnius che avrebbe dovuto portare alla
firma dell’Association Agreement tra l’Ucraina e l’Unione europea.
Cronaca delle proteste:
Sembra incredibile che il solo post su Facebook di un giornalista possa aver causato una tale
reazione a catena di proteste in tutto il paese e fuori dai confini nazionali. Ma è andata in questo
modo. Il 21 novembre, Mustafa Nayyem, uno dei più noti giornalisti ucraini, ha chiesto ai suoi amici
e follower di Facebook di raccogliersi di fronte al Monumento all’Indipendenza di Kiev alle 10.30 di
sera come segno di protesta contro l’abbandono repentino delle negoziazioni per l’Association
Agreement voluto dal governo. “Mettete vestiti caldi, portate ombrelli, tè, caffè, un mood positivo e
amici”, si poteva leggere nel suo post. Circa 1500 persone si sono raccolte sulla Maidan
Nezalezhnosti (la Piazza dell’Indipendenza) quella sera, raggiunte anche dai leader delle opposizioni.
Tre giorni dopo, il 24 novembre, circa 100mila persone sono tornate nel medesimo luogo per
partecipare a una manifestazione a sostegno dell’integrazione europea dell’Ucraina. Proteste simili,
con il nome di “EuroMaidan”, sono seguite in tutto il paese e oltre i suoi confini, comprese
manifestazioni in Canada, Israele e negli Usa. Le foto di migliaia di persone che affollano le strade
delle città ucraine hanno portato in superficie una sensazione di déjà vu che ha immediatamente
rievocato le immagini della Rivoluzione arancione. Nonostante qualche punto in comune, gli
osservatori hanno fatto notare quanto queste proteste siano sensibilmente diverse rispetto a quelle
del 2004. Ad esempio, non c’è alcun leader politico a dare un volto al movimento.
Un’altra differenza cruciale ha a che vedere con l’uso della violenza. Nel 2004 sia i manifestanti che
il governo si erano astenuti dall’uso della forza. In questo caso le autorità hanno passato la linea il
30 novembre, quando all’alba la polizia in tenuta antisommossa ha disperso in modo violento le
persone dalla piazza Maidan. La prova di forza della polizia ha segnato un punto di svolta per il
movimento. L’1 dicembre, infatti, oltre 500mila persone sono scese in strada. Indignati dalla
brutalità della polizia e delle autorità, i manifestanti hanno chiesto le dimissioni del governo e
l’impeachment del presidente Viktor Yanukovych. La violenza si è intensificata dopo che alcuni
manifestanti, condannati come provocatori dai leader dell’opposizione, hanno cercato di entrare
nell’ufficio del Presidente dell’amministrazione. Lo scontro ha portato a centinaia di feriti, compresi
40 tra giornalisti e fotografi che hanno riferito di essere stati picchiati in modo deliberato dalle forze
dell’ordine, anche dopo aver mostrato i loro tesserini stampa.
La risposta dei giornalisti. Il pluralismo online:
L’uso della forza senza precedenti contro i cronisti pone una grande minaccia per i media in
Ucraina. Allo stesso tempo, fanno notare numerosi osservatori, non vi è più libertà nelle redazioni,
almeno in paragone ai tempi della Rivoluzione arancione. “L’opposizione era stata completamente
messa ai margini dagli organi di stampa nel 2004 a causa della censura totale, ora le persone
possono ricevere molte più informazioni dai media mainstream, nonostante i tentativi delle autorità
di imporre il controllo sull’informazionr attraverso oligarchi fedeli che posseggono i maggiori organi
di stampa, canali tv in particolare” , ha detto Diana Dutsyk, esperta di media e chief editor della
testata online MediaSapiens. In seguito alla riposta violenta della polizia, alcuni tra i maggiori canali
tv come Inter, 1+1 e Ictv hanno dato inizio a un coverage attivo delle proteste. “La questione ancora
sul tavolo è se i canali tv potranno fornire una copertura imparziale degli eventi”, ha dichiarato
Dutsyk.
La copertura delle proteste fatta dai media mainstream è stata molto meno capillare rispetto a
quanto fatto dagli organi di stampa online. Le testate Web hanno infatti fornito copertura dal vivo
dai luoghi delle proteste e senza sosta. Per una coincidenza fortunata, hromadske.tv (la traduzione
del nome è “televisione pubblica”, ndr), un nuovo canale tv in Rete, è nata grazie alle sollecitazioni
delle proteste. Fatto da giornalisti che hanno lasciato il loro lavoro nelle tv maggiori proprio a causa
della censura e finanziata da donazioni del pubblico, hromadske.tv potrebbe riempire lo spazio
lasciato vuoto dai media ufficiali, che hanno scelto di abbandonare la loro indipendenza. Il lancio del
progetto è stato promettente: i suoi corrispondenti hanno potuto fornire il più completo coverage
delle manifestazioni in tempo reale, raggiungendo tra i 40 e i 50mila spettatori simultanei, in media.
Comunque, gli ucraini non hanno trovato in Rete solo immagini dal vivo: oltre a questo, hanno
finalmente incontrato pluralismo d’informazione e di opinione, una novità rispetto ai media
tradizionali che sono spesso condizionati nella loro indipendenza editoriale dalle connessioni dei
proprietari con la politica.
Un altro aspetto degno di nota della partecipazione dei media nel movimento EuroMaidan ha a che
vedere con la solidarietà con le proteste che molti giornalisti hanno espresso in modo evidente.
Usando i loro account Facebook e Twitter, molti cronisti non si sono limitati a informare i loro
lettori, ma hanno apertamente chiamato all’azione, proponendo anche alcuni piani di opposizione.
Scioccati dalla brutalità della violenza della polizia e dal cinismo del governo, molti giornalisti si
sono uniti alle proteste e si sono rivolti alla folla dai palchi.
In seguito alla dispersione violenta dei manifestanti, due testate economiche, Delo e Investgazeta,
hanno dichiarato di non poter restare in silenzio in queste condizioni. “Oggi una manifestazione
pacifica è stata spezzata, gli attivisti sono stati picchiati con i manganelli. Domani potrebbe
succedere la stessa cosa alle vostre famiglie e alle vostre aziende nella completa impunità. Non
staremo in silenzio. Le nostre redazioni vanno in piazza Maidan”, recitava una delle dichiarazioni.
Anche guide turistiche e pubblicazioni online di moda hanno scritto delle proteste, offrendo ai lettori
mappe interattive con le indicazioni per posti caldi per gli attivisti e le localizzazioni delle reti wi-fi.
Attivismo online e citizen journalism:
Facebook e Twitter hanno giocato un ruolo cruciale nell’organizzazione e nel coordinamento delle
proteste in Ucraina, si può leggere in diversi report. Proprio grazie a Facebook è stata fatta la prima
chiamata all’azione, poi diffusasi su Twitter allo stesso modo. L’hashtag #Euromaidan
(#Євромайдан in Ucraino) è diventato in poco tempo il più popolare sul social media. Secondo
Maksym Savanevsky, un esperto di media, sono stati inviati tra i 1500 e i 3000 tweet all’ora con
l’hashtag #Euromaidan durante la prima settimana di proteste. Gli utenti dei social network hanno
fatto centinaia di migliaia di post con questa parola chiave, contribuendo al reporting dal vivo dalle
manifestazioni.
La pagina ufficiale delle proteste “EuroMaidan” ha attirato circa 140mila like durante le ultime due
settimane, mentre il gruppo “EuroMaidan SOS”, che offre assistenza legale e di altro tipo ai
manifestanti, più di 20mila. La pagina Facebook principale è diventata un aggregatore di notizie,
offrendo aggiornamenti e informazioni logistiche per i manifestanti, video girati da testimoni diretti
degli eventi e link ad articoli sulle rivolte. Nel loro recente report sull’uso di Facebook e Twitter da
parte dei manifestanti ucraini, Pablo Barbera e Megan Metzger del laboratorio Social Media and
Political Participation (SMaPP) di New York osservano che gli utenti ucraini di Facebook hanno
interagito con le informazioni postate sulla pagina “EuroMaidan” in modo vastissimo. I 2mila
aggiornamenti postati sulla pagina hanno infatti generato circa 50mila commenti e oltre un milione
di like, mentre i contenuti sono stati condivisi oltre 230mila volte, fanno notare i ricercatori.
Facebook ha anche dimostrato di essere un’efficace piattaforma per diverse cause più piccole sorte
all’interno del movimento EuroMaidan. Per esempio, gli utenti hanno creato un gruppo chiamato
“KyivHost” in cui i cittadini della capitale possono offrire posti letto e alloggi ai manifestanti
provenienti da fuori città.
Inoltre, i cittadini hanno utilizzato non solo le piattaforme user-friendly dei social network, ma anche
strumenti multimediali più complessi come grafici interattivi, streaming video o progetti in
crowdfunding. Per esempio, il nuovo sito Euromaidan.eu aggrega tutti i post con l’hashtag
#Euromaidan tratti dai social network. Contiene, inoltre, una mappa interattiva che evidenzia tutte
le città che sostengono le proteste ucraine, tutti gli streaming video tratti da hromadske.tv, Radio
Free Europe/Radio Liberty e quelli messi a disposizione da singoli cittadini che trasmettono
utilizzando l’app mobile Ustream.
Lati oscuri dei social network. Sfide per i giornalisti:
Se da un lato i social network offrono una piattaforma efficace per l’attivismo online e il citizen
journalism, la loro accessibilità implica anche una possibile trappola per i giornalisti stessi. I social
media sono anche piuttosto vulnerabili di fronte a diverse possibilità di manipolazione. L’hashtag
#Euromaidan è stato utilizzato anche per diffondere informazioni fuorvianti o per seminare il
panico. Uno di questi messaggi conteneva, ad esempio, informazioni sulla mobilitazione delle forze
armate per spezzare le proteste. Oppure, ancora, sono circolate nei social network foto manipolate
raffiguranti un manifestante intento a picchiare un poliziotto con un manganello.
Purtroppo, i giornalisti ucraini devono mantenersi diffidenti non solo nei confronti delle informazioni
postate sui social network. L’uso della violenza fisica contro i giornalisti, cyberattacchi, minacce e
censura editoriale sono sfide quotidiane per i cronisiti in Ucraina. Mentre le proteste antigovernative
vanno avanti, l’attività professionale e civica dei giornalisti avrà un ruolo significativo sul movimento
di protesta e sullo scenario mediatico dell’Ucraina nei prossimi anni. Quale sarà l’impatto finale, è
ancora da vedere.
Photo credits: Alexandra (Nessa) Gnatoush / Flickr CC
I consigli di Twitter per i giornalisti
Twitter ha lanciato un nuovo portale in cui dà consigli a diverse categorie di utenti su come
utilizzare al meglio la sua piattaforma. Tra questi, ovviamente, ci sono anche i giornalisti. Twitter è
senza dubbio diventato il “social network delle notizie” e uno degli ambienti privilegiati per la
circolazione dell’infomazione in Rete e la stessa azienda di San Francisco per prima non ha mai fatto
mistero di voler puntare in questa direzione.
Today we unveil a site featuring best practices, success stories and more to help you leverage the
power of Twitter: https://t.co/vzsdAyoksq
— Twitter Media (@twittermedia) 21 Novembre 2013
Twitter Media, questo il nome del sito lanciato nella giornata di ieri, raccoglie informazioni, guide e
consigli su come sfruttare al meglio le potenzialità del social media in diversi settori: tv, politica,
sport, noprofit, musica e religione. Buoni consigli per gli utenti comuni e per le aziende e le testate
che vogliono espandersi in Rete. La sezione “News” contiene alcuni consigli interessanti per i
giornalisti per muoversi su Twitter, dalle breaking news all’utilizzo di strumenti come Tweetdeck.
Eccoli:
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Breaking News:
Twitter porta l’esempio di Sam Dagher, uno dei pochi giornalisti on the ground in Siria che ha
potuto postare aggiornamenti live dalle zone di guerra. Twitter consiglia di seguire il suo
esempio, usando gli hashtag più battuti (#Syria, nel caso di Dagher, poi utilizzato anche da
Obama) per essere inseriti nel flusso di post dedicati all’argomento che si sta seguendo, per
ricevere gli aggiornamenti e per dare – se ne avete uno – il vostro contributo alla discussione.
Dalla Siria, Dagher ha potuto confermare l’esattezza di una notizia su un attacco missilistico.
Inoltre, Twitter consiglia di postare contenuti multimediali come foto e video per arricchire il
live coverage.
Foto:
Le immagini vengono ritwittate 1,5 volte di più dei messaggi di solo testo e vengono aggiunte ai
preferiti 2,3 volte di più, fa sapere Twitter. I giornalisti e le testate possono utilizzarle per
aumentare l’engagement con i lettori. Le foto postate su Twitter possono essere fonti di notizie,
come nel caso dello scatto del presunto attentatore di Boston postato dal Dipartimento di polizia
con la richiesta di informazioni inoltrata ai cittadini. Oppure, le testate possono anche postare
vecchi contenuti provenienti dai loro archivi, come in questo caso del The Buffalo News. Inoltre,
una foto può essere utilizzata per stimolare i lettori a postare il proprio contributo: l’ha fatto di
recente Andrea Mitchell (Msnbc) durante le celebrazioni dell’anniversario del discorso “I have a
dream” di Martin Luther King.
Tweet embeddati:
Twitter consente di embeddare (tramite html) i tweet dentro gli articoli, come altri contenuti
multimediali, a partire dai video di YouTube. Un buon esempio è quanto fatto di recente da
Bleacher Report per coprire un importante incontro di boxe. Così facendo, è possibile includere
nel testo di un pezzo le possibili fonti Twitter della storia o dare ai lettori la possibilità di seguire
l’evolversi dei fatti in diretta. I tweet embeddati, inoltre, mostreranno (su Twitter) titolo e
profilo della testata, aumentando la visibilità degli articoli.
Scegliere l’hashtag giusto:
Gli hashtag inseriscono i tweet in una discussione più ampia. Twitter consiglia di crearne uno ad
hoc per lanciare una discussione o un argomento, come ha fatto di recente la Cnn per un
servizio dall’aeroporto di Atlanta o di sfruttare quelli dei “temi caldi” per stimolare l’attenzione
dei lettori e identificare al meglio i propri contenuti, portando questi ultimi a chi è più
interessato.
Aggiungere una timeline o il link al proprio profilo:
Perché non inserire dentro a un articolo online anche una timeline di tweet per offrire ai lettori
lo scorrere degli aggiornamenti su uno specifico argomento, evento o di una specifica persona?
Si possono embeddare le timeline di ogni utente pubblico o quelle realative a uno specifico
hashtag. Basta andare nella sezione Widget delle impostazioni del profilo e creare una
“Cronologia” e personalizzarla a piacimento. Ottenuto l’html, si può embeddare. Ovviamente,
consiglia Twitter, è bene linkare il proprio profilo Twitter al proprio sito o blog.
Chiacchierare con personalità influenti:
Iniziare una discussione con la persona che avete intervistato, menzionandola in un tweet,
porterà più attenzione attorno al vostro articolo. Twitter è un luogo di conversazioni, perché non
iniziarne una?
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Tweetdeck:
Tweetdeck è la dashboard di Twitter per la gestione dei contenuti e dei profili. La piattaforma
consente di monitorare allo stesso tempo tutte le funzioni di Twitter su diverse “colonne”.
Twitter consiglia l’uso dei filtri per tenere sotto controllo specifiche ricerche o hashtag per
arrivare esattamente ai tweet di cui si ha bisogno. Si può anche specificare quali contenuti
multimediali si cerca e la loro provenienza. Si possono inoltre pianificare i tweet per la
pubblicazione posticipata. Tweetdeck è lo strumento migliore se si è a caccia di notizie e si
devono tenere sotto controllo diversi argomenti allo stesso tempo.
Vine:
Vine è l’app video di Twitter e consente di creare microfilmati in loop di 6 secondi. Finora ha
trovato applicazione soprattutto in ambiti creativi, ma offre diverse opportunità anche ai
giornalisti. Vine può essere utilizzata per postare un breve filmato di una breaking news o per
presentare l’uscita del nuovo numero della rivista, come ha fatto Rolling Stone. Usa Today,
invece, usa Vine per presentare il giornale del giorno.
Molti dei consigli di Twitter sono noti e utilizzati già dai giornalisti più avvezzi con il social media,
ma secondo uno studio recente, solo il 59% dei giornalisti è attivo su Twitter. L’interesse specifico
dell’azienda per l’informazione non è una novità. In tempi recenti il social media di Jack Dorsey ha
lanciato EventParrott, un servizio che invia agli utenti notizie in formato messaggio diretto e ha
inoltre assunto Vivian Schiller (ex Nbc, New York Times e Npr) come responsabile per le news. Con
ogni probabilità, l’informazione sarà la “nuova frontiera” per Twitter: Il prossimo passo, nel lungo
periodo, sarà trasformarsi in un broadcaster?