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BAND: SWITTERS
TITLE: THE ANABAPTIST LOOP
LABEL: IMPROVVISATORE
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ULTRASONICA
http://www.ultrasonica.it/modules/lykos_reviews/index.php?op=r&rev_id=171&cat_id=1&sort_by
Seconda ed immediata uscita dal forno di Improvvisatore Involontario, stessa line-up grafica dell'album di Cusa e stessa
carica sonora, troviamo infatti alle drums, insieme a Gianni Gebbia ai fiati e Vincenzo Vasi alle 'corde', proprio Francesco
Cusa. Note di prefazione (come in un libro) a cura di Wu Ming 1, co-autore anche dei due libri da cui gli Switters
traggono spunto per i titoli delle canzoni. 'Suoni Asimmetrici per Realtà Asimmetriche', in questo slogan, bandiera degli
Switters, è racchiuso tutto il senso della loro musica. Free-jazz da colonna sonora, locali fumosi di un poliziesco in bianco
e 'Noir' degli anni cinquanta, improvvisazioni e poliritmie sempre diverse, linea 'melodica' ansimante trainata dall'
inarrestabile carro basso/batteria. Chi sarà l'assassino?
SANDS-ZINE
http://sands-zine.com/recensioni.php?IDrec=499#
‘
Suoni asimmetrici per una realtà asimmetrica’
.
Ecco miei cari signori campeggiare in procinto di inizio recensione lo slogan scritto dal trio Switters, ossia
buona fetta del raffinato jet-set improv-jazz peninsulare, composto da Gianni Gebbia al sax e flauto,
Francesco Cusa (da poco artefice anche di un’
uscita propria, sempre su Improvvisatore Involontario,
“
Psicopatologia del Serial Killer”
) alla batteria e Vincenzo Vasi al basso elettrico, theremin e voce.
Anche questa uscita è interamente prodotta dalla I.I. ed anche questa volta il materiale che si schiude alle
nostre orecchie cela una connessione con schemi alquanto complessi. Innanzitutto, andiamo a scoprire che il
nome scelto dai tre, Switters, per presentare la loro musica è preso in prestito dal protagonista principale di
un romanzo scritto da Tom Robbins, “
Fierce Invalids From Hot Climates”(Feroci Invalidi di ritorno da un
paese caldo). Ma anche che i titoli scelti per ornare le 17 tracce del cd sono frutto dell’
ispirazione rilasciata
dalla lettura di altrettanti romanzi che, oltre al già citato manoscritto di Robbins più altri, adocchia piazzarsi
tra i libri preferiti dei musicisti due (grandi) romanzi firmati da Wu Ming e Luther Blisset,“
Q”
e”
54”
: due
spaccati di letteratura che esaminavano con gran maestria episodi accaduti, rispettivamente nel 500 (il
primo) e durante tutti gli anni ’
50, confacenti al XX° secolo (il secondo).
Da ciò ne deriva, esaminando e sezionando con precisione gli anni in corso dei relativi periodi storiografici,
un tipo di rapporto ‘
matematico’
, dibattuto con maggior chiarezza e approfondimento da Wu Ming 1 che ne
firma le note interne al cd.
1/3 di 20 sta a 500 come 50 sta a 20… 6,66:500 = 50 : 20… sproporzioni asimmetriche che fanno in un
lampo (ri)salire alla memoria titoli formulati da alcuni padri fondatori della grande AACM: Anthony Braxton e
Muhal Richard Abrams…
Sopraggiunti a queste due nomine non rimane che sospingerci ed entrare più specificamente dentro il suono
di “
The Anabaptist Loop”
, dicendo subito che le trame improvvisate dai tre ricamano una simbiosi perfetta
tra sonorità jazz, calde e pastose (il rilassante spaccato cocktail-swing ricavato da Cary Grant che sembra
rivivere alcune delicatezze alla Bill Evans) e ritmi che costeggiano un sound più metropolitano (e quindi
‘
inquinato’da elementi ‘
avant’
, quali il fraseggio free di Switters o nel portamento fiacco e spompato dei fiati
di Domino).
Improvvisazioni minuziosamente inclinate e aspre (serov), ritmiche elastiche à la Sunny Murray puntellano i
‘
destrutturanti’giochi gutturali emessi dalla voce di Vasi che riecheggiano all’
esterno la tecnica polverizzata
di un grande Phil Milton (ne sono esempio di ciò l’
esame di Confession I e l’
aria sbarazzina di Bar Aurora),
echi di ‘
Trane e Sam Rivers (Mustang Sally Blues), bordate para-funky e originali visioni moderne sulla
stregua di Miles (New Midddle Age Walkin’
).
Proseguendo avanti il ritmo prende una piega velatamente etnica che traspare dalle morbide percussioni
tribaleggianti di Carafa per ridarsi subito dopo ad istanze radicali, come nel breve spaccato (cautamente
violento) intitolato Santa Inquisizione e nell’
andata minimale posta nella title track. Disincantata è l’
aria
vissuta in Salvatore Pagano, la quale vede i due sax di Gebbia improvvisare in modo disincantato alla misura
del raffinato sax di Cristoph Gallio. Non mancano riferimenti alla situazione politica, economica e sociale che
riflette nella lettura di titoli come Ballata delle Multinazionali e Theory Of Conspiracy. Da qualsiasi angolatura
lo si osservi “
The Anabaptist Loop”non può che apparire come un prodotto intelligente ed innovativo, un
disco in cui l’
avant jazz italiano compie una gran bella figura e senza molte fatiche sorpassa per classe ed
eleganza una buona fetta di circuito improv d’
oltreoceano.
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SENTIREASCOLTARE
http://www.sentireascoltare.com/CriticaMusicale/Recensioni/2005/livello%203/Album/francescocusaswitters.htm
Francesco Cusa, siciliano di Catania, è la mente che sta dietro al progetto Improvvisatore Involontario: una
combinazione di artisti in maggioranza provenienti dagli ambienti jazzistici che, nella ricerca di nuove forme, puntano
tutto sull’
interdisciplinarietà. Un termine che dà l’
idea di accademismo, ma che nella pratica si trasforma in un
interessante (anche se un po’ortodosso) approccio al jazz e al rock.
Laureato al D.A.M.S. di Bologna, Francesco si forma professionalmente come musicista in questa città. Proprio qui entra
in contatto con musicisti del calibro di Mirko Sabatini e Cristina Cavalloni, per poi entrare a far parte del collettivo
Bassesfere, con cui partecipa al festival Angelica. E’in quel periodo, una decina d’
anni fa, che Cusa comincia a girare
l’
Europa, suonando con Paolo Fresu, Steve Lacy e Elliot Sharp.
Questo suo exploit in campo jazzistico non gli preclude il rapporto con il mondo del rock, al quale pure si era sentito
legato: dagli Zu a Roy Paci , sono svariate le escursioni del batterista quarantenne in questo ambito.
Ma Cusa non si limita a suonare. Molto attento alla letteratura e al teatro (partecipa, tra l’
altro, al collettivo letterario Wu
Ming) sembra perseguire l’
ideale ambizioso della correlazione delle varie espressioni artistiche all’
interno della modalità
performativa dell’
improvvisazione.
Il quintetto Skrunch (oltre a Cusa, autore e batterista: Carlo Natoli alla chitarra baritono, Paolo Sorge alla chitarra
elettrica, Tony Cattano al trombone e Gaetano Santoro al sax tenore) di cui è a capo si muove proprio in questa
direzione, unendo la recitazione alla musica.
Difficilissimo dare un senso a un lavoro dal titolo Psicopatologia di un serial killer “
ispirato liberamente a Il Giovane
Holden di Salinger e agli scritti autobiografici di Frank Zappa”
, se non attraverso il filtro di un sarcasmo totale e
totalizzante. Alle voci di quattro attori (tra cui Saku Ran, famoso attore nipponico proveniente dall’
esperienza del teatro
No) spetta il compito di esprimere a parole la psicologia del killer attraverso brevi testi recitati, alla musica quello di
commentare le parole o creare immagini autonome. Purtroppo non sempre la musica riesce a sublimare il sarcasmo e la
grande fantasia creativa delle premesse. La schizofrenia del presunto killer si traduce in un jazz che non rifiuta quasi mai
l’
organizzazione, che poche volte sfocia nella libertà assoluta o nell’
inatteso sorprendente, incanalandosi spesso e
volentieri in un jazz-rock a metà tra Bitches Brew di Davis e i primi Soft Machine (Nonsense, Dr. Akagi): riff minimali e
assolutamente rockettari introducono fiumi di assolo che superano anche i 15 minuti. E’in Where’
s S. Kubrik che meglio
si compie la tensione espressiva di questo disco, con un riff roccioso alla chitarra elettrica e una digressione centrale ai
limiti della psichedelia. (7.0/10)
Nella seconda uscita della neonata etichetta-progetto (distribuita in Italia dalla Wide), Cusa toglie i panni del leader per
accompagnare il sassofonista Gianni Gebbia in trio insieme a Vincenzo Vasi (basso elettrico, voce e theremin).
Switters è il nome del personaggio principale di un recente libro di Tom Robbins: un agente della Cia che ha preso una
direzione totalmente autonoma rispetto alla sua missione. Ancora una volta una forte ironia di fondo al limite del
surrealismo pone le premesse a un disco molto bello, anche se, anche in questo caso, un po’ortodosso.
Anche Gebbia è molto noto nei circoli jazzistici italiani (bolognesi in particolare). Lo ricordo per una stupenda
performance insieme al batterista Lukas Ligeti (che qui mi viene in mente ascoltando le suggestive sfumature di Langley)
durante la scorsa edizione di Angelica. Sassofonista di gran classe, non si abbandona mai al semplice rumorismo o agli
estremismi zorniani ricercando in maniera quasi neoclassica un fraseggio molto vicino al largo respiro di Coltrane, senza
però risultare antiquato.
Questo disco sembra un vero e proprio omaggio al sassofonista americano, ma forse è proprio questo il rammarico. 17
brevi pezzi che esaltano il suono morbido, arioso e modale del sax di Gebbia, scorrono veloci in un disco che non si
discosta quasi mai dai canoni del jazz classico.
L’
apporto degli altri due musicisti è importante ma mai determinante nel rapporto con il sax, che prevale praticamente
sempre; si fanno comunque notare le fantasie di Cusa e la potenza imponente e sicura del basso di Vasi.
Fa un po’
rabbia dover limitare il proprio giudizio su uno dei più interessanti jazzisti italiani solo perché non ha osato di
più. Ma a conti fatti Gebbia suona benissimo e il suo stile è ben riconoscibile (Serov, Mustang Sally Blues), il trio dà
l’
impressione di essere molto affiatato, ma non fa venire i brividi. Da premio, comunque, la conclusiva Ballata delle
multinazionali (andamento sornione e basso funkeggiante) e Salvatore Pagano, uno dei brani in cui meglio viene fuori lo
stile più originale ed espressivo di Gebbia, fatto di piccoli sussulti che si trasformano progressivamente in bellissimi
fraseggi. (7.0/10)
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HMP
http://www.hmp.it/modules.php?name=Reviews&rop=showcontent&id=5083
Va da sé che trattare di sifatta congiuntura musicale non è per niente semplice, ché gli stimoli sono molteplici, le
riflessioni molte, le conclusioni persino troppe. In fondo, trattasi di power trio dedito ad una specie di jazz tutto sommato
libero da logiche formali e pronto a lasciarsi andare a partiture quasi (o praticamente) "rock", tentazioni
mediorentaleggianti, svisate dagli schemi quasi (o praticamente) post/proto punk e sintomatologie funky o disco o
modernamente Area (senza il buon Demetrio Stratos, ovviamente). I punti di partenza sono i romanzi di Tim Robbins
Fierce Invalids Home From Hot Climates (Bantam Books) e Wu Ming, con Q e 54 (Mondadori Editore); o ancora, meglio,
la collaborazione con Wu Ming 1 per il suo New Thing, splendido libricino incentrato sulla Nuova Cosa e sulle orme di
Ellroy e compagnia scura varia.
Il disco veleggia nei dintorni di un Anthony Braxton - no, non è così per niente - o di un Evan Parker - ma non
scherziamo! - e trova il suo senso più compiuto nella sua mancanza di senso, o nella totale, gradevole ed estetuante,
totalità di senso. Senso che è (sesto) senso, sesso, sessi, sensi, sassi. Oppure è una somma, o summa, di
improvvisazioni che, poi, a ben guardare, son mica tanto tali; o un disco premeditato per fregare un certo tipo
d'ascoltatore volenteroso di certi tipi di nuove volontà musicali (o letterarie) - che magari non son tali. Ma il disco(rso)
regge? Sì. Perché il groove caldo c'è, le idee non mancano, l'(auto)ironia è presente a palate e i quarantacinque minuti
reggono benissimo.
Morale? Dal vivo dovrebbe(ro) spaccare. O far cagare. Ma l'Art Ensemble Of Chicago ne sarebbe comunque orgoglioso.
Metropolitano, multiculturale, tagliente, ammaliante e de-genere
KATHODIK
http://www.kathodik.it/modules.php?name=Reviews&rop=showcontent&id=1982
‘
Suoni asimmetrici per una realtà asimmetrica’
.
Ecco miei cari signori campeggiare in procinto di inizio recensione lo slogan scritto dal trio Switters, ossia buona fetta del
raffinato jet-set improv-jazz peninsulare, composto da Gianni Gebbia al sax e flauto, Francesco Cusa (da poco artefice
anche di un’
uscita propria, sempre su Improvvisatore Involontario, “
Psicopatologia del Serial Killer”
) alla batteria e
Vincenzo Vasi al basso elettrico, theremin e voce.
Anche questa uscita è interamente prodotta dalla I.I. ed anche questa volta il materiale che si schiude alle nostre
orecchie cela una connessione con schemi alquanto complessi. Innanzitutto, andiamo a scoprire che il nome scelto dai
tre, Switters, per presentare la loro musica è preso in prestito dal protagonista principale di un romanzo scritto da Tom
Robbins, “
Fierce Invalids From Hot Climates”(Feroci Invalidi di ritorno da un paese caldo). Ma anche che i titoli scelti per
ornare le 17 tracce del cd sono frutto dell’
ispirazione rilasciata dalla lettura di altrettanti romanzi che, oltre al già citato
manoscritto di Robbins più altri, adocchia piazzarsi tra i libri preferiti dei musicisti due (grandi) romanzi firmati da Wu
Ming e Luther Blisset,“
Q”
e”
54”
: due spaccati di letteratura che esaminavano con gran maestria episodi accaduti,
rispettivamente nel 500 (il primo) e durante tutti gli anni ’
50, confacenti al XX° secolo (il secondo).
Da ciò ne deriva, esaminando e sezionando con precisione gli anni in corso dei relativi periodi storiografici, un tipo di
rapporto ‘
matematico’
, dibattuto con maggior chiarezza e approfondimento da Wu Ming 1 che ne firma le note interne al
cd.
1/3 di 20 sta a 500 come 50 sta a 20… 6,66:500 = 50 : 20… sproporzioni asimmetriche che fanno in un lampo (ri)salire
alla memoria titoli formulati da alcuni padri fondatori della grande AACM: Anthony Braxton e Muhal Richard Abrams…
Sopraggiunti a queste due nomine non rimane che sospingerci ed entrare più specificamente dentro il suono di “
The
Anabaptist Loop”
, dicendo subito che le trame improvvisate dai tre ricamano una simbiosi perfetta tra sonorità jazz,
calde e pastose (il rilassante spaccato cocktail-swing ricavato da Cary Grant che sembra rivivere alcune delicatezze alla
Bill Evans) e ritmi che costeggiano un sound più metropolitano (e quindi ‘
inquinato’da elementi ‘
avant’
, quali il fraseggio
free di Switters o nel portamento fiacco e spompato dei fiati di Domino).
Improvvisazioni minuziosamente inclinate e aspre (serov), ritmiche elastiche à la Sunny Murray puntellano i
‘
destrutturanti’giochi gutturali emessi dalla voce di Vasi che riecheggiano all’
esterno la tecnica polverizzata di un grande
Phil Milton (ne sono esempio di ciò l’
esame di Confession I e l’
aria sbarazzina di Bar Aurora), echi di ‘
Trane e Sam Rivers
(Mustang Sally Blues), bordate para-funky e originali visioni moderne sulla stregua di Miles (New Midddle Age Walkin’
).
Proseguendo avanti il ritmo prende una piega velatamente etnica che traspare dalle morbide percussioni tribaleggianti di
Carafa per ridarsi subito dopo ad istanze radicali, come nel breve spaccato (cautamente violento) intitolato Santa
Inquisizione e nell’
andata minimale posta nella title track. Disincantata è l’
aria vissuta in Salvatore Pagano, la quale vede
i due sax di Gebbia improvvisare in modo disincantato alla misura del raffinato sax di Cristoph Gallio. Non mancano
riferimenti alla situazione politica, economica e sociale che riflette nella lettura di titoli come Ballata delle Multinazionali e
Theory Of Conspiracy. Da qualsiasi angolatura lo si osservi “
The Anabaptist Loop”non può che apparire come un
prodotto intelligente ed innovativo, un disco in cui l’
avant jazz italiano compie una gran bella figura e senza molte fatiche
sorpassa per classe ed eleganza una buona fetta di circuito improv d’
oltreoceano.
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MUSICCLUB/KAOS
http://www.musicclub.it/musicclub/jsp/rubriche/default_one.jsp?id_rubrica=5&id_numero=11345623694210&id_testo=1
1345636003900
La scelta di accomunare i due dischi nella stessa recensione è dovuta tanto al fatto che entrambi vengono pubblicati
dalla medesima etichetta discografica (la Improvvisatore Involontario) quanto per il fatto che il massimo comune divisore
di entrambe le band è rappresentato dalla presenza del batterista Francesco Cusa. Ma soprattutto perché ritengo che,
per tutti e due i dischi, sia necessario andarci (al momento di scrivere la recensione) con i cosiddetti piedi di piombo.
Anche se poi ritengo (e ne sono convinto) che sia lecito esaltarsi per il (comunque) buon lavoro di Cusa con i suoi
Skrunch (dove trovano spazio anche Carlo Natoli alla chitarra baritono, Paolo Sorge alla chitarra, Gaetano Santoro al sax
tenore e Tony Cattano al trombone). E anche se ritengo che ci si debba rammaricare per il (comunque) insufficiente
lavoro degli Switters, dove lo stesso Cusa viene affiancato dal sax di Gianni Gebbia e dal basso (oltre che theremin) di
Vincenzo Vasi. In ambo i casi parliamo di jazz libero e di avanguardie concettuali (sia per quel che concerne i suoni, che
per quel che riguarda i testi/storie che sottendono i suoni stessi). Solo che nel caso di Skrunch la creatività (a volte no
wave, a volte “
rock”
) ha partorito un lavoro intrigante (per l’
intelletto, ma anche per il “
corpo”
), mentre Switters, con la
voglia primaria di percorrere sentieri sonori asimmetrici, si sono infilati in un vicolo cieco, da cui ne fuoriescono solo
grazie alla perizia tecnica dei tre, ma a costo di risultare deficitari al momento della stesura dei brani in quanto tali e non
come puri e semplici esercizi di stile.
INFRATUNES
http://www.infratunes.com/chronique-album_21991_Switters_The%20Anabaptist%20Loop.html
L’
improvisation permet souvent de résoudre le dilemme des références à ménager. Naturellement, leur diversité
s’
engouffre dans un discours brut, qui tire bientôt parti des contrastes et des combinaisons heureuses. Celles - en ce qui
concerne le trio italien Switters - d’
un jazz ouvert, d’
un rock énergique et d’
une soul chaleureuse.
Hommage aux postures instituées par John Zorn ou John Lurie, The Anabaptist Loop impose avec nonchalance la
défense d’
une musique guidée par les envies : swings chancelant ou décalé (Theory Of Conspiracy, Cary Grant),
drum’
n’
bass allégée (Domino, Q), rock acharné (Theory Of Conspiracy II) ou virant au free (New Middle Age Walking),
folklore réincarné (Switters).
Ici ou là, quelques expérimentations : Gianni Gebbia jaugeant les capacités et limites de son saxophone (Langley) ; le
bassiste Vincenzo Vasi se soumettant à des prescriptions de bain de bouche à la manière de Phil Minton (Confession) ;
Francesco Cusa menant une pièce bruitiste et répétitive qui sacrifie à l’
énergie ses bonnes résolutions de ne pas céder à
la violence (Santa Inquisizione).
Car la première force de Switters est sa fougue. Repérable partout, adroitement canalisée (Salvatore Pagano) ou laissant
échapper une ou deux fautes de goût (Carafa), menant le trio jusqu’
à des fulgurances imparables (Serov). Jusqu’
à
présenter, au final, un brouillon charmant et inextricable de permissions stylistiques flamboyantes.