Elaborato Pedagogia delle Relazioni e di Cura

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Elaborato Pedagogia delle Relazioni e di Cura
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea in
Educazione Professionale
Elaborato Pedagogia delle Relazioni e di Cura
L’educatore professionale
ed il contratto riflessivo
Irene Balli
13 settembre 2012
Traccia dell’elaborato
Per professionalism può definirsi come “riflessione critica su una competenza
globale, che rende capaci di operare scelte professionalmente competenti quando
sono in gioco elementi dilemmatici o di complessità.” [F. Consorti, L. Potasso, E.
Toscano].
Grazie ai testi consultati, ai film ed al testo a scelta, quali pensate possano
essere i caratteri capaci di trasformare un contratto tradizionale di presa in carico
di un individuo e/o di un gruppo in un contratto concentrato sulla autonomia e la
condivisione?
Indice
Indice
2
Introduzione
3
Elementi di un contratto riflessivo
La Relazione . . . . . . . . . . . .
Il “problema” delle emozioni .
Il paziente è una persona . . .
Essere se stessi . . . . . . . .
La Comunicazione . . . . . . . . .
L’influenza dell’ambiente . . .
L’importanza del silenzio . . .
Comunicazione non verbale .
Imparare ad ascoltare . . . . .
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Conclusioni
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Bibliografia
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Filmografia
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Introduzione
L’obiettivo dell’educatore professionale è quello di aiutare l’utente a raggiungere un benessere psichico e sociale. L’educatore deve stipulare un contratto1 con
l’utente, che può essere di due tipi: tradizionale o riflessivo.
Il contratto tradizionale si basa principalmente sulla creazione di un rapporto asimmetrico. L’operatore esalta solo la propria conoscenza, sottovalutando le
proprie incertezze, creandosi così un senso di onnipotenza. Il paziente si affida totalmente all’educatore, considerandolo il migliore, ma senza essere capace di capire
“se le sue aspettative sono state soddisfatte 2 ”. L’educatore mantiene costantemente
le distante per trasmettere al paziente il suo ruolo di esperto, facendo così, questo
si sente al sicuro e si attiene ai consigli dati, senza però capirli realmente.
Il contratto riflessivo si può definire come una collaborazione sia da parte dell’educatore sia da parte dell’utente. Questa tipologia di contratto si basa sulla
condivisione. L’operatore insieme al paziente decide quali sono gli obiettivi da
raggiungere e le metodologie da utilizzare per arrivare a ciò. L’educatore vuole
mostrare la sua professionalità e dimostrare la propria capacità nella pratica, non
dà niente per scontato, nemmeno le proprie incertezze, anzi usa queste per imparare e migliorarsi. Il paziente, a differenza di quello che succede nel contratto
tradizionale, si sente partecipe a ciò che sta compiendo e quindi si sente maggiormente motivato a raggiungere i propri obiettivi e riesce a comprendere se quello
che sta svolgendo è ciò che realmente vuole: diventa capace di decidere da solo.
1
Con il termine contratto si intende un accordo tra due persone che sono coinvolte in
un’interazione ed ha come obiettivo il sapere cosa aspettarsi l’uno dall’altro.
2
D. A. Schön, Il professionista riflessivo.
Elementi di un contratto riflessivo
Adesso verranno illustrati i punti chiave del contratto riflessivo sia nell’ottica dell’educatore che in quella del paziente. Ciò che ogni educatore si dovrebbe
chiedere è:
QUALI SONO LE BASI PER STIPULARE
UN CONTRATTO RIFLESSIVO?
La Relazione
Per ottenere una collaborazione tra utente ed educatore, inizialmente sarà necessario riuscire ad instaurare un buon rapporto. Una relazione non è semplice
da creare e tanto meno da mantenere. Il professionista riflessivo deve ricordarsi
sempre che pur essendo un rapporto di lavoro, è impossibile che i sentimenti non
siano coinvolti. L’educatore e l’utente percorreranno un viaggio insieme, dovranno
collaborare per superare gli ostacoli, gioiranno insieme per le vittorie e si rattristiranno per le perdite che potrebbero accadere durante il periodo di tempo trascorso
insieme.
Il “problema” delle emozioni
Dovendosi creare un rapporto tra due persone, sarà impossibile che esso sia
vuoto di emozioni. Quest’ultime subentreranno sempre ed è proprio in questa
situazione che si dimostra chi sia il vero professionista riflessivo. Non è semplice
riuscire a trovare la giusta dose di emozione o quali e quanti sentimenti mettere
nella relazione.
L’educatore, volendo creare un contratto riflessivo, deve riuscire a trovare la
giusta “distanza” emotiva dalla persona. Non può distaccarsi totalmente, perché potrebbe provocare una piena sfiducia da parte del paziente e si andrebbe a
dar luogo ad un eccessivo dislivello tra le due persone che porterebbe a costruire
un rapporto incentrato sulla superiorità dell’operatore e l’inferiorità del paziente.
Non è corretto nemmeno avvicinarsi troppo al paziente, sennò si potrebbero creare
fraintendimenti ed arrivare a considerare l’operatore come un amico o addirittura
Introduzione
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il paziente potrebbe innamorarsi di lui. L’educatore deve ricordarsi che qualsiasi parola che dice e/o gesto che compie potrebbero essere fraintesi, quindi deve
imparare a valutare precedentemente qualsiasi atto che esegue.
Il paziente è una persona
Concetto da non dimenticarsi mai è che il paziente per prima cosa è una persona, con capacità decisionale e con idee proprie. L’educatore non deve mai sottovalutarlo e soprattutto non deve decidere per lui, inoltre ha come obiettivo di
accompagnarlo nelle decisioni, di sostenerlo, ma mai di sostituirlo. Non è facile
riuscire a concepire che alcuni pazienti, soprattutto quelli con problemi psichiatrici, non hanno i nostri stessi tempi: la maggior parte delle volte impiegano molto
di più a comprendere una situazione ed a formulare la decisione più consona, ma
quando si trovano in difficoltà e vorrebbero mollare tutto, noi siamo lì a sostenerli
e ad aiutarli durante il loro percorso. Sta proprio in questo processo decisionale,
la differenza tra un professionista riflessivo e uno tradizionale, il primo li accompagna nella loro decisione, il secondo decide per loro, non favorendo la loro crescita
personale. Il paziente non è un oggetto come invece viene mostrato nel film “La
forza della mente”, il quale racconta la storia di Vivian Bearing, una professoressa alla quale è stato diagnosticato un cancro terminale. Vivian, dopo una visita
effettuata dal primario e dai suoi collaboratori, racconta quello che ha provato
descrivendo così la sua situazione: “Nei giri di visita leggono me invece di un libro.
Una volta io insegnavo agli altri, ora vengo insegnata. E’ molto più facile, devo
solo stare ferma e fare la malata”. Purtroppo la maggior parte degli operatori si
dimentica che dietro al corpo che stanno esaminando c’è una persona, ed essendo
tale ha sentimenti, prova emozioni e magari ha bisogno di altro rispetto al solo
essere esaminata.
Essere se stessi
Dobbiamo ricordarci sempre che per far sì che si instauri un rapporto di fiducia
reciproca, l’educatore deve riuscire ad essere autentico. Il professionista riflessivo
non si può permettere di mentire o di trasmettere pensieri che non condivide pienamente. Alla base di ogni rapporto sta la sincerità, se l’educatore per primo usa
una maschera per relazionarsi con il paziente, quest’ultimo si comporterà di conseguenza. “Non produce alcun frutto, a lungo andare, nei rapporti interpersonali,
comportarsi come se si fosse diversi da come si è 3 ”.
La Comunicazione
Lo strumento principale e determinante dell’educatore è la comunicazione con
l’utente, grazie a questo entrambi riescono a raggiungere gli obiettivi prefissati
3
C. Rogers, La terapia centrata sul cliente
Introduzione
6
inizialmente. Tramite la comunicazione una persona riesce a trasmettere all’altra
le proprie idee e i propri sentimenti. In seguito verranno stipulati alcuni punti che
non vanno mai sottovalutati per stabilire un buon dialogo.
L’influenza dell’ambiente
Il primo compito dell’educatore è di cercare di facilitare il più possibile il dialogo
sia da parte di se stesso, sia da parte del paziente facendo sì che l’ambiente in
cui si instaura una comunicazione sia adatto, in quanto l’utente si deve sentire
totalmente a proprio agio. Se quest’ultimo è tranquillo nell’ambiente circostante
riuscirà a parlare più liberamente dei propri problemi e sicuramente faciliterà il
lavoro all’educatore. Maggiore sarà la comunicazione di uno dei due, maggiore
sarà la comunicazione reciproca e migliore sarà il rapporto che si andrà a creare.
L’importanza del silenzio
Sembra assurdo da dire, ma per ottenere un buon dialogo dobbiamo imparare
a praticare il silenzio. Come dice il filosofo francese Louis Lavelle “la parola più
bella non spezza il silenzio, lo rende più sensibile. La parola procede dal silenzio,
l’esprime ed in esso ritorna. Il silenzio è lo spazio che attraversano le parole, è
in esso che risuonano 4 .”. Il silenzio sta alla base della comunicazione, è proprio
durante il tacere che si creano i pensieri della persona, si elabora ciò che ha detto
l’altro e si formula una risposta. Non tutti abbiamo gli stessi tempi per riuscire
ad esprimersi, quindi, a volte è necessario un silenzio da parte di entrambi, il
quale è utile per trovare coraggio per affrontare argomenti toccanti. Il silenzio può
essere visto anche come un “calmante”, in quanto alcune volte succede di non essere
d’accordo con l’interlocutore e quindi per evitare di “aggredirlo” è utile prendersi un
momento per calmarsi e per trovare le parole adatte per quella specifica situazione.
Comunicazione non verbale
Tanto è importante la comunicazione verbale quanto quella non verbale: “gli
essere umani comunicano sia con il linguaggio analogico (non verbale) che con
quello numerico (verbale) 5 ”. Il linguaggio analogico esprime le emozioni, al contrario di quello numerico che esprime le idee proprie. Il primo viene considerato il
linguaggio puro, in quanto è difficile riuscire a controllarlo perché avviene inconsapevolmente; il secondo è controllato e valutato prima di essere espresso, quindi
consente di mentire. Studiando anche il comportamento di una persona riusciamo
a scoprire molte cose in più rispetto ad ascoltare solamente quello che dice. Ci sono
stati vari studiosi di prossemica6 , uno dei più famosi è Edward T. Hall, il quale ha
individuato quattro distanze che delimitano le seguenti “zone” di comunicazione:
4
Louis Lavelle, Le parole et L’Ecriture
P.Watzlawick, Pragmatica della comunicazione umana.
6
Disciplina che studia i gesti, il comportamento, lo spazio e le distanze all’interno della
comunicazione.
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Introduzione
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• zona intima (0-45cm): viene usata soprattutto tra persone che hanno una fiducia reciproca e familiarità. Questa distanza permette di toccare facilmente
il proprio interlocutore;
• zona personale (45-120cm): questa distanza non permette un contatto diretto ma è necessario spostarsi per raggiungere l’altro individuo. Viene
utilizzata tra persone con una buona relazione;
• zona sociale (120-350cm): viene utilizzata soprattutto nei rapporti di lavoro
e quindi è abbastanza difficile che avvenga un contatto tra le due persone;
• zona pubblica (oltre 350cm): viene usata negli avvenimenti pubblici, dove il
contatto diretto è nullo.
Analizzando a quale distanza si va a posizionare davanti a noi l’interlocutore
possiamo capire in quale rapporto si vuole relazionare con noi.
Altra interessante osservazione che possiamo fare è la postura. Qualsiasi individuo esprime il proprio interesse nella conversazione tramite la posizione che va
ad assumere:
• Se assume una posizione eretta ma rilassata dimostra il proprio coinvolgimento al contrario se si posiziona a braccia conserte;
• Se si siede ed assume una posizione rannicchiata può indicare tristezza o
concentrazione, a differenza se pone il busto spostato leggermente in avanti
che dimostrebbe pieno interesse. Se la sua posizione pende verso un lato
della sedia, potrebbe avere il desiderio di andarsene.
Imparare ad ascoltare
Ascoltare l’altra persona ti permette di comprendere ciò che pensa l’altro, e
permette di instaurare un rapporto basato sulla fiducia. Quando si parla di ascolto
non si intende solamente l’ascolto delle parole, ma si intende l’ascolto totale della
persona: le parole che dice, i gesti che compie e le emozioni che trasmette. L’ascolto
è tempo, gesto e respiro 7 . Nella maggior parte dei casi è molto più difficile ascoltare
qualcuno piuttosto che parlare di qualcosa. Molto interessante è il concetto di
“ascolto empatico8 ”, con il quale si intende un ascolto attivo e attento verso la
persona che sta parlando, un ascolto dedicato solo all’interlocutore tralasciando
totalmente l’io. L’educatore dovrebbe sempre ascoltare in modo particolare perché
porta a capire elementi indispensabili per comprendere il proprio interlocutore.
Parlando di ascolto, mi viene in mente il film “Il discorso del re” che narra della
storia del re Giorgio IV e dei suoi problemi di balbuzie. Una frase interessante
è nella scena in cui il re richiama il suo logopedista Lionel Logue urlandogli di
7
M.Sclavi, Arte di ascoltare i mondi possibili.
Con empatia si intende la capacità di entrare nella prospettiva dell’altro, sia nella gioia che
nel dolore.
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Introduzione
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ascoltarlo e Lionel gli domanda: “Perché dovrei sprecare tempo ad ascoltare? ”
ed il re risponde: “Perché io ho una voce”. Questa frase dimostra che qualsiasi
persona dovrebbe essere ascoltata anche solo per il fatto che ha una voce. La voce
ci è stata data per questo: farci ascoltare.
Conclusioni
Credo che sia interessante concludere il mio lavoro analizzando il codice deontologico dell’educatore professionale. La parte relativa alla professionalità riporta
che “E.P. dovrebbe possedere, oltre al Titolo Professionale specifico, qualità personali che si possono definire idonee per l’esercizio della sua professione: che sia una
persona matura, responsabile, aperta e flessibile nelle idee e nelle azioni, con una
buona autostima, equilibrato e con un grado d’autocontrollo importante; dovrebbe
essere consapevole delle sue capacità e dei suoi limiti, dovrebbe saper mantenere
l’ottimismo, la pazienza, la consapevolezza, la distanza emotiva nell’affrontare problemi in situazioni spesso difficili e frustranti 9 ”. Questa prima parte puntualizza in
particolar modo che la professionalità dell’educatore si può definire tale solo se ha
specifiche caratteristiche, che corrispondono a quelle del professionista riflessivo:
osservare le proprie incertezze, avere un giusto controllo delle emozioni ed essere
consapevoli che ognuno ha i suoi tempi. Dicendo questo vorrei puntualizzare che
ogni persona è unica, ed avendo caratteristiche e capacità peculiari, non è possibile
trovare un metodo unico per interagire con qualsiasi persona.
L’ultima parte che vorrei evidenziare è quella dedicata all’utente: “L’educatore
nell’affrontare il suo compito non dovrà avere il ruolo di risolutore dei problemi,
sostituendosi agli interessati, ma quello di avvicinarsi alle persone accettandole,
comprendendole, proponendo e favorendo quei processi educativi al cambiamento
che permetteranno una crescita personale positiva, un’integrazione sociale il più
vasta possibile, un benessere e qualità della vita a cui tutti gli esseri umani hanno
diritto. La persona che necessita dell’intervento educativo dovrà essere soggetto attivo in tutto il percorso, ed essere presa in carico nella sua globalità 9 ”. Il
professionista riflessivo è colui che riesce a supportare l’utente senza dominarlo,
sostenerlo ma non governarlo, aiutandolo a raggiungere una capacità decisionale
efficiente.
Sicuramente non sarà facile riuscire a stringere un contratto riflessivo, perché
ci potranno essere momenti che vorrai lasciar perdere tutto, ma quelle occasioni
saranno decisive per il lavoro che staremo facendo su noi stessi, si dovrà lavorare proprio su quei momenti di difficoltà per trasformarli in momenti di forza
analizzando le proprie debolezze.
9
P. N. Scarpa, A. Trombini, Il codice deontologico ANEP per gli educatori professionali.
Bibliografia
Baldassare V. A., Brescia E. M. (1995), “Contesti formativi e didattica della
comunicazione” , Dal Sud
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lettura. Istituto degli Innocenti. anno 8. n.4
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Astrolabio Ubaldini
Filmografia
Il discorso del re (The King’s Speech),Tom Hopper, Regno Unito, 2010
La forza della mente (Wit), Mike Nichols, Usa, 2001