Sotto il cielo di dicembre

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Sotto il cielo di dicembre
SOTTO IL CIELO DI DICEMBRE
Era il soffio caldo del cuore – la diceria della sonnambula –
ad accarezzare il comignolo di questa casa, lo strusciare del sole alto al altre latitudini
ed il frusciare dell’alone delle caldarroste ai piedi delle ombre
nel tempo dolce della cometa racchiusa negli itinerari della Parola.
Da dove vieni tu che nelle simmetrie della solitudine
traccerai col dito in terra i tuoi bagliori di chiarezza?
E guardavamo dal sentiero delle rose un altro viottolo, la dolce araucaria,
il labirinto dei rami pulsanti illuminati da fragili meteore, protesi dove più s’assenza l’azzurro
nello spicchio di luna raggiante, cangiante nello spazio trionfale d’una nuvola.
Era natale in un aereo gioco d’acqua, nel friggio sull’asfalto del ritmo della legna,
il ricordo di quel fuoco penetrante sulla mano tesa che ora ti porgo, vento di polvere qui,
tra gli ultimi fischi nella brughiera. E nel vagito, sul profumo dell’incenso, allargavo le braccia
…Pater noster qui es in coelis … per un’infinitesima misura di pensiero allo scoccare del nome.
Dal braciere saliva la carezza della favola oltre l’immaginaria linea della stella polare
e passava sottilmente, come un fremito, la vita nel presepe.
Qui la bellezza austera del sogno, il destino planato silenzioso nel volto non dimenticato delle cose,
la scia notturna di chi randagio assapora la brina sugli itinerari d’altri tracciati, fuori,
nello straccio bisunto del cammino, nella provvisorietà dell’onda increspata.
Nella venatura del muro ancora ferite balenano da punti oscuri d’estreme galassie,
naufraghi incrociati nelle fughe dei carovanieri lungo rotte senza nome
magari verso l’origine, in un punto estremo della cartografia di Betania,
nel cuore lacero delle madri o nel fazzoletto sempre nero dei ricordi.
Mi riconduce a te la strada che s’imbianca, antica,
e la sensazione segreta che in una minuta scheggia di preghiera
l’inchiostro stemperi il sangue disseminato nella risacca del nulla.
Nel sentiero di un lessico che s’inerpica nei lineamenti del viso,
nella smorfia della palpebra che germina parola la bivio
o nella tremula effigie scomposta dai giochi della lumèra
un muoversi nel paesaggio d’inverno e l’incantesimo del tocco di campana
a mezzanotte, che taglia il mondo.
… Per noi uomini e per la nostra salvezza …
Ti porto in dono, di questo giorno e di ogni giorno, il più piccolo spazio d’aria,
l’osso spezzato, la disperazione visibile dell’urlo di Munch, l’erranza e la mattanza,
il soffio del crisma, il sigillo della croce nel segno sul petto,
e mi torna cara l’immagine del tuo viaggio, il canto del gallo, l’asperità del golgota.
Qui ti attendo, o mio Signore, alle prime luci del niente, dove si chiude il cerchio delle dita,
nelle spighe del pane, nelle amare mare di un grido mentre ti guardo fiorire calmo
come soffio d’amore in questo natale che fruga nella ruga di un colore,
nel vorticoso brillio della pupilla incanalata far due raggi di memoria
e la sabbia della clessidra che scortica lo stretto imbuto delle ore.
Angelo Coco
Scala Torregrotta (ME)