La sostenibilità a parole

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La sostenibilità a parole
DA FINMECCANICA A LAVAZZA, COME SI DECLINA LA “RESPONSABILITÀ”
La sostenibilità,
a parole. Abbiamo letto
i bilanci sociali
delle grandi imprese.
Ecco quello
che non c’è scritto
di Duccio Facchini
Palazzo Italia, il padiglione dedicato al nostro Paese all’interno
di Expo 2015, rivestito dal “cemento biodinamico” di Italcementi (dreamstime.com)
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Multinazionali
F
inmeccanica Spa, la società multinazionale che produce armamenti,
sistemi di sicurezza ed elettronica per la difesa, non esiste più. Ma
non perché sia fallita (il fatturato
al 31 dicembre 2015 ammonta a 12,9 miliardi di
euro, più 1,8% rispetto all’anno precedente, mentre l’organico è diminuito del 13%, da 54.300 a
47.100 lavoratori) o perché abbia cambiato natura
dei propri ricavi -a metà giugno, con Fincantieri,
si è aggiudicata una commessa del Qatar del valore di 2 miliardi di euro per la fornitura di missili,
radar e sistemi-: più semplicemente, ha cambiato
nome, trasformandosi in “Leonardo”, e sito web
(www.leonardocompany.com).
“Finmeccanica era un brand noto in tutto il
mondo -ha spiegato l’ad del Gruppo, Mauro
Moretti, nel marzo di quest’anno- ma non sempre con connotazioni positive”. L’ultima “connotazione” della società, partecipata dal ministero
dell’Economia e delle finanze al 30,2%, l’avevano fornita ad aprile i giudici della seconda corte d’Appello di Milano, condannando, tra gli altri,
anche l’ex amministratore delegato e presidente
di Finmeccanica Giuseppe Orsi per corruzione e
false fatturazioni legate a presunte tangenti intorno a una maxi commessa con l’India.
L’immagine è tutto per una multinazionale, come
IN DETTAGLIO
BILANCIO “NON FINANZIARIO”:
DAL 2017 UN OBBLIGO, MA PER POCHI
Entro il 6 dicembre, il nostro Paese dovrà recepire la Direttiva
europea 2014/95/UE che impone l’obbligo di comunicare
le “informazioni di carattere non finanziario” -su ambiente,
personale, rispetto dei diritti umani, lotta alla corruzione, ad
esempio- alle imprese di grandi dimensioni che costituiscono
enti di interesse pubblico e contano oltre 500 dipendenti. Le
misure entreranno in vigore dal primo gennaio 2017. Lo scorso
3 giugno, presso il ministero dell’Economia, è terminata la fase
di consultazione pubblica per l’attuazione della direttiva, che
ha raccolto i contributi di imprese, associazioni di categoria e
ong. Tra questi anche quello di Amnesty International, che ha
proposto di allargare il numero delle imprese tenute a rispettare l’onere di trasparenza e comunicazione. “Secondo le prime
stime -si legge infatti nel contributo depositato a giugno-, solo
circa 400 imprese italiane sarebbero interessate dall’obbligo di
rendicontazione non finanziaria”.
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sa Finmeccanica-Leonardo. Lo dimostrano le 164
pagine del “Bilancio di sostenibilità e innovazione
2015” pubblicato in primavera dal Gruppo accanto alla relazione annuale che dà conto dei risultati economici, così com’è prassi di altri colossi.
Il primo paragrafo del capitolo “La Conduzione
responsabile del business” è proprio “Il contrasto
alla corruzione”. Si tratta di uno dei “temi materiali” emersi da un’indagine interna condotta
dall’azienda tra i propri portatori d’interesse in
aggiunta ad una “media analysis che ha considerato circa 18.500 uscite stampa su Finmeccanica
Spa e le società controllate”, come si legge nella
nota metodologica. Saper comunicare l’anticorruzione, si legge, può avere un “impatto esterno”
su “consulenti e promotori commerciali”. I fatti di
corruzione in sé interessano meno, tant’è che lo
stringato box dedicato alle “Indagini giudiziarie e
contenziosi” -dove ci si aspetterebbe un’informazione trasparente agli azionisti- rinvia “alle note
esplicative della Relazione finanziaria annuale al
31 dicembre 2015 (pagg. 133-137)”.
I bilanci sociali o di sostenibilità, in realtà, dovrebbero fotografare la responsabilità sociale di
un’impresa (o corporate social responsibility, CSR),
che la Commissione europea ha definito la “responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”, e non costituire soltanto uno
strumento di comunicazione o di marketing. Lo
prevede anche il Piano d’azione nazionale 20122014 sulla CSR, curato dai ministeri del Lavoro
e dello Sviluppo economico, ancora in attesa che
venga redatto il “2015-2017”.
Non che in Italia ci sia il vuoto. Ad esempio, presso il ministero dello Sviluppo economico (Mise)
esiste uno strumento in grado di verificare l’effettiva coerenza della “responsabilità sociale” delle
imprese con le “Linee guida OCSE destinate alle
multinazionali”, che di fatto sono “raccomandazioni” piuttosto morbide in materia di ambiente, corruzione, diritti umani e fiscalità. Il “Punto
di contatto nazionale per la diffusione delle linee guida OCSE sulla responsabilità sociale delle imprese” (http://pcnitalia.sviluppoeconomico.
“Finmeccanica era un brand noto
in tutto il mondo ma non sempre
con connotazioni positive” (Mauro
Moretti, amministratore delegato di
Leonardo)
imagoeconomica
Leonardo è il
nuovo brand
del gruppo
Finmeccanica,
che produce armamenti, sistemi
di sicurezza ed
elettronica per la
difesa. Nella foto
Mauro Moretti,
ad del gruppo
gov.it/) esiste dal 2002. Lo guida Stefano Firpo,
co-fondatore del quotidiano online Linkiesta.it
(detiene ancora lo 0,01% di Editoriale Linkiesta.it
Spa) e oggi al vertice della Direzione generale per
la politica industriale, la competitività e le piccole e medie imprese del Mise. Chiunque, compresi i cittadini, può rivolgere un’istanza al Punto di
contatto quando “ritiene che un’impresa abbia
adottato un comportamento difforme rispetto ai
principi e alle raccomandazioni enunciati dalle
Linee guida OCSE”. Ma l’unico potere del Punto
di contatto è quello di tentare una “composizione degli interessi”, prendendosi almeno 12 mesi
per valutare gli atti dell’istruttoria eventualmente
avviata. Nell’archivio dei “casi chiusi” online i precedenti sono solo due. Uno, finito con un’archiviazione per la società interessata perché l’istanza “non merita di essere approfondita”, ha visto
contrapposti un presunto whistleblower di stanza
in Brasile ed Eni Spa.
Quello della multinazionale degli idrocarburi è
un altro caso di scuola in tema di strategia comunicativa su sostenibilità e responsabilità sociale
d’impresa. All’inizio di giugno, infatti, il direttore della comunicazione di Eni -67 miliardi di
euro i ricavi nel 2015, in caduta libera del 27,3%
rispetto al 2014, 51 miliardi dei quali dal settore “Gas&Power”- ha lanciato il nuovo sito “Eni.
com” (“L’energia è un’esperienza da raccontare
online”). Un portale teoricamente “aperto”, ha
spiegato in conferenza stampa Marco Bardazzi
di Eni, “dove venire a incontrare l’azienda, dove
non solo cercare informazioni ma chiederle”. Ma
a chieder conto alla barra di ricerca “Ask Now”
(Domanda adesso) della convocazione in Procura
di Milano dell’amministratore Claudio Descalzi
del 10 giugno scorso -i pm Fabio De Pasquale,
Sergio Spadaro e Isidoro Palma lo accusano di
concorso in corruzione internazionale per le tangenti in Nigeria- si resta delusi: non c’è risposta.
E sarà difficile che nel prossimo “Sustainability
Report” (quello del 2015 ha 48 pagine e non reca
mai un accenno alla “questione nigeriana”) venga dato conto della maxi sanzione da 3,6 milioni di euro che la società si è vista irrogare -insieme ad Acea, Edison, Enel Energia ed Enel Servizio
Elettrico- dall’Antitrust a metà giugno 2016
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Multinazionali
Il Mater-Bi di
Novamont, main
sponsor con
Lavazza dell’edizione 2016
di “Fa’ la cosa
giusta!” Milano.
L’azienda è per
il 25% collegata
a Eni, mentre il
75% è controllato
dai 26 soci di
Mater Bi Spa. Il
più importante
è una holding
domiciliata in
Lussemburgo
per “bollette non corrispondenti a consumi
effettivi” e “ostacoli frapposti alla restituzione
dei rimborsi”.
Eni fa scuola perché oltre a costruire un’immagine aperta, è stata tra le prime ad esplorare la
frontiera del giornalismo aziendale, assumendo
professionisti della carta stampata per farsi raccontare. La piattaforma “basata sullo storytelling”
(Bardazzi) si chiama “Eniday”. Tra i responsabili
del “magazine online sull’energia” della multinazionale -che nella confusione di ruoli si ritrova
persino “main partner” del Festival internazionale del giornalismo di Perugia- c’è Marco Alfieri,
responsabile della struttura di “Content Strategy
& Newsroom di Eni” e, prima di diventare “cacciatore di storie dentro Eni”, già direttore de
Linkiesta.it.
Il racconto della sostenibilità riguarda anche il
settore tessile: H&M è uno dei brand più diffusi a livello mondiale. Nel nostro Paese -dove conta 150 punti vendita- è arrivata a dichiararlo nel
bilancio chiuso il 30 novembre 2015: “Il gruppo
continua -si legge nella nota integrativa dell’italiana H&M Hennes&Mauritz Srl, 10mila euro
di capitale sociale, sede a Milano, 743,4 milioni
di euro di fatturato lo scorso anno e come socio
mater bi - michele d’ottavio
Tra gli sponsor del Festival del giornalismo di
Perugia, insieme a Twitter, Amazon, Nestlé, Enel
e altri, c’è anche Google. La multinazionale della Rete prende parte per “contribuire al dibattito sul futuro dell’informazione e sostenere il
giornalismo di qualità”. Il punto è che la stessa
Google che stipula un accordo con la Federazione
Italiana Editori Giornali, impegnandosi a versare
in tre anni 12 milioni di euro, continua a muoversi in Italia attraverso una struttura societaria e
fiscale contestata anche dalla Procura di Milano.
Prova ne è anche l’ultimo bilancio depositato alla
Camera di Commercio dalla Google Italy Srl a
metà giugno di quest’anno, dal quale emerge che
i ricavi realizzati nel Paese nel 2015 (66,5 milioni di euro) sono dipesi quasi interamente dalle
commissioni riconosciute dalla Google Ireland
Ltd, che invece fattura a Dublino con aliquote
ben al di sotto di quelle italiane. Non ci sarebbe
nulla di “atipico o inusuale” ha scritto nella relazione sulla gestione il presidente del cda Daniel
Lawrence Martinelli. Ma è esattamente su questo
meccanismo che la Procura di Milano ha aperto
un’inchiesta.
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“Eni.com” ed “Eniday”
rappresentano la nuova frontiera del
giornalismo aziendale. Eni è main
partner del Festival internazionale
del giornalismo di Perugia
unico l’olandese H&M Hennes & Mauritz Holding
BV- nella sua strategia di promozione di una immagine giovane ed alla moda, senza trascurare la
sostenibilità ambientale ne l’attenzione ai prezzi”. È in quest’ottica promozionale che va letta
la “Conscious Exclusive Collection” presentata a
Parigi all’inizio di aprile e, soprattutto, la “World
Recycle Week”, la settimana mondiale del riciclo con l’obiettivo dichiarato di recuperare 1.000
tonnellate di abiti usati attraverso gli oltre 3.600
punti vendita nel mondo.
Un’iniziativa che la rappresentanza italiana della
“Clean Clothes Campaign” (“Abiti puliti”, http://
www.abitipuliti.org/) ha bollato come semplici
“chiacchiere”. H&M, infatti, non ha ancora onorato l’“Accordo per la prevenzione degli incendi
e la sicurezza degli edifici in Bangladesh” sottoscritto nel 2013, con il quale si era “impegnata a
migliorare le condizioni di lavoro nella sua catena di fornitura, un’analisi sulle misure correttive
messe in campo dall’azienda in alcune fabbriche,
suoi fornitori strategici”. Quell’accordo era figlio
del tragico crollo in Bangladesh del Rana Plaza,
divenuto trappola mortale per 1.138 operai tessili
stipati nei laboratori. La settimana del riciclo di
H&M cadeva esattamente a cavallo delle commemorazioni, alla fine di aprile.
Chi invece ha posto la sostenibilità al centro della
propria attività è Novamont Spa, leader nel settore delle bioplastiche con la “famiglia” delle compostabili in Mater-Bi.
L’ultimo report sulla sostenibilità di Novamont
è del 2014, ma quel che è interessante in questo
caso è la sua compagine societaria. Che è rilevante non tanto perché contraddica la sua vocazione sostenibile, o il suo “modello di bioeconomia
intesa come rigenerazione territoriale”, quanto
perché permette a un consumatore critico di aver
più chiaro il contesto. Novamont -132 milioni di
euro di fatturato nel 2014- ha due soci: Versalis
Spa (al 25%) e Mater Bi Spa (75%). Versalis ha
un azionista, Eni Spa, che infatti a bilancio indica Novamont quale “impresa collegata”, mentre Mater Bi Spa ne ha 26. Il principale -la holding
Melville Srl, 34,48% delle quote- è posseduto per
quasi il 100% da una società -si chiama NB renaissance partners holdings Sarl- che è domiciliata in
Lussemburgo, Paese a fiscalità agevolata, e da una
società di “equity investment” di Intesa Sanpaolo.
La seconda banca italiana dopo Unicredit cita
l’investimento in Novamont nel proprio report di
sostenibilità 2015 quale “sostegno allo sviluppo
di tecnologie innovative, responsabili e sostenibili nel tempo”.
La pagina dedicata all’educazione finanziaria per
bambini di BNL:
l’azienda è seconda nella classifica
italiana delle
“banche armate”.
Sotto, “Eni.com”,
il nuovo portale
aziendale della
multinazionale
degli idrocarburi
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i punti vendita
italiani di H&M:
hanno partecipato alla World
Recycle Week, l’iniziativa lanciata
con l’obiettivo di
recuperare mille
tonnellate di abiti
usati
Multinazionali
Quale sia il “peso” delle eco-cialde di caffè su
quelle commercializzate complessivamente da
Lavazza -main sponsor insieme a Novamont della fiera “Fa’ la cosa giusta!”, tenutasi a Milano nel
marzo scorso, con un contributo di 50mila euronon è dato saperlo. L’azienda si è limitata a far
sapere che il caffè delle “compostabili” è certificato nelle sue due miscele dalla ong Rainforest
Alliance. Questa ha nel proprio portfolio clienti
anche altri grandi gruppi come Unilever (che in
Italia, con la Unilever Italia Mkt. Operations Srl,
è sotto procedimento dell’Antitrust per un ipotizzato “abuso di posizione dominante” nella
distribuzione dei gelati), Nespresso, Chiquita o
Danone: si comprende la distanza dall’esperienza
del commercio equo italiano e dei diversi consorzi importatori di caffè.
Dal caffè al cemento. A poco più di un anno dalla presentazione del “cemento biodinamico” del
colosso Italcementi utilizzato per ricoprire l’intera superficie esterna e parte degli interni di
Palazzo Italia durante Expo 2015 -celebrato nella Relazione sulla sostenibilità 2014-, nel giugno
di quest’anno è uscito un report (“Visible cracks”)
a cura di CDP (organizzazione indipendente che
detiene il più grande database di informazioni
ambientali delle imprese in tutto il mondo, www.
cdp.net). È concentrato sugli impatti ambientali
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delle principali compagnie cementiere. La bergamasca Italcementi, recentemente acquistata dalla tedesca HeidelbergCement AG, è la peggiore in
classifica per emissioni, gestione di energia e materiali, esposizione alla “bolla del carbonio”, seguita da un’altra italiana, Cementir Spa (l’azionista principale è il costruttore Francesco Gaetano
Caltagirone con il 65,94%), e sarebbe “decisamente fuori strada nel raggiungere il proprio
obiettivo di riduzione delle emissioni”, come ha
scritto CDP.
La sostenibilità è la chiave per “disegnare il futuro” delle imprese, stando al tratteggio del gruppo
assicurativo e finanziario Unipol. Per presentare
i risultati del 2015 ha organizzato una lectio magistralis sull’“Impresa del 2020, tra sostenibilità, engagement e innovazione sociale” a Milano,
invitando tra i vari relatori anche Sergio Solero,
presidente e amministratore delegato della casa
automobilistica BMW in Italia. Lo stesso marchio
finito al centro di un report diffuso a inizio giugno da “Transport & Environment”, la campagna internazionale che ha denunciato per prima
il “Dieselgate”, lo scandalo delle emissioni truccate a carico di 8,5 milioni di veicoli VolksWagen
(vedi Ae 182). Il rapporto guarda alle “30 dirty”,
i trenta modelli di auto inquinanti in commercio attualmente approvati dalle autorità di sette
Paesi dell’Unione europea (tra cui l’Italia), secondo T&E, nonostante eccessivi livelli di emissioni. Nell’elenco dei modelli, oltre alla Fiat 500X,
ci sono anche due BMW. Il “Dieselgate” nasce
con Volkswagen, gruppo multinazionale che è
padrone di Skoda, Porsche e Audi. Quest’ultima
-che sulla pagina italiana racconta il proprio
“Codice di condotta”- ha collaborato con la testata Wired per organizzare l’ultimo Wired Next
Fest, “Futuro, innovazione, creatività”, che si
svolge tra Milano (si è tenuto a maggio) e Firenze
(a settembre). Non è sola dato che ad aprire l’elenco dei “Main partners” c’è BNL-Gruppo Bnp
Paribas. L’ultimo bilancio di sostenibilità è del
2013, ma nell’area “Responsabilità sociale” del
sito -che sta sotto alla “Comunicazione”- è dato
ampio spazio al progetto di educazione finanziaria “alla portata dei bambini” che si chiama
“EduCare Scuola”. Manca, invece, il riferimento a quella parte dell’ultima Relazione 2016 del
Governo sull’export di armamenti che permette di ricostruire le transazioni sui conti correnti
degli istituti di credito, chiamati perciò “banche
armate”. BNL e Bnp Paribas (339 milioni di euro)
vengono subito dopo Deutsche Bank (1 miliardo
di euro). Ma comunicarlo non è sostenibile.