TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

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TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
N. R.G. 14858/2011
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
DECIMA CIVILE
VERBALE DELLA CAUSA n. r.g. 14858/2011
Oggi 14 febbraio 2014 ad ore 11,10 innanzi al dott. Damiano Spera, sono comparsi:
Per RA. H. M. l’avv. MO. GIAMPAOLO e l’avv. MA. Antonella
Per SH. M. l’avv. MO. GIAMPAOLO e l’avv. MA. Antonella
Per
MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE DELL'UNIVERSITÀ E
DELLA RICERCA nessuno compare
Per
ISTITUTO SCUOLA MEDIA STATALE GIOVANNI XXIII SEGNATINI
nessuno compare
Per ES. M. l’avv. MO. GIAMPAOLO e l’avv. MA. Antonella
Dopo breve discussione orale, il Giudice sospende l'udienza fino alle ore 16,30.
Alle ore 16.30 viene riaperto il verbale.
Alle ore 17.00 viene data lettura della sentenza che costituisce parte integrante del presente verbale.
Il Giudice
dott. Damiano Spera
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
DECIMA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Damiano Spera ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la
seguente
SENTENZA
(sentenza n. 2327-2014 pubblicata il 14.2.2014)
Nella causa civile iscritta al R.G. n. 14858/2011, promossa da
H. M. Randa, M. SH., in proprio
M. ES. (divenuto maggiorenne nel corso del giudizio) con l’avv. MO. Gianpaolo
- attori contro
Ministero della Pubblica Istruzione dell’Università e della Ricerca, Istituto Scuola
Media statale “Giovanni XXIII – Segantini”, con l’Avvocatura dello Stato, avv. M.C.
Bove
- convenuti All’udienza di precisazione delle conclusioni in data 30.1.2014, le parti concludevano come da verbale
di causa.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato, H. M. RA. e M. SH., in proprio e quali esercenti la potestà
sul figlio minore M. Es.(divenuto maggiorenne nel corso del giudizio e successivamente costituitosi in
proprio) domandavano l’accertamento della responsabilità solidale dei convenuti per i fatti illeciti
penalmente rilevanti commessi dalla professoressa GE. D’Elia nei confronti del figlio, oltre al
risarcimento dei conseguenti danni patrimoniali e non patrimoniali.
Con sentenza non definitiva del 25.1.2013 questo Tribunale rilevava che la sentenza penale che aveva
condannato GE. D’Elia per il reato di cui all’art. 609 quater, nn. 1 e 2 c.p. (atti sessuali con minorenne)
per aver commesso atti di masturbazione sull’alunno M. ES. e su alcuni compagni di quest’ultimo,
all’epoca dei fatti tredicenne, era passata in giudicato e doveva pertanto ritenersi vincolante ex art. 651
c.p.p.; per l'effetto, dichiarava la responsabilità contrattuale dei convenuti nei confronti di M. ES la
responsabilità extracontrattuale nei confronti di H. M. RA. e M. SH. e li condannava, in solido, al
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risarcimento di tutti i danni subiti dagli attori, riservando alla sentenza definitiva la quantificazione del
danno e le statuizioni sulle spese processuali fra gli attori ed i convenuti.
Il Tribunale, inoltre, dichiarava prescritto il diritto all’azione dei convenuti nei confronti della terza
chiamata compagnia assicuratrice Aig Europe S.a., ora Chartis Europe s.a., e li condannava a rifondere
le spese processuali da quest’ultima sostenute.
Il G.I., quindi, rimessa la causa sul ruolo istruttorio, ammetteva parzialmente le prove orali dedotte
dagli attori e disponeva consulenza tecnica medico – legale d’ufficio.
All’udienza del 30.1.2014 le parti precisavano le conclusioni come da verbale ed il G.I. fissava per la
discussione orale della causa, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., l’udienza del 14.2.2014. In detta
udienza il giudice dava lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di
diritto della decisione.
Preliminarmente si rileva che, nelle (autorizzate) note conclusionali nonché nell’udienza del 30.1.2014,
il procuratore di parte attrice chiedeva la condanna dei convenuti al risarcimento dei soli danni non
patrimoniali subiti dagli attori.
La recente giurisprudenza della Cassazione sul danno non patrimoniale
Ai fini di una corretta qualificazione e liquidazione del danno non patrimoniale subito dagli attori
appare necessario un rapido (e necessariamente sommario) excursus dello stesso nel diritto vivente
della giurisprudenza; questa esigenza sembra addirittura imposta da recenti pronunce della Cassazione
che, sempre più spesso (come un “crescendo musicale” tumultuoso e frenetico), affermano principi di
diritto non sempre coerenti e talora in (conclamata) contraddizione tra loro.
In estrema sintesi, la Cassazione a Sez. Unite con le note sentenze di San Martino 2008, ha precisato
che il danno non patrimoniale, connotato da tipicità, è risarcibile: in tutte le fattispecie di reato ex art.
185 c.p., nelle ipotesi specificamente previste dalla legge e quando ricorra la lesione dei diritti
inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione e, cioè, in presenza di una ingiustizia
costituzionalmente qualificata.
In mancanza di una di queste "tre chiavi" non si apre la porta del risarcimento del danno non
patrimoniale ex art. 2059 c.c..
“I pregiudizi di tipo esistenziale” sono risarcibili se costituiscono la “conseguenza della lesione almeno
di un interesse giuridicamente protetto (…) e cioè purché sussista il requisito dell’ingiustizia generica
secondo l’art. 2043 c.c.” e devono rientrare nell’ambito dell’art. 2059 c.c..
Si deve, in definitiva, affermare che "di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è
più dato discorrere”.
E tuttavia le Sez. Unite ribadiscono che «Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale,
nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre».
La nozione di «danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata»; non ne parla la legge
ed è inadeguata se si pensa che la sofferenza morale cagionata da reato non è necessariamente
transeunte, ben potendo l’effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo. Nell’ambito del danno non
patrimoniale il danno morale non individua una autonoma sottocategoria, ma descrive, tra i vari
possibili pregiudizi, quello «costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé
considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della
esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento».
Bisogna distinguere se la «sofferenza soggettiva» sia «in sé considerata» o sia «componente di più
complesso pregiudizio non patrimoniale».
Ricorre il primo caso (ad esempio) nel dolore che subisca la persona diffamata.
Se vi sono degenerazioni patologiche della sofferenza «si rientra nell’area del danno biologico, del
quale ogni sofferenza fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina
quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale
nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo.
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Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle,
procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro
effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro
del danno nella sua interezza. Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta
attribuzione del danno morale, nella sua nuova configurazione, e del danno da perdita del rapporto
parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che
accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso
pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato».
Il danno «biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il
c.d. danno alla vita di relazione», può contenere solo come “voci” i «pregiudizi di tipo esistenziale
concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell’integrità psicofisica, sicché
darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione».
Recentemente la Cassazione sta di nuovo insistendo sui contenuti “esistenziali” del danno alla persona
e sembra propugnare un “ritorno al passato” anche nei criteri di liquidazione prospettando autonome
liquidazioni di (diversi) danni non patrimoniali sul presupposto della asserita diversità ed autonomia
ontologica del danno biologico, morale e esistenziale (Cassazione, sentenza n. 29191 del 12.12.2008, n.
10527 del 13.5.2011, n. 12273 del 7.6.2011, n. 14402 del 30.6.2011, n. 18641 del 12.9.2011, n. 20292
del 20.11.2012, n. 9231 del 17.4.2013, n. 19402 del 22.8.2013, n 22585 del 3.10.2013, n. 23147 del
11.10.2013, n. 1361 del 23.1.2014).
Cassazione, sentenza n. 23147 del 11.10.2013
Per ragioni di sintesi è opportuno richiamare solamente le argomentazioni espresse nella sentenza Cass.
n. 23147/2013, perché quest’ultima sembra fare il punto sul dibattito svoltosi in questa anni anche in
Cassazione.
La sentenza ha ad oggetto il risarcimento del danno di un macroleso (costretto a vivere su una sedia a
rotelle).
Richiama la sentenza n. 20292-2012 e ribadisce che “il danno biologico (cioè la lesione della salute),
quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile
“esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso
in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non
patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di
unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite
della Corte di cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non
una considerazione atomistica dei suoi effetti (v. Cass. n. 20292/2012). In definitiva, se non è
ammissibile nel nostro ordinamento l’autonoma categoria di “danno esistenziale”, in quanto, ove in
essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango
costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell’art. 2059 cod. civ.
(con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una non
consentita duplicazione risarcitoria) mentre qualora si intendesse invece includere nella categoria
pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, la stessa sarebbe illegittima (essendo essi
irrisarcibili alla stregua del menzionato articolo), quel che rileva, ai fini risarcitori, è che, ove si siano
verificati pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero
derivanti da fatti-reato, essi non siano stati già oggetto di apprezzamento e di liquidazione da parte del
giudice del merito, a nulla rilevando in senso contrario che quest’ultimo li liquidi sotto la voce di danno
non patrimoniale oppure li faccia rientrare secondo la tradizione passata sotto la etichetta “danno
esistenziale”. Ed invero, l’erroneità della denominazione adottata, di per sé sola, non fa ovviamente
discendere l’illegittimità della loro liquidazione. Le censure sono pertanto infondate”.
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I (nuovi?) contenuti del danno non patrimoniale
Ritiene questo giudice che, rifuggendo da interpretazioni grossolane e/o semplicistiche delle
menzionate sentenze, un’attenta disamina del più recente indirizzo giurisprudenziale di legittimità
consente di sostenere che non siano stati scalfiti i (veri) punti fermi delle sentenze di San Martino 2008
(con la conseguenza che la Tabella milanese appare in grado di “resistere” e confermare la sua
perdurante vitalità e validità).
In primo luogo preme rilevare che la Cassazione ha sostenuto che il danno morale deve essere
qualificato in termini di "dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana,
desumibile dall'art. 2 Cost. in relazione all'art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di
Lisbona"; conseguentemente la Cassazione (v. anche sentenze n. 29191/2008, n. 13530/2009, n.
5770/2010) "nel segnalarne l'ontologica autonomia, in ragione della diversità del bene protetto,
attinente alla sfera della dignità morale della persona, ha sottolineato la conseguente necessità di
tenersene autonomamente conto, rispetto agli altri aspetti in cui si sostanzia la categoria del danno
non patrimoniale, sul piano liquidatorio" (Cass., sentenza n. 1361-2014).
Osserva tuttavia in proposito questo giudice che la Carta di Nizza, nell'affermare nell'art. 1 il solenne
principio che "La dignità umana è inviolabile", non individua affatto un danno non patrimoniale
risarcibile senza la lesione del diritto inviolabile della dignità della persona (diritto peraltro già
riconosciuto nell'art. 2 della nostra Costituzione). E' necessario, infatti, che si dia la prova che il fatto
illecito abbia (direttamente) leso il bene giuridico protetto (la dignità della vittima), ex art. 2043 c.c.. E
dunque può anche assimilarsi il "diritto alla dignità" a quello "all'integrità morale", tuttavia: per un
verso, non consegue alla lesione di questo diritto il risarcimento, in re ipsa, di una nuova categoria di
danno non patrimoniale (esistenziale), essendo comunque necessaria la prova del danno-conseguenza,
in termini di sofferenza e/o sconvolgimento delle proprie abitudini di vita; per altro verso, si deve
riaffermare la non riconducibilità della lesione della "integrità morale" al "danno morale" (inteso come
sofferenza psicofisica) essendo quest'ultimo risarcibile solo con l'ausilio di una delle "tre chiavi"
innanzi indicate.
Il danno morale, in sé considerato, non ha quindi copertura né per la nostra Costituzione né per la Carta
di Nizza!
In definitiva, anche per l'integrità morale ed il c.d. danno morale trova applicazione l'art. 2059 c.c.,
nella lettura costituzionalmente orientata proposta dalla Cassazione con le sentenze gemelle del maggio
2003.
Ritiene inoltre il Tribunale, nei solchi tracciati dalle citate sentenze di San Martino, che si possa ancora
oggi sostenere quanto segue:
- il danno non patrimoniale rimane caratterizzato dalla tipicità ex art. 2059 c.c.;
- conseguentemente, in assenza di una delle "tre chiavi" innanzi citate non è possibile accedere al
risarcimento del danno non patrimoniale, sebbene risulti provata la sussistenza del danno non
patrimoniale-esistenziale (inteso come danno conseguenza);
- il danno non patrimoniale può consistere in aspetti di sofferenza soggettiva e cioè un patema
d’animo interiore (prima definito danno morale transeunte) e/o in aspetti relazionali e cioè
nell’alterazione delle condizioni di vita della vittima (primaria o secondaria) o, se si preferisce,
nei pregiudizi esistenziali. Solamente nell'ipotesi di lesione del bene salute (danno biologico,
quale species del danno non patrimoniale) è risarcito altresì il pregiudizio degli aspetti anatomofunzionali della vittima (tutti questi aspetti sono considerati e valutati unitariamente anche nella
tabella milanese edizione 2013);
- dopo la sentenza Cass. Sez. Unite n. 6572/2006 (che sembrava riconoscere in termini generali il
danno esistenziale), il Tribunale di Milano già nella sentenza 4.3.2008 n. 2847 (pubblicata su
"Danno e Responsabilità", n. 8-9/2008 ed in “Guida al diritto”, dossier n. 4/2008),
stigmatizzava che, in definitiva, sempre (e solo) a due grandi voci si può ricondurre il danno
non patrimoniale:
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“Ma in tutti i casi in cui si applica l’art. 2059 c.c., alla luce anche della sentenza n. 6572/2006,
qual è l’effettivo contenuto del danno non patrimoniale risarcibile?
Da un’attenta ricognizione dell’evoluzione giurisprudenziale sul danno non patrimoniale, si evince
che, in definitiva, tutti i pregiudizi riconducibili al genus del danno non patrimoniale possono
essere ricompresi in due sole species:
a) un patema d’animo cd. “danno morale soggettivo”, che attiene alla sfera interiore del
soggetto;
b) un danno che attiene alla sfera esteriore del soggetto, che in tal senso può anche definirsi
“esistenziale”, nella nozione accolta dalle Sezioni Unite: pregiudizio che l’illecito
“provoca sul fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti
relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni
per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno”.
Presumibilmente la sentenza Cass. n. 20292/2012 non afferma concetti molto diversi allorché
sembra scolpire il contenuto del danno non patrimoniale nel “dolore interiore” e nella
“alterazione della vita quotidiana”;
- è altresì riaffermato il principio che il giudice deve risarcire l’intero danno, ma in pari tempo
evitare duplicazioni risarcitorie di voci (ancora una volta “etichette”) che riguardano, invece, i
medesimi pregiudizi;
- il danno non patrimoniale non è mai in re ipsa, ma deve essere allegato e provato, sia pure
mediante presunzioni. E’ infatti possibile che alla lesione del diritto (anche inviolabile) non
segua alcun risarcimento o perché l’offesa al bene giuridico sia lieve o perché il danno non sia
serio o sia addirittura inesistente (Cass. Sez. U. sentenze di San Martino) (v. in tal senso gli
esempi indicati nella citata sentenza Cass. n. 20292/2012 e Tribunale di Milano, sentenza n.
3520/2005, in Altalex 2005);
- ed allora, in questa ottica, si può meglio comprendere la seguente affermazione della
Cassazione “Sembrano efficacemente scolpiti, in questa disposizione di legge [art. 612 bis c.p.]
- per quanto destinata ad operare in un ristretto territorio del diritto penale - i due autentici
momenti essenziali della sofferenza dell'individuo: il dolore interiore, l'alterazione della vita
quotidiana. Danni diversi, e perciò solo entrambi autonomamente risarcibili, se, e solo se,
rigorosamente provati caso per caso, al di là di sommarie ed impredicabili generalizzazioni
(che anche il dolore più grave che la vita può infliggere, come la perdita di un figlio, può non
avere alcuna conseguenza in termini di sofferenza interiore e di stravolgimento della propria
vita "esterna" per un genitore che, quel figlio, aveva da tempo emotivamente cancellato,
vivendo addirittura come una liberazione la sua scomparsa). E' lecito ipotizzare, come sostiene
il ricorrente incidentale, che la categoria del danno esistenziale risulti "indefinita e atipica".
Ma ciò è la probabile conseguenza dell'essere la stessa dimensione della sofferenza umana, a
sua volta, "indefinita e atipica" (così la citata Cass., sentenza n. 20292/2012);
- ebbene, ritiene questo giudice che il danno relazionale o, se si preferisce “esistenziale”, e la
sofferenza umana possano essere “indefiniti e atipici”, ma ciò significa solamente che le
conseguenze dell’illecito sulla persona umana possono assumere infinite caratteristiche e
peculiarità. E’ facilmente riscontrabile (ad esempio) che un (semplice) danno biologico
temporaneo di pochi giorni ed un danno biologico permanente del 3% alla caviglia possano
comportare infinite variabili di pregiudizi in tema di sofferenza psico-fisica e compromissioni
relazionali, in riferimento ai seguenti peculiari aspetti della vittima: l’età, il lavoro, i suoi hobby,
le modalità di trascorrere il tempo libero; con l’avvertenza che tutte queste variabili possono
mutare nel tempo e nello spazio ed essere a loro volta condizionate dalle pregresse esperienze
di vita, dal soggettivo grado di resilienza (e cioè dalla capacità di far fronte al dolore ed alle
avversità della vita), dalle specifiche abitudini dei prossimi congiunti e degli amici. Tuttavia,
dalla consapevolezza di queste peculiari ed infinite circostanze di vita della vittima dell’illecito,
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-
non consegue affatto la necessità (ma neppure l’opportunità) di un’analitica e puntigliosa
allegazione e prova nel processo. Infatti, se (inopinatamente) si richiedesse un siffatto onere di
allegazione e prova, avremmo un processo civile “non sostenibile”, perché:
a) graverebbe la parte di un onere inesigibile (quanto inutile) di alluvionale allegazione
e prova di infiniti e minuziosi fatti di vita quotidiana, intrisi di sofferenza, disagi e
fastidi;
b) appesantirebbe l’istruttoria per un tempo certamente “non ragionevole”;
c) imporrebbe al giudice di motivare la sentenza con infinite argomentazioni e
valutazioni (con il “bilancino del farmacista”) per calibrare i valori monetari più
adeguati alla fattispecie concreta;
ed allora, nella dialettica del contraddittorio processuale, tenendo conto degli oneri di
allegazione, prova e contestazione gravanti sulle parti e delle “nozioni di fatto che rientrano
nella comune esperienza” (ex art. 115 c.p.c.), il giudice, al di là di facili e purtroppo frequenti
automatismi, deve sempre valutare le prove (anche presuntive) acquisite nel processo “secondo
il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti” (ex art. 116 c.p.c.) e
deve (sia pure concisamente) esporre le “ragioni di fatto e di diritto della decisione” assunta
(art. 132 c.p.c.), pervenendo (preferibilmente) ad una unitaria liquidazione del danno non
patrimoniale complessivamente subito dalla vittima.
Quantificazione dei danni subiti da M. ES.
Il fatto illecito commesso da GE. D’Elia (insegnante ausiliaria dei convenuti) integra il reato di cui
all’art. 609 quater c.p. e, pertanto, ai sensi degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p., deve essere risarcito ogni
danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato
dall’ordinamento, indipendentemente dalla sua rilevanza costituzionale.
In relazione a M. ES., persona offesa dal reato, tali danni consistono nella lesione della sua libertà
sessuale e dignità e nella relativa sofferenza morale nonché nella modifica delle sue abitudini di vita,
mentre non è ravvisabile alcuna lesione dell’integrità psico-fisica.
Il CTU, con metodo corretto e immune da vizi logici o di altra natura, non ha riscontrato in M. Es.alcun
sintomo o segno clinico atto a costituire uno stato di malattia riconoscibile e diagnosticabile secondo le
più diffuse nosografie psichiatriche. Il CTU ha inoltre rilevato che dalla documentazione a sua
disposizione non è neppure emerso che M. ES., prima dello svolgimento della consulenza tecnica
d’ufficio, abbia sofferto di malattie psicopatologiche riconducibili agli episodi oggetto del presente
giudizio.
Si deve pertanto ritenere che gli illeciti commessi dalla D’Elia non abbiano cagionato alla vittima un
c.d. danno biologico.
Alla luce dei principi esposti, deve essere nondimeno risarcito il danno non patrimoniale consistente
nella lesione della libertà sessuale e dignità dell’attore, diritti fondamentali che l’art. 609 quater c.p. è
volto a tutelare, nella sofferenza psico-fisica derivatene nonché il danno relativo alle profonde
modifiche della abitudini di vita e delle relazioni dell’attore.
In particolare, ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale subito da M. ES., debbono
essere presi in considerazione:
- la gravità degli atti compiuti dalla D’Elia sugli alunni: l’insegnante, infatti, compiva atti di vera
e propria masturbazione su M. ES., tanto che in sede di condanna penale è stata espressamente
esclusa l’applicabilità dell’attenuante prevista dall’ultimo comma dell’art. 609 bis (e 609
quater) c.p. per le condotte di minore gravità;
- il contesto in cui si è verificato l’evento lesivo: gli atti illeciti venivano commessi da
un’insegnante di M. ES., cioè proprio da quel soggetto cui il minore era affidato per ragioni di
istruzione e che aveva nei suoi confronti precisi obblighi di vigilanza e custodia. Peraltro gli atti
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sessuali venivano compiuti in un’aula della scuola e durante l’orario scolastico, in un contesto,
dunque, in cui il minore avrebbe dovuto essere protetto e tutelato;
- la giovane età di M. Es.che, essendo nato l’11.8.1993, all’epoca dei fatti (6.11.2006) aveva solo
tredici anni e non era pertanto in grado di esercitare consapevolmente la propria libertà sessuale.
Peraltro, ai sensi dell’art. 609 quater, n. 2, c.p., nell’ipotesi in cui gli atti sessuali siano
commessi con una persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione,
vigilanza o custodia, il legislatore ritiene che il minore acquisti consapevolezza della propria
sessualità non a quattordici anni, bensì solo col compimento del sedicesimo anno d’età;
- le sostanziali modifiche delle abitudini di vita: a seguito degli illeciti commessi dalla D’Elia, i
genitori di M. Es.decidevano di cambiare abitazione, lasciavano Nova Milanese, dove vivevano
al momento dei fatti, e si trasferivano con tutta la famiglia a Limbiate. M. Es.era quindi
costretto a cambiare ambiente, amici e scuola. In particolare il ragazzo, che all’epoca dei fatti
frequentava la seconda media presso l’istituto Giovanni XXIII – Segantini, terminava il ciclo di
studi in un istituto diverso.
Tale sconvolgimento delle abitudini di vita dell’attore non è imputabile ad una libera scelta dei
suoi genitori. Come risulta dalla consulenza tecnica d’ufficio e dalle dichiarazioni rese dal teste
Paglia Ivano all’udienza del 15.1.2014, i genitori di Es.decidevano di cambiare residenza perché
l’illecito subito dal figlio era di pubblico dominio a Nova Milanese, tanto che ne avevano
parlato anche i telegiornali, ed in quanto circolavano delle voci secondo le quali sarebbe stato
l’attore, insieme ad alcuni compagni, a molestare sessualmente l’insegnante.
Alla luce delle suddette considerazioni si ritiene che il danno non patrimoniale complessivamente
subito da M. Es.debba essere liquidato in via equitativa nella somma di Euro 70.000,00 (somma
rivalutata ad oggi).
Quantificazione dei danni subiti da M. SH. e RA.H. M.
Questo Tribunale ritiene che anche i genitori della persona offesa dal reato di atti sessuali con
minorenne, pur non essendo vittime primarie dell’illecito penale, abbiano diritto iure proprio al
risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi del combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 2059 c.c..
La costante giurisprudenza ritiene infatti che il risarcimento dei danni da reato è dovuto non solo alla
persona offesa titolare del bene giuridico tutelato dalla norma, bensì a tutti i soggetti danneggiati:
“l'affermazione, secondo la quale il danno morale spetta alla sola vittima del reato e non ad altri è
destituita di ogni fondamento giuridico trovando una smentita letterale nel combinato disposto dell'art.
74 c.p.p. e art. 185 cod. pen., non facendo tale ultima norma riferimento alla sola persona offesa dal
reato, ma al danneggiato in genere” (Cass. sentenza n. 20231/2012, si veda anche Cass. S.U. sentenza
n. 9556/2002).
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la pronuncia n. 9556/2002, in materia di risarcimento dei
danni non patrimoniali subiti dai parenti della persona offesa, ha chiarito che “Ai prossimi congiunti di
persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il
risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione
affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno
trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad
agire iure proprio contro il responsabile”; ed ancora “l'attenzione deve spostarsi dal danno al
danneggiato, poiché il problema cruciale diviene non tanto quello della propagazione di un unico
danno, bensì quello della individuazione delle c.d. vittime secondarie” (si veda anche l'isolato
precedente Tribunale di Milano, sentenza del 18.6.1990, n. 4768/1990, pubblicata su "Il Foro Italiano",
1990, I, p. 3498). La Corte di Cassazione ha quindi recepito il criterio indicato dalla più recente
dottrina per la selezione delle c.d. vittime secondarie aventi diritto al risarcimento del danno consistente
“nella titolarità di una situazione qualificata dal contatto con la vittima che normalmente si identifica
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con la disciplina dei rapporti familiari, ma non li esaurisce necessariamente, dovendosi anche dare
risalto a certi particolari legami di fatto”.
Le Sezioni Unite hanno riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale subito dai parenti della
vittima di un reato in forza del solo art. 185 c.p., senza ritenere necessario che l’interesse delle vittime
c.d. secondarie abbia rilevanza costituzionale.
La risarcibilità del danno non patrimoniale patito dai genitori della persona offesa proprio in materia di
atti sessuali con minore o di violenza sessuale è stata successivamente riconosciuta non solo dalla
giurisprudenza di merito (ad esempio Tribunale di Milano, sentenza 9/6/2005, Foro Ambrosiano (Il)
2005, 3, 271; Tribunale di Milano, sentenza 17/12/2004, Il merito 2007, 1-2, 4), ma è stata ribadita
anche dalla Corte di Cassazione: “Ai prossimi congiunti della vittima di un reato (nella specie abuso
sessuale su minore) spetta iure proprio il diritto al risarcimento del danno, avuto riguardo al rapporto
affettivo che lega il prossimo congiunto alla vittima, non essendo ostativi ai fini del riconoscimento di
tale diritto né il disposto dell'art. 1223 del codice civile né quello di cui all'art. 185 del codice penale,
in quanto anche tale danno trova causa diretta e immediata nel fatto illecito” (Cass. 38952/2007).
Peraltro in tale pronuncia la Corte di Cassazione ha riconosciuto che nel caso di reati sessuali, anche
l’interesse dei genitori, vittime secondarie, ha rilevanza costituzionale “L'attribuzione di tale
legittimazione iure proprio si fonda anche e soprattutto sul riconoscimento dei "diritti della famiglia"
previsto dall'art. 29 Cost., comma 1, il quale riconoscimento, come statuito da questa corte, sezione
terza civile, con la sentenza n 8827 del 2003, deve essere inteso non già restrittivamente, come tutela
delle estrinsecazioni della persona nell'ambito esclusivo di quel nucleo, con una proiezione di
carattere meramente interno, ma nel più ampio senso di modalità di realizzazione della vita stessa
dell'individuo alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto personale ispira, generando così,
non solo doveri reciproci, ma dando luogo anche a gratificazioni e reciproci diritti. Da tale rapporto
interpersonale discende che il fatto lesivo commesso in danno di un soggetto esplica i propri effetti
anche nell'ambito del rapporto familiare”.
A conferma della risarcibilità dei danni subiti da soggetti diversi dalla persona offesa dal reato, si rileva
che, più di recente, sempre in materia di reati sessuali, è stata riconosciuta la legittimazione a costituirsi
parte civile per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali: al Comune di
Milano, in quanto finanziatore e diretto erogatore di servizi specificamente rivolti alle vittime di
violenza sessuale ed in quanto statutariamente e concretamente impegnato contro la violenza alle donne
(Cass. 29905/2011); alle organizzazioni sindacali rappresentative degli iscritti vittime di violenza
sessuale commessa sul luogo di lavoro (Cass. 12738/2008).
Alla luce di tutte le suddette considerazioni, i convenuti devono condannati anche al risarcimento dei
danni non patrimoniali subiti dai genitori di M. ES., in quanto normale effetto del fatto illecito ai sensi
dell’art. 1223 c.c.
Quanto alla prova della sussistenza del pregiudizio, si rileva che nel caso di specie i danni non
patrimoniali, sia sotto il profilo della sofferenza morale che delle alterazioni della abitudini di vita di H.
M. RA.e M. SH., possono essere presunti in forza del rapporto qualificato esistente con la persona
offesa dal reato: “L'abuso sessuale patito da un minore crea indubbiamente un danno anche ai suoi
genitori, il quale danno può essere di natura patrimoniale, allorché ad esempio i genitori devono
sostenere spese per terapie psicologiche a favore della vittima, o di natura non patrimoniale per le
apprensioni o dolori causati dall'illecito” (Cass., sent. n. 38952/2007). Nella fattispecie concreta detti
danni sono stati univocamente comprovati dall'espletata istruttoria orale.
In particolare, nell’udienza del 15.1.2014, il teste Ivano Paglia dichiarava che, a seguito dell’episodio
del 6.11.2006, i genitori di M. Es.decidevano di trasferirsi al fine di cambiare ambiente e
frequentazioni, tanto che negli anni successivi (la comunicazione di cessione fabbricato allegata dagli
attori riporta la data del 10.7.2007) vendevano la casa di Nova Milanese, ove abitavano al momento dei
fatti, e si trasferivano a Limbiate.
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Gli eventi verificatisi il 6.11.2006, infatti, avevano avuto una grande risonanza, anche mediatica, tanto
da diventare di pubblico dominio nel contesto ove gli attori vivevano e da creare nei genitori del
minore un profondo senso di vergogna che impediva loro di relazionarsi con il vicinato, nonché una
grande preoccupazione per il futuro del figlio, posto che (in un primo momento) si era diffusa la voce
che fosse stato lui, insieme ai compagni, a molestare l’insegnante.
Dall’istruttoria orale risulta inoltre che l’illecito di cui è causa procurava una profonda sofferenza e
senso di vergogna alla madre di M. ES., H. M. Randa.
Il teste Ivano Paglia - che si recava e rimaneva a casa degli attori per due settimane nel periodo
successivo alla scoperta degli atti sessuali subiti da M. Es.- riferiva che la madre del ragazzo si rifiutava
di uscire di casa, veniva colta da continui attacchi di collera e pianto e che, per poter dormire, assumeva
tranquillanti e farmaci.
Tutto ciò considerato, si ritiene che il danno non patrimoniale subito da M. SH. debba essere
equitativamente liquidato in complessivi Euro 40.000,00 (somma rivalutata ad oggi) ed il danno di H.
M. RA.in complessivi Euro 50.000,00 (somma rivalutata ad oggi).
Su tutti gli importi liquidati devono essere riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante
dal mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario del bene perduto.
Gli interessi compensativi - secondo l'ormai consolidato indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione (v. sentenza n. 1712/1995) - decorrono dalla produzione dell'evento di danno sino al tempo
della liquidazione; per questo periodo, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un
tasso annuo medio ponderato, equitativamente determinato, sul danno rivalutato.
Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma
rivalutata.
Pertanto, alla luce degli esposti criteri, i convenuti, in solido, devono essere condannati al pagamento,
in favore di M. Es.della complessiva somma di Euro 70.000,00, in favore di M. SH. della complessiva
somma di Euro 40.000,00, in favore di H. M. RA.della complessiva somma di Euro 50.000,00,
somme tutte liquidate in moneta attuale, oltre:
- interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 1,5% su ciascuna delle predette
somme, dalla data del 6.11.2006 ad oggi;
- interessi al tasso legale, sempre sulle suddette somme, dalla data della presente sentenza al
saldo effettivo.
Le spese della consulenza tecnica d'ufficio vanno poste a carico solidale dei convenuti.
Consegue alla soccombenza la condanna dei convenuti, in solido, a rifondere agli attori le spese
processuali.
Il Tribunale, rilevato:
- che, nella fattispecie concreta, sono stati individuati i fatti costitutivi della descritta ipotesi criminosa
ai danni dell'attore;
- che, ai sensi degli artt. 59 e 60 del D.P.R., n. 131/1986: "si registrano a debito, cioè senza
contemporaneo pagamento delle imposte dovute:... d) le sentenze che condannano al risarcimento del
danno prodotto da fatti costituenti reato", dovendosi in tal caso indicare "la parte obbligata al
risarcimento del danno, nei cui confronti deve essere recuperata l'imposta prenotata a debito";
dispone che la presente sentenza debba essere registrata a debito, ai sensi delle norme citate, e che
l'imposta prenotata a debito deve essere recuperata nei confronti dei convenuti, in solido.
La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege.
- P. Q. M. Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede:
- condanna i convenuti, in solido, al pagamento, in favore dell’attore M. ES., della somma di
Euro 70.000,00, oltre interessi, come specificati in motivazione;
- condanna i convenuti, in solido, al pagamento, in favore dell’attore M. SH., della somma di
Euro 40.000,00, oltre interessi, come specificati in motivazione;
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condanna i convenuti, in solido, al pagamento, in favore dell’attrice H. M. Randa, della somma
di Euro 50.000,00, oltre interessi, come specificati in motivazione;
- pone le spese della consulenza tecnica d’ufficio a carico dei convenuti, in solido;
- condanna i convenuti, in solido, a rifondere agli attori le spese processuali, che liquida in Euro
400.00 per spese ed Euro 15.000,00 per compenso di avvocato oltre C.P.A. ed I.V.A.;
- dispone che la presente sentenza sia registrata a debito, ai sensi dell'art. 59 lettera d) del D.P.R.
n. 131/1986, e che l'imposta prenotata a debito deve essere recuperata nei confronti dei
convenuti in solido;
- dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva;
- la presente sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte di questo giudice ed è
immediatamente depositata in cancelleria.
Milano, 14.2.2014
Il Giudice Istruttore
in funzione di giudice unico
dr. Damiano SPERA
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