1 Un caso curioso: l`ammortamento del c.d. “software sorgente” di

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1 Un caso curioso: l`ammortamento del c.d. “software sorgente” di
Un caso curioso: l’ammortamento del c.d. “software sorgente”
di Barbara Denora, 21 settembre 2016
(Corte di Cassazione, sezione V civile, 9 agosto 2016, n. 16673)
1 (Corte di Cassazione, sezione V civile, 11 agosto 2016, n. 16953)
Con le due pronunce in rassegna la Suprema Corte si è espressa – per la prima volta a quanto ci consta – sui
corretti criteri di ammortamento da applicare nel caso di sfruttamento del c.d. software o codice “sorgente”
che, in sostanza, è descritto nell’ambito del settore informatico come il punto di partenza – la “sorgente”, per
l’appunto – del processo che porta all’esecuzione di un determinato programma. Più precisamente, il software
sorgente sarebbe il testo di un programma “scritto in un linguaggio di programmazione ad alto livello che deve
essere opportunamente elaborato per arrivare a un programma eseguibile” (cfr. M. LEO, Le imposte sui redditi
nel testo unico, II, Milano, 2014, 1745).
Il software, in quanto bene immateriale, rientra a pieno titolo nell’ambito applicativo dell’art. 103 del TUIR. Tale
articolo prevede al primo comma che “le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione di opere
dell’ingegno, dei brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in
campo industriale, commerciale o scientifico sono deducibili in misura non superiore al 50 per cento del costo”.
Al secondo comma è statuito che “le quote di ammortamento del costo dei diritti di concessione e degli altri
diritti iscritti nell’attivo del bilancio sono deducibili in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista
dal contratto o dalla legge” (analoga previsione era, del resto, contenuta nel previgente art. 68 del TUIR, nel
testo in vigore ante riforma del 2004, salvo per quanto concerne l’importo della deduzione di cui al primo
comma, allora stabilita in misura “non superiore a un terzo del costo”; per approfondimenti, cfr. M. LEO, op. cit.,
1743; P. DE DOMINICIS, Commento art. 103 TUIR, in G. Tinelli (a cura di), Commentario al Testo Unico delle
imposte sui redditi, Padova, 2009, 913; N. FORTUNATO, Art. 103 TUIR, in A. Fantozzi (a cura di), Commentario
breve alle leggi tributarie, III, Tuir e leggi complementari, Padova, 552).
In via generale, il costo del software acquisito in licenza a tempo determinato dovrebbe essere ammortizzato ai
sensi del comma 2 del citato art. 103 e, quindi, “in quote costanti determinate in funzione della durata di
utilizzazione del diritto stesso previsto dal contratto”. Tuttavia, la considerazione delle peculiarità proprie del
software “sorgente” ha portato la giurisprudenza di merito a riconoscere la possibilità di applicare al caso di
specie la disciplina del comma 1 dell’art. 103 del TUIR, in luogo di quella prevista al comma 2 per i diritti di
utilizzazione di beni immateriali a carattere “limitato”.
Precisamente, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio (cfr. sentenza del 26 maggio 2011, n. 228), sul
presupposto della peculiarità della natura del bene oggetto del contratto e del contenuto dei relativi diritti
acquisiti, ha posto l’accento sulla finalità della specifica operazione posta in essere dal contribuente,
consistente non in un investimento “in programmi operativi previo acquisto di apposita licenza con durata
contrattualmente predeterminata”, bensì nell’acquisizione di una serie di software sorgente “da convertire con
il proprio lavoro di sviluppo e implementazione realizzando un prodotto del tutto nuovo ed atto ad essere
commercializzato”. Secondo i giudici di merito, infatti, l’oggetto del contratto in questo caso specifico sarebbe
costituito “da software non più funzionanti sulle piattaforme informatiche” da riscrivere e riprogrammare, per
cui “trattandosi appunto di acquisizione di “file sorgenti” da reingegnerizzare siamo nell’ambito “dei diritti di
utilizzazione di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, dei processi, formule ed informazioni relative ad
esperienze acquisite in campo industriale” a cui trova applicazione il comma 1 dell’art. 103 TUIR (già 68)
correttamente utilizzato dall’appellante”.
L’ipotesi ricostruttiva formulata dai giudici di merito, peraltro, è stata salutata con favore anche dalla dottrina,
2 che ha osservato come il diverso regime di deducibilità previsto dai due citati commi debba dipendere non solo
dall’estensione “(anche temporale) delle prerogative vantate dall’impresa”, ma anche “dalle caratteristiche del
software oggetto di acquisto”, in quanto “alla pienezza dei diritti di sfruttamento economico
(sviluppo/riproduzione/commercializzazione) è pacificamente ricondotto l’ambito del comma 1 del citato art.
103” (cfr. G. STANCATI, Ammortamento del «software sorgente» determinato dai criteri di utilizzo dell’acquirente,
in GT – Riv. Giur. Trib., 2011, 912, ove ulteriori riferimenti bibliografici).
Senonché tale assunto è stato decisamente confutato dalla Corte di Cassazione con le sentenze che qui si
annotano. Secondo la Suprema Corte, infatti, nessun rilievo, ai fini della individuazione della corretta disciplina
fiscale applicabile, potrebbero rivestire le caratteristiche “naturalistiche” del bene oggetto del contratto perché
ciò che rileva è “la individuazione concreta del diritto sul quale si controverta e delle sue specifiche
caratteristiche, tra cui rientra anche la durata”. In sostanza, secondo i giudici di legittimità il differente ambito
operativo dei due commi dell’art. 103 del TUIR dipende esclusivamente “dell’ampiezza e del contenuto del
diritto acquisito” ed in questa prospettiva viene precisato che:
a) il primo comma riguarda “sostanzialmente lo statuto proprietario” perché presuppone “l’assenza di
limitazioni all’esercizio del diritto” di utilizzo da parte del contribuente, mentre
b) il secondo comma disciplina “tutte le fattispecie residuali che il legislatore tributario sceglie di connotare
sulla scorta di un unico elemento caratterizzante, costituito dalla durata limitata nel tempo dei diritti
esercitabili sul bene immateriale attribuito, tanto che vi ricomprende anche le concessioni” e,
conseguentemente, conforma “alla durata dei diritti attribuiti i tempi dell’ammortamento”.
In conclusione, l’art. 103 del TUIR supererebbe “il criterio lato sensu “naturalistico” della possibilità di
utilizzazione del bene, per ancorarsi ad un dato oggettivo costituito dalla previsione legislativa, nel caso delle
concessioni, ovvero dalla volontà negoziale trasfusa nel contratto, nel caso del trasferimento di diritti tra
privati”.
Nell’esprimere questa convinzione, peraltro, la Suprema Corte non manca di precisare che, ai fini fiscali, non
rileva il fatto che, civilisticamente, “il criterio di ripartizione dell’ammortamento è ricondotto ad un dato
temporale, individuato nella durata di utilizzazione del bene immateriale” (per l’inquadramento civilistico, cfr. la
bozza del nuovo principio contabile OIC 24, che conferma l’impostazione del principio OIC 24 ancora in vigore,
nonché gli artt. 2424 e 2426 c.c.). Secondo i giudici di legittimità, occorre distinguere tra ammortamento
civilistico – che segue la regola della c.d. “vita utile” del bene, determinata con riferimento alla residua
possibilità di utilizzazione (coincidente con la durata “economica” del diritto) – e ammortamento fiscale – che
segue la regola della durata “giuridica” (contrattuale o legale) del diritto di utilizzazione, disinteressandosi
completamente della maggiore o minore durata “economica” del diritto.
In questo senso è infatti precisato che il legislatore fiscale, “pur recependo il criterio temporale di origine
civilistica, quale discrimen principe tra le due ampie fattispecie in tema di ammortamento dei beni immateriali, e
segnatamente dei diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, tuttavia lo riconduce alla specifica previsione
contrattuale intercorsa tra le parti, ovvero alla previsione legislativa, e non già alle caratteristiche intrinseche del
bene immateriale, "naturalisticamente" suscettibile di utilizzo limitato o illimitato nel tempo”. Di conseguenza,
ai fini fiscali, nessuna rilevanza può rivestire l’“astratta considerazione della residua utilità o meno dal bene alla
conclusione del processo di trasformazione”.
La soluzione individuata dalla Corte di Cassazione appare, in realtà, un po’ riduttiva data la complessità del
3 tema che meriterebbe certamente ben altre riflessioni di più ampio respiro. In questa sede, è opportuno forse
evidenziare, da un lato, che il dato letterale dell’art. 103 del TUIR – piuttosto lineare e rimasto sostanzialmente
immutato nel corso del tempo – si scontra con la continua evoluzione delle forme di sfruttamento della
proprietà industriale: in linea generale, il contratto di licenza di intangible appare sempre più complesso e
variegato perché, anche in ragione della specifica natura del bene immateriale di volta in volta considerato, può
produrre una molteplicità di effetti giuridici, attribuire i più svariati diritti all’utilizzatore (dal mero godimento
alla piena ed esclusiva titolarità di utilizzo) e atteggiarsi diversamente in ragione delle modalità di pagamento
(corrispettivi periodici o versati una tantum) e della durata. A fronte di questa variegata realtà fattuale, già da
tempo in dottrina si evidenzia l’impossibilità di ricondurre al primo comma del citato articolo “tutti i fenomeni
traslativi della proprietà del bene, con effetti reali” e nel secondo comma “solamente quelli obbligatori”, dato
che “la distinzione tra il primo e il secondo comma è giustificata prioritariamente in base alla natura del bene, e
solo subordinatamente allo strumento negoziale impiegato, ovvero del suo oggetto” (in tema si veda M. GREGGI,
Profili fiscali della proprietà intellettuale nelle imposte sui redditi, Pisa, 2009, 171).
Dall’altro, ci limitiamo a segnalare che, in passato, la stessa Amministrazione finanziaria ha mostrato – a torto o
a ragione – una maggiore elasticità nell’interpretazione del citato art. 103 del TUIR. In tema di diritti di
utilizzazione di opere cinematografiche, ad esempio, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto possibile utilizzare il
primo comma in luogo del secondo, rilevando altresì che, fermo restando il rispetto dei limiti quantitativi posti
dalla disposizione fiscale, “se il bene immateriale esaurisce la sua utilità in un lasso di tempo più breve della
tutela giuridica del diritto o della durata del contratto di licenza, lo stesso potrà essere ammortizzato in misura
pari a tale - inferiore – durata” (cfr. Ris. n. 35/E del 13 febbraio 2003).