Haiti, dittature e altre catastrofi
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Haiti, dittature e altre catastrofi
JE_IN03p020p021 Mon Feb 21 10:50:05 2011 REPORTAGE HAITI è finita, perché di parole dure ce ne sono anche per le Nazioni Unite, che sin dall’inizio del loro mandato non hanno certo brillato per efficienza: «A volte vedo gli uomini dell’Onu entrare bardati come se si fosse in guerra, ma così la gente diventa diffidente: non basta portare le botti dell’acqua e i carri armati». I progetti futuri di suor Marcella sono chiari: «Vogliamo costruire una chiesa e una casa di degenza per bambini denutriti. Il progetto era avviato ma lo abbiamo momentaneamente sospeso per l’emergenza colera. Non aveva senso far venire qui gente a lavorare correndo il rischio di diffondere ancor di più l’epidemia. Spero di riuscire a riprendere a settembre, perché qui, prima di tutto, abbiamo bisogno di normalità». I progetti già portati a termine sono invece una scuola, completata a gennaio, che comprende dodici classi con nove corsi base (elementari e medie) più tre materne. Il tutto grazie all’aiuto di donazioni private, di parrocchie e grazie anche al sostegno, in aiuti materiali, di alcune Ong. Haiti, dittature e altre catastrofi L a prima data manifesto per Haiti è il 1˚ gennaio 1804, il giorno della dichiarazione d’indipendenza dalla Francia. Prima di lei, solo gli Stati Uniti avevano osato tanto nei confronti delle potenze europee. È l’epilogo di una storia iniziata il 5 dicembre del 1492 con l’approdo della Santa Maria di Cristoforo Colombo, che ha portato Haiti a essere prima annessa alla Spagna, che ridusse la popolazione in schiavitù, poi conquistata dai pirati e infine colonizzata dai francesi. L’indipendenza dura appena un secolo: nel 1915 gli Stati Uniti la colonizzano per impedire che siano i tedeschi a farlo. Gli americani costruiscono scuole, ospedali e infrastrutture. Lo stesso F.D. Roosevelt si preoccupa di scrivere una costituzione. Ma in realtà gli haitiani non sono liberi. Così arriva una nuova rivoluzione e nel 1934 gli Stati Uniti lasciano l’isola. Il caos regna fino al 1957, quando il medico François Duvalier (detto Papa Doc) viene eletto, con sospetti brogli, nelle prime elezioni a suffragio universale. Ma occupato lo scranno più alto, si proclama presidente a vita e attua una politica di terrore attraverso i Tonton Macoutes (gli uomini spettro), la polizia segreta. Il tormento dura fino al 1971, quando alla sua morte gli succede il figlio diciannovenne Jean-Claude Duvalier (Baby Doc) che, dopo un inizio liberale, riprende la via del padre, si proclama presidente a vita e governa con piglio dispotico e corrotto fino al 1986, quando viene cacciato dall’ennesima rivoluzione. Finita l’era Duvalier, tocca all’ex prete salesiano (espulso dall’ordine) Jean-Bertrand Aristide illudere il Paese. Nel 1991 vince le elezioni, sette mesi dopo però è deposto da un golpe milita- 20 - MARZO 2011 re che genera tre anni di autentico terrore. Nel 1994 intervengono ancora gli Usa. Aristide torna in patria, scioglie l’esercito ma non risolve i problemi. A fine mandato gli succede il suo primo ministro, René Préval. Ma le sorti dell’isola non cambiano. Così, nel 2001 Aristide torna al potere e ricomincia da dove aveva lasciato. E il Paese continua la sua corsa verso il baratro. Nel 2004, accusato di governare usando la corruzione e la violenza al pari dei Duvalier, viene cacciato a furor di popolo. Di nuovo intervengono gli Usa, questa volta anche militarmente. Boniface Alexandre è il nuovo presidente, quello che accoglierà l’intervento dell’Onu. Due anni più tardi tocca di nuovo a René Préval guidare Haiti. Nonostante la presenza internazionale il suo mandato è fatto di violenza e corruzione. Nel frattempo l’isola, poverissima, è martoriata dai cataclismi. Il più grosso dei quali arriva il 12 gennaio 2010: un terremoto sconvolge il Paese provocando oltre 200 mila morti e 3 milioni di sfollati. Qualche mese più tardi, da un campo dell’Onu, si diffonde l’epidemia di colera. I morti a tutt’oggi sono più di 4 mila. La seconda data manifesto per Haiti potrebbe essere il 20 marzo 2011: dopo i tentati brogli di Préval in favore del suo delfino e futuro genero Jude Célestin, a concorrere per la presidenza ci sono l’accademica Mirlande Manigat, già first lady per quattro mesi, e il cantante di kompa Michel Martelly. Che sia la volta buona? 쏔 S ul tema degli aiuti l’espressione di suor Marcella torna a essere quadrata, rigorosa: «Chi viene ad aiutare deve mettersi a servizio, deve rendersi conto che, oltre al problema, bisogna guardare anche all’uomo. Non bisogna pretendere di incastrare la realtà alla propria visione delle cose. Perché, come per i giochi didattici dei bambini, il quadrato nel triangolo non entra». Il suo è uno sfogo ragionato, perché certi atteggiamenti, esplosi con il terremoto prima e l’epidemia poi, le provocano amarezza: «In linea di massima, l’esperienza con le Ong radicate è positiva. Certo, in realtà come questa ci sono sempre dei problemi e anche io so di avere un carattere difficile. Ma con l’arrivo del colera, la situazione è peggiorata. A volte c’è gente che mette il cartello per dire “ci sono anch’io”, punta il dito contro gli sfruttatori e poi se ne va senza aver combinato nulla». La religiosa aggiunge: «I miei ragazzi sono sfiniti da questo modo di lavorare. L’ho detto a un rappresentante di una Ong dell’ultima ora che mi ha risposto di andarmene. Ho ribattuto che avrebbe dovuto andarsene lui, e che solo in quel momento avremmo ricominciato a lavorare bene e con gioia». D’altronde quello dell’efficienza delle Ong è un problema annoso, tanto che per suor Marcella «forse sarebbe meglio cambiare sistema. Con le Ong la gente ruota in continuazione e ogni volta bisogna ricominciare tutto da capo. Spesso poi arriva gente troppo giovane, con poca esperienza. Vorrei persone con più testa e cuore. Non è con l’idealismo che si aiutano i disperati». Ma non L In queste foto, dall’alto: suor Marcella con un paziente nel suo centro di prima accoglienza; distribuzione dell’acqua nella bidonville di Cité Soleil; un bimbo contagiato dal colera nell’ambulatorio gestito dalla religiosa francescana. Nell’immagine della pagina precedente: manifesti di un candidato alle elezioni presidenziali. a religiosa ci congeda: «Senza fiducia in Cristo», dice, «sarebbe delirante stare qui. Haiti troverà la sua strada e magari noi possiamo aiutarli. Ma ricordiamoci che questo Paese ha 500 anni di storia, noi 2 mila: diamo tempo». Così, dal finestrino dell’aereo capisci che il più grande problema di Port-au-Prince sono le case, che non ci sono. Ti rendi conto che, senza di esse, malattie e criminalità non possono far altro che prosperare. E mentre pensi alle Nazioni Unite, che perdono tempo con le misure standard di ricostruzione, vedi il porto e quel piccolo promontorio ordinato. Riconosci la clinica di San Fraswa e di fronte ammiri quelle casette colorate sorte per volere di suor Marcella. Quelle che «continuerò a costruire fino a quando avrò i soldi per farlo». E per capire di cosa si sta parlando basta connettersi a Google Earth e cercare Port-auPrince. Altre indicazioni non servono. 쏔 (ha collaborato Cristiano Bendinelli) MARZO 2011 - 21