PARLIAMO di HAITI Haiti, un po` di storia Haiti, per me Dopo il

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PARLIAMO di HAITI Haiti, un po` di storia Haiti, per me Dopo il
PARLIAMO di HAITI
Haiti, un po’ di storia
La perla nera delle Antille, così si chiamava Haiti quando era nel pieno
del suo splendore, quando era una terra da sfruttare per la forza
lavoro della sua gente, per le sue piantagioni di canna da zucchero, di
cotone, di caffé, di spezie come la cannella, la vaniglia, il pepe.
Perla nera perché la stragrande maggioranza della popolazione è
nera, discendente dagli africani trasportati in catene sui velieri europei
per farne degli schiavi, popolazione forte e robusta, capace di
sopportare i duri lavori delle grandi piantagioni, dopo che gli indigeni
si erano completamente estinti, in soli 15 anni, per le malattie e la
durezza della colonizzazione.
E’il primo paese che si è reso indipendente dalla colonizzazione (pensate, nel 1801!), ma
poi è rimasto schiavo dal punto di vista economico e si è progressivamente impoverito per
lo sfruttamento delle grandi piantagioni e per la crudeltà di dittatori senza scrupoli e senza
amore per la loro terra.
Haiti, era un paese sconosciuto a molti di noi, ma in questi giorni ha raggiunto la notorietà
“grazie”(si fa per dire!) al terribile terremoto del 12 gennaio: immagini che ci hanno scosso,
commosso, sconvolto.
Haiti, per me
Da parte mia, Haiti è stata la prima esperienza di missione in un paese del Sud. La sua
gente mi ha affascinato per la straordinaria capacità di vivere e di godere della vita. Quella
donna che, tirata fuori dalla macerie della sua casa dopo una decina di giorni, stesa sulla
barella, senza più forze e completamente disidratata, con il filo di voce che le restava, si è
messa a cantare: quella donna per me è il simbolo degli haitiani. Gente che ha resistenza,
che non si scoraggia, che trova sempre, anche nelle situazioni più difficili,la capacità di
cavarsela e di reagire. Gente creativa, con una grande immaginazione e fantasia.
Dopo il terremoto
Quello che abbiamo visto alla televisione, credo
che sia sufficiente a darci l’ampiezza della tragedia
che ha colpito il paese più povero dell’America
Latina e uno dei più poveri del mondo. Ma non è
sufficiente per farci conoscere i suoi abitanti e
quello che hanno nel cuore. Con molta facilità e
insistenza ci sono stati mostrati i saccheggi e le
bande di sciacalli che terrorizzavano la città. Mi
sento di dire, proprio per le testimonianze delle mie
consorelle e di amici che sono laggiù, che non è
così. Quella è solo una parte, una piccola parte
della verità. La verità è che la maggior parte della
popolazione sta vivendo una grande solidarietà, condividono quel poco che hanno, già
dopo una settimana cominciavano a ripulire e a riorganizzare gli spazi sconvolti dalla
distruzione, aiutandosi reciprocamente.
Il nostro amico Franklin, frate haitiano, ci scrive: “La realtà è che gli aiuti internazionali non
arrivano in tutte le zone della capitale e ancor meno nelle zone più lontane e isolate.
Ragioni strategiche e politiche,non dette, frenano la distribuzione degli aiuti internazionali.
Mentre sono sorpreso di vedere la gente che non ha niente e che si stringe per far posto
ad altri nel bisogno e condivide le magre provviste alimentari, molti accolgono nella loro
famiglia i bambini rimasti orfani.”(Potrebbe essere un’idea quella di “adottare” una di
queste famiglie e impegnarsi a mandare ogni mese un sostegno in modo che, dando
affetto, li facciano crescere nel loro paese e nella loro cultura….)
- e Franklin continua- “Alla luce di questa tragedia facciamo una rilettura spirituale della
storia del nostro popolo e ci facciamo un’infinità di domande: Qual è la vera ricchezza
dell’uomo? Una bella casa? Una bella macchina? Un bel quadro? Il lusso dappertutto?
Cominciamo a domandarci se la vera ricchezza non sia piuttosto nel cuore e nello spirito
delle persone, nei valori come il lavoro ben fatto,la condivisione, la capacità di sognare, la
generosità, la misericordia, la fraternità, l’amore, la gioia e la pace.”
Le piccole sorelle del Vangelo
E le nostre consorelle, che cosa fanno laggiù?
Ecco cosa scrive un padre camilliano che è
andato a trovarle: “Ho fatto visita alla comunità
delle Piccole Sorelle, sei suore, inserite in un
quartiere della capitale. La loro casa è in fondo ad
una stretta via resa impervia dai detriti, dalle
carcasse di macchine e dalla tanta gente che ha la
strada come propria abitazione. Attorno alla casa
tanta animazione, ma anche pace. Il quartiere da
anni è stato suddiviso in zone, il cui responsabile
collabora con le suore nel risolvere i problemi
quotidiani. Qui, per esempio, la distribuzione del
cibo non ha bisogno dell’apparato militare
americano per la protezione. Sei piccole suore
consegnano ad ogni capo settore il cibo
necessario per le famiglie del proprio settore e
questi lo suddividono in tutta tranquillità! La casa
delle suore è un piccolo quartier generale, dove
sono ammassate le scorte (non molte in verità),
dove si fanno riunioni, si prega e ci si incontra.
Fedeli al loro carisma di silenziosa incarnazione,
queste suore condividono la vita del popolo, in
tutte le forme, persino quella del dormire sul
marciapiedi, vista la precarietà delle costruzioni.
Solo da due giorni sono rientrate in casa, dopo
che i vigili del fuoco italiani, in un sopralluogo
hanno dato l’OK all’abitabilità. Ma la porta rimane
aperta ed il pranzo non consumato, rimasto sul
tavolo fino al mio arrivo (dopo le 17), la dice lunga
sul loro impegno!”
La priorità per ora è ricostruire la scuola. E’ ciò
che ha richiesto la gente e ciò che può aiutare a
ritrovare un ritmo di vita che sa di normalità. La
scuola toglie i bambini sopravvissuti dal
vagabondare fra le macerie, li aiuta a ritrovare una
certa serenità e, non ultimo, permette loro di
avere una alimentazione sufficiente.
piccola sorella Anna
la distribuzione dei viveri
le cure mediche
in casa con i medici