il caso delle “fabbriche del design italiano”
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il caso delle “fabbriche del design italiano”
Il design come componente strategica del business: il caso delle “Fabbriche del design italiano”. 1) la Alessi è una delle aziende in cui trova espressione un fenomeno secondo me molto tipico della cultura industriale italiana, quello delle 'Fabbriche del design italiano'… … o, come le ha definite Alessandro Mendini, delle 'Fabbriche estetiche'. Quando parlo di 'Fabbriche del design italiano' mi riferisco a un gruppo storico di aziende sviluppatesi prevalentemente nell’immediato dopoguerra, concentrate in particolare nei settori del mobile, dell'illuminazione e dell’oggettistica, per le quali il design costituisce l’elemento chiave della loro attività. Per queste aziende il design è un’autentica Missione, un'attività che si è gradualmente allontanata dal significato di semplice progetto formale di un oggetto per diventare una sorta di 'filosofia generale', di “Weltanschauung” che sta alla base di tutta la pratica aziendale. Questo tipo di aziende, pur essendo sempre delle imprese private che mirano al conseguimento di un profitto, sono però anche molto consapevoli di essere inserite e di agire in un contesto di cultura materiale, in un confronto quotidiano con quello che chiamiamo le Arti Applicate. Quando dico un fenomeno molto tipico della cultura industriale italiana intendo dal punto di vista qualitativo e non quantitativo, perché messe tutte insieme le loro dimensioni sono una frazione del fatturato di una grande azienda di mass production come la FIAT, e tuttavia esse sono diventate un pezzo importante della bandiera del made in Italy, un caso al quale dall’Estero guardano con grande interesse... 2) che cosa significa realmente il termine ‘design’? Ci sono diverse interpretazioni della parola design: - quella di Mies Van der Rohe, architetto razionalista tedesco, leader del Bauhaus alle fine degli anni ’20 e fondatore del Movimento Moderno in architettura, riassumibile con il motto “Less is more/ il Meno è di più”: un inno alla semplicità, alla profondità e alla ricerca della vera essenza delle cose... - ma anche quella opposta di Robert Venturi, il padre del post-modern, che nel libro ''Complexity and contradiction in architecture'' (1965), scrive invece delle parole emozionanti a proposito della complessità, concludendo con la risposta a Mies: More is nor less/il Più non è di meno / Less is a bore! >> - ...per non parlare infine della recente proposta del tedesco Dieter Rams, il designer dell'epoca d'oro della Braun: “Less, but better / Il Meno, ma meglio.. Noi diciamo invece, sintetizzando, che per noi il design è una Disciplina Creativa Globale di matrice artistica e poetica, che nella nostra società dei consumi presiede alla creazione dei prodotti. 3) Penso che nella nostra società tutti i bisogni materiali prioritari sono già da tempo soddisfatti dal mondo della produzione, e che l'Industria della Produzione di Grande Serie non se n’è ancora resa conto bene. Credo che, nella maggior parte dei casi, l’industria della produzione di grande serie produca semplicemente per soddisfare i bisogni dei consumatori, senza preoccuparsi di prestare maggiore attenzione ai loro desideri, al loro immaginario, insomma ai loro sogni. Attraverso l’esperienza clinica del lavoro portato avanti nelle nostre fabbriche del design italiano noi siamo invece consapevoli del fatto che la gente desidera e compera i nostri divani e le nostre lampade, le nostre caffettiere e i nostri bollitori non tanto perché deve preparare il caffè o far bollire l’acqua ma per tutta una serie di altri motivi… 4) Quali sono questi altri motivi? Quale è lo statuto degli oggetti? Quale il loro ruolo nella società dei consumi contemporanea? Senza dimenticare, naturalmente, il Valore Funzionale o Valore d’Uso che si suppone coincidere con la loro stessa ragione d’essere, quella che ne giustifica l’esistenza, bisogna puntualizzare che nella nostra società altri valori sono altrettanto se non addirittura più importanti del Valore Funzionale quando si deve spiegare l’esistenza degli oggetti che ci circondano. Per esempio: gli oggetti sono diventati il canale principale attraverso il quale comunichiamo al nostro prossimo i nostri valori, il nostro status, la nostra personalità (basti pensare al fenomeno della moda). Il possesso e l’uso di oggetti equivale sostanzialmente a uno scambio di significati culturali e sociali. Le persone, scegliendo gli oggetti attorno a loro, tendono ad attribuire loro un importante significato sociale, se ne servono cioè come segni per comunicare i valori che hanno fatto propri e che le contraddistinguono. Parlo ora degli oggetti come di segni, come segni di un determinato status o di un certo stile. Mi riferisco quindi al loro Valore segnico (un simbolo di status è, per esempio, un Rolex d’oro, che suggerisce le condizioni economiche di chi lo indossa; un simbolo di stile è, per esempio, una teiera Aldo Rossi che rivela la sensibilità culturale e la conoscenza del mondo dell'architettura). Ma non è ancora tutto: esiste un altro valore, che definirei il Valore Poetico. L’esperienza, infatti, mi ha insegnato che le persone si servono degli oggetti anche per tentare di soddisfare un profondo desiderio nascosto di Arte e Poesia. Un desiderio di Arte e Poesia che i classici strumenti attraverso i quali viene ancora oggi divulgata l’espressione artistica (i musei per l’Arte, i libri per la Poesia,...) non riescono più a soddisfare appieno. Un bisogno di Arte e di Poesia che emerge prepotentemente dalla società (e dal mercato) e che l’industria, l'Industria di Produzione di Grande Serie, non ha ancora ben capito. 5) Le 'Fabbriche del Design Italiano' in opposizione alle 'Industrie di Produzione di Grande Serie’: i due modi opposti di guardare al design. La nostra attività industriale, per quanto rimanga materialmente quella di un fabbricante, è però molto diversa da quella della cosiddetta Industria di Produzione di Grande Serie. Non ci appartiene quella che secondo me è una delle principali caratteristiche dell'Industria di Produzione di Grande Serie, una caratteristica che però nel medio-lungo periodo è diventata anche 2 anche una delle principale fonti di preoccupazione di questo tipo di industrie: cioè il non volere correre rischi… Al contrario, l’esigenza di correre dei rischi è come dire un elemento fisiologico inscindibile dalla nostra attività: proprio lì infatti ci portano quotidianamente i più grandi talenti del design internazionale. Non correre rischi, nella prospettiva dell’Industria di Produzione di Grande Serie, significa tra l’altro anche che i prodotti tendono inevitabilmente a divenire sempre più omogenei, simili gli uni agli altri, che i rispettivi mercati tendono a saturarsi e che poi le industrie che li producono si trovano ad affrontare situazioni di mercato sempre più difficili. Non posso non evocare a questo proposito le parole del filosofo tedesco Oswald Spengler, che nel 1931, nell’opera “L’uomo e la tecnica” scriveva: <<... L’Occidente ha venduto la propria anima; ha mandato in frantumi la propria identità e ha cancellato il valore della tradizione. L’Apocalisse ci attende: è verso quella direzione che ci sta portando l’uso strumentale della tecnica, responsabile della rottura del legame vitale con l’ordine della natura. Oppure, la tecnica sopravviverà a se stessa, ma separata dall’anima faustiana che l’ha generata. Questa democratizzazione della tecnica, che suscita in ognuno di noi un’illusione di conquista, in realtà inibisce la responsabilità decisionale, distruggendo immagini e simboli della cultura millenaria a cui appartiene. Ciò che rimane è una sconcertante uniformità, priva di altezze e di profondità. A questo punto, la frattura dell’anima faustiana e la conseguente dispersione e diffusione della tecnica in ogni angolo della terra potrebbero generare una pseudomorfosi del pianeta. In altre parole, una civiltà planetaria che presenterà ovunque le stesse caratteristiche: nessuna grande religione, nessun grande pensiero filosofico, nessuna grande forma d'arte...>>. Spengler, in sostanza, riprende e rielabora il tema del Faust, un tema caro a tutto il pensiero romantico da Goethe in poi: nella sua tensione verso l’immensità e il trascendente l’uomo faustiano ha sì conquistato la Tecnica, ma ha perso la Bellezza Apollinea/la ‘Poiesis’. Ha perso il significato estensivo del ‘Fare’ inteso con ‘Fare poetico, creativo’: con la Tecnica il pensiero razionale scientifico ha preso il dominio del mondo sensibile e ha relegato la ‘Poiesis’, appunto, tra le discipline latu senso poetiche. 6) Il design per la ‘Industria di Produzione di Grande Serie’ contro il design per le 'Fabbriche del design italiano': caratteristiche e ruolo delle 'Fabbriche del design italiano'. Nel tentativo di esplorare più a fondo tale diversità, mi sono reso conto che ci sono due modi sostanzialmente diversi di vedere il Design in questa nostra fase della società dei consumi, due approcci al design molto diversi fra loro e addirittura in contraddizione tra di loro. Da un lato, vi è un’interpretazione del design, tipica della Industria di Produzione di Grande Serie, che vede il design come uno degli strumenti della tecnologia e del marketing... come uno dei tanti strumenti della tecnologia e del marketing. Questa interpretazione tende a ridurre il ruolo del design, inteso semplicemente come un mezzo per aiutare l’industria a produrre più rapidamente, con costi più contenuti, oppure a produrre un numero maggiore di prodotti più funzionali, o a conferire un aspetto migliore ai prodotti, in modo di spingere i consumatori all'acquisto. 3 Si tratta, a mio modo di vedere, di una visione 'gastronomica' del Design, che si trova a fungere da spezia (più o meno rara...), da condimento superficiale per rendere più saporita la preparazione industriale (ossia, più interessanti i prodotti). Questo modo di definire il design, di ridurlo a uno dei tanti strumenti della tecnologia e del marketing a disposizione delle aziende, non è tuttavia sufficiente a spiegare la sua attuale realtà, e tantomeno a chiarire in che direzione il design potrà evolvere in futuro. E' sufficiente guardarsi attorno per vedere i risultati di questa visione riduttiva del design: siamo circondati da un mondo di prodotti anonimi, di oggetti noiosi, il più delle volte privi di qualsiasi emozione e poesia. Un esempio classico viene dall’industria automobilistica, dove le vetture sembrano assomigliarsi tutte, raramente trasmettono emozioni e spesso sono totalmente prive di caratteristiche estetiche realmente innovative. Veniamo ora al secondo modo di guardare al design, tipico invece del fenomeno delle Fabbriche del Design Italiano: il design inteso come Arte e Poesia. Le Arti Applicate nella vita di tutti i giorni sono un tema dibattuto da millenni nella storia dell'uomo, forse da quando il primo uomo, o la prima donna, per delle ragioni che ancora oggi ci sono misteriose, ha cominciato a formare con le sue mani la prima coppa di argilla, da quando ha avuto l'impulso di decorare le superficie di quella coppa, incidendola con una conchiglia raccolta sulla spiaggia. Ma dalla Rivoluzione Industriale in poi questo tema è diventato di particolare attualità, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso, a seguito della polemica che ha avuto quali protagonisti gli inglesi John Ruskin e William Morris e il Movimento Arts & Crafts, fortemente critici nei confronti dell’allora nascente sviluppo della produzione in serie. Morris: scrittore, pittore, artista, imprenditore e designer ante litteram, criticava l’industria dei suoi tempi accusandola di produrre prodotti di cattivo gusto e di bassa qualità, in contrasto con i prodotti dell’artigianato che, a suo giudizio, erano più spontanei, di qualità più elevata e più attenti agli stimoli artistici e culturali (fate attenzione: questa posizione critica nei confronti della produzione in serie sarà una costante anche nel caso delle 'Fabbriche del design italiano'!). Negli anni seguenti, il design inteso come Arte e Poesia assunse altre forme e connotazioni importanti: - Arts & Crafts in Inghilterra e in America della seconda metà del secolo scorso, - Wiener Werkstaette (le Officine Viennesi) di Vienna dell’inizio di questo secolo (con Josef Hoffmann, Koloman Moser e Dagobert Peche... e Klimt e Schiele), - Scuola d’Arte di Glasgow di Charles Rennie Mackintosh, - Deutscher Werkbund (Hermann Muthesius), - Bauhaus di Weimar e Dessau degli anni ‘20 (con Van de Velde, Gropius e Mies van der Rohe... e Schlemmer, Klee, Kandinski, Itten, Muche, Moholy-Nagy...), - Epopea del design scandinavo in particolare tra gli anni ‘40 e i ‘60 (con Alvar Aalto, Georg Jensen, Tapio Wirkala, Timo Sarpaneva), fino appunto alle - 'Fabbriche del design italiano', nato negli anni del dopoguerra e tuttora vivace. Credo che le FDI possano essere considerate come le ultime eredi spirituali di questi movimenti intellettuali e creativi, che hanno avuto tutti la caratteristica di avere sì un orientamento generale 4 verso la produzione di oggetti, ma di essere anche contraddistinti da una forte connotazione culturale e intellettuale. Vengo a un'altra affermazione importante: noi riteniamo che la nostra vera natura somigli più a un ‘Laboratorio di Ricerca nel Campo delle Arti Applicate’ che non a una industria nel senso tradizionale del termine. Vorrei insistere su questo concetto: un Laboratorio di Ricerca nel campo delle Arti Applicate il cui ruolo è quello di esercitare una continua attività di mediazione fra da un lato le espressioni più avanzate e più effervescenti della creatività internazionale nel campo del product design, e dall'altro i desideri e i sogni della gente. Un laboratorio che per definizione deve essere contraddistinto dalla massima apertura e disponibilità verso il mondo della Creazione. 7) Il Design inteso come Arte e Poesia: tentativo di interpretazione epistemologica del design (D. Winnicott: 'Teoria dei Fenomeni Transizionali’). Tornando alla interpretazione del design come Arte e Poesia, a proposito del Valore Poetico degli oggetti, ecco un’altra riflessione: ho affermato che il design è una Disciplina Creativa Globale di origine artistica e poetica e non semplicemente uno dei numerosi strumenti a disposizione del marketing e della tecnologia per fabbricare oggetti e venderli al meglio. Un interessante contributo in proposito viene dagli studi condotti da D.W. Winnicott sugli Oggetti Transizionali. Lo psicoanalista britannico ha identificato, nella sfera globale dell’esperienza umana, una zona in gran parte sconosciuta collocabile fra i sogni e la realtà, a metà strada fra le cose 'percepite' e quelle 'concepite', né all’interno né all’esterno dell’individuo, che ha definito l'Area dei Fenomeni Transizionali. Gli oggetti che popolano questa area, vale a dire gli oggetti transizionali, fra cui per esempio i giocattoli, l’orsacchiotto e la coperta di Linus, sono per il bambino una sorta di rappresentazione magica della realtà felice di quando era ancora unito alla madre: << ...questi oggetti, che il bambino stringe a sè durante il sonno per trovarvi conforto, sono un’immagine della madre da poter tenere sempre vicino, un’evocazione del legame rassicurante che lo univa a lei... in questo modo, gli oggetti transizionali producono l’effetto esattamente contrario a ciò che si sarebbe voluto evitare: consentono alla madre di uscire dalla stanza mentre il bambino la stringe a sè in maniera simbolica. >>. 1 Winnicott fa riferimento all'area del gioco, che incomincia a svilupparsi con la prima esperienza del bambino in questo ambito (appunto attraverso l’uso di oggetti e dei giochi transizionali) ma si estende in seguito ben oltre questi confini temporali, e prosegue nell'intera vita culturale e creativa dell’adulto. L’autore ritiene che l'area dei Fenomeni Transizionali si estenda nell'intensa esperienza della religione, in qualsiasi forma di creazione e fruizione artistica e, infine, anche in certi tipi di lavori scientifici di natura creativa. L'oggetto transizionale del bambino genera la sua stessa fruizione nel momento in cui si dilata, si divide e si fonde nella vasta gamma di fenomeni (e oggetti) transizionali che popolano l'esistenza umana. 1 WINNICOTT, D.W. Gioco e Realtà. Armando, Roma 1990: prefazione di Gaddini, R. p. 11. 5 E' spontaneo a questo punto avanzare l'ipotesi che anche il design sia un fenomeno transizionale e che non esista in fondo una grande differenza fra una caffettiera, o un bollitore, e un orsacchiotto (come non esiste fra questi e un quadro e una sinfonia, oppure un film o un concerto rock: queste ultime due considerabili al pari del design come forme artistiche tipiche del mondo contemporaneo, della società in cui viviamo: quelle che il filosofo Gianni Vattimo chiama 'L'arte commerciale'). 8) La Alessi come Laboratorio di Ricerca nel campo delle Arti Applicate: la pratica della Borderline. Parlando dunque del nostro futuro: da un lato, credo che stiamo correndo il rischio che il sistema industriale nel suo complesso giunga a creare un mondo di oggetti troppo comuni, troppo noiosi, privi di carica emotiva... proprio quando la gente è divenuta consapevole del proprio desiderio di Arte e Poesia in tutte le situazioni della propria vita. Dall’altro lato, pensando alla nostra attività di fabbriche del design italiano, sottolineo che tendiamo sempre a lavorare, in modo spontaneo, in un'area popolata di desideri, i desideri dei cosiddetti consumatori, tuttora molto sconosciuta. La nostra missione consiste nell'esplorare l'Immensità del Possibile Creativo, e questa è una zona ad alta, altissima turbolenza. Ci porta a muoverci costantemente su una enigmatica linea di confine fra ciò che potrebbe divenire reale (vale a dire oggetti realmente amati e posseduti dalla gente) e ciò che non diverrà mai reale (vale a dire oggetti troppo distanti, per il momento, da ciò che la gente è pronta e disposta a volere). Quella della linea di confine o borderline è una pratica difficile e rischiosa perché non è disegnata in modo chiaro e quindi esiste sempre il rischio di oltrepassarla... ma che emozione quando con un nuovo progetto ci arriviamo vicino! Potrei forse dire che, nei casi migliori, riusciamo a spostarla un poco più in là questa borderline: e questa è la mia idea del contributo che una azienda come la Alessi, una ‘Fabbrica del design italiano’, può dare al progresso della nostra società. Io penso che il futuro del design potrebbe essere di trasformare il destino di gadget degli oggetti nella nostra società dei consumi in una opportunità transizionale, vale a dire in una opportunità per i consumatori di crescere e di migliorare la loro percezione del mondo. Si tratta di un'attività dalla natura tipicamente paradossale (come è paradossale il gioco dei bambini). Paradossale nel senso 'para dochè', a fianco della regola, della norma, dello standard, al fine di cogliere appieno la cosiddetta realtà del mondo e della vita. La storia della Arti Applicate è stata un lungo viaggio nella storia dell’uomo. Un viaggio durante il quale il reale progresso è stato sempre ricercato esplorando quel territorio situato fra il Possibile e il Reale. Un viaggio che continuerà ancora per molto e che vedrà l'industria svolgere un ruolo chiave, se pensiamo che il progresso della nostra società continuerà a essere il frutto di un'incessante dialettica fra il business e la cultura. Ma, attenzione: non sto parlando della cultura immanente della produzione in serie, di quella 'culturalità industriale', per dirla con le parole di Baudrillard, << che ci ostiniamo a chiamare cultura a costo di tutti i malintesi, di quella strana sostanza fatta di messaggi, testi, immagini, bestsellers o fumetti, di quella creatività codificata che ha sostituito l'ispirazione e la sensibilità >>. 6 No, sto parlando di cultura come di un tentativo di lavorare << anche nell'iperfunzionalismo di una cultura sciupata, verso l'universale, verso la trascendenza di miti che potrebbero decodificare la nostra epoca senza esserne superproduzioni mitologiche; verso un'Arte che potrebbe decifrare la nostra modernità senza dissolversi in essa >>. Spero che queste veloci note servano a chiarire un poco la natura delle fabbriche del design italiano, a capire le ragioni per le quali, se oggi qualcuno cerca -tanto per fare un esempio- i migliori esempi del design francese, deve per forza aprire le pagine di un catalogo delle fabbriche del design italiano… e la stessa cosa se si cerca il miglior design inglese, o che so, brasiliano. Alberto Alessi 03/06/08 Bibliografia: Bettelheim, B. (The empty fortress). Garzanti, Milano, 1976. Calvino, I. Six memos for the next millennium. Vintage books, New York 1988. Fornari, F. La vita affettiva originaria del bambino. Feltrinelli, Milano 1963. Fornari, F. I fondatori di una teoria psicoanalitica del linguaggio. Boringhieri, Torino 1979. Fornari, F. Affetti e cancro. Cortina, Milano 1985. Frontori, L. Il mercato dei segni. Cortina, Milano 1986. Heidegger, M. Saggi e Discorsi. Milano. Scaparro, F. e Bianchi, C. La vita assurda. Paradossi dello sviluppo in Winnicott. Guerrini, Milano 1992. Winnicott, D.W. Oggetti transizionali e fenomeni transizionali, Dalla pediatria alla psicoanalisi. Martinelli, Firenze 1975. Winnicott, D.W. (Play and reality). Armando, Roma 1990. 7