Nulla di grande senza passioni
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Nulla di grande senza passioni
mediare Collana diretta da Ugo Sartorio □ «Mediare», dal punto di vista di questa collana, significa assumere la sfida di comunicare il vangelo nell’oggi della storia degli uomini. In un’epoca di polarizzazioni, di tentazioni fondamentaliste, di diboscamento ma anche di maggiorazione delle identità, di turbinio comunicativo, «mediare» è dare giusto peso ai numerosi interlocutori e contendenti che sono in campo e spesso, prima ancora, dentro di noi. □ GIOVANNI VENTIMIGLIA (a cura) passionI Pro e contro ISBN 978-88-250-1341-2 ISBN 978-88-250-3265-9 (PDF) ISBN 978-88-250-3266-6 (EPUB) Copyright © 2012 by P.P.F.M.C. MESSAGGERO DI SANT’ANTONIO – EDITRICE Basilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova www.edizionimessaggero.it Prima edizione digitale 2012 Introduzione ??? Nulla di grande senza passioni di Giovanni Ventimiglia «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché tu sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca». In questa profezia dell’Apocalisse leggiamo uno dei giudizi di Dio più severi sull’umanità. Riguarda gli uomini né freddi né caldi, quelli, cioè, senza passioni, i quali… saranno vomitati da Dio! Il Signore si rivolge qui, nella grande visione di Giovanni, agli abitanti di Laodicea. Si trattava di una cittadina molto ricca, dedita al commercio, abitata da gente benestante, convinta di bastare a se stessa. Continua, infatti, l’Apocalisse: «Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla”». Insomma, il benessere diffuso aveva ucciso, a Laodicea, le passioni umane, rendendo ◻ 5 gli uomini apatici, inerti, tiepidi. È una situazione molto simile a quella in cui versano oggi le società occidentali capitaliste. Se ne era accorto, già nel lontano 1840, Alexis de Tocqueville, studiando la società americana. Le nuove democrazie capitaliste gli sembravano generare tanti ambiziosi ma poche grandi ambizioni, molto movimento e pochi avanzamenti, tante piccole preoccupazioni per i propri interessi e poche grandi passioni ideali. Le sue parole suonano sorprendentemente attuali: «Mi sembra meno temibile per le società democratiche l’audacia che la mediocrità dei desideri; ciò che mi sembra più pericoloso è che, in mezzo alle piccole e incessanti occupazioni della vita privata […] le passioni umane si acquietino e si abbassino, in modo che ogni giorno la vita del corpo sociale sia più tranquilla ma meno elevata […]. Solo l’entusiasmo può spingere lo spirito umano fuori dalla strada battuta e produrre le grandi rivoluzioni intellettuali, come le grandi rivoluzioni politiche […]. Se i cittadini continuano a rinchiudersi sempre più strettamente nella cerchia dei piccoli interessi domestici, si può temere che essi finiscano per diventare quasi inaccessibili alle grandi e potenti passioni politiche, che turbano i popoli, ma che li sviluppano e li rinnovano […]. Io temo, lo confesso, che essi si lascino, infine, dominare da un fiacco amore per i beni pre6 ◻ senti, che scompaia l’interesse per il loro avvenire e per quello dei loro discendenti e che preferiscano seguire pigramente il corso del loro destino più che fare, all’occorrenza, uno sforzo energico per rimetterlo sulla giusta via […]. Ho paura che l’uomo si esaurisca in movimenti solitari e sterili e che, pur muovendosi continuamente, l’umanità non avanzi più» (A. de Tocqueville, La democrazia in America). A distanza di centosettant’anni, mi sembra che le paure di Tocqueville si siano purtroppo avverate. Viviamo in un’epoca in cui l’amore per le proprie «cosette», per i propri interessi privati, è diventato l’unico ideale di vita. Per il resto, nessuna audacia, nessun entusiasmo, nessuna passione e, di conseguenza, nulla di grande. Hegel lo aveva scritto in modo lapidario: «Dobbiamo dire in generale che nulla di grande è stato compiuto nel mondo senza passione». Eppure, sul valore della passione – o «emozione», che è il suo sinonimo più nobile – vi sono state, da sempre, opinioni contrapposte. Per gli Stoici, com’è noto, e poi per una lunga tradizione di pensiero razionalista e manichea, le passioni erano perturbazioni dell’anima, da fuggire come malattie. Diogene Laerzio scriveva: «La passione, secondo Zenone, è o un movimento dell’anima, irrazionale e contrario a natura, oppure un impulso ec◻ 7 cessivo». Per questo motivo le passioni sono diventate spesso, nell’opinione comune, un sinonimo di vizi. Non la pensava così, però, san Tommaso d’Aquino, che distingueva chiaramente tra vizi, che sono abitudini oggettivamente immorali, e passioni, da lui considerate invece come moralmente neutre e quindi suscettibili di contribuire sia al bene che al male. Anzi, Tommaso si spingeva addirittura oltre, sostenendo non solo che la passione può apportare un contributo al bene ma, di più, che senza passione non vi può essere bene morale. Con le sue stesse parole: «Gli Stoici sostenevano che tutte le passioni dell’anima sono cattive» ma, proseguiva, «attiene alla perfezione del bene morale il fatto che l’uomo sia spinto al bene non soltanto dalla volontà ma anche dalla passione, secondo quanto sta scritto nel Salmo 83,8: “Il mio cuore e la mia carne hanno esultato nel Dio vivente”, dove il cuore va inteso come volontà, e la carne come passione» (Sum. Theol., I-II, q. 24, a. 3). Dopo una lunga parentesi moderna, la filosofia contemporanea va riprendendo ai nostri giorni la direzione di pensiero che fu di Aristotele e Tommaso d’Aquino. Anche sulla base di diverse scoperte scientifiche, essa è giunta a conclusioni opposte rispetto a quelle degli Stoici. Anzitutto è caduto definitivamente il muro che separava idealmente la 8 ◻ ragione dalle passioni. Per secoli si è pensato, infatti, che la ragione – per sua natura a-patica cioè priva di pathos, di passione – avesse come suo compito quello di reprimere o almeno di mitigare le passioni, per così dire dall’esterno. Oggi si sa, invece, che la ragione è, per sua natura, non solo fredda e calcolatrice ma anche emotiva e passionale. In un testo che ha fatto ormai epoca (A.R. Damasio, L ’errore di Cartesio: emozione, ragione e cervello umano) l’autore cita due casi tristi: quello di Phineas Gage, un muratore a cui, nel 1848, dopo un brutto incidente, rimase conficcata una sbarra di ferro nel cervello, e il caso di Elliot, un paziente sottoposto a parziale lobotomia a causa di un tumore benigno al cervello. Entrambi gli uomini – dopo l’incidente il primo e dopo l’intervento chirurgico il secondo – rimasero in vita, ma subirono significativi cambiamenti delle loro prestazioni intellettuali. Stranamente rimasero intatte le loro capacità razionali astratte, come quella di compiere calcoli matematici o ricordare nomi e date. L ’unica cosa – si fa per dire – che persero del tutto furono le emozioni. Ora, questa circostanza, lungi dal non avere alcuna ripercussione sulla loro «ragione», li privò della capacità di stabilire una priorità tra le cose da fare e, dunque, di prendere delle decisioni. In una parola, erano in grado di avere cognizioni ma non erano in grado di fa◻ 9 re valutazioni. E le valutazioni rientrano da sempre nelle capacità razionali di un uomo. Ecco quindi la scoperta: con buona pace degli Stoici di ieri e di oggi, la passione non è fuori o contro la ragione, ma dentro; la ragione è per sua natura (anche) passionale; senza passione non c’è ragione. Di più, senza passione non c’è nemmeno moralità. Lo abbiamo già visto, citando san Tommaso, ma converrà ribadirlo. Immaginiamo un uomo che osservasse, per esempio, il precetto dell’amore del prossimo senza alcuna passione: sarebbe un robot etico, gentile ma artificiale, una specie di distributore automatico di buone azioni. Accade così in tutti i bacchettoni della morale, i buoni per mestiere e non per passione, i soldatini dell’etica, vuoti di quell’emozione per gli altri che rende autentici i gesti di un uomo. Infine, senza passione non esiste la politica. Lo abbiamo letto in Tocqueville e lo contempliamo ogni giorno nello spettacolo desolante di partiti che pensano perlopiù soltanto ai propri interessi, magari con i soldi pubblici, dimentichi ormai del tutto di ogni passione politica e civile. Si comprendono così i motivi che ci hanno spinto a dedicare questo libretto – risultato a sua volta di un dossier nel «Messaggero di sant’Antonio» durante l’anno 2011 – alle passioni umane. 10 ◻ A quali in particolare? Tra i tanti elenchi elaborati nella storia del pensiero – quello degli Stoici ne conteneva centotrenta; quello di Avicenna sei; di Giovanni della Rochelle ventiquattro; di Cartesio quarantadue, di Spinoza quarantotto – abbiamo scelto quello di Tommaso d’Aquino, il quale ne prevedeva undici (vedi schema sotto). La nostra speranza è di contribuire un poco a combattere l’odierna tentazione dell’apatia o, con altre parole, dell’ignavia di dantesca memoria: vizio di coloro che, né freddi né caldi, non sono degni di stare non solo in paradiso ma nemmeno all’inferno, e di cui il sommo poeta scriveva: «Non ragioniam di lor, ma guarda e passa». Lo schema del libro Seguendo dunque lo schema elaborato da san Tommaso d ’ Aquino ( cf. pagina 14 ) co minceremo con le cosiddette passioni del concupiscibile, distinte a loro volta in passioni relative al bene – amore (cap. I), desiderio e piacere (cap. II) – e passioni relative al male – odio (cap. III), ripugnanza e tristezza (cap. IV). Sarà poi il turno delle cosiddette passioni dell’irascibile, distinte a loro volta in due ca◻ 11 tegorie: passioni relative a un bene difficile da ottenere – speranza e disperazione (cap. V) – e passioni relative a un male difficile da fuggire – timore e audacia (cap. VI), se il male non è stato ancora subìto; ira (cap. VII), se il male è già subìto. Pro e contro Tuttavia la ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto, ammoniva Manzoni. Nel nostro caso, in particolare, non si può dire che a seguir le passioni si fa sempre la cosa giusta. Al contrario, proprio le passioni possono degenerare facilmente in vizi. Insomma, se fin qui si è detto solo bene delle passioni, non si può negare, tuttavia, che esse nascondano anche ombre, aspetti negativi, persino patologici certe volte. Per questo motivo, abbiamo previsto quattro riflessioni per ognuna delle passioni appena elencate: vi è, anzitutto, una riflessione a mia firma volta a sottolineare l’aspetto positivo; vi è poi una opinione, contraria, chiamata, come nelle questioni medievali, Sed contra proposta da Adriano Fabris (professore ordinario di Filosofia morale all’Università di Pisa e specialista di etica della comunicazione), la quale svela, per così dire, l’altra faccia della medaglia, quella negativa, delle passioni. 12 ◻ A questo punto il percorso prevede la consultazione della parola di Dio. Ascoltati i pareri filosofici a favore e contrari, ci si chiede: che cosa dicono le Scritture a proposito di quella passione? La risposta a questa domanda è affidata ad Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, che propone ogni volta una riflessione a partire dai testi biblici. Infine viene proposta un’analisi della passione dal punto di vista della sua degenerazione patologica – perché anche questo succede – a partire da casi clinici concreti (di Carlo Calanchini, psichiatra e psicoterapeuta). Come si vede, la struttura della trattazione di ogni virtù propone voci diverse – sempre, tuttavia, argomentate e documentate. Lo scopo di questo libretto, infatti, non è quello di indottrinare il lettore in materia di passioni ma, al contrario, fornirgli strumenti utili, che possano aiutarlo a farsene un’idea personale. Insomma, non è un libretto che dà pensieri (preconfezionati) ma che dà a pensare. Un’attività, quella del pensare con la propria testa che, ai nostri giorni, rischia l’atrofia. ◻ 13 14 ◻ Lo schema delle passioni... relative al male arduo inflitto e subìto relative al male arduo non ancora inflitto male relative al bene arduo non ancora raggiunto dell’irascibile ira (cap. 7) timore e audacia (cap. 6) speranza e disperazione (cap. 5) odio (cap. 3) ripugnanza e tristezza (cap. 4) relative al male passioni amore (cap. 1) desiderio e piacere (cap. 2) del concupiscibile relative al bene ... e di questo libro (Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, I-II, qq. 22-48) 1. ??? Amore Il pro È urgente recuperare l’unità fra i vari tipi di amore: l’amore passione, fondato sull’emozione; l’amore coniugale, basato su una scelta volontaria; la carità, o volontariato, che si rivolge a ogni uomo bisognoso. È importante che l’amore-passione non manchi nell’amore coniugale e nella carità cristiana. Una storia d’amore possibile di Giovanni Ventimiglia Quid est amor? La cultura occidentale distingue nettamente fra tre tipi di amore: l’amore passione, fra innamorati, fondato sull’emozione; l’amore fra marito e moglie, basato su una scelta volontaria; l’amore cri◻ 15 stiano, o carità, che si rivolge a tutti gli uomini, specie i bisognosi, in quanto figli di Dio. Ebbene, in Occidente, fra questi tre tipi di amore non sembra esistere più alcun legame. La carità viene associata alla beneficenza o, tutt’al più, al volontariato: nulla a che fare con le storie d’amore. Il matrimonio, poi, viene considerato espressamente come la «tomba» dell’amore. Perché si è arrivati a questo punto? Come ha spiegato de Rougemont in L ’amore e l’Occidente la passione d’amore, dal Medioevo in poi, si è trasformata a poco a poco in amore della passione, del patire. Di conseguenza, gli ostacoli, le disgrazie, i tradimenti, le lacrime, i tormenti, la stessa morte, sono diventati la misura del «vero» amore. Da Tristano e Isotta a Giulietta e Romeo, non vi è storia d’amore, nella letteratura occidentale, che non venga misurata in quantità di lacrime versate. Sembra che l’amore sia vero solo se impossibile, meglio ancora se causa di morte. In realtà, questa è solo una farsa. Al posto del vero amore per l’altro, si hanno qui tre caricature: un amore della stessa storia d’amore (che i protagonisti desiderano inconsciamente raccontare a tutti); un amore dell’amore (in cui l’altro è un semplice ingrediente necessario); e, infine, un amore della morte (tendenza depressiva che irrompe nel 16 ◻ finale della storia ma che in realtà è presente fin dall’inizio). Gli amori impossibili, infatti, sono un surrogato del «prozac»: servono come antidoto alla noia tendenzialmente depressiva dei protagonisti. Ora, se l’amore passione è questo, cosa potrà mai avere a che fare con il matrimonio? La modernità si vanta di avere finalmente conquistato il diritto al matrimonio esclusivamente «d’amore». Ma se, come accade, per «amore» si intende quello descritto sopra, cioè la storia d’amore impossibile, come potrà mai reggersi su di esso il matrimonio che, per sua stessa natura, è una storia d’amore che diventa «possibile»? Ora però mi chiedo: chi l’ha detto che il vero amore debba essere come il telegiornale italiano, cioè una serie di tragici fatti di cronaca con finale macabro? È venuto il momento di testimoniare, con coraggio, che l’amore è una storia possibile e a lieto fine. E che i colpi di scena, lungi dall’essere necessariamente tragici, possono consistere in gesti di imprevista gratuità, sorprese gradite, storie di inimmaginabile bontà. Solo riscoprendo il senso di una passione d’amore come storia d’amore possibile, si potrà recuperare l’unità, oggi frantumata, tra i diversi tipi di amore. Solo così il matrimonio potrà essere vissuto non come una serie di ◻ 17 doveri coniugali faticosi, ma come una lunga storia d’amore. Analogamente, solo così la carità cristiana potrà essere percepita non come una benpensante beneficenza, ma come uno sguardo innamorato per gli uomini. Lo ha riassunto bene Nazim Hikmet, poeta turco, in una poesia scritta dal carcere alla moglie: «I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi / che tu venga all’ospedale o in prigione / nei tuoi occhi porti sempre il sole […]. I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi / verrà giorno, mia rosa, verrà giorno / che gli uomini si guarderanno l’un l’altro / fraternamente / con i tuoi occhi, amor mio / si guarderanno con i tuoi occhi». Sed contra È opportuno distinguere fra amore, atto impegnativo e voluto, ed emozione, che è un sentimento passivo e disimpegnato. Amore non emozione di Adriano Fabris L ’amore è certamente una passione, ma non è solo questo. Le passioni, appunto, sono qualcosa che si patisce, che si subisce, mentre l’amore è una condizione dell’animo nella 18 ◻ quale, anche e soprattutto, siamo coinvolti e motivati a compiere azioni ben precise. L ’amore, considerato come passione, rivela una dipendenza da altro. Ma, così inteso, esso rischia di essere scambiato con un’emozione fra le tante. E l’emozione è qualcosa di passeggero, di mutevole, di fugace. Mentre l’amore, anche se è in grado di muoverci e di commuoverci all’improvviso, può insieme rendere possibile la situazione di un sentire comune duraturo. L ’amore, dunque, non è solo un sentimento passivo e disimpegnato, ma è, anche e soprattutto, un atto impegnativo e voluto. Per questo, da un punto di vista religioso, esso può essere comandato. Cosa che non potrebbe accadere se si trattasse solo di un’instabile emozione. Oggi però è sotto forma di un’emozione, ripeto, che soprattutto viene intesa l’esperienza amorosa: specialmente dalle giovani generazioni, in ciò favorite dalla molteplicità di collegamenti, tanto numerosi quanto effimeri, che sono offerti dal web. Nell’epoca dell’individualismo interconnesso in cui oggi viviamo, l’amore è infatti scambiato, fin troppo spesso, con qualcosa che non dipende da noi, che va e che viene, che ci sorprende per poi velocemente scomparire. Si tratta della versione post-romantica di questo sentimento, che fa forse da contraltare al fatto che le nostre relazioni ◻ 19