L`Italia dei miracoli. La rinascita della scienza italiana passa per il
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L`Italia dei miracoli. La rinascita della scienza italiana passa per il
117 Editoriali L’Italia dei miracoli. La rinascita della scienza italiana passa per il Vaticano? luigi naldi Centro Studi GISED; USC Dermatologia, Azienda Ospedaliera papa Giovanni XXIII, Bergamo. Pervenuto su invito il 23 febbraio 2016. Italy of miracles. Does the renaissaince of Italian science pass by the Vatican? Summary. In a commentary published in The Lancet on January 2016, Giuseppe Remuzzi and Richard Horton, analyse the origin of the decline of the Italian primacy in biomedical science. Among the others, the existence of Italian political groups «which oppose science simply to please the Church and to achieve political gain» was considered as detrimental for advancing research in such areas as assisted reproduction or embryonic stem cell research. Some hope for a change is raised, in the opinion of Remuzzi and Horton, by the more open attitude toward science of pope Francis. Hence, the two authors conclude that the time has come to promote a dialogue between Italian scientists and the Vatican and, by that, to see «if conditions are ripe to create a renaissance in Italian intellectual life». I humbly challange the analyses and conclusions of Remuzzi and Horton on the Italian scientific decline and the possible way forward. The rooth of the Italian decline in science are deep-seated into the chronic lack of resources, into the under-development of academic institutions, and into the lack of motivations for young researchers. As for bioethical paradigms, they are the end result of a co-production between social norms and scientific development, and their definition would ideally involve the participation of large sectors of the society. One example of such a process is offered by the “Les Etats généraux de la bioéthique” in France in 2009. The ethical discussion concerning biotech innovations is not limited to theological issues, but involves social aspects such as public health priorities, equity, and information strategies to avoid creating unrealistic expectations. Il punto di vista di Remuzzi e Horton Sul numero di The Lancet del 2 gennaio, in apertura dell’anno 2016, Giuseppe Remuzzi, direttore dei Laboratori dell’Istituto Mario Negri di Bergamo, recentemente nominato per “chiara fama” professore di nefrologia del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dell’Università di Milano, e Richard Horton, Editor-in-Chief di The Lancet, pubblicano un commento dal titolo un po’ pittoresco: “Italia, la terra dei miracoli, rivisitata”1. In sintesi, i due autori si domandano come mai l’Italia abbia perso progressivamente, a partire dal diciannovesimo secolo, il grande credito scientifico acquisito fino all’Illumi- Recenti Prog Med 2016; 107: 117-120 nismo e riconosciuto in tutta Europa, con particolare attenzione alle scienze della vita. «Cosa è successo a un Paese che ha dato i natali ad Alessandro Volta, Guglielmo Marconi, Enrico Fermi, Marcello Malpighi, Camillo Golgi, Giovanni Morgagni e Antonio Scarpa?». Secondo Remuzzi e Horton, le principali cause del declino scientifico italiano sono state, nell’ordine in cui vengono discusse, l’influenza sulla cultura accademica medica italiana del sistema brunoniano, ovvero la teoria che considera le malattie come derivate da eccessi o difetti di eccitazione sviluppata verso la fine del Settecento dal medico scozzese John Brown, il ritardo nell’acquisire nuove tecnologie, l’assetto politico dell’Italia agli inizi dell’Ottocento con una divisione in piccoli Stati conservatori «impegnati a distruggere ogni memoria del passato napoleonico e insofferenti per ogni idea nuova e progressiva», e «il convergere di motivi politici e religiosi» persistente anche dopo l’unità d’Italia. Secondo Remuzzi e Horton, «ancora oggi la politica italiana continua a minare il progresso scientifico. Negli ultimi 15 anni, entrambi gli schieramenti politici che si sono contesi il potere hanno condizionato pesantemente decisioni importanti in medicina e bioetica». «Questi gruppi hanno ostacolato la scienza semplicemente per accreditarsi presso la chiesa e averne qualche misero guadagno politico». Se, nel passato, «ci sono state molte frizioni fra scienza e magistero ecclesiastico su temi eticamente sensibili», ora i due estensori del commento ritengono che «un dialogo costruttivo su questi temi che comprendono, tra gli altri, la riproduzione assistita, la ricerca sulle cellule staminali embrionali e le decisioni di fine vita sia finalmente possibile». Un esempio del “cambio di passo” in Vaticano è rappresentato, secondo gli autori del commento, dall’Enciclica Laudato si’ sul cambiamento climatico, ove si afferma a chiare lettere che «la scienza e la religione, fornendo approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe». «Le nuove posizioni del Vaticano e di Papa Francesco potranno contribuire a un nuovo rinascimento scientifico in Italia?», si domandano Remuzzi e Horton. Alla domanda, fanno seguire una proposta: «Noi pensiamo che sia venuto il momento di organizzare un incontro che dia il via a un vero dialogo fra scienziati italiani e Vaticano. Perché allora non metterlo in cantiere a Roma al più presto, coinvolgendo scienziati di scienze della vita, filosofi, accademici interessati alla ricerca, insieme a membri della Chiesa? Lo scopo è di capire se ci sono le condizioni per dar vita al rinascimento di una libera cultura scientifica in Italia»2. Un po’ di storia È evidente che l’opinione di chi governa una delle maggiori istituzioni di ricerca biomedica italiana e dell’editore di una delle principali riviste medico- 118 Recenti Progressi in Medicina, 107 (3), marzo 2016 L’Italia, a differenza di altri Paesi, non sembra essere entrata a pieno titolo in quella che è stata definita come “società della conoscenza”. scientifiche conta, eccome. Tuttavia, è difficile accettare una rappresentazione dei motivi del declino scientifico italiano nelle scienze della vita come quella presentata da Remuzzi e Horton e condividere la soluzione per un rilancio della “libera cultura scientifica” prospettata dagli autori. Posto che una storia del “genio” italiano, attraverso figure capitali o di eccezione, il cui drappello non è certo piccolo, non ha alcun senso nell’attuale contesto culturale, l’involuzione scientifica italiana a partire dai primi anni dell’Ottocento non rappresenta un processo lineare e omogeneamente distribuito3-5. Di fatto, il quadro d’insieme del sapere scientifico nell’Italia pre-unitaria è caratterizzato da una grande eterogeneità e da connotati regionali specifici. Si pensi, per fare un solo esempio, alla nascita, in Lombardia, della fisica e della biologia sperimentale all’inizio dell’Ottocento. Un elemento significativo della scienza italiana nella prima metà dell’Ottocento è quello dei congressi scientifici che si tennero annualmente, in fase pre-unitaria, tra il 1839 e il 1847, con una reazione non univoca da parte dei piccoli Stati della penisola. Il Granducato di Toscana li sostenne, mentre lo Stato Pontificio, sotto la guida di Gregorio XVI, ribadendo il rapporto gerarchico tra scienza e fede, ne vietò la partecipazione. Anche l’assetto accademico precedente l’unità d’Italia era frammentato e molto eterogeneo con un numero assai elevato di istituzioni universitarie di differente valore. Dopo l’Unità, tutti i tentativi di razionalizzazione, a partire da quelli operati dal fisico e fisiologo Carlo Matteucci nelle vesti di ministro della Pubblica istruzione, furono per lungo tempo frustrati. Se molte erano le università esistenti nel periodo post-unitario, assai scarsi erano i fondi da suddividere e con squilibri tra le differenti discipline: nel 1862, esistevano 233 cattedre nelle facoltà di Medicina, 166 a Giurisprudenza e 170 per le facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, ma solo un minimo numero di cattedre per le discipline tecnologiche. Una “mobilitazione scientifica” orientata in termini nazionalistici prese le mosse dopo la prima guerra mondiale. Un riflesso di tale mobilitazione fu l’istituzione nel marzo del 1917, dell’Ufficio invenzioni e ricerche che divenne il nucleo iniziale del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il fascismo poi continuò a sostenere la triade tematica - nazionalismo, valore pratico della scienza, finalizzazione della ricerca verso i bisogni della nazione - propugnando, con Giovanni Gentile, il concetto di “moralità nella scienza”. Il cambiamento di prospettiva a partire dalla prima guerra mondiale non modificò granché il carattere più generale della ricerca italiana, cioè la povertà di mezzi rispetto al personale. Per fare un solo esempio, nel bilancio del Ministero della Pubblica Istruzione, il rapporto tra compensi e dotazioni era pari a 1,52 nel 1923, e a 1,55, quindi sostanzialmente invariato, nel 1941. Gli anni del dopoguerra e della ricostruzione hanno visto, da un lato, una fase di consolidamento e poi, a partire dal 1968, di forte espansione del sistema universitario e, con la liberalizzazione degli accessi, un massiccio incremento del numero degli iscritti; dall’altro, un ulteriore aumento nel numero delle università italiane, che contano ora una settantina di istituzioni, tra pubbliche e private. Solo a fatica questa evoluzione è stata accompagnata da un processo normativo, con l’istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (ora Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) solo nel 1989. Al di là dei mutamenti formali, la spesa per la ricerca e lo sviluppo, in percentuale sul prodotto interno lordo, si è mantenuta in Italia negli ultimi 50 anni molto al di sotto della spesa in altri Paesi: nel 2013, risulta pari all’1,31%, contro 2,23% della Francia, 2,85% della Germania, 2,73% degli Stati Uniti, 4,21% di Israele. Quello che emerge, dunque, anche nella storia recente, è l’incoerenza del discorso pubblico sulla scienza, che, da un lato, esalta il primato della ricerca, e, dall’altro, non riesce a proporre una strategia operativa per lo sviluppo della scienza nel nostro Paese, con effetti negativi sulla stessa considerazione sociale della scienza e sulla formazione delle nuove generazioni. In Corea del Sud, nel 2011, il 63% dei giovani di età compresa tra i 24 e i 35 anni era laureato. In Italia non si superava il 20%. E gli ultimi dati ci dicono che la distanza non si riduce ma si allarga ulteriormente. Un riflesso dello scarso peso dato alla ricerca scientifica è la condizione del personale dedicato alla ricerca nel nostro Paese. Un’indagine ISTAT, relativa al 2015, indica che, in Italia, vi sono 4,1 ricercatori ogni mille occupati contro una media dell’Unione Europea pari a 7,58. Il minor numero di ricercatori non produce una migliore condizione economica degli stessi, rispetto ad altri Paesi. Al contrario. Uno studio di Times Higher Education del 2015 esamina quanto enti pubblici e privati investono su ogni ricercatore tra stipendio, premi di risultato e altre componenti: in Corea del Sud uno scienziato ha un “valore” di quasi 93.000 dollari, in Olanda di 73.000 e in Italia il “valore” è fermo a 14.400 dollari. Non solo. La stabilizzazione dei ricercatori in ambito accademico ha tempi molto più lunghi rispetto ad altri Paesi. Non meraviglia quindi che si assista a una progressiva emigrazione scientifica italiana all’estero. Dati ISTAT, relativi al 2011, indicano un saldo negativo tra ricercatori italiani che abbandonano il Paese e quelli che rientrano pari a 4.891 unità, maggiore dei L. Naldi: L’Italia dei miracoli. La rinascita della scienza italiana passa per il Vaticano? La definizione dei problemi di bioetica dovrebbe coinvolgere tutti i cittadini in un confronto che consideri posizioni anche diverse rispetto a quelle della Chiesa cattolica. 3.649 dell’anno precedente e costantemente in crescita dal 2004 a oggi. La ricerca scientifica è un’impresa collettiva e, tuttavia, esiste un notevole grado di personalismo nel riconoscere i meriti della ricerca nel nostro Paese: molte persone mal pagate contribuiscono al successo scientifico di poche personalità assai esposte nei media. In sintesi, l’Italia, a differenza di altri Paesi, non sembra essere entrata a pieno titolo in quella che è stata definita come “società della conoscenza”6. Non promuove adeguatamente processi formativi e investe poco nella ricerca scientifica. Lo sviluppo della scienza italiana e la bioetica Un ostacolo allo sviluppo scientifico italiano che viene particolarmente sottolineato da Remuzzi e Horton è quello del ritardo culturale e normativo, connesso con la subordinazione dei gruppi politici alla Chiesa cattolica su aspetti cruciali della bioetica come quelli che mettono in campo le nozioni di identità, di filiazione, di vita e di morte. In generale, il processo decisionale che porta alla regolamentazione in questo campo è stato definito come «processo di coproduzione tra norme sociali e sviluppo scientifico»7,8. Se, da una parte, la scienza è coinvolta nella definizione di parametri normativi e istituzionali, dall’altra «il diritto e la politica spingono le conoscenze scientifiche secondo le proprie esigenze». Si stabilisce dunque una stretta interazione in cui «scienza e istanze normative partecipano alla reciproca definizione, modificandosi e influenzandosi a vicenda»8. Non può sfuggire come la dinamica tra scienza e società nel definire le norme bioetiche abbia un interesse generale per il fondamento di una democrazia partecipativa. Tale processo richiede cittadini consapevoli e attrezzati culturalmente. Ancora una volta, questa considerazione rimanda alla necessità di un’alfabetizzazione alla scienza del pubblico. I problemi di bioetica non rappresentano, allora, un argomento di discussione ristretto tra “scienziati, filosofi, accademici” e Vaticano, come sembrano suggerire Remuzzi e Horton, bensì, la loro definizione dovrebbe coinvolgere tutti i cittadini in un confronto capace di considerare posizioni anche differenti rispetto a quelle assunte dalla Chiesa cattolica come quelle della Chiesa valdese o di organizzazioni laiche9. Molto interessante, a questo proposito, è l’esperienza degli Stati Generali della Bioetica, conclusi in Francia alla fine di giugno 200910. Per sei mesi centinaia di cittadini raccolti in tre forum regionali hanno discusso con modalità diverse – riunioni, week-end di formazione - e fatto proposte su cinque temi: la ricerca sulle cellule staminali embrionali, i trapian- ti, la donazione d’organo e di gameti, la procreazione assistita, la medicina predittiva e i test genetici. Le indicazioni emerse nelle consultazioni - da non considerare come un sondaggio che implica risposte nette, ma come una riflessione aperta che ha coinvolto un pubblico diversificato e ha dato risposte complesse e non ultimative - raccolte in un documento e rese pubbliche, hanno contribuito alla revisione delle leggi di bioetica francesi a partire dal 2010. Va notato come il dibattito sui temi di bioetica, come quello sulle cellule staminali, non metta solo in campo quesiti teologici relativi allo statuto dell’embrione e di libertà della ricerca, ma aspetti sociali relativi alla tutela della salute, all’equità nell’allocazione delle risorse sanitarie, all’informazione11. Vale la pena sottolineare come molta ricerca avanzata sui temi indicati più sopra sia a uno stadio di molto precedente le applicazioni cliniche nell’uomo, comportando un giudizio che deve tenere in considerazione le future, ancora non definite, potenzialità, e un’informazione che non deve alimentare illusorie speranze per trattamenti disponibili a breve. Un’enfatizzazione dei risultati della ricerca in questo campo da parte degli organi di comunicazione è pericolosa e, purtroppo, di osservazione comune. È stato documentato come le esagerazioni riportate nei media che propongono ad esempio il trasferimento direttamente all’uomo di risultati conseguiti in modelli animali siano già presenti nei comunicati stampa delle istituzioni scientifiche ove le ricerche vengono condotte12,13 riflettendo, almeno in parte, la forte competizione a livello scientifico e la commercializzazione della ricerca. È evidente come tali esagerazioni possano maggiormente influenzare un pubblico culturalmente poco attrezzato. Tornando al commento pubblicato su The Lancet da Remuzzi e Horton, in ultima analisi, non si discute circa l’opportunità o meno di un dialogo tra scienza e religione in Italia, quanto il fatto che si ritenga che questo dialogo debba svolgersi con il Vaticano, come interlocutore privilegiato, e che si prospetti che da questo dialogo possa dipendere lo sviluppo e il rinascimento della scienza italiana senza considerare la complessa genesi del ritardo italiano nella ricerca biomedica richiamato più sopra. Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi. Bibliografia 1. Remuzzi G, Horton R. Italy, the Land of Holy Miracles, revisited. Lancet 2016; 387: 11-2. 2. www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/giusepperemuzzi-richard-horton/italia-terra-dei-miracoli/gennaio-2016 (traduzione di Luca Carra dell’articolo “Italy, the Land of Holy Miracles—revisited”). 119 120 Recenti Progressi in Medicina, 107 (3), marzo 2016 3. Redondi P. Cultura e scienza dall’illuminismo al positivismo. In: Micheli G (a cura di). Storia d’Italia. Annali 3. Scienza e tecnica nella cultura e nella società dal Rinascimento a oggi. Torino: Einaudi, 1980. 4. www.treccani.it. Clericuzio A, Ricci S. Per una storia della scienza in Italia: realtà nazionale e slancio cosmopolitico. Il Contributo italiano alla storia del Pensiero. Scienze (2013). 5. Atti del Convegno di Studio. La ricerca scientifica in Italia. Napoli, Palazzo Serra di Cassano,15 Novembre 2003. Promosso da Istituto Italiano di Studi Filosofici Accademia delle Scienze, detta dei XL. 6. Hervàs Soriano F, Mulatero F. Connecting the dots-how to strengthen the EU knowledge economy. Joint Research Center, European Commission, 2009. 7. Bucchi M, Neresini F (a cura di). Cellule e cittadini. Biotecnologie nello spazio pubblico. Milano: Sironi, 2006. Indirizzo per la corrispondenza: Dott. Luigi Naldi Centro Studi GISED Presidio Ospedaliero Matteo Rota Via Garibaldi 13/15 24100 Bergamo E-mail:[email protected] 8. Jasanoff S (ed). States of knowledge. The co-production of science and social order. London-New York: Routledge, 2004. 9. Commissione della Tavola Valdese per i problemi etici posti dalla Scienza. Commissione Bioetica. Cellule Staminali. Aspetti scientifici e questioni etiche. Documento n. 14. 10. http://www.etatsgenerauxdelabioethique.fr 11. Lauritzen P. Stem cells, biotechnology and human rights. Implications for a Posthuman future. The Hastings Center Report 2005; 35: 25-33. 12. Sumner P, Vivian-Griffiths S, Boivin J, et al. The association between exaggeration in health related science news and academic press releases: retrospective observational study. BMJ 2014; 349: g7015. 13. Goldacre B. Preventing bad reporting on health research. Academics should be made accountable for exaggerations in press releases about their own work. BMJ 2014; 349: g7465.