A000494 IL DIVORZIO? - Fondazione Insieme onlus
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A000494 IL DIVORZIO? - Fondazione Insieme onlus
A000494, 1 A000494 FONDAZIONE INSIEME onlus. Da Repubblica del 4/6/1997 pag 21 <<IL DIVORZIO? UNA CAMBIALE E IL FIGLIO LA PAGA TUTTA LA VITA>> di Vittorio Zucconi, scrittore e giornalista. Per la lettura completa del pezzo di rinvia al quotidiano citato. WASHINGTON - Il divorzio è un debito che i figli pagano a rate, ogni giorno della loro vita, e non saldano mai. Lo si può nascondere, ammortizzare, addomesticare nel trascorrere misericordioso del tempo, ma il debito aperto nel cuore di un bambino il giorno nel quale madre e padre si separano è una cambiale senza mai riscatto finale. <<L’effetto del divorzio su un figlio è insieme duraturo nel tempo e cumulativo negli effetti>> dice dalla California la voce della donna che ha appena pubblicato uno studio attesissimo che presenterà questo week end a un congresso su "Legge e divorzio" a San Francisco e che ha subito invaso i giornali e i sonni di lettori e lettrici americani. E adopera un’immagine semplice e penetrante, presa dalla nostra esperienza quotidiana di telespettatori, per illustrare il quadro: <<Il divorzio è come una sequenza registrata per sempre sulla videocassetta della vita dei figli, un replay continuo che scorre e che non ha il pulsante dello stop>>. Ciò che rende fuori dall’ordinario questa ricerca non è soltanto il nome dell’autrice, la psicologa Judith Wallerstein che un collega sociologo dell’infanzia (e sappiamo come sono di solito teneri i colleghi) Andrew Cherlin della università Johns Hopkins definisce "senza pari" in America in materia di patologie del divorzio. Ciò che le rende importanti è il fatto che la Wallerstein ha seguito i 131 figli fra i 2 e 6 anni di 131 coppie divorziate per ben 25 anni, giorno dopo giorno, un quarto di secolo, dalla loro infanzia, quando il divorzio avvenne, alla loro maturità di giovani adulti. <<Non posso dire onestamente e con certezza che cosa accada quando il figlio di una coppia divorziata compia 60 anni, ma tre decadi mi sembrano un’indicazione piuttosto seria delle conseguenza a lungo termine dello sfascio di una famiglia sui bambini>>. E la prima conseguenza è la impossibilità paradossale di capire davvero le conseguenze. Noi adulti che affrontiamo l’ovvio trauma del divorzio tendiamo istintivamente ad applicare ai nostri bambini la nostra esperienza, le nostre reazioni di adulti, e in base a quelle rassicurarci e ad essere rassicurati da specialisti e consulenti. Qui c’è il primo errore. <<Per i coniugi che si separano, il momento della separazione è la fase acuta della crisi. Poi, il dolore e il rancore si livellano, gli aspetti emotivi si calmano, insomma il momento più grave della crisi viene superato>>. Ma per i bambini, la sofferenza comincia quando essi avvertono i segni della possibile rottura, poi quando la affrontano e infine quando ne vivono gli effetti e il ricordo. A000494, 2 Il peggio, per loro, viene dopo, e spesso a sorpresa, quando la moviola comincia a girare. <<Il dolore è spesso terrore quando un bambino di 4 o di 5 anni si sente improvvisamente solo di fronte a una vita troppo più grande di lui o di lei>>. Ci sono infinite variazioni, naturalmente, nei casi umani e nelle risposte psicologiche che la Wallerstein ha raccolto in migliaia di ore di intervista e di esami condotti in 25 anni. Ma alcune costanti tornano e ritornano, come nella sua bella immagine della moviola impazzita: la confusione e l’incomprensione, il perché? Il senso di colpa: divorziano per me? Il fastidio, l’irritazione per gli strani, incomprensibili riti imposti dai magistrati, quei meccanismi burocratici della "visitazione" a ore, a giorni, a settimane di vacanza che non corrispondono mai ai tempi reali degli affetti. <<Sarebbe bene che i giudici ascoltassero più i figli dei divorziati che i genitori o i loro avvocati>>. Tra le molte lagnanze dei bambini, e tra i loro peggiori ricordi successivi, c’è sempre "l’incubo" di essere spediti come pacchi dal padre o dalle madre per trascorrere con loro il tempo assegnato. Le famiglie campione scelte dalla Wallerstein, che è autrice di due libri-testo universitari sulla psicologia del divorzio, sono tutte bianche, di classe media e californiane, per rendere il più possibile omogenea la ricerca ed evitare l’inquinamento di altri fattori come la povertà, la razza, o le grandi ricchezze. Non sono dunque disperati del ghetto, né figli di Lady Diana e del Principe Charles, non i Kennedy del divorzio di Ted o dall’annullamento ottenuto da Joseph Kennedy jr, i campioni, ma le classiche famigliole da telefilm in bianco e nero, casetta nei sobborghi e station wagon nel garage. Sono il "mainstream", la vena madre della società americana, quella che alimenta i buoni licei e le buone università e fornisce il personale dirigente dell’economia e della politica. O, meglio, che dovrebbe. Perché gli esiti statistici di questa, che è stata la prima, grande leva della generazione del divorzio esploso negli Usa all’inizio degli Anni 70, suggeriscono risultati che confermano le preoccupazioni dei ricercatori. Un quarto dei figli seguiti dalla Wallerstein non sono riusciti neppure a finire il liceo, rispetto al 10% dei figli di matrimoni più stabili nello stesso gruppo sociale. Il 60% ha dovuto ricorrere all’assistenza di psicologi e psichiatri, contro il 30%. E la grande maggioranza cresce con un’immagine fortemente negativa del padre, quasi sempre visto come il "cattivo" nel film del divorzio: il 65% dei figli di divorziati, maschi e femmine, ha un pessimo rapporto con il padre, e soltanto il 30% con la madre. Una disparità spiegabile anche con il fatto che nella maggior parte dei casi era il padre colui che lavorava e guadagnava e che, dopo il divorzio, è sfuggito alle sue responsabilità finanziarie: sui 131 bambini seguiti dalla Wallerstein, soltanto 6, meno del A000494, 3 5%, hanno ricevuto dai genitori (leggi: dal padre) i soldi per andare all’università, che pure avrebbero avuto. Ma di tutte, forse la cifra più amara, forse la percentuale che più di ogni altra spiega perché ormai molti comincino a rivedere le vecchie, ottimistiche teorie sul divorzio, è un’altra: più della metà delle "cavie" osservate in questi 25 anni, hanno avuto seri problemi di droga e di alcolismo "prima di raggiungere i 14 anni", prima ancora della piena adolescenza. E quasi tutti portano cicatrici emotive così profonde da condizionare la loro capacità di avere relazioni stabili da adulti: le femmine divengono "sessualmente attive" prestissimo, più della media delle loro coetanee. E sui 40 figli di divorziati che si sono sposati fra quei 131, venti hanno già divorziato dopo pochi anni, o addirittura mesi di matrimonio. Qualcuno comincia naturalmente a vedere una correlazione causale fra il boom dei divorzi dopo gli Anni 70 in America -dove oggi 4 matrimoni su 10 finiscono in separazioni- e l’esplosione dei problemi della droga e dell’alcol tra i giovani, ma non la Wallerstein, che si sforza di non trarre conclusioni ideologiche dal suo lavoro. Le conclusioni sono comunque implicite e ormai visibili nel dibattito pubblico americano. La retorica dominante per tre decenni del divorzio come soluzione all’ipocrisia dello "stare insieme per i bambini" viene ogni giorno di più scalzata dalla retorica opposta, quella che vede nel divorzio troppo facile la radice di ogni male sociale e che rivaluta, a cominciare dai Clinton, i meriti della famiglia. E l’ansia di una generazione di baby boomers egocentrici, preoccupati esclusivamente del proprio benessere quando erano giovani, si sta proiettando, nell’ora dell’inevitabile invecchiamento, verso chi ha pagato il conto degli eccessi della "me generation". Verso i loro, i nostri, bambini.