apri e stampa la sentenza - Giurisprudenza delle imprese

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apri e stampa la sentenza - Giurisprudenza delle imprese
R.G. 21200/2013
(Edizioni Esav s.r.l. – Edizioni Condè Nast S.p.A.)
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
Sezione Feriale Civile
così composto:
Dott. Umberto Scotti
Presidente
Dott. Stefano Scovazzo
Giudice
Dott. Guglielmo Rende
Giudice relatore
riunito nella Camera di Consiglio del 31.7.2013, ha emesso la seguente
ORDINANZA
nel procedimento R.G. n. 21200/2013 vertente fra:
EDIZIONI ESAV s.r.l.
elettivamente domiciliata in Torino alla via Ettore De Sonnaz n. 14 presso
lo studio dell’avvocati Toti S. Musumeci, Stefano Altare e Anna Garbagni
del Foro di Torino rappresentanti e difensori
parte reclamante
e
EDIZIONI CONDE’ NAST S.p.A.
elettivamente domiciliata in Torino alla Piazza Maria Teresa n. 6 presso lo
studio degli avvocati Carlo Sarasso e Aldo Martincich del Foro di Torino
rappresentanti e difensori unitamente agli avvocati Giuseppe Sena, Paola
Tarchini e Giancarlo Del Corno del Foro di Milano
parte reclamante
FATTO E VICENDE PROCESSUALI
Con ricorso ex artt. 700 del c.p.c. e 129 e 131 del D.Lgs. 30/2005
(nel proseguo, C.P.I.), depositato in Cancelleria in data 31.5.2013, l’odierna
reclamante Edizioni ESAV s.r.l. ha dedotto l’uso illegittimo, da parte della
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reclamata Edizioni CONDE’ NAST S.p.A., del marchio “Allure”, oggetto,
fra l’altro, della registrazione italiana n. 1202757 del 30.6.2009, esponendo
in particolare:
- che la violazione dei diritti di privativa relativi al marchio
“Allure” sarebbe avvenuta, da parte della resistente CONDE’ NAST
S.p.A., mediante l’attuazione di tre distinti comportamenti illeciti:
1) la pubblicazione da parte della Edizioni CONDE’ NAST S.p.A.
del n. 753 della rivista di VOGUE, numero di maggio 2013, al quale era
allegato il supplemento “Beauty in Vogue Allure”;
2) l’introduzione nel mercato italiano della versione russa della
rivista “Allure the beauty expert”;
3) l’aver reso sottoscrivibile via internet l’abbonamento all’edizione
americana della rivista “Allure the beauty expert”;
- che il marchio “Allure” risulta protetto dalle seguenti tre
registrazioni:
a) la registrazione italiana n. 1202757 del 30 giugno 2009, avente
come data di deposito il giorno 13 febbraio 2006, diretta a
contraddistinguere i prodotti rientranti nelle classi n. 9, 16 (relativa ai
prodotti editoriali e ai software applicativi che possono avere ad oggetto
pubblicazioni e riviste in formato digitale), 41 della c.d. Classificazione di
Nizza;
b) la registrazione italiana n. 1202758 del 30 giugno 2009, avente
anch’essa come data di deposito il giorno 13 febbraio 2006, diretta a
contraddistinguere i prodotti rientranti nella classe n. 16 della c.d.
Classificazione di Nizza;
c) la registrazione italiana n. 556294 del 14 dicembre 1991, avente
come data di deposito il giorno 9 maggio 1989, successivamente rinnovata,
anch’essa diretta a contraddistinguere i prodotti rientranti nella classe n. 16;
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- che, invero, la Edizioni ESAV s.r.l. era divenuta, nel dicembre del
2009, proprietaria della rivista “Allure”, fondata nel 1978, in uno con i
relativi marchi, per averla acquistata, a seguito di cessione d’azienda, dalla
Target Editore s.r.l.;
- che aveva effettuato numerosi interventi e investimenti al fine di
potenziare il già conclamato successo della rivista “Allure”, la quale,
proprio grazie all’intervento della ESAV, aveva avuto ulteriore diffusione
via internet attraverso i siti www.allure.it e www.allurebeauty.it, che
contano circa 30.000 visitatori al mese, nonché sulle piattaforme I-Phone e
I-Pad, e ciò a seguito della realizzazione di una nuova versione digitale del
prodotto sino ad allora edito per via meramente cartacea;
- che il periodico “Allure” viene pubblicato con cadenza bimestrale,
con diffusione di 8.500 copie ad uscita, e distribuito presso profumerie,
aziende, e uffici stampa, nonché alla consumatrici mediante il supplemento
“Allure Beauty”, distribuito unitamente alla rivista principale, avente una
tiratura globale annua di 58.500 copie;
- che la gravità del dedotto uso illegittimo del marchio “Allure”
deriva dalla circostanza che il supplemento “Beauty in VOGUE Allure”,
allegato quale autonomo prodotto editoriale alla rivista VOGUE, oltre ad
essere indirizzato al medesimo pubblico di consumatori cui è destinata la
rivista “Allure”, contiene altresì al proprio interno un gran numero di
inserti, pubblicità e promozioni di prodotti che si ritrovano, esattamente
identici nella loro impostazione e caratteristiche, nella rivista “Allure”;
- che nel caso di specie risulterebbe dunque indubbia l’applicazione
della fattispecie di cui all’art. 20 lett. a) del C.P.I., atteso che la Edizioni
CONDE’ NAST S.p.A. avrebbe utilizzato un “marchio identico (per
l’appunto <Allure>) per contraddistinguere un prodotto identico (rivista
avente contenuti prettamente di profumeria bellezza e cosmesi)” e che i
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marchi da porre a confronto sono il marchio “Allure” della ricorrente,
registrato per prodotti editoriali, e il marchio contraffatto “Allure”,
utilizzato dalla Edizioni CONDE’ NAST S.p.A. per contraddistinguere una
rivista destinata al pubblico femminile;
- che, ad ogni buon conto, ove tale prospettazione non fosse
condivisa e accolta, si avrebbe comunque la ricorrenza della fattispecie di
cui all’art. 20 lett. b) del C.P.I.;
- che la contemporanea presenza presso il pubblico delle due riviste
suddette, caratterizzate entrambe dal marchio “Allure” e dal potere
evocativo di un determinato universo femminile di “prodotti di cosmesi” e
“bellezza” ad esso legato, determina una conclamata ed innegabile
confusione presso il pubblico delle consumatrici, tale da indurre le
consumatrici stesse a ricondurre entrambi i prodotti alla ricorrente società
editrice della rivista “Allure”;
- che in detti comportamenti, oltre a un atto di contraffazione, è
riscontrabile un atto di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 1 e 3 del cod. civ.,
tenuto anche conto del disposto di cui all’art. 13 del Codice di
Autodisciplina Pubblicitaria (CAP) secondo cui “deve essere inoltre evitato
qualsiasi sfruttamento del nome, del marchio, e della notorietà altrui,
specie se inteso a trarre per sé un giustificato profitto”.
Sulla base di tali ragioni, la ricorrente Edizioni ESAV s.r.l. ha
chiesto quindi al giudice di prime cure ai sensi degli articoli 129 e 131 del
C.P.I. e 700 del c.p.c.: 1) disporsi il sequestro della rivista VOGUE n. 753
di maggio 2013 con la rivista supplemento “Beauty in VOGUE Allure”,
ovvero di quest’ultima ove commercializzata singolarmente, così come di
qualsiasi eventuale altra rivista in qualsiasi altra lingua edita e/o distribuita
da CONDE’ NAST S.p.A. che utilizzi il segno “Allure”; 2) di inibire con
effetto immediato alla resistente CONDE’ NAST S.p.A. la distribuzione, la
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commercializzazione, l’offerta in vendita e la pubblicazione, sia diretta che
tramite terzi, della rivista VOGUE n. 753 di maggio 2013 con la rivista
supplemento “Beauty in VOGUE Allure” ovvero di quest’ultima ove
commercializzata singolarmente e degli altri ulteriori supplementi di
“Beauty in VOGUE Allure” che dovessero essere in programmazione per la
distribuzione unitamente a successivi numeri della rivista VOGUE, nonché
di qualsiasi eventuale numero successivo della rivista, in supplemento o
autonomo, ovvero eventuale altra rivista in qualsiasi altra lingua edita e/o
distribuita da Edizioni CONDE’ NAST S.p.A. che utilizzi il segno
“Allure”; 3) disporsi a carico di Edizioni CONDE’ NAST S.p.A. una
sanziona pecuniaria non inferiore a € 5.000,00 per ogni eventuale giorno di
ritardo nell’esecuzione anche parziale dell’emanando provvedimento e non
inferiore a € 1.000,00 per ogni singolo eventuale ulteriore atto illecito; 4)
ordinarsi la pubblicazione dell’emanando provvedimento cautelare a cura
della ricorrente sulla rivista VOGUE e su un’altra rivista di settore a scelta
ricorrente, per estratto, a caratteri doppi del normale con obbligo di
esecuzione entro quindici giorni dalla pubblicazione del provvedimento; 5)
ordinarsi la pubblicazione dell’emanando provvedimento cautelare a cura
della ricorrente sul sito internet http://www.condenast.it della società
resistente per un periodo non inferiore a 90 giorni a caratteri doppi del
normale, con obbligo di esecuzione entro quindici giorni dalla
pubblicazione del provvedimento.
La Edizioni CONDE’ NAST S.p.A., ritualmente costituitasi in
giudizio, dal canto suo, dopo aver argomentato in fatto e in diritto,
eccependo fra l’altro incompetenza territoriale del giudice adito in favore
del Tribunale Ordinario di Milano, nonché deducendo l’assenza di
confondibilità tra i segni distintivi in discorso e le due pubblicazioni di cui
trattasi in ragione della natura debole del segno “Allure” e dell’avvenuto
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utilizzo di esso in un marchio complesso nel quale il “cuore” distintivo e
attrattivo di esso è piuttosto rappresentato dal marchio VOGUE, instava per
il rigetto delle domande cautelari ex adverso formulate.
Il Giudice di prime cure, con ordinanza del 20.6.2013, comunicata
alle parti in data 21.6.2013, disattesa l’eccezione di incompetenza
territoriale avanzata dalla parte resistente, ha rigettato il ricorso cautelare
presentato, non riconoscendo sussistente il presupposto del fumus boni
iuris, e all’uopo affermando, fra l’altro:
- che, nel caso in esame, la fattispecie trattata non rientra
astrattamente nella previsione di cui all’art. 20 lett. a) del C.P.I., bensì in
quella della di cui all’art. 20 lett. b) del C.P.I.;
- che, tuttavia, nell’evenienza qui delibata, l’utilizzo del termine
“Allure” da parte della resistente non è comunque idoneo a creare
confusione, né tra il pubblico dei lettori, né tra gli addetti del settore, tra cui
le case produttrici di prodotti di profumeria e cosmesi, e ciò in
considerazione della diversa veste grafica, del suo utilizzo congiunto e in
combinazione con altre parole, del contesto in cui è stato impiegato
nell’inserto di VOGUE, nonché, da ultimo, dei diversi canali distribuzione
delle due riviste;
- che il marchio “Allure”, pur non potendo essere ritenuto
descrittivo in senso proprio, non è un marchio forte, e che nei marchi
siffatti ad evitare la violazione è dunque sufficiente, come nel caso in
esame, l’introduzione di varianti, o aggiunte di altri elementi, che siano
idonee a escluderne la confondibilità;
- che, parimenti, le considerazioni sopra svolte escludono la dedotta
ricorrenza di un’ipotesi di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 nn. 1 e
3 del c.c..
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Avverso il predetto provvedimento propone quindi reclamo, ex art.
669 terdecies c.p.c., con atto depositato in data 5.7.2013, la Edizioni ESAV
s.r.l. chiedendone la riforma, con vittoria di spese, anche con riferimento
alla presente fase processuale, e insistendo altresì per l’accoglimento delle
istanze cautelari già svolte nel ricorso originario come sopra riportate.
In particolare, l’odierna Difesa reclamante, ribadite e richiamate
tutte le argomentazioni già svolte nel giudizio cautelare di primo grado,
deduce, fra l’altro, l’erroneità dell’ordinanza di prime cure per avere la
stessa qualificato il marchio “Allure” quale marchio debole, e non già
quale marchio forte, nonché per aver attribuito al termine “allure” una
valenza evocativa e descrittiva che esso ha solo nella lingua francese, e,
quindi, per i soli consumatori di lingua francese, e non già in quella
italiana, e, dunque, anche per i consumatori italiani.
Inoltre, secondo la prospettazione offerta dalla parte reclamante, la
valenza evocativa e descrittiva del termine “Allure”, nel caso di specie,
trattandosi di marchio afferente alla categoria n. 16 della Classificazione di
Nizza, dovrebbe essere considerata con riferimento non già ai prodotti
cosmetici, bensì alla tipologia di prodotti per i quali esso è stato registrato,
ovverosia i prodotti editoriali.
La parte reclamante, infine, quanto all’asserita diversità dei canali
di distribuzione delle due pubblicazioni qui considerate, censura il
provvedimento reclamato nella parte in cui ha omesso di considerare che
ciò che conta, in materia di tutela di marchi, non è il mezzo attraverso cui
viene posto in essere l’atto contraffattorio, bensì il risultato della
contraffazione in sé che risiede nella confusione (così come nel rischio di
associazione), affermando in particolare che, nel caso in esame, nulla
esclude che un consumatore, ad esempio, abbia la possibilità di sfogliare la
rivista di essa reclamante in un salone di parrucchiere, e che, nello stesso
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frangente spazio-temporale, possa altresì avere la possibilità di sfogliare
anche la rivista VOGUE e il supplemento “Beauty in Vogue Allure” per cui
è causa.
Con memoria del 25.7.2013, depositata in Cancelleria in data
26.7.2013, si costituiva infine la parte reclamata, la quale, posta piena
adesione alle statuizioni del giudice di prime cure in punto di carenza di
fumus boni iuris, dopo aver argomentato in fatto e in diritto con precipuo
riferimento alla significatività del termine “allure”, alla natura complessa
del titolo dell’allegato alla rivista VOGUE, e all’assenza di qualsivoglia
rischio di concreta confusione fra le due pubblicazioni, deducendo inoltre
la carenza del presupposto del periculum in mora, concludeva per il rigetto
del reclamo ex adverso proposto, con vittoria di spese.
All’udienza del 31.7.2013, acquisito d’ufficio il fascicolo del
procedimento di prime cure R.G. 17169/2013, udita la discussione orale, il
Collegio si riservava di provvedere.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il reclamo non è fondato e, pertanto, deve essere respinto.
Preliminarmente deve osservarsi come la parte reclamata, nel
resistere al reclamo ex adverso promosso, abbia abbandonato l’eccezione di
incompetenza territoriale dell’intestato Tribunale adito in origine svolta, e
già disattesa dal giudice prime cure.
Parimenti, la Edizioni ESAV s.r.l., nel proporre l’odierno mezzo di
gravame, non ha mosso alcuna doglianza nei confronti della statuizione del
giudice di prime che ha escluso la riconducibilità di due dei tre originari
comportamenti illeciti oggetto di censura mediante la proposizione del
ricorso cautelare di primo grado (l’introduzione nel mercato italiano della
versione russa della rivista “Allure the beauty expert” e l’aver reso
sottoscrivibile via internet l’abbonamento all’edizione americana della
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rivista “Allure the beauty expert”), per essere detti comportamenti
attribuibili, non già all’odierna reclamata Edizioni CONDE’ NAST S.p.A.,
bensì alla diversa e distinta società di diritto statunitense CONDE’ NAST
Pubblication Inc.
Le predette questioni, eccezioni e istanze devono pertanto ritenersi
abbandonate o rinunciate, di modo che il presente pronunciamento avrà ad
oggetto, in via esclusiva, la delibazione del comportamento, qualificato
dalla parte reclamante come uso illecito di un marchio protetto, consistito
nella pubblicazione, da parte della Edizioni CONDE’ NAST S.p.A., del n.
753 della rivista di VOGUE, numero di maggio 2013, e del relativo
supplemento “Beauty in Vogue Allure”.
Ciò posto, il Collegio condivide in primo luogo l’affermazione del
giudice di prime cure circa la ricorrenza in via astratta, nel caso qui
scrutinato, della fattispecie di cui all’articolo 20 lett. b) del C.P.I., e non già
di quella di cui all’articolo 20 lett. a) del C.P.I..
Come è noto l’articolo 20 del D.Lgs. 20/2005, rubricato come
“Diritti conferiti dalla registrazione”; testualmente dispone:
“1. I diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono
nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di
vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica:
a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a
quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o
servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e
dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio
di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di
associazione fra i due segni;
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c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o
servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di
rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del
marchio o reca pregiudizio agli stessi.
2. Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in
particolare vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro
confezioni; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a
tali fini, oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di
importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno stesso; di
utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità
(…)”.
Nella fattispecie qui in esame appare evidente che si è innanzi a
un’ipotesi di un segno “simile al marchio registrato, per prodotti o servizi
identici o affini”, e non già identico.
Invero, il marchio “Allure” registrato dalla reclamante Edizioni
ESAV s.r.l. viene così definito nella domanda di registrazione sotto la
rubrica “descrizione”: “figurativo – il marchio è costituito dalla dicitura
allure scritta in caratteri minuscoli di fantasia ove le lettere sono formate
da una serie di puntini” (v. il doc. n. 4 del fascicolo di parte della
ricorrente ESAV s.r.l. depositato in atti nel corso del giudizio cautelare di
primo grado).
All’opposto, l’uso effettuato dalla convenuta reclamata Edizioni
CONDE’ NAST S.p.A. del termine “allure” è avvenuto mediante
l’inserimento del predetto vocabolo in un titolo editoriale complesso
(“Beauty in Vogue Allure”) con veste grafica totalmente differente: il tratto
è continuo, e non puntinato; i caratteri di scrittura adoperati sono poi
dissimili e chiaramente distinti e distinguibili ictu oculi da qualsivoglia
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osservatore (v. i docc. n. 1 e 5 del fascicolo di parte della ricorrente ESAV
s.r.l. depositato in atti nel corso del giudizio cautelare di primo grado).
Al di la di ciò, l’utilizzo del termine “allure” in combinazione con
altre parole, inoltre, impedisce comunque di sussumere la fattispecie
fattuale qui delibata in un’ipotesi astratta di utilizzo di un segno identico al
marchio registrato, atteso che l’identità presuppone comunque la simmetria
sostanziale e numerica dei componenti degli elementi posti in
comparazione e che, nella fattispecie qui analizzata, come sopra detto, vi è
asimmetria sia numerica (un solo vocabolo per il marchio “Allure”, a
fronte dei quattro vocaboli di cui è composto il titolo editoriale “Beauty in
Vogue Allure”) che sostanziale (nella rivista edita dalla ESAV s.r.l., come
detto, “Allure” occupa tutte le colonne della pagina di copertina ed è scritto
con tratto puntinato, mentre nel supplemento della rivista edita dalla
CONDE’ NAST S.p.A. il vocabolo “Allure”, oltre a essere scritto con
caratteri tipografici completamente diversi, è posto in posizione
subordinata rispetto alla dicitura VOGUE e occupa in larghezza solo una
parte delle colonne della prima pagina di copertina).
Stabilito che nel caso in esame viene dunque in rilievo, in via
astratta, la sola disposizione di cui all’art. 20 lett. b) del C.P.I., e non già
quella di cui alla lettera a), al fine del decidere, occorre allora stabilire se la
fattispecie fattuale qui scrutinata sia sussumibile nella previsione normativa
di cui al menzionato art. 20 lett. b) del C.P.I. e, quindi, se nel caso concreto,
l’uso del titolo “Beauty in VOGUE Allure” da parte della reclamata
Edizioni CONDE’ NAST S.p.A. sia idoneo a “causa dell’identità o
somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi”, a
determinare “un rischio di confusione per il pubblico” fra le due
pubblicazioni in discorso.
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Ebbene, ciò posto, ritiene il Collegio che tale rischio di confusione
non sia rinvenibile nel caso di specie.
Come è noto, il rischio di confusione per il pubblico consiste nel
fatto che i consumatori possano cadere in errore circa l’origine dei prodotti
e dei servizi, ovverosia che il pubblico possa credere che i prodotti o i
servizi in questione provengano dalla stessa impresa.
Il rischio di confusione può altresì sussistere nel caso di rischio di
associazione, espressamente richiamato dalla norma di cui all’art. 20 lett. b)
del C.P.I., che si verifica allorquando il consumatore, e quindi, in questo
caso, il lettore, pur rendendosi conto che i segni distintivi in conflitto sono
di titolarità di due imprese diverse e che pertanto i relativi prodotti e servizi
provengono da due diversi operatori economici, è comunque indotto a
ritenere, data la somiglianza dei segni, che fra dette imprese vi sia
comunque un legame, sia contrattuale che di mera appartenenza a un
medesimo gruppo societario.
E’ altresì noto che al fine di valutare in concreto l’evocata
confondibilità occorre ricorrere ai parametri dell’identità o somiglianza fra
segni, dell’identità o affinità fra prodotti e servizi prodotti, e al grado del
carattere distintivo originario, ovvero acquisito con l’uso, del marchio per
cui è chiesta tutela.
La Corte Suprema di Cassazione ha inoltre chiarito come, in tema
di tutela del marchio, l’accertamento sulla confondibilità dei segni, in caso
di affinità dei prodotti, non deve essere compiuto in via analitica, attraverso
la separata considerazione dei singoli elementi di valutazione, ma, al
contrario, in via globale e sintetica, con riguardo all’insieme degli elementi
grafici e visivi complessivamente dotati di efficacia individualizzante e
senza omettere l’esame relativo alla natura “forte” o “debole” del marchio
esaminato (v., per tutte, Cass. 6193/2008 e Cass. 1906/2010; cfr. anche
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Cass. 4405/2006 che, quale conseguenza e corollario del predetto principio,
ha affermato che l’esame in discorso deve dunque essere effettuato con
riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una
valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento e
singolare esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale
diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di
prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il
consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro).
Va infatti rilevato come il grado di tutela accordata al marchio muti,
in termini di intensità, a seconda della qualificazione di esso quale marchio
“forte” (ovverosia costituito da elementi frutto di fantasia senza aderenze
concettuali con i prodotti contraddistinti, e, quindi, con modesta capacità
descrittiva rispetto alla tipologia di prodotto contrassegnata) o “debole”
(ovverosia costituito da un elemento avente una evidente aderenza
concettuale rispetto al prodotto contraddistinto).
Invero, la distinzione fra i due tipi di marchio, “debole” e “forte”, si
riverbera sulla loro tutela, nel senso che, per il marchio debole, anche lievi
modificazioni o aggiunte sono sufficienti ad escludere la confondibilità,
mentre, al contrario, per il marchio forte, devono ritenersi illegittime tutte
le variazioni e modificazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino
sussistere l’identità sostanziale del “cuore” del marchio, ovvero il nucleo
ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume
caratterizzando la sua spiccata attitudine individualizzante (v., ex multis,
Cass. 3984/2004).
Alla luce di tali principi, deve allora rilevarsi, in primo luogo, come
il marchio “Allure” non possa certamente qualificarsi quale marchio forte,
atteso che esso non è costituito da un elemento frutto di fantasia senza
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aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti, assumendo una chiara
valenza e capacità descrittiva e distintiva del prodotto cui si riferisce.
E’ noto infatti che il termine “allure”, secondo un uso
progressivamente invalso in ambito internazionale e settoriale, indica
complessivamente tutti i prodotti afferenti al mondo della profumeria, della
cosmesi e più in generale della “bellezza” della donna e della sua
immagine.
A ben vedere, le parole del linguaggio comune possono infatti
assurgere tanto a marchi forti quanto a marchi deboli, a seconda che sia più
o meno avvertibile l’affinità concettuale tra il significato della parola usata
come marchio e la natura e funzione del prodotto cui questo si riferisce. Ne
consegue che l’assenza di qualsivoglia collegamento tra marchio e prodotto
può essere assunta come indice del carattere “forte” del marchio, in quanto
il pubblico, data l’associazione di un vocabolo ad un prodotto privo di ogni
affinità concettuale con il primo, è facilmente in grado di distinguerli (Cass.
568/1995).
A ciò si aggiunga che nel caso di prodotti editoriali, in ragione della
loro natura intrinseca, la capacità distintiva del marchio deve essere
evidentemente valutata anche, e soprattutto, con riferimento ai contenuti
della pubblicazione, poiché essi stessi identificano e connotano il prodotto
editoriale.
Nella fattispecie, nel mondo della cosmesi, della profumeria e più in
generale della bellezza femminile, il termine “allure” ha dunque un
significato semantico specifico e oggettivo, identificativo di un precipuo
settore merceologico, come anche dimostrato dall’uso che di tale vocabolo
viene effettuato in vari ambiti linguistici e dal sorgere nei più svariati
segmenti commerciali di linee di prodotti connotate dalla dicitura “allure”.
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Né vale in senso contrario l’affermazione secondo cui tale valenza
semantica si riscontrerebbe solamente nella lingua francese, e non già in
quella italiana, cui consegue l’affermazione secondo cui solo per i
consumatori francesi, e non già per quelli italiani, la surrichiamata capacità
distintiva esplicherebbe la sua efficacia.
Invero, al riguardo, va osservato, da un lato, come il settore della
profumeria, della cosmesi e della bellezza femminile, sia da sempre
caratterizzato da contaminazioni linguistiche, il più delle volte provenienti
proprio dalla lingua francese, tanto che alcuni termini e vocaboli hanno
assunto col tempo una dimensione semantica trasnazionale tipica dei
linguaggi tecnici e specialistici, dall’altro lato, come il riferimento al
consumatore medio, e alla sua capacità di distinguere fra prodotti
provenienti da una impresa piuttosto che da un’altra, debba essere
necessariamente calato nel settore merceologico di cui si tratta.
Le riviste in parola sono infatti rivolte a un precipuo segmento di
mercato, e hanno, dunque, una vocazione non già generalista, bensì
specialistica.
Il lettore delle due riviste è invero un lettore con peculiari attitudini
e conoscenze del settore, che presuppongono un minimo di dimestichezza
con il settore merceologico di riferimento.
Ebbene, esclusa la natura di marchio forte del marchio “Allure”, e,
avendo riguardo al consumatore medio di tale settore merceologico, e alle
caratteristiche del marchio “Allure” come sopra descritte, deve ribadirsi
come nel caso in esame non vi sia un effettivo e concreto pericolo di
confondimento come dedotto dall’odierna parte reclamante.
In tal senso, militano certamente le condivisibili considerazioni già
svolte in atti circa la chiara ed evidente diversità dei due segni distintivi e la
diversità dei canali di distribuzione (è pacifico che la rivista edita dalla
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Edizioni ESAV s.r.l. è distribuita gratuitamente presso profumerie e
aziende, mentre la rivista VOGUE è venduta a pagamento nelle edicole).
Ciò che peraltro al Collegio appare dirimente - pur nella
consapevolezza che l’odierno contenzioso cautelare si inserisce in un più
ampio scenario commerciale, che travalica il mercato italiano, e che vede la
reclamata CONDE’ NAST quale titolare del marchio “Allure” nei mercati
di maggiore rilevanza internazionale, tanto da editare la rivista “The beauty
expert Allure” (nel cui titolo emerge con evidenzia grafica preponderante il
solo vocabolo “Allure”, avente fra l’altro la stessa veste grafica del termine
usato nel titolo “Beauty in VOGUE Allure”), e la reclamante ESAV quale
titolare del marchio “Allure” nel solo mercato italiano, nonché considerato
che evidentemente l’odierna controversia è verosimilmente sorta a seguito
del fallimento delle trattative avviate fra le parti per l’acquisizione, o
comunque l’autorizzazione all’utilizzo, anche nel mercato italiano, del
marchio “Allure” da parte della CONDE’ NAST (v. il verbale dell’udienza
del 17.6.2013 svoltasi innanzi al giudice di prime cure) - sono le concrete
modalità di utilizzo da parte della Edizioni CONDE’ NAST S.p.A. del
termine “allure” nelle evenienze di causa.
L’inserimento del vocabolo “allure” in un titolo complesso come
quello di “Beauty in VOGUE Allure”, che peraltro contraddistingue un
mero supplemento della rivista principale VOGUE, insuscettibile quindi di
vendita autonoma, esclude, a parere del Collegio, ogni possibilità di
confondimento per il consumatore medio del settore, e ciò in
considerazione dalla valenza caratterizzante, da intendersi quale “cuore”
distintivo del marchio (in questo caso, si tratta di un marchio complesso),
dalla dicitura VOGUE sull’intero titolo editoriale predisposto.
In altri termini, la parola VOGUE è idonea a consentire al
consumatore medio del settore di identificare chiaramente il prodotto
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editoriale come proveniente dall’editore dell’omonima rivista, così come da
escludere ogni rischio di associazione con la pubblicazione “Allure” della
Edizioni ESAV s.r.l., esprimendo essa stessa il cuore del titolo in cui è
inserita, ovverosia il nucleo ideologico che ne esprime l’idea fondamentale
e identificativa.
Il prodotto editoriale VOGUE è infatti un prodotto, dotato di una
sedimentata forza e valenza propria, chiaramente distinguibile dal
consumatore medio del settore, il quale, anzi, è abituato a rinvenire sul
mercato prodotti editoriali VOGUE dedicati a precipui sotto-settori
merceologici, nei quali il secondo termine qualificativo, che usualmente si
associa alla preponderante dicitura VOGUE, lungi da rappresentare la
provenienza editoriale della pubblicazione, di fatto indica solamente il suo
precipuo contenuto, essendo chiara ed evidente la provenienza di quella
specifica rivista dalla “famiglia” VOGUE (si vedano, in atti, i docc. da 3 a
9 del fascicolo di parte reclamata ove sono riportate le copertine delle
riviste “L’Uomo di VOGUE”, “VOGUE bambini”, “VOGUE Gioiello”,
“VOGUE Accessory”, “VOGUE Sposa”, “CASA VOGUE”; “VOGUE
ITALIA SHOPPING”).
La stessa consistenza del prodotto “Beauty in VOGUE Allure”quale
supplemento alla rivista principale di VOGUE, e non già quale rivista
autonoma, rafforza viepiù la valenza attrattiva e distintiva del marchio
VOGUE.
Né d’altra parte può affermarsi che la diffusione e notorietà del
termine “allure” è dovuta all’uso che ne è stato fatto da parte della Edizioni
ESAV s.r.l. e dalla sua dante causa (ciò che configurerebbe un’ipotesi di
c.d. “secondary meaning”), atteso che la progressiva formazione della
capacità distintiva del vocabolo “allure” rispetto ai prodotti di cui trattasi si
è sviluppata per forza propria nel tempo nel mercato internazionale della
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cosmesi e della bellezza femminile per poi giungere, solo in un secondo
momento nel mercato italiano, e che nei predetti mercati esteri non è
presente alcuna specifica pubblicazione della Edizioni ESAV s.r.l.,
dovendosi piuttosto riconoscere, tutt’al più, alla rivista “Allure the beauty
expert”, edita dalla CONDE’ NAST S.p.A., sin dal 1991, un rilevante
posizionamento.
Le concrete fattezze del titolo in questione, “Beauty in VOGUE
Allure”, si palesano dunque quale autonomo e diversificato titolo editoriale
rispetto a quello (“Allure”) coincidente con il marchio registrato da ESAV
s.r.l., e con esso non confondibile.
La dicitura VOGUE è scritta con caratteri più che doppi rispetto ad
“Allure”.
In aggiunta a detti due termini vi sono altri due lemmi (“Beauty
in”); il carattere grafico, come sopra detto, è totalmente differente.
Anche da un punto di vista fonetico si riscontra una evidente
differenziazione.
L’analisi dei rispettivi tratti salienti, visivi, grafici e fonetici depone,
quindi, unitamente al complessivo contesto di utilizzo come sopra descritto,
in conclusione, per l’assenza di un concreto rischio di confusione, anche
per mera associazione, fra le due pubblicazioni poste in comparazione.
Alla luce delle predette considerazioni, deve dunque concludersi
per l’insussistenza del richiesto requisito del fumus boni iuris per
l’accoglimento della domanda cautelare qui esaminata.
Il mancato riconoscimento della ricorrenza del predetto requisito
del fumus boni iuris rende altresì irrilevante delibare la sussistenza o meno
del secondo requisito di legge del periculum in mora.
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Le sopra svolte considerazioni e delibazioni assorbono tutte le
ulteriori eccezioni, argomentazioni e istanze, rispettivamente avanzate dalle
parti.
Sulla base di tali motivi, ritenuta quindi assorbita ogni altra istanza,
eccezione o argomentazione, anche in considerazione del principio della
sufficienza della ragione più liquida, deve pertanto rigettarsi il reclamo
avanzato e, conseguentemente, confermarsi integralmente l’ordinanza di
prime cure del 20.6.2013.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano sulla base della
nota delle spese presentata - ex art. 75 delle disp. att. al c.p.c. - dalla parte
reclamata, in quanto conforme alle prescrizioni di cui al D.M. 140/2012.
P.Q.M.
visti gli artt. 669 bis e ss. del c.p.c.,
1) Rigetta il reclamo.
2) Condanna la parte reclamante Edizioni ESAV s.r.l. alla rifusione,
in favore della parte reclamata Edizioni CONDE’ NAST S.p.A., delle spese
di lite che liquida in € 6.500,00 per compenso professionale oltre IVA e
CPA come per legge.
Manda alla Cancelleria per la comunicazione della presente
ordinanza alle parti costituite.
Torino, 9 agosto 2013
Il Giudice relatore
Dott. Guglielmo Rende
Il Presidente
Dott. Umberto Scotti
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