Zelig ha venduto la storia della sua vita a Hollywood

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Zelig ha venduto la storia della sua vita a Hollywood
Recensioni cinema e film | Persinsala.it
Eva Cabras
16 dicembre 2008
Zelig ha venduto la storia della sua vita a Hollywood per una
grossa somma di denaro. Quando scoppia lo scandalo i
produttori chiedono indietro i soldi. Zelig può restituirne solo la
metà, il resto è già stato speso. Offesissimi, gli ridanno indietro
solo metà della sua vita. Si tengono i momenti migliori e a lui
rimangono solo le ore dei pasti e del sonno
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Scheda Tecnica
Scheda.Dvd
Recensione di Lisa Cecconi
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Divenuto così popolare grazie alla televisione, il termine Zelig altro non è
che il nome del protagonista dell’omonimo film di Woody Allen. Un film
creativo, al limite dello sperimentalismo e incentrato sull’intricato tema
dell’individualità nella società moderna. Interpretato dallo stesso Allen, la
pellicola ha la struttura di un documentario, realizzato per raccontare la
rocambolesca vita del protagonista Leonard Zelig.
Questo particolarissimo personaggio entra nella leggenda alla fine degli
anni ’20 per la sua straordinaria malattia, che gli permette di trasformarsi,
fisicamente e culturalmente, adattandosi a qualsiasi ambiente o persona
con la quale entra in contatto. Considerato come il fenomeno del secolo,
Leonard Zelig viene ricoverato in ospedale e posto sotto le cure della
psicologa Eudora Fletcher, che ha il volto della futura moglie del regista
Mia Farrow.
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La Fletcher entra in confidenza con il proprio paziente, ipotizzando
l’origine della sua malattia come frutto di un’alterazione propriamente
psicologica e non fisica. Osteggiata da tutto il corpo medico, Eudora è
allontanata da Leonard che, affidato alla crudele sorella, diventa il
fenomeno da baraccone più ricercato del paese. Ma la tenace psicologa
non si arrende. Tornata in contatto con Zelig, riesce finalmente a
comprenderne il disagio, radicato nella più tenace paura di non essere
accettato dal mondo.
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Trovata la cura, Leonard ed Eudora si innamorano e decidono di
sposarsi. Uscito dal guscio protettivo del suo periodo di riabilitazione,
Zelig viene, però, attaccato duramente da tutto il mondo della stampa, a
causa dei danni da lui provocati durante il periodo della “malattia”.
Turbato dal frastuono mediatico, Zelig fugge nella Germania nazista,
facendo perdere per lungo tempo le sue tracce.
L’amore e la tenacia di Eudora Fletcher hanno, anche in questo caso, la
meglio. La donna si reca in Germania e, durante la bellissima scena
ambientata durante un comizio di Hitler, ritrova Zelig e con lui torna
trionfante in patria, dopo una fuga rocambolesca a bordo di un aereo.
Dando prova del suo coraggio e della sua ritrovata lealtà, Leonard Zelig
può finalmente essere sé stesso, senza il terrore di non essere accettato
dal mondo in cui vive.
La particolarità del film Zelig risiede nel minuzioso lavoro di riutilizzo delle
immagini di repertorio. La struttura del documentario è, infatti, resa
collocando i personaggi “finti” all’interno di filmati autentici degli anni ’20.
L’effetto risulta altamente straniante, comico e a tratti grottesco, come nel
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caso della sopraccitata sequenza in cui vediamo Woody Allen al fianco di
Hitler intento nell’apologia del partito nazionalsocialista. Caratteristica del
cinema di Allen, l’ironia spadroneggia in tutta la pellicola.
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Le trasformazioni improvvise di Zelig, da ebreo a pugile, da uomo di
colore a medico, sono metafora della difficoltà diffusa di mantenere la
propria integrità individuale all’interno della società moderna in continua
evoluzione.
Si può addirittura considerare Leonard come un alter ego di Allen stesso,
soggetto alla mutevolezza del proprio pubblico, vittima della propria
particolarità e, quindi, più volte bollato come strano, nevrotico o
semplicemente pazzo, tutte etichette attribuite al regista nel corso della
sua carriera e che lo hanno incatenato in uno stereotipo ancora oggi
presente. La metafora esistenziale si estende, inoltre, ai fenomeni di
emarginazione del diverso, della volontà di essere accettati e, non ultimo,
emerge in riferimento meta-cinematografico al trasformismo tipico del
mondo dello spettacolo.
Attraverso uno dei precursori più illustri del “falso documentario” Woody
Allen da uno spaccato sociale ricco di incisività e sarcasmo, ammirevole
per la valenza simbolica del contenuto e, innanzitutto, per la freschezza
della propria satira, sempre pronta a scoccare frecce avvelenate verso una
mondanità ipocrita e auto-celebrativa.
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