MANFREDONIA Quando nel 1248 Federico II

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MANFREDONIA Quando nel 1248 Federico II
MANFREDONIA
Quando nel 1248 Federico II cinse d’assedio Parma le costruì di fronte una nuova
città, circondata di mura e di torri, che baldanzoso chiamò Victoria: ma i
parmensi, una mattina in cui l’imperatore l’aveva lasciata sguarnita per una
caccia, la presero d‘assalto e l’incendiarono, traendone favoloso bottino –
compreso il tesoro con la corona imperiale.
Nonostante dunque avversario, per tradizione patria, della casata sveva, qualche
decennio dopo il cronista parmense Salimbene de Adam condividerà
l’ammirazione contemporanea per Manfredonia, la città fondata dal figlio di
Federico II, Manfredi, “che se fosse vissuto per pochi anni ancora sarebbe stata
una delle più belle città del mondo: è infatti tutta circondata da mura per un giro
di quattro miglia e ha un ottimo porto, la strada principale è completamente
abitata e tutte le fondamenta della altre case sono state già gettate, ma sono le
sue vie larghissime a renderla così bella”.
Questa cospicua ampiezza delle strade ha una antica radice nell’ambizione di
Federico II di ricostituire il Sacro Romano Impero e che dunque una nuova città
avesse una larga strada cerimoniale adatta al corteo trionfale del suo imperatore:
ed ecco che una strada cerimoniale larga dodici metri – a quei tempi una novità
grandiosa - corre davvero da un capo all’altro della nuova città che egli fonderà in
quegli anni in Sicilia con un nome imperiale, Augusta.
Quanto al trionfo vero e proprio rimarrà sulla carta di una missiva spedita al
pontefice – dopo la vittoriosa battaglia di Cortenuova, la rivincita sveva nei
confronti della Lega lombarda cinquant’anni dopo Legnano – con l’ambizione di
presentarsi a Roma con un trionfo alla maniera dei romani antichi, che peraltro
nessun pontefice gli avrebbe mai concesso.
E se il sogno paterno di ricostituire l’impero dalla Germania alla Sicilia era
tramontato per la perdurante ostilità pontificia, Manfredi, erede contestato, a
diciotto anni, del solo regno di Sicilia, sognerà invece un impero mediterraneo
perseguito per via dinastica, sposando una principessa greca, Elena Comneno, e
maritando la figlia Costanza a Pietro d’Aragona - i cui domini comprendevano
anche il Rossiglione, il Languedoc, la Catalogna e le Baleari - chiudendo così una
sorta di dominio disposto a mezzaluna fin sulle coste di quello bizantino e di
quello arabo, con al suo centro Foggia.
Quella stessa Foggia che era stata il centro anche del Sacro Romano Impero
vagheggiato da Federico II e cuore dell’adorata Capitanata, dove l’imperatore
aveva tenuto la sua corte, protetta dai diecimila fedelissimi sudditi arabi di Lucera.
Foggia non era propriamente una capitale, perché in realtà la magna curia di
Federico – con il suo splendore di leopardi e di elefanti, di danzatrici saracene e di
poeti siciliani, di sete e di broccati, di gioielli e di tesori, di filosofi e di cacciatori,
soprattutto con l’apparato della cancelleria (funzionari, giuristi, notai, dignitari,
scrivani e messaggeri) intenta a governare con incredibile efficienza un apparato
statale molto centralizzato – era poi più che altro una città itinerante, fatta di tende
e spostata al seguito delle sue guerre e della sua politica.
Per il sogno del suo nuovo impero e per chissà quali trionfi anche Manfredi
traccia dunque nella sua nuova città, verso il 1260, una strada maestra larga dodici
e persino quindici metri, quando a Pietrasanta e a Camaiore – fondate dai lucchesi
cinque anni prima – la strada maestra era larga sei o sette metri, più o meno
quanto a Manfredonia le strade minori che nelle città lucchesi non oltrepassavano
i quattro. Dimensioni anche in tempi moderni fuori del consueto, se i grandiosi
boulevard ottocenteschi delle grandi città saranno poi spesso larghi meno di trenta
metri.
A rispecchiare la concezione di Federico è anche il sito disdegnoso del castello.
Se Federico Barbarossa, al tempo della pace con i comuni lombardi conclusa a
Costanza nel 1183, aveva voluto farsi riconoscere il diritto di costruire un proprio
palazzo all’interno delle città, per Federico II, nel suo programma di uno Stato
imperiale centralizzato, le città non dovranno avere né una propria autonomia né
una propria giurisdizione – nella costituzione di Melfi le città che avessero preteso
di darsi consoli e podestà sarebbero state rase al suolo e i magistrati che avessero
accettato l’elezione puniti con la morte - ma soltanto compiti rigorosamente
stabiliti dalle leggi, soprattutto nel campo dell’esazione fiscale: sicché da un lato
mancheranno quasi dovunque gli autorevoli palazzi municipali delle città guelfe
settentrionali, e dall’altro, nella frenesia di manifestare sul versante simbolico il
potere assoluto di un imperatore designato da Dio, ogni città dovrà venire
sorvegliata da un castello imperiale ai suoi margini, sicché il paesaggio di
Federico II sarà così popolato dai suoi duecento nuovi castelli.
Ma soprattutto è ad Augusta una novità il piano d’insieme, con una evidente
regolarità che richiamava la dimestichezza di Federico II con il pisano Leonardo
Fibonacci – che morirà nel suo stesso anno – frequentatore nei suoi lontani viaggi
orientali e nei suoi lunghi soggiorni maghrebini della cultura matematica araba e
negli anni seguenti matematico alla sua stessa corte foggiana.
In effetti il principio di un piano regolare, sperimentato ad Augusta, qualche
decennio dopo prenderà dovunque piede: mentre Aigues Mortes, fondata qualche
anno prima – tra il 1240 e il 1248 - da Luigi IX per appoggiare la sua crociata,
aveva ancora una pianta irregolare, Pietrasanta e Camaiore, prima ancora che
Manfredonia, ne avranno una regolare.
Manfredonia ha una strada principale rigorosamente distinta dalla piazza
principale, ma non somiglia neppure a Pietrasanta e a Camaiore, con tre strade
parallele di larghezza accentuatamente gerarchizzata tagliate da una piazza
principale comune: a Mafredonia la piazza principale occupa il centro della città –
o meno come ad Augusta - e la grande strada maestra corre a monte senza
toccarla, uno schema connesso al programma di distinguerla come strada
rigorosamente cerimoniale.
Camaiore e Pietrasanta
Aigues Mortes e Augusta
Caduto Manfredi nella battaglia di Benevento e caduto il regno nelle grette mani
di Carlo d’Angiò gran parte dei funzionari della corte sveva emigreranno alla
corte di Costanza e di Pietro per ritornare con loro in Sicilia nel 1282, dopo la
rivolta dei Vespri, ma lasciando una clamorosa traccia del loro passaggio nella
pianta di Montpazier, una bastide costruita nel 1284 a nord di Tolosa.
Trasmigrazioni tecniche delle quali non c’è da meravigliarsi: nel 1270 il disegno
del duomo di Manfredonia era stato affidato da Carlo d’Angiò, sospettoso del
romanico pugliese e sostenitore dello stile gotico, a un architetto francese
Montpazier
Nella strada maestra tracciata da Manfredi verranno ad allinearsi soprattutto
chiese e conventi – una vera strada processionale - mentre la strada principale,
dove sono addensate le botteghe e forse la locanda con i suoi quattro letti, peraltro
anch’essa larga almeno dieci metri - correrà appena a ridosso del porto, anima di
una sequenza aperta a occidente, verso il mare, dalla piazzetta con i caffè più
luccicanti, con il curioso monumento al pescatore di polipi, e che tocca a oriente,
nella sua sequenza canonica, la piazza principale con il municipio nell’ex
convento di San Domenico – a sua volta contrappuntata dalla piazza del mercato
aperta sul mare e ora arredata con un teatro all’aperto - conclusa poi dal giardino
pubblico con il monumento ai caduti di fronte al castello, e più lontano dallo
stadio.
La strada principale di Manfredonia e quella di Camaiore
Con le autonomia concesse alle università – il nome meridionale dei comuni dagli aragonesi e dagli spagnoli dopo il Cinquecento, non nasceranno tuttavia
cospicui palazzi municipali, che spesso più tardi verranno adattati nei conventi
espropriati agli inizi dell’Ottocento da Gioachino Murat, sovente – come a
Manfredonia - in quelli più raffinati dei domenicani: ché quelli più amati dal
popolo, per il loro evidente ordinamento democratico e per la loro povertà erano i
francescani.
La piazza principale con l’ex-convento di San Domenico e l’ex piazza del
mercato
Quanto ai maggiorenti, arricchiti dai traffici marittimi e in seguito dalla ripresa
dell’agricoltura, disporranno spesso i loro palazzi in una strada intermedia,
connotandola così come strada monumentale tracciata a toccare la grandiosa
piazza della cattedrale, 85 metri per 50.
Il castello e il monumento ai caduti
Sicché Manfredonia ha la netta successione di una strada maestra, di una strada
monumentale e di una strada principale digradanti dal monte al mare, un fascio
contrappuntato oggi da una festosa passeggiata a mare e tagliato da qualche strada
trionfale - la prima, larga 17 metri, davanti al convento dei celestini (ora
auditorium e biblioteca), la seconda verso il palazzo Di Nicastro, la terza verso il
campanile della cattedrale, la quarta verso Santa Maria delle Grazie – che ne
arricchiscono l’aspetto – e buona ultima la recente verso il nuovo ospedale..
Quanto al porto, prospererà per qualche secolo con i traffici del grano verso il
nord e con quelli delle sete e dei broccati verso la città libera di Ragusa, lì di
fronte dall’altra parte dell’Adriatico - con la quale intratterrà un folto commercio
di schiave, un poco concubine e un poco cameriere nei palazzi dei maggiorenti -:
Manfredonia diverrà una città importante dove tra la fine del Duecento e la prima
metà del Trecento francescani domenicani e celestini riterranno valesse la pena
aprire loro conventi.
La passeggiata
Le quattro strade trionfali
Ma presto le cose andranno mettendosi male, dopo il decollo dei traffici atlantici e
il declino di Venezia, dopo il crescere di Senigallia e della sua fiera, soprattutto
Manfredonia verrà razziata nel 1620 da una scorreria dei saraceni, che in tre
giorni trafugheranno tutto il possibile, appiccheranno fuoco a tutti gli edifici,
uccideranno quanti non avrebbe senso trascinare schiavi, .
Se la città era stata prevista per 12.000 abitanti, il suo andamento demografico fu
assai diseguale, oscillando fino alla metà del Settecento tra i 2500 e i 3000
abitanti (con un dimezzamento dopo il sacco dei saraceni), ma prese da allora a
salire, dopo la bonifica delle paludi e il loro recupero agricolo, fino agli 11.000
del 1930: il vero boom sarà tuttavia dai 30.000 del 1945 ai 60.000 di oggi.
Questa discontinuità fa sì che quella che è oggi una grande città sia
sottotematizzata. Vi fu una prima idea di biblioteca nel 1809, rinnovata nel 1872,
ma vera davvero solo cent’anni dopo, nel vecchio convento dei celestini accanto
all’auditorium. Vi fu nell’isolato dell’ospedale Orsini un teatro dal 1708 al 1862,
quando crollò, ma un teatro vero solo da pochi decenni: tuttavia disposto lontano,
insieme a una nuova chiesa, quasi non volesse intaccare il compatto disegno della
città di Manfredi, la più clamorosa caratteristica della città.
A questo ritratto – la cui prima versione è stata pubblicata nel volume Piccole città, borghi e villaggi edito dal
Touring Club Italiano nel 2008 – ha collaborato Ludovico Milesi.