Angelo Poliziano La bellezza di Simonetta

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Angelo Poliziano La bellezza di Simonetta
Lezione profilo 9 • La poesia
Angelo Poliziano, La bellezza di Simonetta
VOLUME 1
L’Umanesimo e il Rinascimento
Angelo Poliziano
La bellezza di Simonetta
Opera: Stanze per la giostra, libro I, ottave 40-54
Punti chiave:
Metro: ottave
Un fatale innamoramento
I tratti della bellezza ideale
La forza educatrice dell’amore
vane violento e rozzo, interessato solo ai piaceri della caccia e ai beni materiali; ma la vista della donna determina un’immediata evoluzione, procurando il subitaneo ingentilimento del suo cuore. La
vera bellezza, infatti, secondo le categorie elaborate
dai filosofi neoplatonici fiorentini, ha un duplice effetto: induce l’uomo a contemplare attraverso la
bellezza terrena la bellezza divina, e accende in lui
il desiderio di generare a sua volta cose belle, quale
tributo di lode alla fonte di ogni piacere e di ogni felicità.
l brano antologizzato è tratto dal I libro delle
Stanze e contiene la descrizione del fatale momento in cui Giuliano, alla vista di Simonetta, si innamora. L’episodio offre a Poliziano lo spunto per elaborare una compiuta illustrazione poetica delle
bellezze della donna, a cui segue il primo dialogo tra
i due. La celebrazione del fascino femminile, che la
raffinata cultura di Poliziano sviluppa in queste ottave, è funzionale a sottolineare la valenza educativa dell’esperienza amorosa. Prima dell’incontro con
Simonetta, infatti, Giuliano è presentato come un gio-
I
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Tosto Cupido entro a’ begli occhi ascoso1,
al nervo2 adatta del suo stral la cocca3;
poi tira quel col braccio poderoso,
tal che raggiugne e l’una e l’altra cocca:
la man sinistra con l’oro focoso,
la destra poppa colla corda tocca;
né pria per l’aer ronzando esce ’l quadrello,
che Iulio drento al cor sentito ha quello.
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Ahi qual divenne! ah come al giovinetto
corse il gran foco in tutte le midolle!
che tremito gli scosse il cor nel petto!
d’un ghiacciato sudor tutto era molle;
e fatto ghiotto del suo dolce aspetto,
giammai li occhi da li occhi levar puolle4;
ma tutto preso dal vago splendore,
non s’accorge el meschin che quivi è Amore.
Schema metrico: ottave di endecasillabi
con schema di rime AB, AB, AB, CC.
1. ascoso: nascosto.
2. nervo: corda dell’arco.
3. cocca: base della freccia.
4. puolle: può a lei (Simonetta).
5. invescato: catturato.
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Non s’accorge ch’Amor lì drento è armato
per sol turbar la suo lunga quïete;
non s’accorge a che nodo è già legato,
non conosce suo piaghe ancor segrete;
di piacer, di disir tutto è invescato5,
e così il cacciator preso è alla rete.
Le braccia fra sé loda e ’l viso e ’l crino,
e ’n lei discerne un non so che divino.
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VOLUME 1
L’Umanesimo e il Rinascimento
L’OPERA: STANZE
Angelo Poliziano scrive le Stanze per la giostra nel 1475. L’opera gli viene commissionata da Lorenzo il Magnifico per festeggiare l’accordo concluso a Venezia, l’anno precedente, tra
Milano, Firenze e la Serenissima, speranza di pace per l’Italia
intera.
Alla fine del gennaio 1475 iniziava così una giostra a Firenze, in piazza Santa Croce, che doveva servire quale “debutto” per il giovane fratello di Lorenzo, Giuliano. La scelta del
poeta più famoso di quegli anni, Poliziano appunto, serviva
a mettere in rilievo l’importanza dell’occasione.
Le Stanze sono un poemetto di centosettantuno ottave
(125 nel primo libro, 46 nel secondo) che racconta, entro una
cornice idillica, l’amore tra il giovinetto Iulio e la ninfa Simonetta: il primo rappresenta Giuliano de’ Medici, la seconda Simonetta Cattaneo Vespucci, donna che Giuliano realmente
amò. Il poemetto si interrompe proprio mentre Giuliano si appresta a partecipare alla giostra: la scena del combattimento rimane quindi esclusa.
L’opera è ideata e scritta tra il 1475 e il 1478 e rimane tuttavia incompiuta: forse anche la morte di Giuliano nel
1478, durante la congiura dei Pazzi, faceva sì che Poliziano
interrompesse il lavoro. Il poemetto è intessuto di riferimenti mitologici e allegorici, un vero e proprio “travestimento” di simboli della classicità: Iulio, che è paragonato a un
seguace della dea della caccia Diana, subisce un percorso di
formazione quando incontra Simonetta, convertendosi – per
così dire – dalla brutalità della caccia alla raffinatezza dell’amore.
Sullo sfondo delle Stanze andranno collocate anche altre figure centrali della cultura fiorentina di fine Quattrocento: tra
queste, anzitutto, Cristoforo Landino e Marsilio Ficino, la cui
riflessione sulla natura dell’amore è ben presente a Poliziano. Il secondo libro si conclude con il sogno fatto da Giuliano: Simonetta, sotto le vesti di Minerva guerriera, sconfigge
Amore e indica a Iulio la vera via della Gloria in battaglia. Simonetta nel frattempo è come inghiottita da un terremoto
e, dopo essere morta, risorge con le sembianze della Fortuna per accompagnare Iulio verso la fama eterna. Iulio si sveglia e, motivato a combattere, scende in campo.
Con questa visione di matrice petrarchesca – il modello sono
i Trionfi – il poemetto si interrompe.
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Candida è ella, e candida la vesta,
ma pur di rose e fior dipinta e d’erba;
lo inanellato crin6 dall’aurea testa
scende in la fronte umilmente superba.
Rideli a torno tutta la foresta,
e quanto può suo cure disacerba7;
nell’atto regalmente è mansueta,
e pur col ciglio8 le tempeste acqueta.
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Folgoron gli occhi d’un dolce sereno,
ove sue face9 tien Cupido ascose;
l’aier d’intorno si fa tutto ameno
ovunque gira le luce amorose.
Di celeste letizia il volto ha pieno,
dolce dipinto di ligustri e rose;
ogni aura tace al suo parlar divino,
e canta ogni augelletto in suo latino10.
6. inanellato crin: i capelli ricci.
7. suo cure disacerba: attenua sempre le
sue preoccupazioni.
8. col ciglio: con la dolcezza del suo sguardo.
9. face: fiamme.
10. in suo latino: nella propria lingua.
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Sembra Talia se in man prende la cetra,
sembra Minerva se in man prende l’asta;
se l’arco ha in mano, al fianco la faretra,
giurar potrai che sia Dïana casta.
Ira dal volto suo trista s’arretra,
e poco, avanti a lei, Superbia basta;
ogni dolce virtù l’è in compagnia,
Biltà la mostra a dito e Leggiadria.
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Con lei sen va Onestate umìle e piana
che d’ogni chiuso cor volge la chiave;
con lei va Gentilezza in vista umana,
e da lei impara il dolce andar soave.
Non può mirarli il viso alma villana,
se pria di suo fallir doglia non have;
tanti cori Amor piglia fere o ancide11,
quanto ella o dolce parla o dolce ride.
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Ell’era assisa12 sovra la verdura,
allegra, e ghirlandetta avea contesta
di quanti fior’ creassi mai natura,
de’ quai tutta dipinta era sua vesta.
E come prima al gioven puose cura,
alquanto paurosa alzò la testa;
poi colla bianca man ripreso il lembo,
levossi in pie’ con di fior’ pieno un grembo.
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Già s’invïava, per quindi partire,
la ninfa sovra l’erba, lenta lenta,
lasciando il giovinetto in gran martire,
che fuor di lei null’altro omai talenta13.
Ma non possendo el miser ciò soffrire,
con qualche priego d’arrestarla tenta;
per che, tutto tremando e tutto ardendo,
così umilmente incominciò dicendo:
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«O qual che14 tu ti sia, vergin sovrana,
o ninfa o dea (ma dea m’assembri certo),
se dea, forse se’ tu la mia Diana,
se pur mortal, chi tu sia fammi certo15:
ché tua sembianza è fuor di guisa16 umana,
né so già io qual sia tanto mio merto17,
qual dal cel grazia, qual sì amica stella,
ch’io degno sia veder cosa sì bella».
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Volta la ninfa al suon delle parole,
lampeggiò d’un sì dolce e vago riso,
che i monti avre’ fatto ir, restare il sole,
che ben parve s’aprissi un paradiso.
Poi formò voce fra perle e vïole,
tal ch’un marmo per mezo avre’ diviso,
11. ancide: uccide.
12. assisa: seduta.
13. talenta: desidera.
14. O qual che: chiunque.
15. chi tu sia fammi certo: dimmi chi sei tu;
fammi certo è un calco del latino certio-
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rem facere.
16. guisa: forma.
17. merto: merito.
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L’Umanesimo e il Rinascimento
soave, saggia e di dolceza piena,
da innamorar non ch’altri una Sirena:
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«Io non son qual tua mente invano auguria18,
non d’altar degna, non di pura vittima;
ma là sovra Arno innella19 vostra Etruria
sto soggiogata alla teda legittima20;
mia natal patria è nella aspra Liguria,
sovra una costa alla riva marittima,
ove fuor de’ gran massi indarno gemere
si sente il fer Nettunno e irato fremere.
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Sovente in questo loco mi diporto21,
qui vegno a soggiornar tutta soletta;
questo è de’ mia pensieri un dolce porto,
qui l’erba e’ fior’, qui il fresco aier22 m’alletta;
quinci23 il tornare a mia magione è accorto24,
qui lieta mi dimoro Simonetta,
all’ombre, a qualche chiara e fresca linfa,
e spesso in compagnia d’alcuna ninfa.
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Io soglio pur nelli ocïosi tempi,
quando nostra fatica s’interrompe,
venire a’ sacri altar’ ne’ vostri tempî
fra l’altre donne con l’usate pompe;
ma perch’io in tutto el gran desir t’adempi
e ’l dubio tolga che tuo mente rompe25,
meraviglia di mie bellezze tenere
non prender già, ch’io nacqui in grembo a Venere.
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Or poi che ’l sol sue rote26 in basso cala,
e da questi arbor’ cade maggior l’ombra,
già cede al grillo la stanca cicala,
già ’l rozo zappator del campo sgombra,
e già dell’alte ville il fumo essala,
la villanella all’uom suo el desco27 ingombra28;
ornai riprenderò mia via più accorta,
e tu lieto ritorna alla tua scorta».
A. Poliziano, Stanze. Fabula di Orfeo, a cura di S. Carrai,
Mursia, Milano 1988.
18. auguria: crede.
19. innella: nella; è una forma rafforzativa.
20. soggiogata alla teda legittima: sottoposta al matrimonio; la teda era «la fiaccola che si portava nel corteo nuziale»
nell’Antichità (S. Carrai).
21. mi diporto: passeggio.
22. aier: aria.
23. quinci: di qui.
24. accorto: veloce.
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25. rompe: dilania.
26. rote: ruote.
27. desco: tavola.
28. ingombra: prepara.
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L’Umanesimo e il Rinascimento
IN PRIMO PIANO
I temi e il topos letterario
ANALISI DEL TESTO
ispira beatitudine (ottava 44, v. 5). Mentre l’Amore è paragonato in più punti a un fuoco (il gran foco, ottava 41, v. 2;
sue face, ottava 44, v. 2), Simonetta è paragonata alle muse
e alle dee: a Talia, musa della poesia comica (ottava 45, v. 1);
a Minerva (ottava 45, v. 2), a Diana (ottava 45, v. 4). Segue,
nell’ottava 46, il censimento delle sue due virtù precipue:
l’onestà e la gentilezza. La conseguenza o effetto di esse è
enunciata nell’ottava 46, vv. 5-6: come già avevano puntualizzato Cavalcanti e Dante, una donna onesta e gentile educa l’uomo, costringendolo a espungere da sé desideri rozzi e
lascivi per essere degno di lei. Simonetta è raffigurata in un
locus amoenus (ottava 47), circondata da tutte le virtù (ottave 45-46). Il modello principale di questa scena è Dante: Simonetta assume infatti le sembianze di Beatrice e di Matelda, così come compaiono nel Purgatorio. Altri modelli
possono essere però rintracciati, dietro Dante, seppur con
un’influenza più sfumata: Petrarca e il Boccaccio del Filostrato e del Teseida.
La scena dell’innamoramento Il brano può essere diviso in
tre parti: ottave 40-42, l’innamoramento di Giuliano; ottave 43-47, la descrizione della bellezza di Simonetta; ottave 48-54, il primo dialogo fra i due.
Circa il primo momento, Poliziano costruisce la scena adoperando elementi già presenti prima nella letteratura latina, e
poi nei poeti stilnovisti, in Dante e in Petrarca. Cupido tende il suo arco e Giulio si innamora di Simonetta: il cacciator preso è alla rete (ottava 42, v. 6). Quale sia il primo e più immediato effetto è introdotto nell’ottava 41, v. 2: corse il gran foco
in tutte le midolle! L’innamoramento è un incendio interiore, come già avevano rilevato i poeti classici, tra cui Virgilio (a
proposito di Didone, in Eneide, IV, vv. 66-67: Dolce la fiamma
divora / le ossa, e silenziosamente si apre la ferita nel cuore) e
Catullo (Carmina, XLV, v. 16: La fiamma d’amore mi brucia nelle più intime fibre). Ne derivano tremiti (ottava 41, v. 3) e sudori freddi (ottava 41, v. 4) per cui l’innamorato diventa ghiotto (desideroso) di vedere il dolce aspetto, l’amabile volto da cui
è stato conquistato. L’anafora che collega le stanze 41 e 42
ha valore, oltre che stilistico, ideologico: dato costitutivo di ogni
innamoramento è infatti l’inconsapevolezza. Giuliano inizialmente non percepisce la portata radicale e rivoluzionaria della sconvolgente esperienza da cui è travolto. Semplicemente
’n lei discerne un non so che divino. Si tratta di un motivo tipico del neoplatonismo del XV secolo: già Marsilio Ficino, infatti, aveva constatato che – innamorandosi – l’uomo abbraccia nella donna lo splendore divino.
Dea o donna reale? Nell’ottava 48 Poliziano evoca il tormento amoroso di Giuliano che fuor di lei null’altro omai talenta
(v. 4). Desideroso soltanto di contemplare simile bellezza, egli
tenta di ritardare la partenza di Simonetta e l’interroga sulla sua
identità. Il dubbio di Giuliano – se Simonetta sia una dea o una
donna mortale – ricalca quello espresso da Enea, nel I libro dell’Eneide di Virgilio, al cospetto di Venere (vv. 327-329). Ma non
si tratta di un interrogativo semplicemente retorico o iperbolico: la bellezza sublime, infatti, costituisce per Poliziano
un’autentica dal ciel grazia (ottava 49, v. 7), che consente all’uomo di intuire lo splendore trascendente. Alle parole
dell’innamorato la donna reagisce con un sorriso in cui si manifestano la sua soavità, la sua saggezza e la sua dolcezza (ottava 50). Quindi dichiara la propria identità (ottave 51-54): non
è una dea ma una donna reale e tuttavia la sua bellezza è tale perché discende da Venere in persona.
Il ritratto di Simonetta Dall’ottava 43 prende avvio il vero
e proprio ritratto di Simonetta. Subito spiccano la sua carnagione chiara e i suoi capelli biondi: con un efficace ossimoro, già presente in Petrarca, la donna è definita umilmente superba (ottava 43, v. 4), regalmente mansueta (ottava 43, v. 7).
La dolcezza dei suoi occhi infonde pace e serenità in quanti la circondano (ottave 43, v. 8-44, v. 4). La letizia del volto
SPAZIO
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COMPETENZE
Comprensione e analisi
1. Svolgi la parafrasi delle ottave 40-42.
2. Spiega con precisione i riferimenti mitologici presenti nelle ottave 45 e 46.
3. Analizza l’ottava 47: descrivi l’abbigliamento di Simonetta e spiega qual è la funzione del locus amoenus in cui
è ambientata la scena.
4. Che cosa fa Iulio nelle ottave successiva all’apparizione di Simonetta (ottave 48-54)?
5. Spiega il significato dell’ottava 53.
Approfondimenti
6. Metti a confronto l’immagine di Simonetta presentata da Poliziano in queste ottave, con quella di Beatrice che
viene codificata da Dante nella Vita nova. Quali sono le principali analogie? E quali le maggiori differenze?
7. In che modo il testo di Poliziano assorbe e rielabora la visione dell’amore tipica della cultura neoplatonica del Quattrocento?
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