2008lectio lunedi terra

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2008lectio lunedi terra
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P E R C O RS O EQ U I PE C A R I T A S D IO C E S A NA
anno pastorale 2007/2008
LECTIO DIVINA
TERRA
Sr Benedetta Rossi
prima tappa - Roma, 27/29 ottobre2008
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PRIMA DELLA LECTIO
Sal 72,12-19
Egli libererà il povero che grida
e il misero che non ha chi lo aiuti;
avrà compassione del debole e del povero
e salverà la vita di poveri.
Dalla violenza riscatterà le loro vite
e il loro sangue sarà prezioso ai suoi occhi.
Viva e gli sarà dato l’oro di Saba,
si pregherà per lui continuamente
ogni giorno sarà benedetto.
Vi sarà abbondanza di grano sulla terra,
sulle cime dei monti;
le sue spighe ondeggeranno come gli alberi del Libano,
e dalla città germoglieranno come l’erba della terra.
Sia il suo nome per sempre,
davanti al sole permanga il suo nome.
E siano benedette davanti a lui tutti i popoli,
e lo dicano beato.
Benedetto il Signore Dio, Dio di Israele,
egli solo compie meraviglie;
benedetto il suo nome glorioso per sempre,
sia piena della sua gloria tutta la terra.
Amen, amen.
LETTURA DEL TESTO:
Lunedì Mt 2,13-23 (terra)
Martedì 1Re 17,7-16 (poveri)
Mercoledì Gv 20,19-29 (comunità)
ALLA FINE DELLA LECTIO
Grazie, Signore, per averci radunati alla tua presenza, per averci convocati al suono della tua voce.
Che la tua parola sia ancora nella nostra vita fuoco ardente che scioglie la nostra quotidiana
tiepidezza; che sia martello che spezza la roccia delle nostre false sicurezze e pretese; che sia
mormorio di brezza leggera che ogni giorno ci chiama per mostrarci la strada da percorrere. Fa che
rimaniamo in te, perché oggi e sempre le nostre mani siano trovate piene di frutti di speranza e di
pace.
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Mt 2,13-23
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Ora, dopo che furono partiti,
ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse:
"Alzati, prendi IL BAMBINO e sua madre
e fuggi in EGITTO, e rimani là finché io non ti avvertirò,
perché Erode cercherà IL BAMBINO per ucciderlo".
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Egli dunque, alzatosi, prese IL BAMBINO e sua madre nella notte, e SI RIFUGIÒ in EGITTO.
E rimase là fino alla morte di Erode,
affinché si adempisse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta, che dice: “Dall’
EGITTO ho chiamato mio figlio”.
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Allora Erode, vedendo che era stato preso in giro dai magi, si adirò grandemente
e mandò a far uccidere tutti I BAMBINI che erano in Betlemme e nei suoi dintorni,
dall'età di due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso precisamente dai
magi.
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Allora si adempì quello che fu detto dal profeta Geremia che dice:
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“Un grido è stato udito in Rama, pianto e lamento grande; Rachele sta piangendo
i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più”.
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Ora, morto Erode,
ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in EGITTO, 20 e gli disse:
"Alzati, prendi il BAMBINO e sua madre
e va’nel paese d’ISRAELE,
perché sono morti coloro che cercavano la vita del bambino".
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Ed egli, alzatosi, prese il BAMBINO e sua madre ed entrò nel paese d'ISRAELE;
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ma, avendo udito che Archelao regnava in Giudea al posto di Erode suo
padre, ebbe paura di andare là. E, divinamente avvertito in sogno, SI RIFUGIÒ nel
territorio della Galilea, 23 e venne ad abitare in una città chiamata Nazaret,
affinché si adempisse quello che era stato detto per mezzo dei profeti: “Sarà chiamato Nazareno”.
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PER PARLARE ALLA TERRA…
La parola chiave con cui ci accosteremo al testo biblico questa mattina è terra; in particolare
terra come destinatario delle nostre parole, delle nostre azioni, una terra che spesso sembra non
ascoltare il nostro messaggio, una terra che appare sempre più distante dalle nostre scelte e
convinzioni. A meno che non ci vogliamo mettere dalla parte di coloro che attribuiscono il
fallimento o la difficoltà della comunicazione e della relazione al destinatario, siamo chiamati
questa mattina dalla Parola di Dio a metterci in discussione. Allora la domanda è: come è possibile
parlare alla terra?
Credo che alcuni spunti di riflessione e alcune provocazioni possano venire da questo testo
di Mt, che racconta a pennellate rapide e concise gli anni dell’infanzia di Gesù, anni presentati come
un percorso attraverso la terra o meglio attraverso varie terre, compiuto da colui che non solo ha
parlato e parla alla terra, ma è la Parola stessa che si fa carne (Gv 1,14) per la terra.
LASCIARE LA PROPRIA TERRA
Il testo si apre con un riferimento ai Magi: “dopo che furono partiti”. Si tratta di coloro
che hanno lasciato la loro terra, hanno attraversato la terra da Oriente (Mt 2,1) per cercare; infatti
essi “domandavano” (Mt 2,1).
Questi viaggiatori si “ritirano” (cf. lett. gr. “ritiratisi”) e il testo lascia spazio ad un altro un
altro viaggio: “Alzati, prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto”. Alla lettera, l’invito
rivolto a Giuseppe suona come “svegliati!”. Si tratta di un verbo evocativo nel NT; è, infatti, lo
stesso imperativo che Gesù rivolge al paralitico che giaceva sul lettuccio (Mt 9,5.6), così come la
suocera di Pietro (8,25) si alza sanata da Gesù. Il verbo evoca dunque un cambiamento di stato
radicale, tanto più radicale quanto è uno dei verbi usati per indicare la resurrezione, quella di Gesù,
ma anche quella della figlia di Giairo (Mt 9,25) o del figlio della vedova di Nain, cui Gesù rivolge
lo stesso comando rivolto a Giuseppe “alzati!” (Lc 7,11).
Si evoca un risveglio alla vita; Giuseppe è chiamato ad abbandonare il suo sonno, lo stato in
cui si trova e a prendere con sé “il bambino e sua madre”. In Mt 1,20 Giuseppe aveva già preso
con sé “Maria sua sposa”, adesso è invitato di nuovo a prendere con sé colei che è diventata madre
insieme con il bambino, quel bambino che egli ha chiamato “Gesù”, Dio salva, quel bambino in cui
egli ha riconosciuto la salvezza e la promessa di Dio per il suo popolo.
C’è la chiamata a prendere coscienza di una missione: Giuseppe è chiamato a comprendere
che c’è un cambiamento in atto, un intervento di Dio per il suo popolo che passa attraverso la vita di
un bambino.
In questo momento a Giuseppe è chiesto di partire portando con sé solo il proprio futuro e il
futuro di tutto il popolo, lasciando tutto il resto indietro…la fuga, insieme alla richiesta di prendere
con sé solo la madre e il bambino evoca un’urgenza (cf. Mt 24,17-18 “chi sta sulla terrazza non
scenda a prendere la roba di casa, chi si trova in campagna non torni indietro a prendersi il
mantello”), l’urgenza impellente di lasciare la propria terra per andare verso altri lidi.
Se di solito il proprio futuro si costruisce essendo ben radicati in una terra, questa volta,
Giuseppe lo deve custodire fuggendo dalla propria terra verso l’Egitto, e la scelta non è affatto
neutra.
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L’Egitto è il luogo di salvezza per Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto dai suoi fratelli e
attraverso di lui sarà luogo di salvezza per tutto il popolo, che in Egitto troverà cibo durante la
carestia. Ma esso evoca anche la terra della schiavitù di Israele, quella terra di cui il Signore aveva
comandato Dt 17,16 “non tornerete mai più su questo cammino” e Dt 28,68 presenta il ritorno in
Egitto come una delle maledizioni per chi non custodisce l’alleanza (“se non cercherai di seguire
tutte le parole di questa legge…il Signore ti farà tornare in Egitto” vv. 58.68). Si comanda dunque
di fuggire in quella terra in cui il Signore stesso aveva detto di non tornare. Non solo: si chiede di
mettere in salvo il primogenito in quella terra laddove il faraone aveva comandato di uccidere i
primogeniti maschi degli ebrei (cf. Es 2,15-16).
Si tratta, quindi, di una terra ambigua: può certamente essere la terra della vita come per
Giuseppe, figlio di Giacobbe, ma successivamente questa vita potrebbe trasformarsi in una nuova
schiavitù; non c’è sicurezza, si lascia una sicurezza per andare incontro ad un’insicurezza,
riponendo la propria fiducia nella parola del messaggero di Dio.
RIFLESSIONE
Il testo ci presenta dunque un lasciare, lasciare la propria terra, lasciare le proprie
radici e sicurezze…potremmo dire che il primo passo necessario per poter parlare
alla terra è lasciare la nostra terra, tutto ciò a cui siamo aggrappati, talvolta
ostinatamente, si tratti di abitudini, o convinzioni, poco importa. La richiesta del
Signore è prima di tutto lasciare… lasciare quella terra dove si è cittadini, dove si
hanno diritti, dove siamo riconosciuti…
L’appello allora è “svegliati!”, “alzati”, come la suocera di Pietro dalla sua malattia,
come il paralitico dal suo lettuccio…ciascuno di noi ha una malattia o un lettuccio…
La fuga: si tratta di una richiesta urgente…
Prendersi il rischio dell’Egitto, di ciò che pare ambiguo e rischioso…
STRANIERO SULLA TERRA
Non solo Giuseppe con la sua famiglia dovrà fuggire in Egitto ma dovrà anche rimanere là
(“rimani là”): non si tratta di un viaggio temporaneo, ma di una vera e propria permanenza.
Giuseppe e con lui Gesù e Maria dovranno soggiornare in Egitto, assumendo in questa terra che non
è la loro lo statuto di stranieri, assumendo la condizione del diverso, di colui che necessita di essere
accolto, che in una terra non sua chiede un luogo dove poter abitare (come gli Ebrei cui il faraone
dona la terra di Goshen in Gen 45,10). Rimanere significa quindi anche entrare da diverso in
relazione con la popolazione del luogo, stabilirsi in mezzo a loro. Assumere la condizione dello
straniero significa porsi sotto la protezione di Dio che ama il forestiero e gli rende giustizia (Dt
10,17-9).
Questa assunzione consapevole della condizione del forestiero, porterà a Giuseppe, alla sua
sposa e al bambino, la vita. Il testo specifica che si tratta di una fuga per la vita, dal momento che
“Erode cercherà il bambino per ucciderlo”. Se il testo si apriva con la menzione velata di chi
cercava per adorare, ecco che compare sulla scena colui che cerca per uccidere. Ecco che la fuga in
terra straniera diventa garanzia e promessa di vita. Giuseppe porta la vita nella terra straniera
(simboleggiata dal bambino e sua madre) e in cambio acquista una garanzia di vita; c’è un dare e
ricevere, quasi uno scambio di vita.
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Ancora un particolare: tutto questo avviene nella notte (“prese il bambino e sua madre
nella notte”), nel momento in cui la visibilità è impedita, nel momento dell’oscurità, nel momento
in cui non si comprende. Nella notte Giuseppe si fida di una voce e senza opporre resistenze parte;
ecco la richiesta: nella notte andare in una terra che non è la nostra.
“perché si adempisse…”. Questa notazione di Mt ci rivela come il cammino percorso da
Giuseppe, Maria e Gesù non è un cammino isolato. Gesù e tutta la sua famiglia condividono il
destino di un popolo intero, condividono un’esperienza di povertà, precarietà, schiavitù; ma in
questa condivisione sta la speranza e la certezza della promessa della vita; come Israele sarà
chiamato fuori dall’Egitto, così anche Gesù.
RIFLESSIONE
Rimanere nella terra dell’altro…capire che nella terra dell’altro siamo noi i diversi,
gli stranieri. Assumere la condizione dello straniero…fare esperienza di questo
essere diversi, di questa necessità di essere accolti…
…Tutto questo consente di aver salva la vita.
IL GRIDO DALLA TERRA
Ecco che la terra da luogo di sicurezza e da garanzia di vita, diventa luogo dove si consuma
il dramma dell’ingiustizia, ingiustizia come soppressione dell’alterità, soppressione dell’altro che si
proclama diverso da me, ma allo stesso tempo simile, dell’altro che con la sua presenza dice “sono
come te, sono tuo fratello”.
Erode il re dei Giudei è turbato dall’annuncio che esiste un altro “re dei Giudei” (Mt 2,2),
anche se si tratta di un re bambino (Mt 2,8), di un re impotente, mite, bisognoso, come ogni
bambino di cure. Ma in questa terra, che era la terra di Erode, non c’è spazio per il fratello, per chi è
“come te”, non c’è tolleranza alcuna per la regalità dell’altro, per la regalità dell’uomo comunque
egli sia. Ecco che Erode pur di non riconoscere il “fratello re”, simile a me e allo stesso tempo
diverso, uccide.
Ma quando non c’è spazio per la regalità del fratello, fatalmente, non c’è più spazio neanche
per il futuro. Infatti, per eliminare ciò che era percepito come minaccia Erode “fece uccidere i
bambini che erano a Betlemme e nei dintorni”, annientando e azzerando ogni futuro possibile per
quella terra.
Ecco che la terra diventa il luogo da cui sale un grido: “Un grido è stato udito in Rama”. Il
grido che sale dalla terra è, ancora una volta come in Gen 4,10, il grido del sangue del fratello: “la
voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra” e, proprio come dice la lettera del testo
ebraico (“i sangui”), non si tratta di un sangue solo!
Rama è il luogo dove fu sepolta Rachele, secondo la tradizione, ed è dunque un grido
drammatico quello che si ode in Rama: Rachele muore, infatti, dando alla luce il suo ultimo figlio,
Beniamino (Gen 35,16-20); quindi ella morendo non muore, ma “dà la vita” nel senso più pieno
della parola, dà alla luce un figlio. La fine della sua vita diventa apertura di vita per un altro, per il
figlio. Rachele è dunque la madre morta per dare la vita al figlio, che vive perciò nella vita dei figli.
Ecco che la voce e il grido che si leva è quello di una madre morta (non a caso si ode il grido da
Rama, luogo della tomba di Rachele) che piange i suoi figli, morti anch’essi. È il dolore di chi vede
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uccidere coloro per cui ha dato la vita, il dolore di chi vede sopprimere quella vita per cui ha dato
tutto, è la distruzione della speranza.
Ed ecco che per questo dolore non c’è consolazione: Rachele sta piangendo e rifiuta di
essere consolata. Perché?
Il testo ebraico di Ger 31,15, citato qui da Mt, è suggestivo in proposito: Rachele rifiuta di
essere consolata perché i suoi figli non sono più, ma non solo. Lo stesso testo in ebraico può essere
tradotto “perché non siamo più”; non c’è consolazione per Rachele perché “non siamo più”. Non
c’è più lei, morta per dare ad un figlio la vita, non c’è più il figlio, soppresso da chi, come il re, era
chiamato a garantire la sua sopravvivenza.
Quando l’alterità è soppressa, quando come nella campagna di Gen 4,8-9 il fratello è ucciso
per paura, ecco che di fatto, non solo lui non è più, ma tutti noi “non siamo più”.
E di fronte a questo dramma, non c’è consolazione: il rifiuto della consolazione dice
l’impotenza di fronte al dolore, l’impotenza di fronte a questo pianto senza fine.
Ecco che, prima che la terra diventi destinatario delle nostre azioni e delle nostre parole, essa
parla a noi, attraverso un grido, attraverso una voce e un pianto che chiede di essere ascoltato…
RIFLESSIONE
Quando la terra diventa il luogo di soppressione del fratello, di colui che dice “sono
come te”…quando noi stessi rendiamo la terra così, e sopprimendo il volto dei nostri
fratelli, ci priviamo di ogni possibilità di vita e di futuro…
Ascoltare il grido dalla terra…capire che la terra prima che essere destinatario delle
nostre azioni, è il luogo da cui si leva un grido…prendersi il tempo per
ascoltare…anche nell’impotenza.
Oppure di fronte a questo grido diciamo sbrigativamente “sono forse io il custode di
mio fratello?” (cf. Gen 4,9).
RITORNARE ALLA TERRA
Nel quadro finale, il testo ci mostra il ritorno nella propria terra: il messaggero di Dio si
rivolge in sogno a Giuseppe in Egitto, in quell’Egitto ormai diventato luogo di rivelazione, e dice
“va’ nel paese di Israele”. Ed egli, sempre con il bambino e sua madre “entrò nel paese di
Israele”. L’espressione entrare nella terra evoca precisamente il compimento della promessa di
Dio (Israele entra nella terra dopo aver attraversato il deserto): anche per Giuseppe adesso la
promessa si compie. Ma come si compie? Egli entra nella propria terra non da conquistatore, come
il popolo di Israele sotto Giosuè, ma da esule, da debole, come il popolo di Israele dopo l’esperienza
di Babilonia; egli rientra come colui che ha attraversato l’esperienza della lontananza, della
diversità, l’esperienza di essere rimasto in un paese straniero, l’esperienza dell’esilio e questa
esperienza l’ha cambiato.
Infatti, egli ritorna nella sua terra e in essa riesce a discernere ciò che porta la vita e la morte.
Infatti il testo ci dice che Giuseppe “ebbe paura…si rifugiò nel territorio della Galilea”. Dopo
aver fatto l’esperienza dell’essere straniero, egli sa distinguere, sa discernere. Non a caso, il sogno
dell’angelo viene dopo che egli aveva percepito la paura di andare nella Giudea, che peraltro era il
luogo degli eredi della promessa!
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Egli, dopo l’esperienza dell’Egitto, riesce a vedere la possibilità di vita, la possibilità di
rifugio nella Galilea, regione infedele, la “Galilea delle genti” (Is 8,23); questa definizione di Isaia
riecheggia in 1Mac 5,15 dove si parla della “Galilea degli stranieri” coalizzata contro Giuda e il
popolo rimasto fedele al Signore. La Galilea non è la terra da dove il messia è atteso (questo sarà un
problema per riconoscere Gesù come messia Gv 7,41 “il Cristo viene forse dalla Galilea?”).
Solo dopo aver fatto l’esperienza dell’alterità, della diversità si può riconoscere in questa
diversità una possibilità di vita; si torna nella propria terra da esuli, da deboli, ma con occhi e
sensibilità diversi: ecco il compimento della promessa, ritornare nella propria terra da straniero, per
capire che la propria terra è un dono gratuito, che si riceve gratuitamente da Dio, e che non si può
possedere a proprio piacimento. Ed ecco che proprio perché debole e mite si entra nella propria
terra da re: “Ecco il tuo re viene a te […] egli è mite e cavalca sopra un asino, sopra il puledro,
figlio di un’asina” (cf. Zc 9,9).
DIMORARE NELLA TERRA
Soltanto allora è possibile dimorare nella terra: Giuseppe “fece casa in una città chiamata
Nazaret”. Ancora, come per la Galilea, riecheggiano le parole di Natanaele, “da Nazareth può mai
venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46). Eppure proprio questa terra, questo paese diventa il luogo
della dimora.
Cosa significa dimorare nella terra? Ce lo dice la finale del testo: “sarà chiamato
Nazareno”. Nessuno dei profeti in realtà contiene le parole di questa profezia, Ecco che ci sono
nuove parole profetiche che si devono adempiere, parole non scritte, parole forse ancora mai sentite,
ma che attendono un compimento.
Qual è dunque il contenuto della profezia? Gesù, il figlio di Dio, entrerà talmente tanto nella sua
terra, vi dimorerà così in pieno da essere chiamato con il nome stesso della terra dove ha posto la
dimora, quasi come se quella terra dove ha scelto di dimorare fosse entrata a far parte della sua
identità, della sua storia, fino a portarla con sé nel momento della morte; sulla croce Gesù potrà
essere pubblicamente conosciuto come il nazareno, grazie alla scritta che Pilato vi fa apporre (cf.
Gv 19,19).
Questa è la logica conclusione di un percorso che ci presenta l’esperienza di Gesù come un
viaggio attraverso la terra, attraverso varie terre; un viaggio che significa condivisione nella carne
delle esperienze di schiavitù e di liberazione, di esilio e di ritorno di un popolo intero, condivisione
totale e senza riserve, fino alla morte, della condizione del suo popolo. È per questo che
l’evangelista scandisce il racconto con le formule che indicano come nella vicenda di Gesù si
compia la parola dei profeti.
RIFLESSIONE
Tornare nella propria terra da esule, da debole…spesso, invece, percepiamo la nostra
terra e le nostre sicurezze come una proprietà, non riuscendo più a scorgere il dono…
Saper tornare nella propria terra con uno sguardo diverso…riconoscere la vita e la
possibilità di vita laddove mai l’avremmo riconosciuta o pensata…
Dimorare nella terra, fare casa proprio nel luogo di cui si dice “da qui può mai venire
qualcosa di buono?”…lasciare che questa terra entri nella nostra identità, ci
attraversi…lasciarsi “contaminare” da questa terra…
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CONCLUSIONI
Il testo di questa mattina ci mostra un percorso, una serie di tappe necessarie per poter
parlare alla terra. Per parlare alla terra, è necessario lasciare la propria terra, è necessario
attraversare altre terre, fino a giungere come stranieri nella terra altrui per scoprire che in questa
terra altrui è possibile aver salva la vita.
Per parlare alla terra, è necessario ascoltare il grido che viene da essa e poi tornare nella
nostra terra, ma tornare da stranieri!
Per parlare alla terra, è necessario infine prendere dimora in essa.
Si tratta di un viaggio che è necessario compiere sulle orme di un uomo-Dio che ha scelto di
passare per ogni terra e porre la sua tenda in ogni terra, sia essa terra di maledizione, terra di esilio,
terra di sterminio, terra di rifugio, perché alla fine ogni abitante della terra potesse trovare in Lui la
sua dimora.
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