mandato istituzionale e mandato professionale dell`assistente
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mandato istituzionale e mandato professionale dell`assistente
MANDATO ISTITUZIONALE e MANDATO PROFESSIONALE DELL’ASSISTENTE SOCIALE OSPEDALIERO Al fine di creare un clima di comunicazione, il più possibile produttiva ed efficace, è intenderci sul significato che intendiamo attribuire ai termini “mandato necessario istituzionale” e “mandato professionale” dell’assistente sociale. E poiché chi scrive non è né un teorico del Servizio Sociale Professionale e neppure un accademico, ma soltanto un assistente sociale che da qualche tempo opera in una struttura ospedaliera, il riferimento è tutto rivolto al contesto ospedaliero così come si è delineato nel corso della vita lavorativa. In via preliminare e con ottica di carattere generale, giova ricordare che il mandato istituzionale identifica il complesso delle funzioni che un professionista è tenuto a svolgere sulla base della normativa generale e specifica che informa l’organizzazione alla quale appartiene ed alla quale deve rispondere del suo operato a favore dei fruitori del servizio che eroga. Il mandato istituzionale è sostanzialmente interagente con il mandato professionale. A questo punto non possiamo fare a meno di partire dai riferimenti legislativi che normano la nostra presenza in ospedale ed in particolare ci riferiamo a: Legge 132 del 12/02/1968 che all’articolo 39 disciplina l’ordinamento dei servizi e del personale e stabilisce che il personale sanitario ausiliario è costituito da Ostetriche, da AA.SS.VV, da II.PP, da Assistenti Sociali, da TdR, da Dietisti,, da Infermieri generici e Puericultrici; DPR 128 del 27/03/1969 che riguarda l’ordinamento interno dei servizi ospedalieri e nello specifico gli articoli 2, 28, e 43 riguardano il Servizio Sociale Ospedaliero. - l’articolo 2 istituisce il servizio di assistenza sanitaria e sociale; - l’articolo 28 stabilisce che gli ospedali regionali e provinciali possono istituire servizi distinti di assistenza sanitaria e di assistenza sociale in favore degli assistiti cui sono addetti rispettivamente ASV ed A.S. La dotazione organica di tale personale è stabilita dal Consiglio di Amministrazione, sentito il Consiglio dei sanitari e delle Organizzazioni sindacali. - l’articolo 43 sancisce che : “l’attività dell’assistente sociale è rivolta a trattare, in collaborazione con il personale di assistenza diretta e con gli altri servizi ospedalieri i problemi psico-sociali degli assistiti”. 1 DPR 761 del 20/12/1979 che all’articolo 4 colloca l’A.S nel ruolo tecnico e prevede due posizioni funzionali (A.S collaboratore ed A.S Coordinatore) DELIBERA n. 124 del 02/02/1974 “determinazione pianta organica dell’Ospedale Civile di Cosenza” ove sono previsti 4 assistenti sociali. La stessa delibera stabilisce che l’A.S “tratta i problemi psicologici e pratici dei degenti e, in particolare, quelli relativi al trasferimento ed alle dimissioni. Segue , in particolare, alcune categorie di pazienti (bambini, cronici, lungodegenti etc) che presentano difficoltà sia durante la degenza che in fase di dimissione. Mantiene continui contatti con i Reparti attraverso rapporti con medici, capisala, ed Infermieri, per il reciproco scambio di informazioni e per eventuali consulenze, nonché con gli enti assistenziali che operano a favore dei bisognosi. Studia le componenti psico-sociali della malattia nei casi in cui tale aspetto può dare utili elementi alla diagnosi ed al trattamento medico. È alle dirette dipendenze della Direzione Sanitaria. La lunga esperienza ospedaliera mi fa affermare con ragionevole certezza che la maggior parte dei Servizi Sociali Ospedalieri è sorta sulla scorta di delibere istitutive molto simili a quella adottata dall’Ospedale di Cosenza. Il mandato professionale identifica i contenuti della professione (principi, valori, metodologia e modelli di riferimento, livelli di competenza, deontologia) storicamente definita nella comunità professionale di riferimento nelle sue diverse espressioni (comunità scientifica, associazioni, gruppi organizzati per finalità sindacali, ordine professionale). Il mandato professionale, così inteso, è proprio dell’assistente sociale già nel momento in cui acquisisce il titolo abilitante all’esercizio della professione poiché il possesso del titolo prevede la padronanza dei contenuti della professione, la condivisione cosciente e responsabile dei principi e dei valori che sono alla base del SS, l’acquisizione dei metodi e la interiorizzazione della deontologia professionale. Il mandato professionale dell’assistente sociale, quindi, è quello di un professionista del Servizio Sociale Professionale impegnato in una relazione/processo di aiuto con persone che vivono una condizione di disagio nella società. Questo ruolo viene agito nella organizzazione di tutte le risorse sociali, economiche, sanitarie, che la comunità mette a disposizione di individui, gruppi e famiglie, per prevenire situazioni di bisogno o di indigenza o di emarginazione. Questo deve avvenire nel rispetto della dignità umana, sempre e in ogni luogo, e avendo chiaro l’obiettivo che il fine ultimo del S.S è quello di aiutare l’utente a raggiungere il massimo grado possibile di autonomia ed autodeterminazione. 2 Con la speranza di avere delineato in maniera chiara e condivisibile il mandato istituzionale ed il mandato professionale dell’assistente sociale, credo che siamo tutti d’accordo sulla la necessità che i due mandati debbano essere, quanto più possibile, convergenti ed interagenti per permettere, da un lato, il raggiungimento degli scopi istituzionali dell’Ospedale e, dall’altro, una corretta presa in carico del cittadino che in un momento particolare della vita si trova a fare i conti con “problematiche rese esplicite o messe a fuoco dall’evento critico della malattia”. Nella operatività quotidiana questa convergenza e questa interazione non sempre è assicurata o visibile e, prendendo spunto dalla esperienza concreta di molti anni in Ospedale, cercherò di evidenziare, sia pure in maniera estremamente sintetica, qualche “nodo problematico” che crea discrasia tra mandato istituzionale e mandato professionale. Il primo elemento di criticità, per così dire, lo troviamo già nella delibera istitutiva del Servizio Sociale all’Annunziata di Cosenza, così come in quasi tutte le delibere istitutive del Servizio Sociale negli altri ospedali italiani, che pur assegnando all’A.S una funzione sicuramente importante, a ben vedere stabilisce che la nostra opera deve mirare a …..favorire la dimissione…., studiare la componente psico-sociale della malattia per favorire la diagnosi e la cura…., e la stessa delibera si guarda bene dall’assegnare all’A.S uno spazio operativo idoneo per una presa in carico compiuta della persona ricoverata. L’ospedale è la struttura che per definizione è chiamata a dare risposte immediate a manifestazioni patologiche o traumatiche acute, qualche volta anche croniche, che richiedono il ricovero in ospedale e rappresentano un momento di crisi per il paziente di qualsiasi età. Se questa è la finalità dell’ospedale, e non potrebbe essere altrimenti, allora accade che diverse professioni che operano all’interno della struttura ospedaliera, e la nostra più di tutte quante le altre, siano pervase da una sensazione di perenne mancanza di tempo. Se questi due elementi di criticità non vengono affrontati con la giusta determinazione possono determinare, oltre alla perenne mancanza di tempo, una sensazione altrettanto deleteria di subalternità rispetto al corpo medico. A tal proposito vorrei essere sicuro di trasmettere la convinzione che lavorare con pari dignità rispetto ad ogni altra professione presente in ospedale è assolutamente possibile e, proprio perché è possibile, deve diventare l’imperativo categorico di ognuno di noi, in qualunque posto dove viene richiesta e si estrinseca la nostra opera. 3 La peculiarità e la specificità del nostro lavoro talvolta diventa, per qualcuno di noi, una sorta di alibi per limitare il suo intervento o per rifiutare collaborazioni o condivisioni con altri professionisti; quando ciò accade si genera solo diffidenza e scarsa considerazione per il nostro ruolo, che anzi, spesso viene “occupato” se non espropriato da altre figure, con grave danno per i pazienti. La mia ferma convinzione è che noi dobbiamo essere si gelosi delle nostre peculiarità, delle nostre competenze e delle nostre abilità professionali, ma dobbiamo essere aperti, disponibili, elastici, per cui non ci dobbiamo scandalizzare se qualche volta, per il solo bene del nostro utente, deroghiamo dal nostro mansionario. L’isolamento dell’assistente sociale sul posto di lavoro, con il mancato confronto con i colleghi, determina una situazione di debolezza sia nei confronti dell’amministrazione di appartenenza, sia nei confronti dell’utenza. Mi piace ricordare che nel 1977, quando abbiamo dato vita al Servizio Sociale in Ospedale, abbiamo dovuto lottare non poco contro i tentativi di condizionamento, di limitazioni, di riserve mentali dovute alla disinformazione, messi in atto dall’amministrazione del tempo. Dal confronto serrato, all’interno del gruppo e con la dirigenza, dalle pazienti mediazioni, dall’aver fatto gruppo in maniera veramente granitica, è scaturita un’esperienza di Servizio Sociale sicuramente accettabile e degna di rispetto, vissuta secondo i principi, i valori, e con gli strumenti propri del SS professionale. Vorrei concludere questo mio contributo riportando tre esperienze vissute al Servio Sociale dell’Annunziata in epoche diverse che hanno il pregio, secondo me, di far cogliere in maniera chiara la necessità che le incongruenze che possono insorgere tra mandato istituzionale e mandato professionale dell’assistente sociale, in questo caso ospedaliero, vengano affrontate e superate, nell’interesse supremo dei destinatari della nostra opera, nell’interesse della nostra professione e, in ultima analisi, anche nell’interesse dell’istituzione che ci fa lavorare. La prima esperienza risale al 1977, precisamente al primo semestre di servizio degli assistenti sociali dell’ Annunziata, ed ha visto protagonista l’Amministrazione dell’Ospedale con la sua pretesa di “scaricare” sul Servio Sociale tutte le procedure burocratiche ed amministrative legate alla competizione elettorale che avrebbe interessato anche il luogo di cura. Quando noi assistenti sociali, appena assunti e perciò nel periodo di prova, ci siamo resi conto che per far votare oltre 500 degenti occorreva un lavoro veramente imponente che, in ogni caso, con servizio sociale aveva ben poco in comune, abbiamo ingaggiato con l’Amministrazione una dura battaglia combattuta con ordini di servizio, telegrammi, ingiunzioni, durata tre giorni. 4 La coralità e la coesione del gruppo, mai come in questa occasione, ha permesso di trovare una soluzione onorevole consistita nell’ accollarci noi il rapporto diretto col paziente, sia nella fase di raccolta della richiesta di voto in ospedale, sia per eventuali chiarificazioni sull’espletamento del diritto di voto, lasciando tutte le altre incombenze amministrative e burocratiche al personale amministrativo e tecnico. Con tale impostazione, accettata da quella amministrazione, si svolse quella elezione in ospedale e tutte quelle che sono seguite fino ad oggi. Questa impostazione del voto in ospedale ha assicurato ai degenti una corretta informazione sul diritto di voto fornita dall’A.S referente di reparto e rappresenta sicuramente un passo avanti verso l’autodeterminazione dell’utente ricoverato nonché un momento di collaborazione intensa e convinta tra diversi uffici dell’Ente, dove ognuno concorre ad assicurare al cittadino-degente la possibilità di espressione di un fondamentale diritto personale e civile. In questa esperienza quindi, c’è stato il tentativo di una amministrazione di imporre funzioni e ruoli non completamente propri del servizio sociale professionale, suscitando una risposta forte degli AA.SS che con determinazione, ma anche con disponibilità e volontà di superare le incomprensioni, alla fine sono riusciti a far cogliere quale doveva essere lo spazio professionale di un assistente sociale in una competizione elettorale. La seconda esperienza della quale voglio riferire brevemente ha avuto inizio nel 1992 ed ha visto coinvolto esclusivamente chi vi parla. Nel febbraio del 1992 è stata promulgata la Legge 210/92, meglio conosciuta come legge per “l’indennizzo per danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali o da vaccinazioni obbligatorie…”. Come assistente sociale di riferimento del Centro Trasfusionale di Cosenza mi sono trovato ad affrontare l’applicazione della legge in oggetto in ragione del fatto che, tra gli oltre 100 politrasfusi ( affetti da Morbo di Cooley, Emopatie, Leucemie) afferenti al Centro stesso per effettuare periodicamente i trattamenti emotrasfusionali, una parte considerevole di questi pazienti aveva contratto l’epatite a seguito delle trasfusioni di sangue e pertanto rientrava a pieno titolo nella fattispecie prevista dalla legge per chiedere l’indennizzo (solo per darvi l’idea vi dico che l’entità di questo indennizzo attualmente varia da 549,67 a 632,07 euro al mese). Avrei sicuramente assolto al mandato istituzionale dell’Ospedale se mi fossi limitato ad informare gli utenti del Centro Trasfusionale, magari tramite avviso da affiggere in bacheca, della esistenza della legge e delle procedure di massima da seguire per ottenere l’indennizzo. Il mio mandato professionale, al contrario, ne sarebbe uscito mortificato e svilito anche in considerazione del fatto che per ognuno di questi pazienti c’era gia una presa in carico totale, in alcuni casi anche ultradecennale. Dopo qualche settimana dedicata allo studio della 5 normativa e alla individuazione dello spazio professionale possibile per me A.S, mi sono reso conto che sarebbe stato oltremodo difficile, per il paziente, armonizzare le varie fasi (medica, burocratica) di allestimento di una congrua richiesta di indennizzo da inoltrare al Ministero della Sanità ed ho chiesto al Primario del Centro Trasfusionale dell’epoca un coinvolgimento tecnico-professionale a supporto di tutti i pazienti interessati all’applicazione della legge. Ne è scaturito un lavoro di gruppo (medico,paziente, assistente sociale, infermiere, archivisti) veramente entusiasmante ed impegnativo durato qualche mese, che ha prodotto una lavoro sicuramente meritorio se è vero, come è vero, che il gruppo dei politrasfusi del Centro Trasfusionale di Cosenza (circa 35 persone) è stato tra i primissimi in Italia ad essere indennizzato dallo Stato. Mi sembra utile sottolineare che l’A.S in questa occasione ha agito come coordinatore ed organizzatore di risorse con il pieno e convinto riconoscimento di tutte le altre figure professionali intervenute. Dopo il 1992 altri utenti del Centro Trasfusionale si sono trovati nella condizione di chiedere l’applicazione della Legge 210/92 (circa altri 30 politrasfusi) ma sono stati moltissimi (circa 120) gli utenti extra-ospedalieri che si sono rivolti al sottoscritto per essere informati, aiutati, sostenuti, nella preparazione della richiesta di indennizzo al Ministero della Sanità e, per la verità, in tutti questi anni non sono mancati nemmeno utenti che si sono rivolti al Servizio Sociale per riprendere o perfezionare vecchie richieste di indennizzo presentate senza documentazione a sostegno. Benché non fossi istituzionalmente obbligato, a questi utenti esterni o extra ospedalieri, ho sempre dato la mia più completa collaborazione, assolutamente gratuita e disinteressata ed ho sempre potuto contare sul sostegno tecnico dei medici del Centro trasfusionale, di quelli di Malattie Infettive, di Anestesia, e soprattutto ho potuto lavorare con l’approvazione ed il sostegno del Direttore Sanitario il quale, resosi conto dell’assenza sul territorio di un servizio di aiuto e sostegno alle persone interessate alla legge 210/92, mi ha sempre incoraggiato in questa opera di supplenza che l’Ospedale, mio tramite, va compiendo. In questa esperienza c’è stato quindi, un mandato professionale forte, propositivo, competente e coinvolgente, che ha cercato di integrare il mandato istituzionale sulla scorta di esigenze nuove ed impreviste che si sono verificate nella società. La terza ed ultima esperienza della quale voglio dirvi brevemente è quella che riguarda la presenza dell’A.S nel percorso IVG (Interruzione Volontaria della Gravidanza) regolamentata dalla Legge 194/78. Il primo coinvolgimento di un A.S nell’iter IVG all’Annunziata avvenne nel triennio 83/85, epoca in cui fui chiamato dal Direttore Sanitario del tempo a collaborare con l’A.S.V (assistente sanitaria visitatrice) per assicurare il servizio di prenotazioni di IVG. Dopo le 6 prime settimane di collaborazione ci siamo resi conto che oltre a dare un appuntamento ed organizzare il percorso burocratico-logistico fino al momento dell’intervento, potevamo dare molto di più alle donne, alle coppie che, con i loro silenzi, i loro imbarazzi, i loro timori, le loro paure ed i loro pudori, chiedevano in fondo più ascolto, più informazione, più attenzione. Ci siamo subito messi al lavoro per cercare di dare una risposta a queste esigenze e per assicurarci uno strumento che permettesse di affrontare, con tutte le donne, argomenti di vitale importanza con scientificità e professionalità, abbiamo strutturato un questionario da somministrare nel corso del colloquio professionale. Il colloquio ha, soprattutto, lo scopo di aiutare la donna a prendere coscienza piena e consapevole del gesto che si appresta a compiere ed è volto a promuovere una condotta contraccettiva appropriata e rigorosa, da attuarsi soprattutto con il coinvolgimento delle strutture consultoriali pubbliche e private. Nel 1985 questa collaborazione si è interrotta e le prenotazioni, fino al 1993, sono state effettuate da altre figure professionali, diverse da AS e ASV, e non ho difficoltà alcuna ad affermare che in questo periodo (85/93) sono stati pesantemente sacrificati sia il diritto alla riservatezza delle donne, sia l’informazione e la promozione di una coscienza contraccettiva . Dal 4/1/1994 le prenotazioni IVG sono state affidate al Servizio Sociale e tutti e cinque gli assistenti sociali concorrono alla gestione del Servizio Prenotazioni IVG. Il momento fondamentale della prenotazione rimane il colloquio professionale condotto con l’ausilio del questionario elaborato nel 1983 ed aggiornato nel corso degli anni al fine di renderlo sempre attuale e rispondente. Questo lavoro porta ogni anno al Servizio Sociale 500/550 donne, da sole o in compagnia, e rimane un lavoro che, se portato avanti con impegno e professionalità, vede esaltati tutti i principi ed i valori fondanti del Servizio Sociale Professionale e conferma in maniera inequivocabile l’importanza del colloquio professionale nel processo di aiuto. Anche in questa ultima esperienza possiamo cogliere un mandato professionale che, se si opera da assistenti sociali e non da “sportellisti”, è completamente gratificante per il professionista A.S, sicuramente in sintonia con i contenuti della professione e con i metodi propri del S.S ed è convergente e rafforzativo del mandato istituzionale. Cosenza, 27/09/2010 A.S Antonio Filice 7