Husserl e l`Europa

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Husserl e l`Europa
Husserl e l’Europa
di Vincenzo Cappelletti
Ci sono pagine del pensiero, testimonianze della ragione che potremmo definire di «sempre», intuizioni e affermazioni radicate
nell’autocoscienza, espresse per lo più poeticamente, ma talora
apoditticamente, nello stile tra definitorio e dimostrativo della filosofia. Le tesi filosofiche da attribuire a quest’ambito rischiano peraltro di apparire soggettive, arbitrarie, quasi fossero tentativi ingiustificati di pronunce oracolari, se non restano aperte all’analisi e
successivamente alla condivisione o al rifiuto. Con questa breve
premessa si può affermare non arbitrariamente che un’opera incompiuta, ma in parte pubblicata durante la vita di Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale,
rientra tra le poche di un secolo tuttora non concluso, malgrado interessati tentativi di relegarlo nel passato. Opere che quasi possono
rinunciare ad avere un luogo e una data di edizione, e una lingua
peculiare nella quale sono scritte – pur essendo profondo, in questa
sede e altrove, il nostro ossequio verso la lingua tedesca –, per appartenere a tutte le tradizioni, a tutte le culture ed essere aletheia 1.
Nel significato acquisito tra Omero a Parmenide, questa parola
avrebbe finito con il designare l’opposto del nascondimento, della
dimenticanza, il rifiuto di prescindere da un’evidenza obbligante.
Anche nell’ultimo Husserl, lo Husserl mitteleuropeo che si muove
o tiene rapporti epistolari tra Friburgo, Vienna, Praga e Belgrado,
affiora una parola-chiave, che riassume il quasi cinquantennio trascorso dalla Filosofia dell’aritmetica, 1891, all’opera citata sulla Crisi. La parola, inattesa, e dotata di una virtualità dirompente, è «Rätsel», enigma. Con la Crisi delle scienze europee, torniamo formalmente a Parmenide: il poema Sulla natura è una digressione che
verte sull’impossibilità di ottenere l’uno unico dal due, l’essente
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dalla dialettica di luce e tenebra. Per darsi, la luce dev’essere, e così la tenebra: l’essere, per l’esattezza l’essente, è il loro presupposto.
Come Parmenide, l’ultimo Husserl: tutto è enigma o, a dir meglio,
tutto è diventato enigmatico. Ma l’aggettivo presuppone il sostantivo nella sua simbiosi con un altro termine, consentita, la simbiosi,
dal tedesco e non dall’italiano: «Welträtsel», enigma del mondo.
Ecco la parola, per la quale la ponderosa opera husserliana contrae
il proprio volume in una pagina, che rientra fra quelle prima chiamate «di sempre». La denuncia di una povertà che si è fatta strada
nel pensiero umano, e nella riflessione della civiltà europea, allora
mediterranea, che aveva scoperto e fatto crescere l’essente parmenideo: ecco il sentiero che attraversa l’opera husserliana, la contrae
in poche pagine, anzi in una parola, e ne fa il simbolo di un’età che
assorbe anche il nostro oggi. È diventato enigmatico il mondo: la
radicalità husserliana è drammatica, s’insedia nel cuore della coscienza intellettuale. E verte, come abbiamo accennato, sul «Welt»,
sul mondo, dandosi limiti trascendentali, quelli della scienza, e non
quelli geografici, che sembrano invece accennati nel titolo dell’opera. In una pagina di abbagliante lucidità, Husserl scrive: «Le uniche battaglie veramente significative del nostro tempo sono battaglie tra un’umanità che già è franata in sé stessa e un’umanità che è
ancora radicata su un terreno [...] le vere battaglie spirituali dell’umanità europea sono lotte tra filosofie, cioè tra filosofie scettiche –
o meglio tra le non filosofie [...] – e le vere filosofie, quelle ancora
vive». E prosegue, con un annuncio profetico: «Portare la ragione
latente all’autocomprensione, rendere evidente la vera possibilità
di una metafisica: è questo l’unico modo per portare la metafisica,
cioè la filosofia universale, sulla via laboriosa della propria realizzazione [...]. Solo così sarebbe possibile decidere se l’umanità europea rechi in sé un’idea assoluta e non sia un mero tipo antropologico come la Cina o l’India». Il dubbio è risolto a favore della prima
alternativa, e il presupposto della narrazione diventa un soggetto
scientifico che s’identifica con l’Europa, dalla meccanica di Galilei
e Descartes a una scienza del mondo-della-vita, da ripristinare dopo la brutale semplificazione operata dal meccanicismo. Nella prospettiva della Crisi husserliana si parte dal moderno concetto dell’inerzia per approdare a una soggettività che Husserl chiama «Ego»
– anch’essa positivamente, costruttivamente enigmatica – e che
promette il ripristino nell’Essente della nozione del mondo, compromessa dal meccanicismo.
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Non c’è altra opera che, al pari della Crisi husserliana, sia riuscita a ripercorrere la concezione scientifica della realtà, in una costruttiva dialettica con la filosofia e la storiografia della scienza.
Quel «Rätsel» specificato in «Welträtsel», quel passaggio da un
vocabolo poco frequente a un apparente neologismo, indica una
frequentazione della sporadica ma non inesistente autocoscienza
scientifica presso gli scienziati, noi diremmo i ricercatori. Husserl
ne andava in cerca, l’oggetto del suo lavoro intellettuale era diventato «il problema delle connessioni profonde ed essenziali della ragione e dell’essente in generale», considerato «l’enigma di
tutti gli enigmi». Filosofia e scienza, nello sviluppo concettuale
della Crisi, avevano riconosciuto il loro reciproco coinvolgimento,
fin dall’inizio, rappresentato dal testo della conferenza di Vienna,
maggio 1935, su La filosofia nella crisi dell’umanità europea, e dalle conferenze di Praga, novembre dello stesso anno, su La crisi
delle scienze europee e la psicologia. Le scienze di fatto creano uomini di fatto, ma «il concetto positivistico delle scienze è un concetto residuale». Esso ha lasciato cadere tutti i problemi compresi nella metafisica. Ma a ben guardare, osserva lucidamente Husserl, «questi problemi contengono i problemi della ragione in tutte le sue forme particolari [...] la ragione è un titolo sotto cui si
raccolgono le idee e gli ideali assolutamente, eternamente, sopratemporalmente, incondizionatamente validi». L’entusiasmo della
filosofia passò nella scienza durante «l’epoca tanto diffamata dell’Illuminismo. Una testimonianza perenne di questo spirito è costituito dall’Inno alla gioia di Schiller e Beethoven. Oggigiorno
quest’inno non può che suscitare in noi dolorosi sentimenti». Siamo, nel contesto della conferenza di Praga, anzi nello sviluppo tematico della Crisi, al vertice della consapevolezza critica. La qualifica del filosofo come «funzionario dell’umanità» suggella la
profondità, costruttiva, civile dell’analisi di Husserl con la ricchezza delle sue implicazioni etiche e teoretiche.
Qui è doveroso ricordare il creatore del termine «Welträtsel»,
il neurofisiologo Emil du Bois-Reymond, con quel nucleo di significato metafisico che si sarebbe coagulato intorno alla parola, a
suggellare la crisi irreversibile del meccanicismo. Allievo a Berlino
di Johannes Müller – creatore della massima scuola biologico-medica del secolo: «L’uomo che portava su di sé l’impronta dello
straordinario», l’avrebbe definito nel commemorarlo all’Accademia delle scienze –, il du Bois seppe conquistare un primato euro-
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peo nella neurofisiologia, che a fine Ottocento sarebbe passato alla Gran Bretagna con Charles Sherrington e i suoi allievi di
Oxford. La concomitanza tra funzionalità neuromuscolare e fenomeni elettrici della fibra nervosa fu la grande scoperta del du Bois,
causa del prestigio accademico che lo avrebbe portato fino all’alta dignità di Rettore dell’Università berlinese. La sensazione tuttavia era altra cosa: ma una strada che portasse dall’evento elettrofisiologico al dato sensoriale, nell’ambito del meccanicismo,
era inconcepibile e dunque inesistente. Si trattava di un enigma,
ancor più di una rottura della continuità conoscitiva. E il du BoisReymond ne avrebbe tratto coraggiosamente, lucidamente l’estrema conseguenza all’Assemblea dei naturalisti e dei medici tedeschi, tenuta a Lipsia nell’agosto 1872. Accostiamoci alla sobria
eleganza e alla serrata dialettica della sua argomentazione: «Di
fronte agli enigmi del mondo materiale, lo studioso della natura è
da lungo tempo abituato, con virile rinuncia, a pronunciare il suo
Ignoramus. Nel guardare retrospettivamente alla strada vittoriosa
percorsa, lo accompagna la tranquilla coscienza che, dove egli ora
non sa, per lo meno in certe condizioni potrebbe sapere e saprà,
forse, un giorno. Ma di fronte all’enigma, che cosa siano materia e
forza, e come esse possano essere capaci di pensare, egli deve una
volta di più piegarsi al verdetto molto più duramente rinunciatario: Ignorabimus». Tanto valeva contarli, gli enigmi, farne per così
dire un censimento che li enucleasse e li definisse per classi omogenee. Il du Bois soddisfece a questa penosa esigenza, parlando
alcuni anni dopo nella solenne adunanza dell’Accademia delle
scienze di Berlino, per la tornata leibniziana del luglio 1880. Le
evidenze enigmatiche gli parvero essere sette: l’essenza della materia e della forza, l’origine del movimento, l’origine della vita, la
finalità, l’origine della sensazione, il pensiero razionale, la libertà
di volere. «Ma i sette enigmi – concludeva – possono essere compendiati in un unico problema, il problema del mondo». Negare
al du Bois-Reymond la priorità nel conio e nell’uso del termine
«Welträtsel», di primaria importanza nella Crisi husserliana, non
sembra possibile: insieme alla consapevolezza della denuncia irrevocabile che il termine conteneva. Il neurofisiologo du Bois se n’era servito per mandare in pezzi la concezione meccanica del mondo, pur concepita da lui e da altri come l’unica possibile.
Fu un dramma della coscienza europea, svoltosi nell’Università che il suo fondatore Wilhelm von Humboldt aveva posto al
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centro dell’Europa e del mondo. La scuola universitaria, si legge
nel documento fondativo dello Humboldt, è basata su un triplice
sforzo dello Spirito, «ein dreifaches Streben des Geistes»: l’unità
delle conoscenze, l’entusiasmo del sapere e la loro sintesi. Ma nella prospettiva meccanicistica l’unità del sapere non ammetteva
differenze se non descrittive: una limitazione grave dell’asserto
humboldtiano. Al riapparire delle differenze sostanziali, strutturali, si profilavano difficoltà insormontabili. La concezione
uniformistica del reale era, ripetiamo, l’unica ammissibile per il
meccanicismo rigoroso, ma nella sua compagine si notavano crepe profonde, dai protocolli osservativi agli assiomi. Scorrendo la
lista fornita da du Bois, si vede che le difformità provenivano dalla biologia e dalla psicologia. Era necessario risalire la china del
pensiero scientifico, riprendere la riflessione sull’essere-in-quanto-essere, e intanto garantire adito e slancio all’osservazione della
natura. La statua di Alexander Humboldt all’ingresso dell’Università di Berlino accanto a quella del fratello Wilhelm, siamo nel
1883, alludeva all’avvenuta rifondazione dell’unità del sapere,
passando anzitutto attraverso le nuove conoscenze sulla natura vivente. La notte della foresta amazzonica, con le sue misteriose sintonie, descritta nelle Ansichten der Natur (Vedute della natura) di
Alexander Humboldt, diventò l’emblema dell’incoercibile opposizione al meccanicismo che si era fatta strada sul terreno stesso
della scienza. Per arrivare, anzi tornare, all’intrinsecità reciproca
di essere e pensare, al classico «Tautò noein estin te kai einai», epigrafe plurimillenaria dell’Europa. Certamente Husserl conobbe i
«Welträtsel» del du Bois-Reymond e adottò il termine o vi si ricondusse, con un improbabile conio originale, che peraltro non
può essere escluso. Ma la strada seguita da Husserl per dimostrare e fronteggiare l’enigma, il «Rätsel», è autonoma rispetto a quella del neurofisiologo di Berlino. Siamo entrati in un’epoca nuova,
scrive in una delle pagine più belle della Crisi, e cerchiamo «l’idea
definitiva della filosofia, il suo vero tema, il suo vero metodo, il
suo destino di dover scoprire gli autentici enigmi del mondo e di
portarli sulla via di una spiegazione». La filosofia è lotta fra scepsi
e ragione mentre affronta l’enigma di tutti gli enigmi, «das Rätsel
aller Rätsel»: il problema delle connessioni profonde ed essenziali della ragione e dell’essente in genere.
Il rapporto di Husserl con la scienza moderna non è limitato
alla meccanica. Profondo conoscitore di Descartes, Husserl non
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può non aver meditato sull’aspra contestazione mossa a Galilei
nella lettera a Mersenne dell’11 ottobre 1638: «Sans avoir considéré les premières causes de la nature, il a seulement cherché les
raisons de quelques effets particulier, et ainsi il a basti sans fondement». Tra Galilei e Descartes, il moderno concetto dell’inerzia si
era dilatato fino a comprendere accanto alla stasi uno speciale movimento, quello rettilineo uniforme. Era stata la liberazione da un
inveterato pregiudizio: il concetto dell’inerzia come immobilità,
come stasi. Ma il nucleo enigmatico della realtà, dell’«essente» per
dirla con un termine husserliano, era rimasto immutato, malgrado
la nuova meccanica. Visto da Husserl, Galilei non aveva interrogato il mondo-della-vita, la «Lebenswelt», il dimenticato fondamento di senso della scienza: era stato, Galilei, un genio «che insieme scopre e occulta». Newton inserirà uno «Scholium generale» nella seconda edizione, 1713, dei Philosophiae naturalis principia matematica per rispondere all’accusa di ateismo mossagli da
Leibniz. Il «Rätsel» della scienza aveva altre due radici, l’una nella scienza della vita – che dalla fine del Settecento aveva cominciato a chiamarsi «biologia» –, l’altra nella psicologia. E la psicologia era una via lunga ma sicura per arrivare alla matematica, per
Husserl il primo terreno d’incontro con la scienza non più moderna ma contemporanea. La sintesi di psicologia e matematica è
oggetto del primo, insigne contributo epistemologico husserliano:
la Philosophie der Arithmetik, del 1891. Ma qui scorgiamo la differenza tra le due denunce dei «Welträtsel», da parte del du BoisReymond e di Husserl. Il du Bois imputava gli enigmi alla meccanica, Husserl alla totalità di una scienza staccatasi dall’intuizione
e dalla frequentazione del reale. Per l’Europa, due vie, non opposte ma complementari, da seguire: verso la ricerca e l’innovazione,
o verso l’apertura metafisica e il riordino delle conoscenze. L’odierno soffermarsi su Husserl, nell’Istituto di Studi Germanici,
contribuirà a chiarire se la tradizione metafisica dell’Europa possa ancora orientare la coscienza e la storia dell’umanità.
Vincenzo Cappelletti
NOTE
1 Testo della relazione introduttiva al Convegno Filosofia come scienza rigorosa. Edmund Husserl: progetto di ricerca a centocinquant’anni dalla nascita, promosso dall’Istituto di Studi Germanici di Roma (6-7 ottobre 2009).