Riformista 28 Aprile 2010
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Riformista 28 Aprile 2010
12 ! BANDIERA BIANCA. In Iraq 22 Mondo MERCOLEDÌ 28 APRILE 2010 terroristi di al-Qaeda si sono arresi alla polizia della provincia sunnita di Diyala. Sono accusati di omicidi e attentati. Battaglia su Wall Street Nel mirino del Senato c’è il gatto più grasso NUOVE REGOLE. L’offensiva riformatrice democrat per ora è stata fermata dai Repubblicani, che rischiano di fare la parte dei difensori del sistema. I riflettori però ieri erano tutti per i dirigenti del gigante Goldman Sachs, chiamati a confessare i loro peccati. DI MARIA TERESA COMETTO ! New York. Mettere alla berlina i “grassi gatti” di Goldman Sachs come emblemi della Wall Street avida e senza scrupoli che dev’essere riformata. Mostrare agli americani che i Repubblicani non vogliono la riforma perché stanno dalla parte di Wall Street. E portare a casa sia la riforma sia un rimbalzo nei favori dell’elettorato per mantenere la maggioranza in parlamento alle prossime elezioni politiche di novembre. È la strategia seguita dai Democratici e dal presidente Barack Obama in questi giorni caldissimi a Washington, dove ieri sono iniziate le udienze del Sottocomitato permanente per le inchieste, incentrate sul ruolo di Goldman Sachs nella crisi finanziaria, e al Senato si è tenuto (nel pomeriggio, quando già erano state chiuse le pagine di questo giornale) il secondo voto procedurale sulla riforma. Davanti al Sottocomitato presieduto dal senatore Carl Levin, Democratico del Michigan, hanno testimoniato i dirigenti della banca d’affari accusata di frode dalla Sec (Securities and Exchange Commission, l’autorità di controllo Usa del mercato finanziario): i responsabili del business dei complica- tissimi contratti derivati (Cdo, Cds e così via) costruiti sulla base dei mutui subprime (ad alto rischio di non essere ripagati da clienti poco affidabili); l’ormai tristemente famoso “Fabulous Fab”, il 31enne trader francese Fabrice Tourre accusato dalla Sec di essere l’artefice della frode; fino al presidente e ceo Lloyd Blankfein. Levin e gli altri senatori hanno colpito i manager di Goldman Sachs con una raffica di domande per far loro confessare di aver volutamente fuorviato gli investitori nel 2007 e 2008: da una parte vendevano quei prodotti basati sui subprime, ma dall’altra parte internamente li definivano shitty - “merdosi”, secondo un’email del giugno 2007 a proposito di una specifica transazione chiamata Timberwolf – e vi scommettevano contro guadagnando profitti miliardari per la stessa banca. I senatori, Democratici e Repubblicani, hanno fatto a gara per cercare di portare la discussione a un livello comprensibile al largo pubblico, dipingendo Goldman Sachs come il gestore di un casinò, il cui mestiere è organizzare le scommesse dei giocatori in modo tale da vincere sempre. «Sapevate che era un affare merdoso e non l’avete detto ai clienti?», ha chiesto ripetutamente Levin all’ex responsabi- le di quel business, Thomas Montag. Di fronte alle sue balbettanti risposte il senatore l’ha incalzato: «Vedo che rifiutate di rispondere, ma non usciremo di qui finché non avremo delle risposte». E la senatrice del Maine, Susan Collins, una dei Repubblicani corteggiati per dire sì alla riforma finanziaria, è sbottata: «Capisco che il vostro sistema è pieno di conflitti di interesse!». Ma Goldman Sachs ha fatto fronte compatto nel respingere le accuse. Con uno sguardo sicuro e quasi di sfida, Tourre ha negato ogni intento fraudolento, ribadendo in particolare che i suoi clienti erano altamente sofisticati, sapevano cosa facevano e che i suoi prodotti non erano disegnati per fallire. Ma poi ha vacillato quando gli hanno chiesto come si era sentito quando sono state pubblicate le email in cui, tre anni fa, si vantava di essere il «Favoloso Fab», l’unico che sarebbe «sopravvissuto» all’imminente collasso di tutto il business dei subprime. «Non avrei dovuto scriverle, gettano una cattiva luce su me e su Goldman Sachs», ha balbettato. Questi momenti imbarazzanti sono stati altrettanti punti a favore di Obama e dei democratici nella loro battaglia per far passare la riforma finanziaria al Senato, dove il primo voto di lunedì era stato negativo, con anche un Democratico, Ben Nelson del Nebraska, che aveva votato no insieme all’opposizione Repubblicana. Quest’ultima sostiene che la legge messa a punto dal presidente della Commissione bancaria del Senato, il Democratico del Connecticut Chris Dodd, non garantisce il ripetersi di una crisi finanziaria come quella gravissima del 2007-2008 per tamponare la quale il parlamento approvò il salvataggio da 700 miliardi di dollari delle maggiori banche. In particolare i Repubblicani contestano la discrezionalità con cui il governo potrà decidere chi e come salvare in futuro; sostengono che una serie di norme potrà danneggiare non tanto i profitti delle grandi banche quanto i normali business non finanziari; e definiscono inaccettabile che la legge non tocchi Fannie Mae e Freddie Mac, le due agenzie para-governative garanti dei mutui, storico feudo dei Democratici e co-responsabili della Bolla immobiliare. Ma i repubblicani hanno contro l’opinione pubblica. Secondo gli ultimi sondaggi AbcNews/Washington Post solo il 35% degli americani si fida più di loro che di Obama (52%) per far pulizia a Wall Street e il 65% è a favore di regole finanziarie più rigorose. Riaffiora il fantasma di Noriega L’ultimo “figlio di puttana” Usa CARA DE PIÑA. Narco-agente della Cia, la sua caduta segnò la fine della guerra fredda anche nel cortile di casa. Ora è a Parigi, con i suoi scheletri, per un nuovo processo. DI LUIGI SPINOLA ! È riaffiorato in alcune foto sgranate carpite lunedì notte all’aeroporto di Miami, nascosto sotto un ampio panama bianco, come un fantasma sovrappeso della guerra fredda. Manuel Noriega da vent’anni ormai era stato dimenticato in una confortevole cella di un penitenziario della Florida, dove era stato rinchiuso al termine della più imponente avventura militare statunitense dai tempi del Vietnam. Ieri mattina presto l’ex uomo forte di Panama è arrivato a Parigi. Lo attende un nuovo processo per riciclaggio del denaro sporco. «A Panama sono terrorizzati da un suo possibile rientro, anche se tutto quello che vuole fare ormai è stare tranquillo sul portico di casa a giocare con i nipotini. Per questo Hillary Clinton ha dato il via libera all’estradizione - denuncia il suo avvocato Frank Rubino - il problema è che lui sa dove sono sepolti gli scheletri». E certo “Cara de Piña” (”Faccia d’Ananas”), come lo chiamavano per via della sua pelle butterata, le zone oscure di questo lembo di terra strategico, solo apparentemente periferico nell’ampio scacchiere della guerra fredda, le conosce assai bene. Valse per lui negli anni ’80 l’investitura che Franklyn Delano Roosevelt concesse al dittatore del Nicaragua Somoza alla fine degli anni ’30: «Sarà pure un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana». Manuel Noriega già da ragazzo quando studia all’Accademia militare di Lima - viene assoldato come informatore dalla Cia. Poi si perfeziona alla famigerata Scuola delle Americhe, dove nel dopoguerra si formano “figli di puttana” di prima grandezza come il Generale argentino Leopoldo Galtieri o il dittatore boliviano Hugo Banzer. Noriega rimane a libro paga, dal ’83 come padrone di Panama, fino al 5 febbraio dell’88, quando gli Stati Uniti lo incriminano per commercio di droga. Prima di allora però all’alleato panamense tutto viene perdonato, dal traffico di qualsiasi sostanza - sui narcotici lavora in sintonia con il cartello di Medellìn - alla decapitazione del leader dell’opposizione Hugo Spadafora. Perché il dittatore offre le migliori garanzie sulla gestione del crocevia degli Oceani, emancipato da Washington a inizio ’900 solo per farne una disciplinata succursale atta a ospitare il Canale. Panama diventa poi una postazione cruciale per controllare la regione agitata dalla sedizione castrista, luogo di transito ideale anche per i denari e le armi necessarie alla guerriglia dei Contras in Nicaragua. Noriega cade quando non serve più. Solo allora gli americani capiscono che hanno sbagliato a fidarsi: il “figlio di puttana” ha fregato anche loro, vendendo occasionalmente i suoi servigi al nemico. E quando i suoi “Dobermann”, l’unità speciale dell’esercito usata per la repressione interna, si lasciano andare a un massacro di troppo, Ronald Reagan risponde con una serie di sanzioni. Il braccio di ferro dura un paio d’anni. Negli ultimi giorni dell’indimenticabile ’89 - mentre in Romania va in scena la rivoluzione più cruenta - George H. Bush lancia l’operazione “Giusta Causa”. Gli Usa invadono Panama, si riprendono Noriega e chiudono la guerra fredda anche nel cortile di casa. Nel carcere di Miami Noriega si è comportato sufficientemente bene da vedersi dimezzata la pena. Libero di andare incontro a un nuovo complicato processo. Noriega a Parigi rivendica l’immunità come ex-capo di stato e lo status di prigioniero di guerra riconosciuto dagli americani. Se la scampa, a casa lo aspettano altri vent’anni di galera. A Panama non hanno fretta. La guerra è finita, ma anche da pensionato “Cara de Piña” sarebbe un prigioniero troppo ingombrante. E il paradiso del free trade e della finanza offshore non vuole scosse. ARIZONA, LEGGE DELLA DISCORDIA Caccia ai clandestini Il Messico non ci sta DI GIULIA DE LUCA ! La legge sull’immigrazione firmata pochi giorni fa dalla governatrice dell’Arizona sembra non piacere proprio a nessuno. Obama la critica e ha già incaricato l’ufficio legale della Casa Bianca di analizzarla per escludere eventuali violazioni diritti civili garantiti negli Stati Uniti. I messicani, immigrati e non, si stanno unendo capeggiati dal presidente Felipe Calderón che ha definito il provvedimento come qualcosa che «apre la porta all’intolleranza, all’odio, alla discriminazione e all’abuso», riporta il quotidiano El Universal. E sembra non essere l’unico a pensarla così. Numerosi avvocati americani specializzati in immigrazione insieme a varie organizzazioni per i diritti civili hanno lanciato una campagna per boicottare l’economia e il turismo dell’Arizona. Come il procuratore di San Francisco che ha annunciato di voler lottare affinchè la California interrompa i rapporti commerciali con lo Stato. In poche parole, un disastro trasversale. «Il turismo al momento è in una fase di fragile recupero - afferma l’associazione Valley Hotel&Resort di Phoenix in un comunicato riportato dal New York Times - La percezione negativa che circonda questa legge sta sporcando l’immagine dell’Arizona e potrebbe facilmente avere conseguenze devastanti sul numero dei visitatori». Qualcosa in effetti si sta già muovendo. Da un lato i potenziali turisti messicani stanno rinunciando per protesta alle loro vacanze nel Grand Canyon State mentre, per quanto riguarda gli immigrati, il dipartimento degli affari Esteri messicano ha diffuso un elenco di avvertimenti per i cittadini che decidano di andare in Arizona o che attualmente stiano vivendo entro i suoi confini. Tra questi,«muoversi con prudenza e rispetto delle leggi locali» perché le nuove norme mostrano «un atteggiamento politico ostile nei confronti delle comunità di immigrati e di tutti i visitatori messicani». Allo stesso tempo la Commissione nazionale dei diritti umani (Cndh) ha messo a disposizione un’assistenza gratuita 24 ore su 24 per le possibili violazioni dei diritti umani che dovessero sorgere dall’applicazione della legge SB1070. La normativa, firmata dal Governatore repubblicano Jan Brewer, entrerà in vigore tra poco meno di 90 giorni e andrà a colpire circa 400mila immigrati clandestini, la maggior parte appunto messicani, su una popolazione di circa sei milioni di persone. In sostanza consentirà agli agenti di polizia di chiedere a chiunque loro reputino «ragionevolmente sospetto» di identificarsi e di giustificare la propria presenza negli Usa, pena il carcere e l’espulsione. L’Arizona è uno degli stati dove i numeri dell’immigrazione illegale sono più alti, proprio per la sua posizione geografica, al confine col Messico. E non stupisce che gli abitanti dello Stato abbiano tutto sommato accolto con favore l’iniziativa della Brewer. All’esasperazione per la mancanza di previsioni precise in materia si è aggiunta la paura che la guerra tra narcotrafficanti varchi il confine, e si estenda trasformando anche la loro casa in luogo di sparatorie e morti. Ma è vero anche che gran parte delle armi, nonché una forte domanda di sostanze proibite, provengono proprio dagli Usa che allo stesso tempo però sono da sempre al fianco del Messico nella lotta ai cartelli della droga. Resta da vedere come si evolverà il dibattito sull’immigrazione e soprattutto cosa decideranno i due capi di Stato. A maggio il presidente Calderón sarà a Washington per una visita alla Casa Bianca e al Congresso Usa e ha rimarcato ieri che per prima cosa affronterà il tema con Barack Obama.