Le intenzioni, i desideri e le scelte delle donne italiane in tema di

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Le intenzioni, i desideri e le scelte delle donne italiane in tema di
Giuseppe Gesano, Adele Menniti,
Maura Misiti, Rossella Palomba
e Loredana Cerbara
LE INTENZIONI, I DESIDERI
E LE SCELTE DELLE DONNE
ITALIANE IN TEMA
DI FECONDITÀ
L’Osservatorio italiano
sulle aspettative
di fecondità
W.P. 01/2000
luglio 2000
L’IRP, Istituto del CNR, si occupa dal 1981 di ricerche in campo demografico e
sociale. L’attività si svolge in diversi ambiti di studio centrati sull’analisi delle tendenze
di popolazione, spaziando dalle problematiche connesse alla mobilità interna e internazionale, al mercato del lavoro, alle dinamiche familiari e a quelle della salute e della
mortalità.
L’Istituto conduce periodicamente indagini su specifici argomenti di interesse demografico e tra queste l’inchiesta sulle aspettative di fecondità. Attraverso questo studio è
stato possibile studiare alcuni atteggiamenti delle donne italiane su figli e valutarne le
intenzioni riproduttive; l’indagine verrà ripetuta ogni anno e permetterà di seguire l’evoluzione di questi aspetti nel tempo.
Si ringraziano le donne che abbiamo intervistato e che si sono dimostrate particolarmente disponibili nel rispondere alle nostre domande. Siamo anche grati alla Dott.ssa
Maria Pia Sorvillo dell’ISTAT per aver messo a disposizione alcuni dati che ci sono
serviti per la realizzazione di questo Working Paper e alla Dott.ssa Miria Savioli che
ha curato le elaborazioni dei dati dell’indagine.
INDICE
Pag.
Capitolo I
L’OSSERVATORIO SULLE ASPETTATIVE DI FECONDITÀ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5
di Adele Menniti e Rossella Palomba
1.1. Il cuore dell’Osservatorio: le intenzioni riproduttive
1.2. Una sintesi dei principali risultati
Capitolo II
DONNE E FIGLI NELL’ITALIA DI FINE SECOLO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13
di Giuseppe Gesano
2.1. Finalità e limiti del capitolo
2.2. I numeri a confronto
2.3. La composizione per età delle madri potenziali
2.4. Un accenno agli effetti della composizione per stato civile
2.5. Intensità e calendario
2.6. Una questione di ordine
2.7. Rinvio o rinuncia?
2.8. Uno sguardo alle dinamiche più recenti
Capitolo III
LA FAMIGLIA IDEALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .38
di Adele Menniti
3.1. Le unioni libere e i figli
3.2. Il matrimonio e i figli
3.3. I tempi del percorso riproduttivo
3.4. I figli: comunque una scelta
3.5. Il modello di fecondità ideale
Capitolo IV
LE INTENZIONI DI AVERE FIGLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .48
di Adele Menniti e Rossella Palomba
4.1. Le intenzioni riproduttive, le caratteristicne della famiglia e della donna
4.2. L’accordo fra i partner
4.3. Non voglio figli perché...
4.4. Due figli, numero perfetto
4.5. Se le intenzioni si realizzassero...
Capitolo V
FIGLI? NO, GRAZIE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .58
di Maura Misiti
5.1. I nostri dati
Appendice
A - La strategia di campionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .63
di Loredana Cerbara
B - Tutti i numeri: percentuali e questionario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .69
Riassunto / Summary / Résumé . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .76
Capitolo I
L’OSSERVATORIO SULLE ASPETTATIVE DI FECONDITA’
di Adele Menniti e Rossella Palomba
Non c’è domanda più difficile per coloro che studiano i fenomeni di popolazione di
quella che spesso si pone chi osserva le recenti tendenze demografiche del nostro
Paese: - Perché la fecondità italiana è così bassa?- L’imbarazzo dei demografi di fronte
a questo quesito apparentemente semplice risiede da un lato nel fatto che non c’è una
risposta che possa in modo chiaro, sintetico e univoco spiegare le ragioni della nostra
limitata natalità e dall’altro nella debolezza intrinseca delle varie teorie, che si sono
succedute per spiegare le cause del calo della fecondità - non solo quello italiano ma in
generale di tutti i paesi sviluppati - nessuna delle quali è adeguata a dare una interpretazione completa e coerente delle tendenze in atto.
Il comportamento riproduttivo di una popolazione dipende, infatti, da tanti fattori
legati tra loro da relazioni non tutte chiare ed esplicite. Ecco perché molte volte interventi politici in campo socioeconomico hanno contraccolpi inaspettati in termini di
fecondità o al contrario interventi mirati a influenzare il comportamento riproduttivo di
una popolazione o a facilitare il compito dei genitori di crescere i figli, pur essendo giusti e condivisibili a livello di equità e di giustizia sociale, tuttavia non raggiungono l’effetto voluto in termini strettamente demografici. Il demografo americano Norman
Ryder oltre 40 anni fa scriveva “Non c’è evento più significativo nella storia personale
di ciascuno di quello di avere un figlio così come allo stesso tempo non c’è comportamento più cruciale per una società di quello di avere una adeguata fecondità” (Ryder,
1959, p. 400)1 . Questa frase mette in luce il duplice significato - individuale e sociale,
micro e macro - della fecondità e fa capire che i figli, mettere su famiglia, avere intenzione di fare un altro figlio sono tutti aspetti di un processo decisionale complesso, in
cui rientrano situazioni di vita personali, norme che regolano la società ed anche condizioni del contesto in cui si prende la decisione di diventare genitori, che non possono
essere analizzati separatamente, ma solo attraverso le loro reciproche relazioni.
In tempi relativamente recenti, la procreazione sembra diventata oggetto di vere e
proprie strategie individuali e di coppia. Soprattutto la contraccezione ha reso possibile
scegliere tra avere o non avere figli, decidere il numero dei figli che si vogliono e determinare il calendario delle nascite ottimale per le proprie condizioni di vita. Inoltre, l'appartenenza ad una specifica generazione di nascita produce un diverso ventaglio di scelte di vita, anche in campo riproduttivo. Nascere in un momento storico piuttosto che in
1
N.B. Ryder (1959), “Fertility”, in P.M. Hauser, and O.D. Duncan, eds, The study of Population,
Chicago University Press, Chicago.
6 Adele Menniti e Rossella Palomba
un altro determina, infatti, la crescita in un contesto sociale e culturale completamente
diverso, che segna le nostre aspirazioni, i nostri obiettivi di vita, le nostre strategie.
Ecco che allora la riduzione della fecondità ha riguardato in modo diverso le generazioni di donne dal dopoguerra ad oggi ed è il risultato non solo di nuovi valori dati alla
paternità e maternità, ma anche di diverse scelte delle donne e delle coppie nel campo,
ad esempio, dell'attività lavorativa femminile.
Non a caso, infatti, le teorie dominanti sui cambiamenti della fecondità dei paesi
occidentali considerano l’aumento dell’istruzione femminile e della partecipazione
delle donne al mercato del lavoro due dei principali determinanti del calo delle nascite.
Questi due fattori si sono tradotti in un generale ritardo dell’inizio della vita matrimoniale e riproduttiva, facilmente osservabile attraverso dati demografici come l’età al
matrimonio e alla nascita dei figli.
Il posponimento della maternità potrebbe avere carattere di permanenza, dando vita
ad un nuovo modello riproduttivo e familiare che si tramanderà alle generazioni future
oppure potrebbe essere contingente e recedere naturalmente. Probabilmente, nella
situazione italiana si può ipotizzare che i “guadagni” in termini di istruzione femminile
siano decrescenti e che il periodo di crescita rapida in questo campo sia alle nostre spalle. Si potrebbe perciò pensare di avere già sperimentato gran parte delle implicazioni
negative in termini di fecondità dell’aumento dell’età alla maternità e che, in futuro, si
prospetti un arresto nel posponimento della procreazione. Ma, mentre questa ipotesi è
convincente per l’istruzione femminile, lo è molto meno per la partecipazione al lavoro
delle donne, perché non c’è dubbio che i tassi di attività femminile siano ancora molto
più bassi di quelli maschili e che le maggiori esigenze delle famiglie in termini di
benessere e di livello medio di vita richiedono sempre di più il contributo economico
della donna al bilancio familiare. Dunque, non sembrerebbe possibile un ritorno nel
medio e breve termine ai modelli familiari e procreativi precedenti, con un anticipo dei
tempi di formazione della famiglia rispetto ai livelli attuali. In sostanza, le donne italiane e le coppie preferiscono aspettare prima di avere figli di aver finito gli studi, di avere
maggiori sicurezze economiche, di avere una casa e un lavoro avviato e questa sequenza di tempi di vita non sembra destinata a modificarsi.
L'esistenza di norme sociali che prescrivono il comportamento riproduttivo è un altro
aspetto importante da tenere in considerazione per valutare l’andamento futuro della
fecondità. E' stato osservato in precedenti ricerche che la decisione di avere un primo
figlio risponde a pressioni biologiche, psicologiche e sociali tanto forti che abbiamo
ben poche possibilità di scegliere se avere o no un primo figlio. Infatti, le donne italiane, che pure presentano valori bassissimi di fecondità, continuano nella grandissima
maggioranza dei casi ad avere almeno un figlio, tanto che la riduzione della fecondità
italiana non è dovuta fino ad oggi ad un aumento delle coppie senza figli come avvenuto in altri Paesi, ma ad una diminuzione molto forte dei terzi figli e dei figli di ordine
superiore al terzo e ad una diminuzione di secondi figli. I figli unici sono invece in
aumento e sono passati dal 17% per la generazione di donne nate nel 1940 al circa 25%
per le donne della metà degli anni ‘50. Nel centro-nord del Paese la tendenza al figlio
unico è molto più accentuata che nel Mezzogiorno dove si calcola - per la generazione
L’osservatorio sulle aspettative di fecondità
7
femminile del 1957 - una quota di donne con un solo figlio dell’11%.
Se le grandi scelte di vita hanno riguardato più da vicino le donne, i loro effetti
hanno prodotto a livello macro cambiamenti sociali e demografici rilevanti - ne sono un
esempio le alterazioni nella struttura per età della popolazione dovute alla denatalità -,
mentre a livello micro si sono moltiplicate le decisioni e azioni quotidiane necessarie
per organizzare la famiglia, che richiede sempre di più pianificazioni attente per ottimizzare la gestione della vita quotidiana.
In questo contesto l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione ha deciso di avviare un
Osservatorio sulle intenzioni riproduttive2 che, raccogliendo annualmente le decisioni
procreative delle donne italiane e verificandone le modifiche nel tempo, possa costituire
una base interpretativa del calo della natalità, diventare uno strumento per prevedere
l’andamento della fecondità nel breve termine e fornire un supporto scientifico ad interventi politici nel settore. Si tratta di un campo di ricerca relativamente nuovo nel panorama degli studi di popolazione del nostro paese, che avvia un sistema di monitoraggio
sul fronte delle aspettative e attese della fecondità italiana.
1.1. Il cuore dell’Osservatorio: le intenzioni riproduttive
Questo rapporto descrive i primi risultati dell’Osservatorio sulle intenzioni riproduttive dell'Istituto di Ricerche sulla Popolazione. La necessità di costituire questo
Osservatorio risiede, oltre che nella necessità di colmare un vuoto conoscitivo a livello
scientifico, anche nella rilevanza politica e sociale che hanno assunto tendenze demografiche nel campo della fecondità. Basti pensare al recente dibattito tenutosi sui principali giornali italiani in merito alla diminuzione delle nascite, alle sue conseguenze e
alle sue motivazioni per capire che era oramai necessario un processo sistematico di
raccolta dei dati relativi alle intenzioni in campo procreativo. Uno degli obiettivi
dell’Osservatorio è perciò di tipo previsivo e consiste nel raccogliere le intenzioni
riproduttive delle donne italiane e di verificarne l’avvenuta realizzazione nel tempo.
Infatti, ogni anno l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione reintervisterà3 una parte delle
donne oggetto di studio per analizzare se effettivamente le aspettative di fecondità si
siano realizzate nei tempi ipotizzati e, se no, perché.
Un secondo obiettivo altrettanto rilevante è quello di studiare le caratteristiche del
modello riproduttivo del nostro paese e della decisione di avere figli, inclusa l’analisi
del contesto in cui le nascite si verificano e la scansione temporale attesa. Solo dispo2
Nella prima inchiesta del 1998 il questionario era strutturato in maniera da avere due distinti percorsi
per le donne nubili e per quelle che vivevano in coppia. Per facilitare i confronti negli studi successivi
con l’inchiesta del 2000 – più ricca della precedente nei contenuti – si è adottato un modello di rilevazione comune a tutte le intervistate, limitandosi a diversificare le domande tra nubili e non nubili solo
in pochissimi casi.
3
A partire dalla prossima inchiesta verrà utilizzato un campione parzialmente ruotato, cioè verrà intervistato, insieme ad un gruppo di donne oggetto di studio per la prima volta, parte del campione già
contattato nella indagine di due anni prima. Con questo metodo di campionamento si valuterà la stabilità delle intenzioni riproduttive, la loro coerenza con i comportamenti e in definitiva l’attendibilità
delle aspettative di fecondità.
8 Adele Menniti e Rossella Palomba
nendo di un monitoraggio continuo, come quello ottenuto attraverso l’Osservatorio
dell’IRP, sarà possibile capire cosa impedisca alle coppie che lo desiderano di avere
uno od un altro figlio e quali sono le condizioni che portano le coppie a decidere di
avere un figlio, tutte informazioni preziose sia per gli studiosi di popolazione che per i
decisori politici.
In genere i demografi che vogliono prevedere le future nascite basano le loro previsioni sull’analisi delle tendenze della fecondità passata e le tre varianti che vengono
proposte sono sostanzialmente quelle di una continuazione del livello attuale di fecondità, di un suo leggero aumento o una sua diminuzione, formulate di solito sulla base di
personali supposizioni.
Accanto a questo procedimento, consolidato nella nostra disciplina, si sta recentemente sviluppando un diverso approccio, che basa le ipotesi dell’andamento futuro
della fecondità sulle “intenzioni riproduttive”, espresse da coppie o da donne in età
feconda, raccolte tramite indagini campionarie4 . Anche se in letteratura non mancano
casi in cui vengono intervistati gli uomini, i quesiti sulle aspettative di fecondità vengono generalmente rivolti alle sole donne in età riproduttiva, poiché si ritiene che siano
buone portavoce dalle intenzioni del partner e che le loro intenzioni rispecchino le decisioni di coppia5 .
La formulazione dei quesiti da inserire nella indagine diventa un aspetto determinante per la buona riuscita dell’esercizio previsivo basato sulle intenzioni riproduttive.
Infatti, esistono almeno tre possibilità per stimare queste decisioni, ognuna delle quali
porta a risultati diversi, perché approssima uno specifico aspetto del comportamento
procreativo: il numero “ideale” di figli, il numero “desiderato” di figli e il numero di
figli che si intende avere in futuro.
Con il numero ideale di figli si valuta la dimensione familiare normativa per una
data popolazione, cioè quella accettata socialmente e considerata “giusta e normale”
per la società in cui si vive. Parliamo in questo caso di ideali riproduttivi indotti dal
contesto sociale, che possono anche discostarsi dai desideri individuali. Infatti, risultati di ricerche condotte in passato dimostrano che il numero ideale di figli sovrastima –
a volte anche di molto - quello reale. Indagini condotte negli anni ‘80 in alcuni paesi
europei indicavano che il numero di figli ideale variava fra 2 e 2,5, un valore dunque
superiore alla fecondità effettiva di quel periodo, mentre nella seconda indagine italiana sulla fecondità il numero ideale di figli era pari a 2,38, di nuovo ben al di sopra di
quello effettivo6.
4
Su questi aspetti cfr. G.E. Hendershot, P.J. Placek (1981), Predicting fertility, Lexington, MA,
Lexington Books; W. van Hoorn, N. Keilman (1997), Birth Expectation and their Use in Fertility
Forecasting, Eurostatat Working Paper; M.P. Sorvillo, M. Marsili (1999), “Aspettative di fecondità”,
in P. De Sandre, A. Pinnelli e A. Santini (a cura di), Nuzialità e fecondità in trasformazione: percorsi,
e fattori di cambiamento, Bologna, Il Mulino: 667-682; L. Ciucci (1999), “Potenzialità predittive delle
aspettative di fecondità”, in P.De Sandre et al., cit. 683-702.
5
Per una panoramica dei risultati di ricerche su questo tema si veda E. Thomson, E. McDonald, L.L.
Bumpass (1990), Fertility Desires: Hers, His, Theirs, Demography, vol. 27, n. 4, 579-588; E. Thomson
(1997), Couple Chilbearing desires, Intentions, and Births, Demography, vol. 34, n. 3, 343-354.
6
M.P. Sorvillo, M. Marsili, cit.
L’osservatorio sulle aspettative di fecondità
9
Il numero di figli desiderato, invece, dà indicazioni sulle aspettative di fecondità individuali, passando così dal contesto normativo generale a quello personale, anche se non
è detto che i desiderata degli intervistati si traducano in effettivi comportamenti.
Inoltre, va notato che attraverso il numero ideale e desiderato di figli stiamo sempre
sovrastimando la fecondità reale. Gli eventi che possono intervenire nel corso del
tempo hanno, infatti, più frequentemente un effetto limitativo che espansivo sulla
fecondità, pur non potendo escludersi casi di nascite superiori a quanto effettivamente
desiderate, rendendo così questi due indicatori due misure “al rialzo” dei comportamenti reali degli italiani. Ciò premesso, poiché nell’Osservatorio siamo interessati ad
analizzare i modelli procreativi della popolazione italiana, ci è sembrato importante
disporre di informazioni anche sulla dimensione familiare desiderata. Abbiamo perciò
incluso nella nostra indagine una domanda sul “numero complessivo di figli che le
intervistate vogliono avere”. In questo modo possiamo stimare gli obiettivi riproduttivi
a lungo termine degli italiani, il traguardo che intendono raggiungere nel corso della
loro vita dal punto di vista del numero di figli.
Infine, come terza possibilità, con quesiti relativi alle intenzioni riproduttive circoscritte in un ambito di tempo definito possiamo ottenere una più attenta valutazione da
parte degli intervistati del proprio progetto procreativo e, scegliendo un intervallo di
tempo delimitato e breve - che non oltrepassi i 5 anni – aumentare i margini di affidabilità. Nel nostro Osservatorio abbiamo chiesto perciò l’intenzione di avere figli nei prossimi due anni, un arco di tempo così breve che implica una scelta molto prossima a realizzarsi ed una decisione già programmata. Va anche sottolineato che, mentre con i due
precedenti approcci (numero ideale e numero desiderato di figli) l’ipotesi di fondo prevede che la decisione sul numero di figli da avere si prenda una volta per tutte, con l’intenzione a breve termine di avere figli questa decisione è relativa ad una nascita alla
volta e la dimensione familiare finale diventa oggetto di una riconsiderazione continua,
sulla base di quanto succede sia all’interno della coppia, che in seguito a cambiamenti
esterni, a modificazioni della situazione economica, della condizione lavorativa, a problemi connessi ai figli che già si hanno.
1.2. Una sintesi dei principali risultati
Questo Rapporto presenta i principali risultati emersi dall’inchiesta: qui di seguito ne
riportiamo una sintesi e un quadro delle caratteristiche del campione. Tutti i dati utilizzati sono quindi di fonte IRP, con l’eccezione di quelli del capitolo II, che fa il punto
sui principali fattori demografici che hanno determinato il calo delle nascite in Italia. Al
Rapporto è anche accluso un capitolo sulle strategie di campionamento e il questionario
di indagine con le relative frequenze.
Famiglia e figli
Le donne italiane mostrano una apertura superiore al prevedibile verso le coppie non
sposate con figli e un atteggiamento molto negativo verso chi si sposa e decide di non
10 Adele Menniti e Rossella Palomba
averne. Si riafferma così la centralità dei figli rispetto alle scelte coniugali e di coppia a
livello di ideali. Inoltre, la tendenza ad avere figli ad età avanzata viene in generale
rifiutata dalle nostre intervistate ed è possibile intravedere la possibilità di un inversione
di tendenza per il futuro, che dovrebbe essere sostenuta da iniziative politiche.
I figli nascono in genere quando desiderati anche se la capacità progettuale delle
donne si indebolisce nel caso dei figli di terzo, e successivo, ordine. Infatti, le nascite
dei terzogeniti sono spesso impreviste e non programmate e questa considerazione fa
ritenere improbabile, almeno in un prossimo futuro, la rinascita di un modello di famiglia che comprenda più di due figli.
Le intenzioni di avere figli
Circa un quarto delle nostre intervistate esprime l’intenzione di avere un figlio nei
prossimi due anni. Per le donne coniugate si nota comunque un andamento decrescente
dell’intenzione di avere figli rispetto alla durata del matrimonio: le intenzioni riproduttive sono, infatti, più elevate tra chi si è sposata da poco rispetto a chi invece è già sposata da tempo. Questo elemento va ovviamente collegato con il numero di figli già
avuti, che produce un effetto analogo sulle intenzione di avere figli. Infatti, il 40% delle
donne sposate da poco e il 45% di quelle che non hanno figli esprime l’intenzione di
averne nei prossimi due anni; queste percentuali si riducono drasticamente con il passare del tempo e quanto più alto è il numero di figli avuti. Tra chi è già mamma l’intenzione di avere un altro figlio è nettamente più alta per chi ha un figlio al di sotto dei tre
anni (23% vogliono un altro figlio) che non tra quelle con figli adolescenti (10%).
Infine, più del 60% delle donne ha dichiarato che i loro partner volevano avere un
figlio nei prossimi due anni, un quarto ha dichiarato il contrario e il 10% non ha saputo
esprimersi a riguardo. In ogni caso, si nota che nelle coppie senza figli e con un solo
figlio sono molto frequenti i casi in cui all’intenzione di avere un figlio da parte della
donna corrisponde una analoga intenzione da parte del partner (82% e 73%) mentre
l’accordo si riduce sensibilmente (è inferiore al 30%) quando si esaminano le coppie
con due figli.
Non voglio figli perché…
Un po’ più del 60% delle intervistate ha dichiarato di non volere figli nei prossimi
due anni. Invitate ad esplicitare le ragioni di questa loro scelta le intervistate hanno
indicato un ventaglio ampio di motivazioni. Notiamo che c’è una sostanziale equidistribuzione tra motivazioni di tipo esterno alla coppia come le ragioni di natura economica
(18%) o lavorativa (17%), motivazioni relative alla propria situazione personale (17%)
e ai figli che già si hanno (17%) e motivazioni relative alla coppia come il disaccordo
con il partner sulla decisione di avere figli o la mancanza del partner stesso (14%).
Esistono motivazioni diverse in base al numero di figli avuti. Le donne senza figli che
decidono di non averne indicano motivazioni essenzialmente personali, di coppia o
relative al proprio lavoro, mentre la transizione tra uno e due figli è soprattutto bloccata
L’osservatorio sulle aspettative di fecondità
11
da motivi economici che si fanno sentire ancora più fortemente nella decisione di non
avere un terzo o quarto figlio.
Sono pochissime, il 2,5%, le donne che hanno deciso di rimanere senza figli. Le
ragioni di questa scelta fanno pensare ad una decisione indipendente dai vincoli strutturali (lavoro, reddito, abitazione): ad affermazioni che negano il ruolo centrale della
famiglia e del matrimonio, delle soddisfazioni emotive e psicologiche legate all'avere
figli, si affiancano quelle che fanno emergere l'importanza di uno stile di vita "adulto" e
sul desiderio di continuare a sperimentare la libertà che ne consegue. Il profilo medio
delle donne che hanno risposto di non volere figli è quello di persone età tra i 36 e i 40
anni, senza una relazione di coppia, che vivono sole, di istruzione media superiore,
occupate, residenti nel Nord ovest, in città medio grandi. Una significativa presenza di
divorziate, studentesse e dirigenti ed una sotto-rappresentazione di casalinghe sono altri
tratti emergenti dalle caratteristiche strutturali del gruppo.
Se le intenzioni si realizzassero
Il tasso atteso di fecondità per la fine del 2000, se le intenzioni espresse dalle donne
italiane si realizzassero, sarebbe di 1,19 figli per donna. Questo valore, molto vicino
all’attuale, fa ipotizzare un arresto del calo della fecondità. Questo è in linea con quanto ci si aspetta dagli ultimi dati ISTAT e ci incoraggia a proseguire in questo tentativo di
previsione a brevissimo termine nei prossimi anni.
12
Biglietto da visita dell’indagine
Data:
Numero di interviste:
Campione:
Tipo di campione:
Le intervistate:
gennaio 2000
1560
Donne tra i 20 e i 40 anni
proporzionale alla popolazione
e rappresentativo delle
• donne in coppia e non
• tre aree geografiche
Età
Condizione
Ripartizione
Numero di figli
Stato civile
20-25 anni
26-30 anni
31-35 anni
36-40 anni
Occupate
Casalinghe
Altro
347
339
360
514
822
441
297
Nord
Centro
Sud
670
311
579
Nessuno
Uno
Due
Tre o più
711
315
409
124
Sposata/convivente
Non in coppia
898
662
Le interviste sono state condotte da ATESIA S.p.a.
Capitolo II
DONNE E FIGLI NELL’ITALIA DI FINE SECOLO
di Giuseppe Gesano
2.1. Finalità e limiti del capitolo
Una diminuzione tanto forte e prolungata nel numero di nati annui in Italia da dimezzarne quasi l’ammontare nel corso di un quarto di secolo doveva necessariamente
imporsi nell’agenda degli studi di popolazione e successivamente, nel tentativo di comprenderne le cause e di studiarne le conseguenze, diffondersi in una più ampia sfera di
studi sulla società, nei suoi diversi aspetti di organizzazione sociale e famigliare,
modelli culturali, scelte macro e microeconomiche, ecc..
Non si ha certo qui la pretesa di ripercorrere le tante vie intraprese in quei tentativi
né, tantomeno, di allargare il discorso al di là di un’analisi puramente demografica ed
in gran parte solo descrittiva di quanto è avvenuto e di che cosa, tra le diverse determinanti demografiche del fenomeno, lo ha accompagnato fino ad ora. Anche in questo
campo più limitato, però, vi sono numerosi studiosi che si sono interessati a fondo del
problema, in parte utilizzando gli stessi dati presi a base per le elaborazioni qui presentate1, in parte lavorando su altre serie storiche2, in parte utilizzando i risultati delle due
indagini sulla fecondità in Italia, quella del 1979 e quella del 1995-963. Questo capitolo
potrebbe dunque sembrare superfluo se non avessimo ritenuto opportuno inquadrare nel
1
In particolare: A. Santini (1997) e M.P. Sorvillo (1997) entrambi nel sottocitato volume dell’Istat. I
dati che verranno utilizzati nelle successive analisi sono quelli resi disponibili dall’Istat fin a partire da
una prima ricostruzione pubblicata nel 1982, (Misure della fecondità italiana negli ultimi trenta anni,
Collana d’informazioni, Anno VI n. 5, Roma, Istat), poi rivista e diffusa anche sotto forma di database
nel 1997 (La fecondità nelle regioni italiane. Analisi per coorti. Anni 1952-1993, Informazioni n. 35,
Roma, Istat) e successivamente estesa a livello provinciale ed aggiornata con i fascicoli Indicatori
provinciali di fecondità.
2
Ci si riferisce in particolare al fondamentale lavoro di M. Livi Bacci (1980) Donna, fecondità e figli.
Due secoli di storia demografica italiana, Bologna, Il Mulino, traduzione di N. Bacci del volume A
History of Italian Fertility during the Last Two Centuries, Priceton University Press, 1977, che
abbraccia due secoli di storia demografica italiana. La sua analisi si arresta però agli inizi del grande
calo della fine del XX secolo.
3
Entrambe le indagini sono state dirette da P. De Sandre e si sono avvalse della collaborazione di
gruppi di lavoro composti da esperti di varie università ed enti di ricerca. I risultati della prima indagine si trovano in due volumi a cura di P. De Sandre (1982), Indagine sulla fecondità in Italia –
Rapporto generale, Firenze-Roma, Università degli Studi di Padova, ed in una serie di Rapporti
monografici; quelli della seconda sono stati anticipati in un volume di P. De Sandre, F. Ongaro, R.
Rettaroli, S. Salvini (1997), Matrimonio e figli: tra rinvio e rinuncia, Bologna, Il Mulino, e di recente
raccolti in un tomo a cura di P. De Sandre. A. Pinnelli e A. Santini (1999), Nuzialità e fecondità in
trasformazione: percorsi e fattori del cambiamento, Bologna, Il Mulino.
14 Giuseppe Gesano
contesto della realtà storica del fenomeno l’iniziativa di istituire presso l’IRP un
Osservatorio della fecondità in Italia basato su un’indagine circa le intenzioni riproduttive a breve delle donne italiane.
L’analisi dei cambiamenti della fecondità e dei comportamenti riproduttivi richiede
infatti alcuni tecnicismi che non sempre sono di facile intuizione da parte del largo pubblico: lo stesso iperusato indice che i demografi chiamano tasso di fecondità totale (in
sigla TFT) e che viene espresso in numero medio di figli per donna non è di immediata
accettazione né di approfondita comprensione di ciò che davvero significa nelle sue due
accezioni correnti, per contemporanee e per generazioni. Inoltre, è importante far comprendere come nel meccanismo della riproduzione di una popolazione vi siano elementi
largamente prevedibili perché in primo luogo derivano dalla sua storia demografica
inscritta nell’ammontare e nella struttura delle donne che via via si presentano in età
feconda.
La finalità di questo capitolo è dunque duplice: a) cercare di rendere evidenti anche
ad un pubblico non esperto le evoluzioni intervenute nel fenomeno e nei fattori di
popolazione che lo accompagnano; b) tentare di prevedere l’evoluzione di tutti quegli
elementi che si presentano più fondatamente prevedibili. Per questi scopi verrà utilizzato un semplice modello di ripartizione degli effetti delle diverse componenti demografiche del fenomeno che, per le componenti più solidamente prevedibili, permette anche
qualche accenno sui possibili andamenti futuri4.
Per quanto debbano essere riportati alla dimensione collettiva di una popolazione, i
comportamenti riproduttivi in una popolazione moderna come quella italiana della
seconda parte del novecento sono in larga parte il frutto di scelte e di condizionamenti a
livello micro, e cioè pertinenti agli individui, alle coppie ed alle reti famigliari e sociali
nelle quali quegli individui si trovano immersi. Per questo motivo vi sono sostanziali
differenze di comportamento a seconda delle caratteristiche individuali e famigliari dei
potenziali genitori, come anche dell’ambiente che li circonda e ne limita le scelte.
Sarebbe dunque necessario poter condurre tutte le analisi tenendo conto dei sottogruppi
che si potrebbero creare a seconda, ad esempio, del livello di istruzione, della condizione lavorativa, del contesto abitativo, ecc.. La serie storica disponibile con la necessaria
4
Il modello elementare qui utilizzato fa derivare il numero di nati vivi in un anno (NVt) dalla somma dei
prodotti tra l’ammontare delle donne in età x (Dx,t) e la corrispondente fecondità specifica Fx,t , la
quale esprime appunto l’intensità con cui le donne di età x hanno procreato nell’anno t: NVt = Σ NVx,t =
Σ Dx,t × Fx,t, dove: Fx,t = NVx,t ÷ Dx,t. Ponendo poi D16-45 = Σ Dx,t e TFT = Σ Fx,t si può scrivere
Dx,t = dx,t × D16-45 e Fx,t = fx,t × TFT; per cui, raccolti i termini in comune, si esprime NVt = D16-45
× TFT × Σ dx,t × fx,t, rispettivamente nei termini dell’ammontare complessivo delle donne in età feconda (D16-45), del tasso di fecondità totale (TFT), della distribuzione per età delle donne in età feconda
(dx,t) e della distribuzione dei processi riproduttivi per età delle madri (fx,t). Facendo variare ad una ad
una le diverse componenti (numero di donne in età feconda, tasso di fecondità totale, struttura delle
donne in età feconda, cadenza della fecondità) per assumere il/i valore/i relativo/i ad un altro anno τ, se
ne possono misurare gli effetti sul numero annuo di nascite per confronto con il numero registrato nell’anno base t. Va tenuto presente che così facendo si genera anche un contributo residuo dovuto al
variare simultaneo dei diversi fattori; in questa applicazione tale residuo si mantiene sempre nell’ordine
di poche centinaia di nascite in più o in meno passando da un anno al successivo. Il modello verrà esteso più avanti introducendovi anche gli effetti della fecondità specifica per ordine di nascita.
Donne e figli nell’Italia di fine secolo
15
analiticità non permette che il confronto tra ripartizioni e tra regioni, sintesi media di
comportamenti probabilmente assai più differenziati all’interno delle loro popolazioni
di quanto non lo siano tra i diversi ambiti territoriali. Nonostante questo limite (e quello
inderogabile di non estendere troppo una trattazione che qui è solo strumentale) si
accennerà ad alcuni dati ripartizionali e regionali5, in quanto una delle componenti di
maggiore rilievo sia nell’evoluzione passata che nel futuro della riproduttività della
popolazione italiana sta nello spostamento del baricentro di residenza delle madri
potenziali nella direzione delle regioni del Sud, le quali conservano per il momento una
fecondità che, pur in calo, resta più elevata rispetto alle regioni del Centro e del Nord6.
2.2. I numeri a confronto
Da qualche anno a questa parte il numero di nascite in Italia si è stabilizzato tra le
530 e le 540 mila all’anno7. Trentacinque anni fa erano poco meno del doppio, quando
toccarono una punta massima di 1,035 milioni nel 19648. Se però si osserva l’andamento di lungo periodo (Grafico 2.1) appare chiaro come quel massimo sia stato raggiunto
al culmine di un periodo di boom riproduttivo durato una quindicina d’anni ed iniziato
a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, per poi concludersi nei primi anni
settanta; prima e dopo di quel periodo il numero annuo di nascite si attestava tra 850 e
900 mila. Si era giunti a questi livelli attraverso una riduzione di fondo iniziata dopo il
1910 (in quell’anno fu toccato il massimo assoluto di nascite con 1,179 milioni9 ), con
un andamento però continuamente interrotto dalle crisi coincidenti con i due conflitti
mondiali, dalle riprese che normalmente seguono le crisi e recuperano in parte la riproduttività rinviata a causa degli eventi bellici, dalla limitata ripresa successiva alla campagna demografica del regime fascista alla fine degli anni trenta e da altre oscillazioni
episodiche.
In definitiva, nella seconda metà del secolo un vero calo delle nascite è in realtà
cominciato solo a partire dal 1975, in fisiologica connessione con la prima crisi petroli5
Correttamente A. Santini (1995), Continuità e discontinuità nel comportamento riproduttivo delle
donne italiane nel dopoguerra: tendenze generali della fecondità delle coorti nelle ripartizioni tra il
1952 e il 1991, Firenze, Dipartimento Statistico, Working Paper n. 53) sostiene che vi sono almeno
due modelli di fecondità in Italia e due sentieri della sua riduzione. Dato il carattere nazionale dell’indagine IRP sulle aspettative di fecondità a breve e per non appesantire troppo questa parte ci si limita
però qui ad un’analisi condotta prevalentemente a livello nazionale.
6
Un altro elemento che diventa sempre più importante, ma che qui è assolutamente incontrollabile
deriva dalla crescente quota di nati in Italia da donne immigrate.
7
Il dato del 1999, relativamente alla popolazione residente, è di poco più di 537 mila.
8
Nonostante che i confronti più significativi siano quelli con il 1964, per molte elaborazioni verrà utilizzata la serie completa dei dati disponibili sulla fecondità regionale, che parte dal 1952. Va precisato
che i dati si riferiscono ai nati vivi della popolazione residente, ai quali vengono applicate le distribuzioni per parità e per età della madre rilevate per i nati vivi dalla corrispondente popolazione presente
(cfr. M.P. Sorvillo (1997), “Note metodologiche” in Istat, La fecondità nelle regioni italiane, cit.).
9
La stima è fatta a confini 1961 e quindi è comparabile con i dati attuali (cfr. F. Giusti (1965),
“Bilanci demografici della popolazione italiana dal 1861 al 1961”, in Istat, Sviluppo della popolazione
italiana dal 1861 al 1961, Annali di statistica, Serie VIII, vol. 17, Roma, Istat).
16 Giuseppe Gesano
fera, ed è proseguito sensibile ed inarrestato fino al 1987. Le oscillazioni che lo hanno
seguito appaiono di scarsa entità (tra 555 e 581 mila nati) fino al 1992, ma sono state
seguite da una nuova riduzione che ha portato il numero annuo di nati vivi al livello
attuale sopra ricordato dopo aver toccato un minimo di 526 mila nel 1995.
Dal punto di vista del sistema demografico le nascite si possono considerare come il
prodotto dei comportamenti riproduttivi messi in atto da una popolazione in un dato
periodo. Per semplicità e disponibilità di dati statistici tradizionalmente più affidabili è
utile individuare questa popolazione nel complesso delle donne che per fisiologia,
norme di legge e costumi sociali hanno un’età compatibile con la gravidanza10. In Italia,
nella seconda metà del secolo quest’arco di età si può fissare tra i 16 ed i 45 anni,
essendo di fatto trascurabile il numero di nati da donne di età inferiore o superiore a
questi limiti11.
L’ammontare delle donne in età feconda nel corso del secolo è andato aumentando
quasi continuamente arrivando a più di una volta e mezzo il numero iniziale.
Nell’ultima metà del secolo, però, la crescita si è ridotta nei ritmi e si è passati da poco
meno di 11 milioni dei primi anni cinquanta al massimo di poco superiore ai 12,5
milioni toccato intorno al 1993. Da allora è iniziato un lento calo che porta a stimarle
oggi in meno di 12,2 milioni. Nel confronto con il parallelo andamento del numero di
nati, al di là degli andamenti di fondo nettamente contrapposti si nota un’interessante
corrispondenza del boom di natalità degli anni sessanta con la congiuntura che, tra il
1960 ed il 1972, a causa del gioco delle generazioni entranti ed uscenti dall’età feconda
ha fatto prima aumentare di mezzo milione e poi diminuire di 200 mila il numero di
donne in quell’età.
Il contributo che il numero di donne in età feconda hanno dato all’andamento del
numero di nascite annue fino ai primi anni novanta è quindi generalmente positivo, ma
di scarsa entità (Grafico 2.2). Da allora si cominciano a scontare le progressive riduzioni dovute alla scarsità dei rincalzi delle nuove generazioni, riduzioni che sono previste
proseguire nel nuovo secolo. In ogni caso, l’effetto a breve di questa sola componente
si misura in qualche migliaio di nascite in meno di anno in anno. Al boom di nascite
degli anni sessanta ha sicuramente contribuito l’aumento del numero di donne in età
feconda dovuto all’ingresso delle ampie generazioni nate negli ultimi anni trenta, ma
anche in questo caso l’apporto è stato limitato a qualche migliaio di nati in più.
A causa della diversità della loro storia demografica pregressa e recente nelle riparti10
Studi sulla fecondità riferita agli uomini sono estremamente rari (cfr. L. Francovich (1999),
“Comportamenti maschili e fecondità”, in P. De Sandre et al., cit.: 521-535). Nonostante le oggettive e
crescenti difficoltà, sarebbero però estremamente utili oggi quando si hanno numerosi indizi che parte
del calo di fecondità potrebbe essere dovuto ad una diminuita capacità riproduttiva maschile, d’origine
fisiologica o comportamentale.
11
Nel 1995, ultimo dato ufficialmente disponibile, sono nati 33 bambini da ragazze in età inferiore ai
16 anni e 219 da donne di 46 e più anni, per un totale pari allo 0,05% del totale delle nascite della
popolazione presente. Questa percentuale era dello 0,2% nel 1964. Va inoltre ricordato che i nati da
donne delle quali per vari motivi è ignota l’età (pari allo 0,4% nel 1964 ed allo 0,3% nel 1995) vengono opportunamente ridistribuiti dall’Istat per età prima di effettuare il calcolo dei tassi specifici di
fecondità.
Donne e figli nell’Italia di fine secolo
17
zioni geografiche e nelle regioni l’andamento non è stato del tutto concorde12. Negli
anni sessanta e settanta le forti migrazioni dal Sud avevano trasferito gran parte della
crescita del numero di madri potenziali dalle regioni meridionali a quelle del Nord e del
Centro. Dalla prima crisi petrolifera in poi quel potenziale ha teso invece a rimanere
nelle regioni di nascita, mentre al Nord il rincalzo delle nuove generazioni di donne già
a partire dagli anni ottanta ha cominciato a risultare appena sufficiente a mantenere
quasi invariato il numero di donne in età feconda. A partire dal 1995 il loro numero è
invece concordemente in calo in tutte le tre ripartizioni.
2.3. La composizione per età delle madri potenziali
Sia le probabilità fisiologiche di concepimento, sia le condizioni oggettive ad esso
favorevoli (ad esempio, avere o non avere rapporti sessuali), sia le scelte riproduttive ed
i conseguenti comportamenti variano sensibilmente in funzione dell’età della donna
all’interno dell’arco di età feconda. Il rapporto tra il numero di nati vivi in un anno da
donne di una certa età ed il numero totale di donne che in quell’anno si trovavano in
quell’età sintetizza il risultato dell’insieme degli elementi sopra ricordati e, comparato
con le altre età13, raffigura l’intensità di riproduzione attuata lungo l’arco della vita
riproduttiva (Grafico 2.3). Come si vede, nei comportamenti demografici recenti la vita
riproduttiva della donna italiana si concentra per più della metà nel più ristretto arco di
età che va dai 25 ai 34 anni; la concentrazione in queste età, anzi, raggiunge oggi quasi
i due terzi. Ai fini del contributo alle nascite dell’anno risulta pertanto rilevante quale
sia la quota di donne presenti in questa classe di età rispetto al totale delle donne in età
feconda. Nei primi anni sessanta circa un terzo di loro si trovava nelle età a più elevata
fecondità, mentre ora sono più del 37 per cento. L’andamento non è stato però monotòno (Grafico 2.4), avendo tale quota toccato un minimo a metà degli anni ottanta per poi
risalire sotto la spinta dell’ingresso delle generazioni di donne nate nel baby boom nella
classe di età 25-29 anni, dove si concentra la fecondità delle primipare.
Gli effetti della struttura per età delle madri potenziali risultano anch’essi di limitata
entità e finora sono stati generalmente positivi se si escludono gli anni sessanta, caratterizzati dalla presenza delle ampie generazioni della fine degli anni trenta nelle età iniziali del periodo fecondo, lì dove la fecondità specifica è però ancora bassa. Tuttavia, a
partire dal 1993 il contributo della struttura è in progressivo calo e ci si attende che
diventi negativo con i primi anni del nuovo secolo, così come in parallelo dovrebbe
diminuire la percentuale di donne in età compresa tra i 25 ed i 34 anni.
Livelli ed andamenti di questa percentuale nelle diverse ripartizioni italiane trovano
12
Per non appesantire eccessivamente il capitolo il materiale statistico relativo alle ripartizioni ed alle
regioni è stato quasi sempre omesso. Naturalmente è disponibile su richiesta degli interessati.
13
La comparazione può avvenire sia per generazione, cioè seguendo i comportamenti effettivi di una
coorte di donne nate nello stesso anno, sia per contemporanee, cioè accostando i comportamenti riproduttivi che le donne delle diverse età, appartenenti alle diverse generazioni, hanno espresso in uno
stesso anno. Qui, per il momento si segue questa seconda impostazione.
18 Giuseppe Gesano
il Sud quasi sempre su quote più basse, oggi più che nel passato, a causa dei ritardi che
lì si sono registrati nella riduzione della dimensione delle generazioni di donne, le quali
nelle regioni meridionali ancora affollano la classe di età tra i 15 ed i 24 anni.
I fattori demografici legati al numero complessivo di donne in età feconda ed alla
loro struttura interna per età hanno dunque rappresentato entrambi un elemento favorevole, se pur non di grande momento, nel complesso dei fattori che governano il numero
delle nascite. Se, per fare solo un esempio, i comportamenti riproduttivi del 1964 fossero stati adottati dalle donne del 1996 avremmo avuto in quest’anno quasi 1,2 milioni di
nati, cioè non solo più del doppio di quanto in realtà è avvenuto, ma anche 150 mila in
più rispetto all’anno – il 1964, appunto – in cui dopo la seconda guerra mondiale fu
massimo il numero di nascite in Italia. Nel confronto tra i due anni quest’ultimo dato
misura il contributo sul numero di nascite annue dovuto ai fattori demografici congiunti
che differenziano le donne in età feconda nel numero e nella loro distribuzione interna
per età. In particolare, l’aumento del numero di donne in età feconda avrebbe comportato un aumento di circa 113 mila nascite; la modifica della loro composizione interna
per età di circa 34 mila.
La buona prevedibilità dei fattori demografici ci permette anche di valutare gli effetti
degli andamenti del numero e della composizione delle donne in età feconda nei prossimi anni quando si suppongano costanti i comportamenti riproduttivi registrati nel
199614. Nei primi cinque anni del 2000 il contributo di entrambe le componenti demografiche sarà negativo e, complessivamente, passerà da poco più di 5 mila a poco meno
di 12 mila nascite in meno ogni anno. La componente di maggiore rilievo tenderà a
diventare quella strutturale, a causa del progressivo invecchiamento dell’insieme delle
madri potenziali.
2.4. Un accenno agli effetti della composizione per stato civile
Nel nostro paese il fenomeno delle nascite avviene ancora per la stragrande maggioranza all’interno di coppie legalmente costituite: nel 1995 le nascite naturali, cioè fuori
del matrimonio, sono state infatti nel complesso 42.644, pari all’8,1% del totale; tale
quota era del 2,0% nel 196415. Pertanto, una componente di rilievo nell’ammontare del
numero di nati potrebbe derivare dalla quota di donne coniugate sul complesso delle
donne in età feconda e dalla distribuzione di questa quota lungo le età dell’intervallo
fecondo. Di fatto, nel periodo che va dal 1964 ai giorni nostri vi è stato un forte calo
della nuzialità (nel 1996 la nuzialità in Italia è stata del 4,9 per mille, mentre nel 1964
era dell’8,0 per mille) ed un sensibile rinvio dei matrimoni ad età più elevate (l’età
media degli sposi italiani al primo matrimonio è stata nel 1996 di 29,9 anni per gli
uomini e di 27,1 per le donne; nel 1964 gli analoghi dati erano 28,1 e 24,5). I dati qui
14
Un aggiornamento induttivo sui dati stimati per il 1999 non modificherebbe i risultati in maniera
sensibile.
15
Ben diversi sono i livelli nella maggior parte dei paesi europei, con alcuni nei quali tale quota si
avvicina o supera addirittura il 50% delle nascite.
Donne e figli nell’Italia di fine secolo
19
allo studio non consentono però di analizzare compiutamente queste componenti perché il loro effetto risulta incorporato all’interno dei comportamenti riproduttivi, nei
livelli e soprattutto nel calendario della fecondità.
Per il gioco congiunto della struttura per età e delle quote specifiche di coniugate la
quota complessiva sul totale delle donne in età feconda si è sì ridotta, ma è passata da
meno del 60 per cento dei primi anni sessanta al 56 per cento del 1996, dopo aver toccato un massimo del 65 per cento negli anni settanta. Un’idea delle variazioni intervenute nelle quote di coniugate ad alcune età si può trarre dal Grafico 2.5, che mette bene
in evidenza il progressivo ritardo nel raggiungere la massima quota di coniugate, ma
anche la sostanziale costanza nel tempo di tale massimo, superiore all’85 per cento,
segno di un’ancora indiscussa affezione all’istituto matrimonial16.
Con grande approssimazione e lavorando sulle sole nascite legittime da coniugate di
età compresa tra i 16 ed i 45 anni, attraverso un modello più complesso ma impostato
sulla falsariga di quello illustrato in nota 4 è possibile stimare l’effetto delle diverse
componenti nel passaggio dal 1964 al 1995 (ultimo anno per il quale sono per ora
disponibili i dati), passaggio che ha visto più che dimezzarsi il numero di nati vivi legittimi, da 993 mila a 479 mila. Sia il numero delle donne in età tra 16 e 45 anni, coniugate e non, sia la loro distribuzione per età sono gli unici fattori positivi che nel passaggio
avrebbero portato ad un incremento delle nascite, rispettivamente per 49 mila e per 19
mila (Grafico 2.6). La variazione intervenuta nella presenza complessiva di coniugati
lungo tutto l’arco dell’età considerate avrebbe condotto ad una diminuzione di 34 mila
nel numero di nati vivi legittimi; la variazione dell’intensità complessiva della fecondità
legittima ad una riduzione di ben 245 mila; gli effetti distributivi per età della quota di
coniugate si misurano in una riduzione di 84 mila, e quelli relativi alla fecondità legittima specifica per età sono pari a 142 mila. In definitiva, tralasciando i fattori misti residui (che in questo esercizio risultano però rilevanti: –77 mila) si può stimare che la
diminuzione ed il ritardo dei matrimoni abbiano influito per circa 120 mila nascite
legittime in meno, i comportamenti riproduttivi delle coniugate per quasi 390 mila, sempre in meno, mentre il numero e la struttura delle donne hanno debolmente contrastato
la tendenza al ribasso con un fattore che vale circa 70 mila nascite in più.
2.5. Intensità e calendario
I fattori portanti del calo registrato nel numero di nascite in Italia nell’ultimo quarto
di secolo stanno dunque praticamente tutti nei comportamenti riproduttivi.
La complessità di tali comportamenti, il cui andamento per età abbiamo visto raffigurato per contemporanei nel Grafico 2.3, viene di solito sintetizzato in un indicatore di
livello ed in un indicatore di distribuzione per età del fenomeno, altrimenti detto calendario o cadenza della fecondità. Nell’ottica per contemporanee il primo ci fornisce il
4
Ciò non nega la possibilità che le generazioni ora più giovani che per i ritardi di cui abbiamo accennato ancora non hanno contratto matrimonio possano in crescente misura rinunciare a sposarsi scegliendo o la soluzione della vita da single, o quella della coppia non legalizzata. È evidente come l’alternativa possa comportare importanti conseguenze sulle scelte e sui comportamenti riproduttivi.
20 Giuseppe Gesano
numero finale di figli che una donna avrebbe in media alla fine della sua vita riproduttiva se lungo questa si comportasse come si stanno comportando le donne che vivono
nelle varie età in un dato anno17; il secondo viene calcolato come l’età media delle
madri alla nascita dei figli nati in quell’anno, seguendone non la distribuzione effettiva,
ma le tavole di fecondità calcolate eliminando il peso differenziale dei diversi gruppi di
età delle donne18. Va ricordato che le due misure non sono tra loro indipendenti: infatti,
in entrambe le ottiche, per contemporanee o per generazioni, la variazione delle quote
dei diversi ordini di nascita incidono sia sull’età media alla maternità, sia sul numero
finale di figli per donna; d’altra parte, nell’ottica per contemporanee, l’indicatore di
livello risente degli anticipi e dei ritardi messi in atto dalle varie generazioni nel loro
percorso riproduttivo, così come, ovviamente, ne risente quello di calendario19.
L’andamento di lungo periodo del numero medio di figli per donna calcolato sulle
contemporanee (Grafico 2.7) ripercorre molto da vicino il già visto andamento del
numero di nati vivi negli anni che vanno dal 1952 al 1996, ultimo anno disponibile per i
calcoli della fecondità (Grafico 2.1). Ciò conferma la stretta dipendenza20 dell’andamento del numero delle nascite dalle scelte e dai comportamenti adottati in relazione ai
processi riproduttivi, ma denuncia anche il limite esplicativo dell’indice utilizzato, in
quanto assai sensibile alle componenti congiunturali del fenomeno. I relativi contributi
alla variazione da un anno all’altro del numero di nati vivi si misurano in decine di
migliaia, risultando particolarmente importanti in positivo nel boom della fine degli
anni cinquanta e dei primi anni sessanta, in negativo nel calo che immediatamente lo
seguì, ed in quelli della seconda metà degli anni settanta, a metà degli anni ottanta e nei
17
Si tratta del già ricordato tasso di fecondità totale (TFT) o numero medio di figli per donna.
Nell’accezione ricordata nel testo si tratta di una misura fittizia, in quanto una donna si muove attraverso i tassi specifici di fecondità lungo gli anni che vive assieme alla sua generazione di appartenenza
e non lungo le età delle contemporanee. Ognuna di queste contemporanee o, in un’ottica collettiva,
ogni generazione alla quale esse appartengono si porta appresso la propria storia riproduttiva che, a
sua volta, concorre a determinarne i comportamenti attuali e futuri. Una volta che una generazione
abbia completato il proprio periodo fecondo si potrà allora calcolare correttamente il numero finale di
figli messi al mondo in media da una donna che vi appartenga; anche in questo caso, però, si tratta di
un valore teorico che astrae rispetto agli effetti sulla generazione dovuti a morte o migrazioni.
18
Anche per l’età media alla maternità (EMM) vi sono problemi analoghi come per il TFT nel passaggio dalla impostazione corretta per generazione a quella fittizia per contemporanee. Inoltre, se calcolata sul totale dei nati, l’età media alla maternità rappresenta la media delle EMM ai vari ordini di nascita ponderate con le relative quote rispetto al totale dei nati.
19
Vale la pena entrare un po’ più nello specifico di quest’ultimo problema per chi non fosse esperto
dei due tipi di analisi e dei tranelli insiti in esse. Nel caso, del resto molto attuale, in cui le generazioni
più giovani avessero dei comportamenti riproduttivi impostati al rinvio, in una lettura per contemporanei i tassi di fecondità nelle corrispondenti età giovani ne risulterebbero ribassati, producendo un
abbassamento del TFT ed un innalzamento dell’EMM; il contrario avverrebbe in caso di massiccio
anticipo della fecondità delle coorti, come in parte avvenne nel corso del boom riproduttivo dei primi
anni sessanta. La mancanza di indipendenza tra le due misure limita pertanto anche la correttezza dell’individuazione, attraverso il modello illustrato in nota 4, dei rispettivi contributi alla variazione
annua del numero di nati.
20
Il coefficiente di correlazione tra le serie storiche 1952-1996 dei nati vivi e del tasso di fecondità
totale (tutti gli ordini di nascita) si attesta per l’Italia sul valore di 0,997.
Donne e figli nell’Italia di fine secolo
21
primi anni novanta. I dati più recenti testimoniano la fase di stallo che, nella media del
paese, sta vivendo la nostra fecondità, ed il dato del 1996 mostra un inizio di ripresa
che sarà bene verificare nelle sue componenti ed articolazioni territoriali.
Di fatto, se una lieve ripresa c’è, essa si colloca nelle regioni settentrionali, che già
hanno toccato limiti di bassa fecondità assolutamente da record. Il Lazio e le regioni
meridionali, invece, ancora proseguono nei processi di riduzione, per cui è in atto una
convergenza verso valori centrali, prossimi all’attuale media nazionale.
L’età media alla maternità riferita al complesso delle nascite ha seguito un percorso
ben preciso dagli anni cinquanta ad oggi (Grafico 2.8), dapprima nel senso di un progressivo e quasi continuo “ringiovanimento” delle madri, poi, a partire dalla fine degli
anni settanta, di un loro “invecchiamento” altrettanto continuo, ma più rapido ed indirizzato verso valori non raggiunti in precedenza nel corso del periodo storico sotto controllo. Un tale andamento richiede una spiegazione che si richiama a quanto accennato in
nota 18 circa il fatto che questo indice deriva dalla composizione delle età medie per
ordine di nascita ponderate con la rispettiva quota tra i nati dell’anno o – ciò che non è
molto diverso – dalla fecondità complessiva delle contemporanee. Così, l’età media alla
maternità è andata calando negli anni del boom per l’effetto degli anticipi riproduttivi di
quegli anni, ma poi è proseguita per il progressivo ridursi delle nascite di ordine più elevato. Quando queste si sono praticamente stabilizzate su livelli minimi, sull’età media
alla maternità è venuto a ricadere tutto il processo di rinvio della fecondità adottato dalle
generazioni di donne che sono entrate in età feconda già a partire dagli anni settanta. La
conseguenza finale è che oggi l’età media alla maternità ha raggiunto i trenta anni.
I risultati di questa dinamica del calendario delle nascite in termini di aumenti o
diminuzioni del numero di nati vivi da un anno all’altro risultano ovviamente meno
regolari e si misurano in poche migliaia. Ad un primo periodo di contributi positivi corrispondente al periodo del boom demografico è seguito un periodo di circa quindici
anni durante il quale i contributi relativi hanno oscillato attorno allo zero. Dalla fine
degli anni settanta, in corrispondenza all’inizio del progressivo invecchiamento, i contributi si sono fatti negativi fino a toccare un massimo nel 1988, per poi ridursi su valori
che attualmente sono minimi.
A livello territoriale, le differenze non appaiono molto marcate e gli andamenti si
presentano simili. Tuttavia, le regioni del Sud toccano il minimo nell’età media alla
maternità più tardi di quelle del Nord e del Centro ed il successivo “invecchiamento” è
meno rapido e consistente. Sta di fatto che esse si trovano ancora in una fase di importante riduzione della fecondità d’ordine elevato, il che frena gli effetti del rinvio dell’inizio della procreazione sull’età media alla maternità complessiva; quel rinvio dispiega
invece tutti i suoi effetti nelle regioni del Nord e del Centro.
2.6. Una questione di ordine
Nei primi anni cinquanta poco più di un terzo dei nati vivi era costituito da primogeniti, poco più di un quarto da secondogeniti, circa un sesto da terzogeniti e un quarto da
nati di ordine superiore al terzo. Alla fine degli anni novanta i primogeniti sono più
22 Giuseppe Gesano
della metà dei nati, i secondogeniti sono arrivati ad essere un po’ più di un terzo, i terzogeniti si sono ridotti ad un decimo ed i nati di ordine superiore sono invece solo circa
il 3 per cento.
La riduzione della fecondità in Italia nel corso degli ultimi cinquant’anni, pur interessando tutti gli ordini di nascita, ha corrisposto in massima parte alla rinuncia ai figli
di ordine più elevato (Grafico 2.9). La misura della fecondità corrispondente ai nati di
ordine superiore al terzo si è ridotta, tra il 1952 ed il 1996, di quasi il 93 per cento; per
gli altri ordini di nascita, che hanno trovato tutti il massimo nel 1964 ed il minimo nel
1995, la riduzione è di circa il 70 per cento per il terz’ordine, del 47 per secondo e del
41 per i primogeniti. La riduzione è stata dunque pressoché parallela per i primi due
ordini di nascita, molto più intensa a partire dai terzogeniti in poi.
Di fatto, se si specifica per ordine il modello descritto in nota 4, il contributo alla
riduzione nel numero di nati vivi intervenuta tra il 1964 ed il 1996 si misura in –274
mila attribuibile alla riduzione della fecondità relativa agli ordini superiori al secondo,
in –157 mila relativa ai primogeniti e in –140 mila relativa ai secondogeniti. In definitiva, mentre il rapporto tra la fecondità del primo e del secondo ordine non si è modificato in misura sensibile nel corso dei quasi cinquant’anni sotto osservazione, quello tra il
secondo ed il terzo ordine si è più che dimezzato, e tra il terzo e gli ordini successivi si
è ridotto a livelli incomparabili con quelli di partenza.
Le differenze territoriali nei livelli di fecondità e nella loro composizione per ordine
di nascita emergono con chiarezza dal Grafico 2.10. In poco più di vent’anni la fecondità si è ovunque pressoché dimezzata, leggermente di meno al Nord, un po’ di più al
Sud, ma non nelle due regioni, Campania e Sicilia qui prese ad esempio, dove la fecondità delle primipare non copre ancora, come altrove, più della metà della fecondità
complessiva al 1996 e dove il calo della fecondità negli ordini più elevati, per quanto
notevole, non ha ridotto la quota di fecondità dal terzogenito in poi molto al di sotto del
20 per cento.
Altrettanto importanti sono state le modifiche nel calendario della fecondità per ordine di nascita, confermando così che le variazioni sopra viste nell’età media alla maternità sul complesso dei nati sono sì dipese dalla riduzione della quota degli ordini superiori, ma che vi è stato anche un andamento concorde che ha prima anticipato e poi, a
partire grosso modo dalla seconda metà degli anni settanta, gravemente ritardato tutto il
processo riproduttivo (Grafico 2.11). Oggi, nella media del Paese, il primo figlio nasce
quando la madre ha da poco superato i 28 anni, e l’eventuale secondo quando essa ha
superato i 31. Solo vent’anni fa questi stessi eventi avvenivano con ben tre anni di anticipo. Così come gli anticipi verificatisi fino alla metà degli anni settanta avevano però
portato contributi minimi alla variazione del numero di nascite anche i successivi ritardi
si traducono in poche migliaia di nati in meno, sempre che queste dilazioni, nell’ottica
delle generazioni siano effettivamente rinvii e non le premesse di una definitiva rinuncia ad avere figli.
Le differenze territoriali dell’età media alla nascita del primogenito e la loro dinamica tra il 1974 ed il 1996 sono illustrate nel Grafico 2.12. Ne emerge la convergenza e la
parificazione dei comportamenti nelle regioni del Nord e del Centro, mentre quelle del
Donne e figli nell’Italia di fine secolo
23
Sud presentano un calendario anticipato di un paio d’anni. Anche in queste regioni, tuttavia, si manifesta in maniera netta il processo di progressivo ritardo (+1,5-2,5 anni tra
il 1974 ed il 1996; nelle regioni del Nord e in quelle del Centro quel ritardo si misura in
3-4 anni).
2.7. Rinvio o rinuncia?
Prendiamo in prestito dal titolo del volume sui primi dati della seconda indagine
sulla fecondità in Italia21 questa espressione che sintetizza l’alternativa che vivono le
coppie, ovvero le donne italiane, di fronte alle scelte offerte da una fecondità ormai largamente controllabile e, insieme a ciò, che ben descrive il dilemma che gli studiosi provano davanti ad indicatori non sufficientemente conclusivi rispetto alla definitività di
quelle scelte.
L’ottica, in questo caso, non può svilupparsi che per generazioni, l’unica prospettiva
che, grazie al cumulo delle esperienze pregresse, permetta di verificare in quale proporzione le donne appartenenti alle varie coorti si trovino distribuite lungo l’albero delle
scelte riproduttive. Questa ottica, però, permette risultati definitivi solo quando una
generazione sia ormai prossima alla conclusione del ciclo riproduttivo, dal momento
che quelle più giovani, che peraltro sono le più interessanti per apprezzare l’attualità
dei fenomeni, potrebbero appunto avere adottato una strategia di rinvio di una scelta
che, alla verifica dei dati disponibili al momento, potrebbe invece apparire come una
rinuncia definitiva.
L’alternativa di fondo, quella che si presenta come una scelta di campo, si pone tra
l’avere e il non avere figli, cioè passare da nessuno ad un figlio. Tale scelta, una volta
superati i 40 anni si può considerare definitiva, almeno per i “grandi numeri”. Per quelle generazioni di donne che avevano già compiuto questa età prima del 1996 la quota di
prive di figli si mantiene piuttosto bassa, inferiore al 15 per cento, se pure in crescita
rispetto al minimo toccato dalla generazione nata nel 1946 con il 9,5 per cento (Grafico
2.13). Si tratta tuttavia di generazioni di donne che, nate fino al 1957, nel loro complesso non hanno vissuto tutte le trasformazioni di ruolo e di mentalità intervenute a modificare la vita e le relative scelte delle donne italiane. Già quelle che riusciamo a cogliere
al trentacinquesimo compleanno manifestano dinamiche più nette: quasi una donna su
quattro di quelle nate nei primi anni sessanta a 35 anni non aveva ancora avuto il suo
primo figlio, mentre solo il 15 per cento delle donne nate dieci anni prima non aveva
sperimentato la maternità a quella stessa età. Quante di queste donne che hanno protratto così a lungo la decisione di diventare madri saranno nelle condizioni fisiologiche,
famigliari e di atteggiamento mentale per potere e voler recuperare questo che in teoria
potrebbe essere ancora solo un rinvio?
Notevolissimi si presentano poi gli aumenti delle quote di donne senza figli rispettivamente al trentesimo ed al venticinquesimo compleanno: ormai quasi la metà per le
prime, più dell’80 per cento le seconde, quando le generazioni che le hanno precedute
21
Cfr. De Sandre et al. (1997), cit..
24 Giuseppe Gesano
di solo una ventina d’anni agli stessi compleanni stavano rispettivamente sotto il 20 e
sotto il 50 per cento. A queste età può trattarsi ancora largamente di rinvii, ma se così
fosse quale ulteriore “invecchiamento” delle primipare dobbiamo aspettarci?
Per quanto vi siano forti indizi e forse anche qualche risultato difficilmente reversibile, in tal senso mancano per ora gli elementi certi e definitivi per asserire che, come
avvenuto in altri paesi, si vada ampliando anche in Italia la quota di donne o di coppie
che scelgono di rimanere senza figli. La riduzione della fecondità, che ha riguardato
soprattutto gli ordini di nascita più elevati, potrebbe però aver diffuso il modello di
figlio unico. In effetti, la quota di donne che, arrivate al quarantesimo compleanno, avevano avuto un solo figlio è aumentata, nella media nazionale, fino ad interessare un
quarto della generazione di appartenenza (Grafico 2.14). Le generazioni successive,
dalle quali ci si potrebbe aspettare un recupero tardivo di una fecondità ancora inespressa, cioè ancora senza figli, potrebbero poi scegliere, ovvero essere costrette a fermarsi a
quella soglia, per cui il modello sembra essere effettivamente in via di diffusione.
Alla luce di queste analisi, nelle generazioni che a ragione si può ritenere abbiano
pressoché completato il loro ciclo riproduttivo emerge con chiarezza la prevalenza e la
sostanziale tenuta del modello dei due figli per donna (Grafico 2.15). Circa due donne
su cinque arrivate al quarantesimo compleanno si sono trovate in questa condizione.
Nel passato ed in alcuni contesti territoriali ciò può in parte aver rappresentato solo una
fase di passaggio in un processo riproduttivo proiettato verso modelli di figliolanza più
ampi o incontrollati22. Più di recente, alla luce di quanto si vedrà subito dopo è invece
probabile che le donne, le coppie si siano fermate volontariamente su questo modello.
Anche qui gli andamenti nettamente decrescenti relativi alle età ed alle generazioni più
giovani inducono a chiedersi se il modello alla lunga terrà sia per la diffusione di
modelli riproduttivi più ridotti, sia per la riduzione in durata e lo spostamento in età
meno fertili dell'arco di vita feconda in cui attuare il modello dei due figli23.
Ciò che invece con certezza si può affermare, ora anche alla luce di più corrette analisi per generazione, è la drastica ed inarrestata riduzione dei modelli di figliolanza
numerosa, fossero questi un tempo dovuti all'incapacità di controllo della fecondità o a
reali scelte riproduttive. Al limite del quarantesimo compleanno (che peraltro anche in
questo caso presenta risultati abbastanza definitivi) la quota di donne che avevano avuto
tre o più figli si è ridotta da più di un terzo nelle generazioni nate appena prima della
seconda guerra mondiale a meno di un quinto in quelle nate a fine anni cinquanta, con
un andamento in declino che non sembra affatto arrestarsi nelle generazioni successive
colte a compleanni precedenti (Grafico 2.16).
22
Per la verità, dai controlli possibili al successivo quarantacinquesimo compleanno risulta stabile la
quota raggiunta al quarantesimo compleanno in tutte le generazioni controllabili sui dati a disposizione. Ciò però non nega la possibilità che le donne che a 40 anni avevano già messo al mondo il secondo figlio abbiano poi proseguito nella loro attività riproduttiva, mentre quelle che ancora ne erano al di
sotto abbiano compensato la quota delle donne con solo due figli recuperando nell'intervallo tra i 40
ed i 45 anni.
23
Si vedrà come i dati dell'indagine IRP confermino che questo modello è idealmente il preferito dalle
donne italiane.
Donne e figli nell’Italia di fine secolo
25
In definitiva, dall’insieme dei cambiamenti di comportamento attuati dalle generazioni che si può ragionevolmente ritenere abbiano già completato i propri progetti riproduttivi emerge la tenuta del modello dei due figli, un certo aumento della quota di
donne senza figli e, in ovvia contrapposizione, la netta diminuzione delle figliolanze
numerose (di tre o più figli) e l’aumento del modello del figlio unico. Per le generazioni
più vicine a noi ma che hanno già superato il quarantesimo compleanno si nota tuttavia
una stabilizzazione della quota di donne con un solo figlio ed un inizio di declino del
modello a due figli, per cui l’inarrestato calo delle figliolanze più ampie si è tradotto in
un più deciso aumento della quota di donne del tutto prive di figli. Un andamento analogo è intuibile anche nelle generazioni successive, colte a compleanni precedenti,
anche se per esse nulla può essere detto di definitivo in base ai dati fin qui disponibili a
causa degli eventuali, ma in certi casi scarsamente probabili recuperi tardivi.
Il quadro differenziato per territorio dei comportamenti e delle loro dinamiche si presenta molto interessante (Tabella 2.1). La convergenza tra le regioni della quota di
donne prive di figli al quarantesimo compleanno intorno ad un valore compreso tra l’11
ed il 15 per cento deriva da un aumento in quelle del Nord (specie in Emilia e Liguria),
in Toscana e nel Lazio e da una diminuzione nelle regioni del Sud (specie in Puglia,
Campania e Sicilia). Non deve sorprendere la quota abbastanza elevata di donne senza
figli nelle generazioni del passato di queste regioni, vigendo in esse una sorta di comportamento malthusiano selettivo che escludeva dal matrimonio e dalla riproduzione
una parte delle figlie di una famiglia24.
Altrettanto simili tra le regioni e convergenti anche più rapidamente si dimostrano le
quote relative al modello di due soli figli, che prevale ovunque tranne che in Emilia,
Liguria e Toscana, dove è superato dal modello del figlio unico. Al Centro e al Nord si
presenta però come un ulteriore rafforzamento di una scelta affermatasi già da tempo
(in Emilia, Liguria, Toscana e Friuli vi è addirittura un lieve regresso tra la generazione
di donne nate nel 1937 e quella del 1957); nelle regioni del Sud come un arretramento
dei comportamenti riproduttivi più ampi.
Le diversità tra le regioni si mantengono invece forti nel modello a figlio unico e si
accentuano in quello a tre o più figli. Quest'ultimo comportamento riproduttivo rimane
importante nelle regioni del Sud, dove ancora un terzo e più delle donne della generazione nata nel 1957 al quarantesimo compleanno si trovava in questa condizione (fanno
eccezione Abruzzo-Molise e Sardegna); va tuttavia considerato che nelle generazioni
nate solo vent'anni prima tale quota superava o era prossima alla metà delle donne.
Sotto questo aspetto il Centro-Nord si differenziava nel passato secondo una geografia
24
La quota di nubilato definitivo (percentuale di nubili all’età di 50 anni in una generazione di donne)
è stimabile per il complesso dell’Italia in circa il 15 per cento fino alla generazione nata nel 1923, per
poi diminuire progressivamente a meno del 10 per cento nelle generazioni nate immediatamente prima
della guerra (cfr. Livi Bacci 1980, cit., p. 129). Oltre alle strategie famigliari e patrimoniali, anche le
forti migrazioni maschili possono in parte aver alterato gli equilibri del “mercato matrimoniale” in
molte plaghe del Sud. Un’interpretazione in parte diversa della trascorsa infecondità “secondaria”
delle regioni del Sud viene data da F. Bonarini, M. Castiglioni e A. Rosina (1999), “Infecondità, sterilità e tempi di attesa del concepimento”, in P. De Sandre et al., cit.: 447-765.
26 Giuseppe Gesano
ben nota ai demografi, che però non rispetta le tradizionali divisioni geografiche del
paese in ripartizioni e, in qualche caso, nemmeno in regioni: il Trentino-Alto Adige con
le sue contrapposizioni di gruppi etnici, il Veneto della cultura cattolica ed il Lazio,
interessato da consistenti immigrazioni dal Sud, avevano livelli superiori ad un terzo di
quarantenni con tre o più figli nella generazione del 1937, ma in vent'anni hanno recuperato sotto questo aspetto quasi del tutto il divario con le regioni a più bassa fecondità.
Altrettanto importanti sono le diversità di livelli e di percorsi per quanto riguarda il
modello del figlio unico. Quelle stesse regioni del Nord e del Centro in testa al processo di riduzione della fecondità, già nella generazione nata nel 1937 presentavano quote
rilevanti, prossime ad un terzo, di quarantenni che avevano messo al mondo un solo
figlio. Il modello si è poi diffuso fino ad interessare più di 4 donne su 10, ma la sua diffusione ha interessato anche i prolifici Trentino e Veneto, ormai su livelli del 30 per
cento, mentre nel Lazio la quota è sì aumentata, ma coinvolge ancora solo un quarto
delle quarantenni nate nel 1957. Infine, nelle regioni del Sud il modello stenta ancora
ad affermarsi, interessando poco più di 1 donna su 10 (Abruzzo-Molise e Sardegna
esclusi, perché su valori più elevati), quota pressoché simile a quella delle donne del
tutto prive di figli.
2.8. Uno sguardo alle dinamiche più recenti
I dati relativi al 1996, messi a disposizione solo di recente, indicano che qualcosa sta
cambiando nella fecondità in Italia o, per lo meno, in alcune sue regioni. È presto per
dire se si tratta di una vera inversione di tendenza o non piuttosto di un’oscillazione
positiva di breve termine, come fu quella del 1988, ma il tasso di fecondità totale del
paese è tornato al di sopra di 1,2 figli per donna ed in tutte le tre ripartizioni sono
aumentate le fecondità relative sia al primo che al secondo figlio. Proseguono nel calo
del TFT le Marche, il Molise, la Puglia, la Basilicata e la Sardegna, ma a ritmo più
ridotto; le altre regioni sono in ripresa, alcune da uno, altre da due anni, ed in certe la
ripresa coinvolge anche la fecondità di terzo ordine. Prosegue però anche il rinvio dell’inizio della procreazione: solo in Lombardia l’età media delle madri alla nascita del
loro primogenito arretra di un decimo di anno. Vi è dunque da ritenere che l’aumento
registrato nella fecondità abbia a base un effettivo cambiamento nei livelli e non sia
unicamente dovuto a variazioni del calendario che possano avere influito sul TFT.
Tramite il consueto modello possiamo misurare, sempre con le dovute cautele, il
contributo che le varie componenti hanno dato alla variazione del numero di nati in
Italia, ancora negativa tra il 1994 ed il 1995 (–6.300 circa) e positiva tra il 1995 ed il
1996 (+12.000) (Figura 2.17). Il cambio di segno è in pratica dovuto integralmente
all’aumento dell’intensità nelle fecondità di tutti gli ordini di nascita, ma particolarmente in quella del secondo ordine. La componente relativa alla struttura delle donne in
età feconda è stata positiva, ma decrescente rispetto all’anno precedente, mentre è cresciuto il freno esercitato dal numero delle madri potenziali. La variazione del calendario della fecondità contribuisce in maniera minima e, ripartito per ordine di nascita,
diventa positivo per i primogeniti.
Donne e figli nell’Italia di fine secolo
27
Sembra dunque potersi concludere che nel 1996 qualcosa è effettivamente cambiato
nelle tendenze dei comportamenti riproduttivi in almeno parte dell’Italia. Il fatto che
nei due anni successivi, per i quali si dispone solo del dato aggregato dei nati vivi25,
questo numero non sia variato che di poco dovrebbe garantire che ci troviamo in una
fase di livellamento, con le regioni meno feconde che sono in debole ripresa e quelle
più feconde che rallentano il passo della loro progressiva riduzione. Il ridursi poi –
come abbiamo visto sopra – delle componenti collegate al numero ed alla struttura
delle donne in età feconda dovrebbe garantire che la sostanziale costanza del numero di
nati vivi ha soprattutto un’origine comportamentale.
Tutti questi fenomeni sono però continuamente sottoposti alle dinamiche congiunturali dell’economia, dello stato sociale, della politica. In una fase di questo genere è pertanto estremamente utile poter disporre di uno strumento di indagine che fornisca indicazioni circa i comportamenti a breve termine. È quanto l’IRP ha fatto istituendo
l’Osservatorio sulla fecondità ed organizzando nel suo àmbito le indagini annuali sulle
intenzioni riproduttive.
25
Forse non è abbastanza noto che ciò non è dovuto solo al consueto ritardo nella messa a disposizione
da parte dell’Istat dei relativi dati validati, ma che, in base all’applicazione di una norma di semplificazione degli iter amministrativi e di salvaguardia della privacy a partire dal maggio 1997 non sono
più disponibili i dati di base per la distribuzione dei nati sulle caratteristiche relative alla madre ed al
parto necessarie per lo studio sistematico e completo del fenomeno. L’Istat sta ponendovi parziale
rimedio attraverso un’indagine campionaria sulle nascite.
28 Giuseppe Gesano
Tabella 2.1. Numero medio di figli per donna e distribuzione delle donne per numero di figli
avuti fino al quarantesimo compleanno, nelle regioni italiane: generazioni di donne
nate nel 1937 e nel 1957
Regioni
Numero figli
per donna
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Trentino - Alto Adige
Veneto
Friuli - Venezia Giulia
Liguria
Emilia - Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo e Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
ITALIA
Percentuale di donne con
1 solo figlio
2 soli figli
0 figli
3 o più figli
1937
1957
1937
1957
1937
1957
1937
1957
1937
1957
1,7
1,8
1,9
2,3
2,2
1,8
1,6
1,8
1,8
1,8
1,9
2,2
2,1
2,8
2,8
2,7
2,8
2,6
2,7
2,2
1,5
1,5
1,5
1,7
1,6
1,4
1,3
1,4
1,5
1,6
1,6
1,7
1,9
2,2
2,1
2,0
2,1
2,1
1,8
1,7
14
19
13
15
14
16
14
10
9
11
14
8
21
16
17
20
22
15
22
14
14
12
14
15
15
17
18
16
11
10
13
12
11
11
12
18
18
11
20
13
30
21
23
16
13
21
31
31
31
22
16
16
9
7
4
4
4
9
9
17
35
36
32
27
29
36
40
42
41
29
26
24
17
12
11
9
7
11
16
25
37
38
39
29
36
40
39
40
42
45
43
42
35
23
25
21
20
28
18
35
41
41
42
39
43
39
35
35
40
52
50
49
54
40
45
41
37
46
41
42
19
22
26
40
36
24
16
19
19
22
27
34
36
54
55
55
55
48
52
35
10
11
12
18
12
8
7
8
8
9
12
15
19
37
33
32
37
33
23
19
Fonte: elaborazioni su dati Istat
1200
13
1100
12
11
900
10
800
9
700
600
Nati vivi
Donne 16-45 aa.
500
8
7
1900
1905
1910
1915
1920
1925
1930
1935
1940
1945
1950
1955
1960
1965
1970
1975
1980
1985
1990
1995
2000
Nati vivi (migliaia)
1000
N.B.: fino al 1952, stime in base a ricostruzioni dai censimenti tratte da Istat, 1965
Donne 16-45 aa. (milioni)
Grafico 2.1. Numero di nati vivi e di donne in età feconda (16-45 anni): Italia,
1901-1999, confini attuali
Donne e figli nell’Italia di fine secolo
Grafico 2.2. Andamento del numero donne in età feconda (16-45 anni) e suo contributo
al numero annuo di nascite: Italia, 1953-2005 (andamento in numeri indice a base mobile;
contributo in numero di nascite annue in più o meno rispetto all'anno precedente)
N. I. D16-45
Contributo
20000
103,0
Donne 16-45 eff.
Donne 16-45 prev.
Contributo eff.
Contributo prev.
102,5
102,0
15000
10000
101,5
101,0
5000
100,5
0
100,0
99,5
-5000
99,0
2005
2001
1997
1993
1989
1985
1981
1977
1973
1969
1965
1961
1957
-10000
1953
98,5
Grafico 2.3. Tassi specifci di fecondità per età: Italia, contemporanee, alcuni anni
200 ‰
1984
1996
1964
1974
150
100
50
0
16
20
25
30
35
40
45
Età (anni)
29
30 Giuseppe Gesano
Grafico 2.4. Andamento della struttura per età delle donne in età feconda e suo contributo
al numero annuo di nascite: Italia, 1953-2005 (% donne in età 25-34 anni sul totale donne
in età feconda; contributo in numero di nascite annue in più o meno rispetto all'anno precedente)
% donne 25-35 aa.
38
Contributo
% D25-34
Contributo
% D25-34 prev.
Contributo prev.
10000
Grafico 2.5. Quota di coniugate, ad alcune età: Italia, alcuni anni
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100 %
80
60
40
20
0
25
1971
30
35
1981
40
1991
45
1996
2005
2001
1997
-20000
1993
32
1989
-15000
1985
33
1981
-10000
1977
34
1973
-5000
1969
35
1965
0
1961
36
1957
5000
1953
37
Donne e figli nell’Italia di fine secolo
31
Grafico 2.6. Componenti della variazione di nati vivi legittimi tra il 1964 ed il 1995: Italia
(donne in età 16-45 anni; migliaia di nati vivi legittimi in più o in meno)
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-250
-200
-150
-100
-50
50
0
Numero donne
Struttura donne
Quota coniugate
Struttura quota coniugate
Livello fecondità legittima
Struttura fecondità legittima
Residuo
Grafico 2.7. Andamento del tasso di fecondità totale e suo contributo al numero annuo di nascite:
Italia, contemporanee, 1953-1996 (TFT in numero medio di figli per donna; contributo
in numero di nascite annue in più o meno rispetto all'anno precedente)
2,8
Contributo
Figli per donna
2,6
60000
TFT
Contributo TFT
2,4
40000
20000
2,2
2,0
0
1,8
-20000
1,6
1,4
-40000
1,2
1,0
1995
1992
1989
1986
1983
1980
1977
1974
1971
1968
1965
1962
1959
1956
1953
-60000
32 Giuseppe Gesano
Grafico 2.8. Andamento dell'età media alla maternita e contributo della struttura della fecondità
al numero annuo di nascite: Italia, contemporanee, 1953-1996
(EMM in anni; contributo in numero di nascite annue in più o meno rispetto all'anno precedente)
Contributo
EMM (anni)
2000
30,0
1500
29,5
1000
500
29,0
0
28,5
-500
28,0
-1000
EMM
Contributo
-1500
27,5
-2000
-2500
1995
1992
1989
1986
1983
1980
1977
1974
1971
1968
1965
1962
1959
1956
1953
27,0
Grafico 2.9. Tassi di fecondità totale per ordine di nascita: Italia, contemporanee, 1952-1996
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3,0
Ordine di nascita
1°
2,5
2°
4° ed oltre
3°
2,0
1,0
0,5
1996
1992
1988
1984
1980
1976
1972
1968
1964
1960
1956
0,0
1952
Numero di figli per donna
1,5
Donne e figli nell’Italia di fine secolo
Grafico 2.10. Livello e composizione del tasso di fecondità totale per ordine di nascita
nelle ripartizioni geografiche ed in alcune regioni italiane: contemporanee,
1974 e 1996 (numero di figli per donna)
Numero di figli per donna
0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
2,5
3,0
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ITALIA
1974
1996
Nord
1974
1996
Centro
1974
1996
Sud
1974
1996
Lombardia
1974
1996
Veneto
Ordine di nascita
1°
2°
1974
1996
Lazio
1974
1996
Campania
1974
1996
Sicilia
1974
1996
3°
4°+
33
34 Giuseppe Gesano
Grafico 2.11. Età media alla maternità per ordine di nascita: Italia, contemporanee, 1952-1996
40
Ordine di nascita
1°
3°
4° ed oltre
2°
35
1996
1992
1988
1984
1980
1976
1972
1968
1964
1960
20
1956
25
1952
Età media in anni
30
Grafico 2.12. Età media alla nascita del primo figlio nelle ripartizioni geografiche
ed in alcune regioni italiane: contemporanee, 1974 e 1996
30
25
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1974
1996
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Donne e figli nell’Italia di fine secolo
Grafico 2.13. Percentuale di donne senza figli, ad alcuni compleanni: Italia,
generazioni nate tra il 1937 ed il 1977
100 %
Compleanni
80
20
25
35
40
30
60
40
20
1977
1972
1967
1962
1957
1952
1947
1942
1937
0
Anno di nascita delle donne
Grafico 2.14. Percentuale di donne con solo 1 figlio, ad alcuni compleanni: Italia,
generazioni nate tra il 1937 ed il 1977
35 %
Compleanni
20
30
25
25
30
20
35
15
40
10
Anno di nascita delle donne
1977
1972
1967
1962
1957
1952
1947
1942
0
1937
5
35
36 Giuseppe Gesano
Grafico 2.15. Percentuale di donne con solo 2 figli, ad alcuni compleanni: Italia,
generazioni nate tra il 1937 ed il 1972
50 %
Compleanni
25
40
30
35
30
40
20
1972
1967
1962
1957
1952
1947
1942
0
1937
10
Anno di nascita delle donne
Grafico 2.16. Percentuale di donne con 3 o più figli, ad alcuni compleanni: Italia,
generazioni nate tra il 1937 ed il 1972
35 %
Compleanni
25
30
30
35
25
40
20
15
10
Anno di nascita delle donne
1972
1967
1962
1957
1952
1947
1942
0
1937
5
Donne e figli nell’Italia di fine secolo
Grafico 2.17. Componenti della variazione di nati vivi tra il 1994, il 1995 ed il 1996: Italia
(donne in età 16-45 anni; nati vivi in più o in meno)
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-5000 -4000 -3000 -2000 -1000
Numero donne
0
1000
2000
3000
1994-95
1995-96
Struttura donne
Intensità fecondità 1° ordine
Intensità fecondità 2° ordine
Intensità fecondità 3° ordine
Calendario fecondità
4000
5000
6000
37
Capitolo III
LA FAMIGLIA IDEALE
di Adele Menniti
Nel corso degli anni ’90 ci sono stati vari segnali di cambiamento in atto rispetto ai
modelli di coppia. Le indagini dell’ISTAT sulle famiglie, ad esempio, hanno messo in
luce un aumento di unioni libere e in particolare di coppie con figli non coniugate, che
sono passate dalle 85 mila della metà degli anni ‘80 alle 143mila di 15 anni dopo1 con
un aumento percentuale del 68%. E’ chiaro che questi valori sono ancora molto al di
sotto sia del numero di coppie sposate e con figli sia delle convivenze con figli misurate
in altri paesi europei ma, pur se si tratta sempre di famiglie di minoranza, va segnalata
una loro crescita significativa.
Ci è sembrato perciò importante sondare l’opinione delle nostre intervistate in merito
al matrimonio, alla convivenza e alla eventuale presenza di figli, visto il contesto normativo e valoriale nel quale le donne italiane scelgono di avere figli.
3.1. Le unioni libere e i figli
La nostra indagine mette in luce un’apertura - forse inattesa - verso nuovi modelli
familiari, un atteggiamento tollerante che va aldilà della semplice accettazione delle
scelte di quelle coppie che vivono insieme senza essere sposate, anche se questo non
implica una adesione personale a comportamenti di tipo non tradizionale.
Le nostre intervistate, infatti, giudicano positivamente le coppie non sposate con figli
o al più non esprimono giudizi verso chi pratica questo tipo di unione. Meno di una su
5 esprime una valutazione negativa (Grafico 3.1). L’opinione più aperta verso le nascite
da genitori conviventi e non sposati prevale tra le donne che lavorano (il 50% è favorevole), vivono nel nord-est (54%) e nel centro Italia (55%), hanno un solo figlio (58%) e
desiderano una famiglia di dimensioni contenute. All’estremo opposto troviamo le
casalinghe, le donne che vivono nel mezzogiorno e vorrebbero avere due o più figli
(Grafico 3.2).
Dai nostri dati sembra uscire indebolita – a livello di opinione - l’idea che la coppia
coniugale sia l’unico ambiente familiare in cui allevare e crescere i figli in quanto
garante di un loro più consono sviluppo. Inoltre, non va dimenticato che in passato
c’era sempre stata una forte consonanza tra i comportamenti reali in campo matrimoniale e i risultati di indagini di opinione, dove solo una minoranza di italiani (mai supe1
ISTAT (2000), Le strutture familiari. Indagine Multiscopo sulle famiglie. Famiglia, soggetti sociali e
condizione dell’infanzia. Informazioni, Roma, ISTAT.
39
riore al 7%) vedeva positivamente la nascita di figli da coppie non sposate2.
3.2. Il matrimonio e i figli
Pur in presenza di una forte apertura verso la nascita di figli da coppie non coniugate,
l’atteggiamento delle donne italiane verso quelle coppie sposate che decidono di non
avere figli è di altrettanto forte riprovazione. Solo una intervistata su 7 esprime un giudizio positivo su questo comportamento, mentre molte preferiscono restare ai margini
nel problema (Grafico 3.3).
Fra opinioni espresse, comportamento personale e contesto culturale in cui vive la
donna esiste una rilevante connessione tanto che gli atteggiamenti negativi sui matrimoni senza figli sono più diffusi fra le casalinghe e le intervistate che vivono nel mezzogiorno, ossia tra quei gruppi di popolazione e aree geografiche che registrano la più alta
fecondità nel nostro paese (Grafico 3.4).
Se colleghiamo tra loro i due atteggiamenti, sostanzialmente positivo sulle convivenze con figli e sostanzialmente negativo verso chi si sposa e decide di non diventare
genitore, appare evidente una prima conclusione. In Italia, siamo molto lontani dal
poter anche ipotizzare ad un allentamento del legame fra vita di coppia e figli.
Guardando ai modelli familiari dal punto di vista della fecondità, vediamo che i figli
passano in testa a qualsiasi rapporto d’amore: sposati o non sposati ciò che conta è che
dalla coppia venga attuato unprogetto procreativo.
Certo, all’atto pratico il matrimonio resta la sede privilegiata per realizzare i progetti
riproduttivi delle coppie, ma non è più considerato il luogo esclusivo. Accanto alla coppia coniugata viene sempre di più accettata e legittimata un altro tipo di famiglia, la
coppia non sposata con figli. Si rafforza così la finalità procreativa del matrimonio,
passa in secondo piano il matrimonio in sé, e i figli rappresentano il centro dell’unione
e perciò è bene averli comunque, sia che si sia sposati sia che si viva un rapporto più
“libero” e “informale”.
3.3. I tempi del percorso riproduttivo
Abbiamo visto in altre parti di questo rapporto che una delle caratteristiche rilevanti
del nuovo modello riproduttivo italiani è la posticipazione nel calendario delle nascite: i
figli si fanno sempre più avanti nell’età, a 28 anni il primo e a 31 il secondo (spesso
l’ultimo). Qual è la posizione delle donne italiane rispetto ai tempi ideali per avere il
primo e l’ultimo figlio?
3.3.1. L’età ideale per avere il primo figlio
Per avere il primo figlio le donne italiane ritengono che l’età ideale sia, in media,
2
C.Bonifazi, A. Menniti, R. Palomba (1996), Bambini, anziani e immigrati. Le opinioni degli italiani
in un’indagine dell’Istituto di Ricerche sulla Popolazione, Firenze, La Nuova Italia.
40 Adele Menniti
intorno ai 26 anni, con una forte concentrazione di preferenze intorno a due età
“tonde”, i 25 (28%) e i 30 (17%) anni (Grafico 3.5). Il livello di istruzione anche a
livello di ideali è in una stretta relazione con l’età alla nascita del primo figlio: le laureate indicano 27,5 anni, le diplomate 26,5, le donne con licenza di scuola media inferiore 25,1 e quelle con la licenza elementare 23,5. C’è un'evidente proiezione della propria storia personale sul calendario ideale, poiché è chiaro che arrivare alla laurea
richiede tempo e questo tempo fa slittare in avanti l’inizio della maternità e in generale
tutto il periodo procreativo, cosa che avviene anche nella realtà.
Va anche notato che, anche se con differenze meno nette di quelle osservate rispetto all’istruzione, le occupate e le donne al nord preferiscono un calendario di nascite
primogenite posticipato rispetto a quello delle casalinghe, delle intervistate meridionali, e delle madri di tre o più figli, che hanno in mente percorsi procreativi più precoci (Grafico 3.6). Questo fatto, peraltro, avviene anche nella realtà poiché le donne
del sud si sono da sempre contraddistinte per un inizio del percorso riproduttivo anticipato rispetto a quello delle donne del nord Italia, così come le casalinghe rispetto
alle occupate.
Dall’Osservatorio è anche possibile calcolare l’età media effettiva alla nascita del
primo figlio delle nostre intervistate e confrontarla con quella ideale espressa dalle stesse intervistate: la prima è sempre superiore alla seconda con uno scarto significativo di
circa di 2 anni.
Rispetto al fenomeno del posponimento della maternità viene data nel complesso una
valutazione negativa (Grafico 3.7) e in particolare sono di questa opinione le intervistate più giovani che si sono orientate verso un’età alla maternità più bassa delle trentenni.
Questo fatto, andrebbe a sostegno dell’ipotesi che le attuali giovani generazioni potrebbero invertire il trend decennale di aumento dell’età alla maternità. Ricordiamo anche
che la tendenza alla crescita dell'età alla nascita dei figli primogeniti si sta già attenuando in alcune regioni italiane.
Esiste dunque lo spazio per credere che il rinvio della maternità non sia stato solamente il risultato di una libera scelta delle coppie, ma sia stato in qualche modo “forzato” dalle difficoltà incontrate come, per esempio, quelle nel mercato del lavoro, nelle
relazioni di coppia, nel ritardo del matrimonio, nella condizione economica e abitativa,
tutti ambiti che vengono valutati dai partner quando decidono di avere un figlio e che si
possono tramutare tutti in fattori “ritardanti”. Sono difficoltà che potrebbero essere alleviate con una più attenta politica di sostegno alle coppie giovani e senza figli, che troverebbe un terreno favorevole nell’atteggiamento disponibile delle donne ad anticipare
la nascita dei propri figli e dunque potrebbe avere effetti sul comportamento riproduttivo, aprendo la via ad un inversione di tendenza al rinvio della maternità.
3.3.2. L’età in cui è bene smettere di avere figli
Secondo le nostre intervistate una donna tra i 40 e i 45 anni (con una media che sfiora i 42 anni in entrambe le indagini) non dovrebbe più avere figli; più di una donna su
dieci indica però età più elevate, elemento che si potrebbe anche leggere come un
La famiglia ideale
41
appoggio a pratiche di fecondità assistita che interessano donne più mature, che spesso
hanno oltrepassato i 50 anni (Grafico 3.8).
L’esame delle caratteristiche delle intervistate mostra relazioni analoghe a quelle trovate rispetto all’età ideale per avere un primo figlio: le donne occupate, insieme alle
studentesse e alle laureate indicano un’età superiore rispetto alle donne che vivono nel
sud, che hanno conseguito la licenza elementare e alle casalinghe (Grafico 3.9).
3.4. I figli: comunque una scelta
Le madri italiane mostrano di avere messo in atto strategie precise rispetto ai figli. In
particolare, della nostra inchiesta si è teso a mettere in luce il livello di progettualità
sugli ultimi nati attraverso un quesito con cui si chiedeva se l’ultimo figlio era nato
quando, prima o dopo del previsto o al di fuori di una programmazione (Grafico 3.10).
Le risposte indicano che la nascita degli ultimogeniti non è frutto di un caso ma il risultato di una progetto in quanto nato quando desiderato (75%) o al massimo con ritardo o
anticipo rispetto ai tempi attesi, ma sempre voluto. Solo una donna su 5 dichiara che il
suo ultimogenito è nato al di fuori di ogni programmazione.
Esiste il dubbio che, trattandosi dei propri figli, le intervistate tendano a sottolineare
il desiderio sottostante alla nascita e ne accentuino la progettualità, anche per non dover
ammettere di aver fallito nel controllo della propria fertilità, pur in presenza di accessibili ed efficaci strumenti di controllo delle nascite. Per questa ragione ci è sembrato più
affidabile leggere il quesito in un’ottica comparativa, e quindi per sottogruppi di intervistate. Emerge che le coniugate sono riuscite ad avere i loro figli quando li desideravano in misura maggiore di quanto sia successo alle nubili, così come le donne più giovani rispetto a quelle più adulte e quelle con figli in età prescolare rispetto alle madri di
bambini con più di 6 anni, con una conferma di una preferenza verso il regime coniugale per avere figli e di una maggiore capacità progettuale del comportamento riproduttivo delle generazioni più giovani.
Rispetto all’ordine di nascita, se i figli sono nella maggior parte dei casi nati quando
desiderati, lo sono in oltre il 75% nel caso di primogeniti e di secondogeniti e in meno
del 55% nel caso di terzi figli. Queste percentuali sono molto simili a quelle di uno studio precedente che, sebbene riferite ad un collettivo differente, indicava che i figli di
primo ordine erano nati quando desiderati nel 75% dei casi, quelli di secondo ordine
nel 71% e quelli di terzo nel 45%3. Sembrerebbe perciò di poter affermare che, nonostante in tutti e due gli studi il numero di intervistati con tre o più figli sia ridotto, i figli
di ordine superiore al terzo possano nascere più frequentemente al di fuori di una programmazione da parte dei genitori. Inoltre, possiamo anche dedurre da questi dati che
le preferenze degli italiani si indirizzano verso famiglie di dimensioni contenute, con
un massimo di due figli.
3
R. Palomba, a cura di (1991), Crescita zero, Firenze, La Nuova Italia.
42 Adele Menniti
3.5. Il modello di fecondità ideale
Il modello ideale di fecondità fin qui descritto offre interessanti spunti di riflessione.
Innanzitutto, abbiamo visto una apertura superiore al prevedibile verso le coppie non
sposate con figli e un atteggiamento molto negativo verso chi si sposa e decide di non
averne. Si riafferma così la centralità dei figli rispetto alle scelte coniugali e di coppia a
livello di ideali. Inoltre, la tendenza ad avere figli ad età avanzata viene in generale
poco accettata dalle nostre intervistate. Il fatto che le intervistate più giovani dichiarino
scelte più “precoci” in tema di maternità primogenita fa intravedere la possibilità di una
inversione di tendenza per il futuro, che forse dovrebbe essere sostenuta da iniziative
politiche.
I figli nascono in genere quando desiderati anche se la capacità progettuale delle
donne si indebolisce nel caso dei figli di terzo, e successivo, ordine. Infatti, le nascite
dei terzogeniti sono spesso impreviste e non programmate e questa considerazione fa
ritenere improbabile, almeno in un prossimo futuro, la rinascita di un modello di famiglia che comprenda più di due figli.
Grafico 3.1 L’opinione sulle unioni libere con figli, 2000 (%)
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17
Negativa
Né positiva, né negativa
Positiva
48
35
La famiglia ideale
Grafico 3.2 L’opinione positiva sulle unioni libere con figli in alcuni gruppi di intervistate,
2000 (graduatoria, %)
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0
10
20
30
40
50
1 figlio
Ripartizione centro
26-30 anni
Occupate
TOTALE
Casalinghe
20-25 anni
Istruzione elementare
3+ figli
Grafico 3.3 L’opinione sulle coppie sposate che decidono di non avere figli, 2000 (%)
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13
Negativa
Né positiva, né negativa
Positiva
48
39
60 %
43
44 Adele Menniti
Grafico 3.4 L’opinione negativa sulle coppie sposate che decidono di non avere figli,
2000 (graduatoria, %)
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10
0
20
30
40
50
Sud
Casalinghe
Coniugate
31-35 anni
TOTALE
0 figli
Nubili
36-40 anni
Nord
Grafico 3.5 L’età per avere il primo figlio, 2000 (%)
60 %
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50
40
30
20
10
0
18-22
Età
23-27
28-32
33-40
60 %
La famiglia ideale
Grafico 3.6 L’età media per avere il primo figlio in alcune categorie di intervistate,
2000 (graduatoria)
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22,5
Nord
0 figli
Occupate
Nubili
TOTALE
<=25 anni
Coniugate
sud
Casalinghe
3+figli
25,0
27,5
Grafico 3.7 L’opinione sulle coppie che decidono di ritardare la nascita
del loro primo figlio, 2000 (%)
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18
Negativa
Né positiva, né negativa
Positiva
46
35
45
46 Adele Menniti
Grafico 3.8 A che età una donna non dovrebbe avere più figli?, 2000 (%)
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13
45 anni
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40-45
< 40 anni
66
Grafico 3.9 L’età per non avere più figli in alcune categorie di intervistate, 2000 (%)
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40
Laurea
Nubili
0 figli
Occupate
Nord
TOTALE
Sud
Casalinghe
Istruzione elementare
41
42
43
La famiglia ideale
Grafico 3.10 Quando è nato il suo ultimo figlio?, 2000 (%)
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Non programmato
19
Dopo il previsto
1
Prima del previsto
5
Quando desiderato
75
47
Capitolo IV
LE INTENZIONI DI AVERE FIGLI
di Adele Menniti e Rossella Palomba
Una delle ragioni principali della costituzione dell’Osservatorio dell’IRP sulle aspettative di fecondità risiede nella necessità di capire meglio cosa determina il comportamento riproduttivo di una popolazione e cosa influenza le scelte dei singoli e delle coppie in tema di procreazione. Esiste una notevole mole di letteratura scientifica su questo
argomento, in cui in sostanza vengono esaminati fattori economici, fattori socio-culturali, caratteristiche degli individui come età, stato civile, numero figli, livello di istruzione ecc. in relazione ad un determinato comportamento procreativo.
In particolare, le intenzioni di donne o di coppie sulla propria fecondità futura sono
considerate buoni predittori del futuro comportamento1, mentre è ancora da capire in
che modo le aspettative relative al numero di figli consentano di fare un passo avanti
nella comprensione delle tendenze della fecondità e quale contenuto informativo
aggiuntivo offrano nella analisi complessiva del fenomeno, un tema importante su cui
speriamo di poter far luce con questo panel.
Nell’Osservatorio dell’IRP l’aspetto della progettualità del comportamento riproduttivo è stata esaminata sia in riferimento alla fecondità passata (si veda Capitolo III) sia
rispetto alla fecondità futura. Questo ultimo aspetto è oggetto del presente capitolo in
cui analizzeremo oltre alle intenzioni riproduttive delle donne italiane anche alcuni fattori che sono considerati buoni “mediatori” del passaggio tra intenzione e comportamento riproduttivo come le intenzioni del loro coniuge o partner, cioè il livello di
accordo esistente nella coppia, e alcuni elementi legati al ciclo di vita individuale e
familiare come, l’età della donna, lo stato civile, la durata del matrimonio, il numero e
l’età dei figli avuti, o il suo livello di istruzione. La nostra ipotesi è che avere figli sia
un comportamento mirato, basato sulle intenzioni riproduttive e eventualmente modificato in conseguenza di eventi inattesi che possono verificarsi lungo il corso della vita.
Analizzare le intenzioni in campo procreativo ci sembra, perciò, un primo passo in
avanti nello studio della fecondità per andare a esplorare campi ancora poco noti delle
interazioni dinamiche in atto tra individuo e società.
1
Ricordiamo tra l’altro: L.L. Bumpass (1987), The risk of an unwanted birth, Population Studies, 41,
347-363; R.R. Rindfuss, S.P. Morgan, S. Swicegood (1988), Firth births in America: changes in the
timing of parenthood, Berkeley, Univ. California Press; E. Thomson (1997), Couple childbearing
desires, intentions, and births, Demography, 34, 343-354; R. Shoen, N.M. Astone, K.J. Kim, C.A.
Nathanson (1999), Do fertility intentions affect fertility behaviour?, Journal of marriage and the
Family, 61, 790-799.
49
4.1. Le intenzioni riproduttive, le caratteristiche della famiglia e della donna
Circa un quinto delle nostre intervistate esprime l’intenzione di avere un figlio nei
prossimi due anni. Questo valore è un poco più elevato rispetto a quello rilevato in una
precedente indagine dell’inizio degli anni ’90 (17%). Una percentuale intorno al 10%
delle intervistate non sa dare una risposta a questa domanda, fatto che secondo la corrente letteratura viene interpretato come “Non voglio avere un figlio così presto” anziché in una vera e propria incertezza sul tema2.
Lo stato civile, che è considerato uno dei fattori fondamentali affinché si realizzi il
passaggio tra l’intenzione di avere figli e l’effettivo comportamento, non produce differenze forti a livello attitudinale. Solo con i panel successivi potremo controllare come e
quanto questo fattore influenzi l’effettivo comportamento. Al momento rileviamo che
per le nubili l’intenzione di avere figli è strettamente legata ad un progetto matrimoniale: tra chi pensa di sposarsi entro un biennio dall’intervista più di un terzo si dichiara
intenzionata ad avere un figlio, tra chi non ha un matrimonio in vista la percentuale
scende al 5%.
Per le donne coniugate si nota comunque un andamento decrescente dell’intenzione
di avere figli rispetto alla durata del matrimonio: le intenzioni riproduttive sono, infatti,
più elevate tra chi si è sposata da poco rispetto a chi invece è già sposata da tempo.
Questo elemento va ovviamente collegato con il numero di figli già avuti, che produce
un effetto analogo sulle intenzione di avere figli. Infatti, il 40% delle donne sposate da
poco e il 45% di quelle che non hanno figli esprime l’intenzione di averne nei prossimi
due anni; queste percentuali si riducono drasticamente con il passare del tempo e quanto più alto è il numero di figli avuti.
Anche l’età dell’ultimo nato ha effetti sulle intenzioni della mamma di avere un altro
figlio. Infatti, queste diminuiscono al crescere dell’età del figlio più piccolo (Grafico
4.2). D’altra parte è un luogo comune che i figli debbano avere tra loro differenze di età
contenute per poter crescere meglio insieme e anche per produrre cambiamenti meno
radicali nell’organizzazione della famiglia.
Tra le mamme italiane perciò l’intenzione di avere un altro figlio è nettamente più
alta per chi ha un figlio al di sotto dei tre anni (23% vuole un altro figlio) che non tra
quelle con figli adolescenti (10%). C’è da valutare in questo caso anche l’effetto prodotto dall’età anagrafica della madre, età che potrebbe non essere considerata idonea
per una nuova maternità.
Infine, notiamo che l’intenzione di avere un figlio è strettamente legata alla condizione economica della famiglia: in particolare, avere una visione ottimistica sulla situazione finanziaria futura spinge le donne a dichiararsi pronte ad avere un figlio. Queste
relazione si mantiene indipendentemente dal numero di figli avuti (Tabella 4.2) e sarà
importante evidenziare come e quanto le previsioni sulle prospettive economiche future
giochino nella coerenza fra intenzione e comportamento riproduttivo.
2
R. Rindfuss et al. (1988), cit.; R. Shoen et al. (1999), cit.
50 Adele Menniti e Rossella Palomba
4.2. L’accordo fra i partner
Più del 60% delle donne ha dichiarato che i loro partner volevano avere un figlio nei
prossimi due anni, un quarto ha dichiarato il contrario e il 10% non ha saputo esprimersi a riguardo. L’accordo di coppia è maggiore per le donne che dichiarano di non voler
altri figli rispetto a chi ne vuole e sarà interessante nel prosieguo della nostra ricerca
controllare, attraverso i dati del panel dei prossimi anni, che effetto produca l’accordo e
il disaccordo tra partner nell’intenzione di avere figli sull’effettivo comportamento
(Tabella 4.3).
In ogni caso, si nota che nelle coppie senza figli e con un solo figlio sono molto frequenti i casi in cui all’intenzione di avere un figlio da parte della donna corrisponde una
analoga intenzione da parte del partner (82% e 73%) mentre l’accordo si riduce sensibilmente (è inferiore al 30%) quando si esaminano le coppie con due figli.
Sembrerebbero quindi emergere differenti strategie riproduttive nella coppia al crescere della dimensione familiare e che sia più facile trovare una convergenza quando la
decisione da prendere riguarda la nascita di un primo o di un secondo figlio. Lo scarso
livello di accordo fra i partner quando si deve prendere la decisione di avere o meno un
terzo figlio è dunque un aspetto da tenere in considerazione, quando si analizzano le
cause della bassa fecondità del nostro paese così come le motivazioni che spingono le
coppie a fermarsi al secondo figlio.
4.3. Non voglio figli perché...
Abbiamo già osservato nel precedente paragrafo che un po’ più del 60% delle intervistate ha dichiarato di non volere figli nei prossimi due anni. Invitate ad esplicitare le
ragioni di questa loro scelta le intervistate hanno indicato un ventaglio ampio di motivazioni che abbiamo raggruppato in alcune categorie, per poterle meglio analizzare. In
generale notiamo che a livello complessivo c’è una sostanziale equidistribuzione tra
motivazioni di tipo esterno alla coppia come le ragioni di natura economica o lavorativa, motivazioni relative alla propria situazione personale e ai figli che già si hanno e
motivazioni relative alla coppia come il disaccordo con il partner sulla decisione di
avere figli o la mancanza del partner stesso (Tabella 4.4).
Se però introduciamo delle variabili di tipo socio-demografico, vediamo che esiste
una forte variabilità tra chi sceglie di non avere un primo figlio tra due anni, un secondo
o un terzo figlio. Infatti, le donne senza figli che decidono di non averne indicano motivazioni essenzialmente personali, di coppia o relative al proprio lavoro3, mentre la transizione tra uno e due figli è soprattutto bloccata da motivi economici che si fanno sentire ancora più fortemente nella decisione di non avere un terzo o quarto figlio. Anche i
figli già nati agiscono da deterrente nella decisione procreativa in modo tanto più forte
quanto più elevato è il loro numero. Al contrario, il desiderio di mantenere il tenore di
vita attuale e di non abbandonare i propri interessi extra-familiari e lavorativi viene per3
Data la rilevanza di questo sotto-gruppo, esso verrà analizzato dettagliatamente nel Capitolo V
Le intenzioni di avere figli
51
cepito soprattutto dalle madri di un figlio unico e di 2 figli che, in un’ulteriore nascita,
vedono messa in pericolo la loro organizzazione di vita.
La presenza di un figlio molto piccolo rende soddisfatte - e probabilmente impegnatissime - le mamme che non vedono in un prossimo futuro la possibilità di un altro
figlio. Questa motivazione è ancor più forte tra coloro che hanno un figlio già grande.
Infine, anche l’analisi della situazione familiare delle donne, cioè vivere o meno in
coppia, determina tipologie di motivazioni differenti per non volere al momento figli:
le nubili, come era prevedibile, segnalano più frequentemente come ragioni più frequenti l’assenza del partner e il “non sentirsi pronta”, mentre i motivi prevalenti delle
coniugate sono il sentirsi soddisfatte del numero di figli che già hanno e i problemi
economici.
4.4. Due figli, numero perfetto
Non c’è dubbio che conoscere l’intenzione di una donna o di una coppia in merito ai
figli futuri, e metterla poi in relazione con quelli effettivamente avuti, consente di capire il livello di fecondità “desiderata e non desiderata”. Questo sarà nei prossimi anni
uno dei maggiori dei risultati del nostro Osservatorio. Al momento questa analisi non è
ancora possibile; possiamo invece studiare la relazione che intercorre tra l’intenzione
espressa di avere o non avere un altro figlio e il numero di figli che le donne vogliono
avere, cioè quello che l’intervistata ritiene rappresenti l’ottimo a cui tendere nella sua
vita riproduttiva. La maternità, la decisione di avere uno o un altro figlio sono, infatti,
fenomeni complessi che presentano diverse sfaccettature a livello di atteggiamenti. Se
le intenzioni riproduttive sono “predittori” del comportamento procreativo futuro nel
breve periodo, il numero totale di figli che si intende avere aggiunge un ulteriore elemento alla comprensione dell’andamento atteso della fecondità italiana.
In media due figli sembrano essere il target riproduttivo a cui tendono in media le
donne italiane. Se esaminiamo i valori medi del numero totale di figli desiderato rispetto
ad alcune variabili geografiche e sociali troviamo che questi valori sono tutti molto vicini al valore medio complessivo, che si colloca su 2,17 figli. Se osserviamo questo indicatore secondo il livello di istruzione notiamo che le donne con diploma superiore esprimono il valore più basso; il contributo di questo gruppo di donne, che rappresenta la
maggioranza delle donne in età riproduttiva, contribuisce a deprimere la fecondità “desiderata”. Seguire nel corso del tempo, attraverso i dati dell’Osservatorio, l’evoluzione
degli atteggiamenti e dei comportamenti riproduttivi delle diplomate sarà importante per
capire la relazione che lega l’aumento dell’istruzione femminile alla fecondità italiana.
Le differenze maggiori nel numero di figli che le donne intervistate hanno indicato di
voler raggiungere si osservano all’interno di alcune categorie demo-sociali e, in particolare, tra le donne del settentrione (1,99 figli desiderati in media) e quelle meridionali
(2,38 figli) e tra le donne casalinghe (valore medio di 2,38) e occupate (2,05), e tra le
giovani ventenni (2,27) e le donne più mature (2,14) (Grafico 4.3).
Il numero di figli che si desidera avere nel complesso è in relazione all’età considerata giusta per iniziare il percorso riproduttivo: all’aumentare della dimensione familiare
52 Adele Menniti e Rossella Palomba
desiderata diminuisce l’età in cui avere il primo figlio che va dai 24,6 anni per chi
vuole avere tre o più figli e arriva a 26,6 anni per chi non ne vuole affatto (Grafico 4.4).
Quali motivazioni sono alla base della scelta di una particolare dimensione familiare?
Le risposte su questo aspetto raccolte con l’inchiesta ci indicano che nel disegnare i propri progetti di fecondità le donne italiane si basano su considerazioni di diverso tipo che
possiamo comunque raggruppare in 5 classi (Tabella 4.6). La prima, quella più frequente, rimanda a problemi di organizzazione familiare, alle esigenze di lavoro, alla volontà
di non voler lasciare gli interessi a cui si tiene e quindi, in generale, ai problemi di conciliabilità fra le attività di gestione familiare e la vita di relazione. Altre tre motivazioni
– che sotto il profilo quantitativo sono pressoché equivalenti – trovano le loro radici in
vincoli di tipo economico, nel desiderio di avere una famiglia numerosa, e nella volontà
di sperimentare l’esperienza di crescere e allevare figli di sesso diverso. L’ultima motivazione, che raccoglie un consenso forse inaspettato e che trova concordi circa il 10% di
intervistate, scaturisce dalla volontà di ricreare l’esperienza della famiglia di origine o
di quella di persone vicine che rappresenta, evidentemente, un modello positivo.
Il peso di queste motivazioni cambia al variare del numero di figli che si vogliono
avere: chi limita i propri progetti al figlio unico fonda la sua scelta su aspetti gestionali
e sul desiderio di volere una famiglia di dimensioni contenute; chi predilige il modello
a due figli indica come rilevante sia l’aspetto della gestione familiare che il desiderio di
avere figli di diverso sesso. E questa motivazione è, come ovvio, quasi esclusivamente
presente nel gruppo di donne che indicano due figli come dimensione desiderata.
Infine, le intervistate che preferiscono un numero di figli pari o superiore a tre pongono
come motivazioni prevalenti il desiderio di una famiglia numerosa seguito da quello di
realizzare un modello tratto da una famiglia “ideale”. Emerge tra queste donne, più che
tra le altre, l’importanza dei cosiddetti ”gruppi di riferimento”, cioè l’influenza che persone con cui si è in contatto (parenti, amici o lo stesso partner) hanno nel determinare i
desideri e le scelte sul numero di figli.
4.5. Se le intenzioni si realizzassero...
Le informazioni fornite dal nostro Osservatorio danno senza dubbio un quadro
approfondito delle relazioni che intercorrono tra la decisione di avere figli, la propria
situazione personale e gli atteggiamenti e le aspettative delle donne italiane rispetto alla
fecondità da qui a due anni. Dobbiamo aspettare l’inchiesta prossima e quelle degli anni
a venire per verificare fino a che punto le intenzioni espresse nel primo panel si siano
effettivamente realizzate e poter dunque valutare l’attendibilità dei dati attitudinali come
indicatori indiretti dei comportamenti. Ciò promesso, abbiamo comunque voluto utilizzare le informazioni fornite dalla nostra ricerca, per approssimare con leggero anticipo
quello che sarà nel nostro Paese il numero di figli per donna alla fine di quest’anno.
L’utilizzo delle intenzioni riproduttive e delle attese in termini di dimensione familiare finale come indicatori proxy della fecondità non è nuovo nel campo della ricerca
demografica, anche se è spesso stato accolto con un certo scetticismo. In realtà, è assolutamente condivisibile l’opinione espressa da alcuni autori (vedi ad esempio Ryder e
Le intenzioni di avere figli
53
Westoff), che le intenzioni riproduttive date in un momento non possano essere utilizzate come indicatori dei comportamenti riproduttivi nell’arco di una vita. Infatti, la
decisione di avere figli dipende da tanti fattori, affettivi, psicologici, economici e di
contesto i cui effetti sono assolutamente impossibili da prevedere a lungo termine. Basti
pensare ad esempio che l’arrivo di un nuovo partner, la fine del periodo di dipendenza
stretta dai genitori dei figli già nati, situazioni lavorative o abitative più favorevoli possono portare alla nascita di un nuovo desiderio di maternità, così come eventi negativi
imprevedibili come la perdita del lavoro, la morte di un parente stretto o la fine dell’unione matrimoniale possono sospendere o modificare le intenzioni riproduttive. E’
chiaro che queste fluttuazioni a livello individuale e di coppia sono più stabili a livello
aggregato, ma è comunque inconfutabile che desideri e aspettative di fecondità non
possono approssimare misure di tipo generazionale, poiché il loro potere predittivo
resta limitato nel tempo e ancorato alla situazione del momento. E’ per questo motivo
che nel nostro Osservatorio abbiamo raccolto: a) solo intenzioni in un arco di tempo
definito; b) l’arco di tempo è stato limitato a due anni, cioè un periodo ragionevolmente
breve per aumentare l’attendibilità ai risultati; c) nel tentativo di utilizzo predittivo dai
dati ci siamo limitati solo alle donne coniugate, cioè quelle donne che erano già nelle
condizioni migliori per poter esprimere un intenzione plausibile (la fecondità italiana è,
infatti, essenzialmente una fecondità all’interno del matrimonio).
Dal punto di vista metodologico, abbiamo unito le intenzioni espresse nei due campioni (1998 e 2000) per aumentare la stabilità dei dati. Il risultato è quello di una tasso
atteso di fecondità per la fine del 2000 di 1,19 figli per donna. Questo valore, molto
vicino a quello attuale, ci fa sperare in una buona attendibilità dei nostri dati. Inoltre,
pur considerando che il valore è una approssimazione del valore vero, possiamo anche
ipotizzare un arresto del calo della fecondità. Questo è in linea con quanto ci si aspetta
dagli ultimi dati ISTAT e ci incoraggia a proseguire in questo tentativo di previsione a
nei prossimi
anni.6 Non c’è dubbio
che ai decisori
politici interessi
2brevissimo termine
1
5
5
4
sapere sia l’andamento complessivo della fecondità che disporre di ragionevoli inferenze su quanto potremmo aspettarci nell’immediato futuro. Pur non essendo questo uno
degli obiettivi prioritari dell’Osservatorio, ci sembra comunque uno strumento utile per
la pianificazione e la progettazione di politiche per la famiglia.
Tabella 4.1 – Ha intenzione di avere figli nei prossimi due anni? Anni 1998 e 2000 (%)
Nubili
Sì
No
Non so
Sono incinta
Totale
Coniugate
Totale
1998
20
65
13
2000
20
64
15
1998
17
68
10
2000
20
65
9
1998
17
68
10
2000
20
65
11
100
100
100
100
100
100
54 Adele Menniti e Rossella Palomba
Grafico 4.1 L’intenzione di avere figli per durata del matrimonio e numero di figli, 2000 (%)
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50
Età dell'ultimo nato
Fino a 3
7-9
4-6
10 e oltre
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40
numero di figli
30
20
10
0
0
1
2
3+
Grafico 4.2 Le intenzioni riproduttive delle donne coniugate
secondo l’età dell’ultimo nato, 2000 (%)
25 %
20
15
10
5
0-3
Età dell'ultimo nato
4-6
7-10
oltre 10
Le intenzioni di avere figli
Tabella 4.2 L’intenzione di avere figli secondo la valutazione
della situazione economica e il numero di figli avuti, 1998 e 2000 (%)
La condizione economica della famiglia
nei prossimi due anni:
Numero di figli avuti
0
58
49
25
52
Migliorerà
Resterà invariata
Peggiorerà
Totale
≥2
6
5
2
5
1
29
22
14
25
Tabella 4.3 L’intenzione di avere figli nei due partner, 2000 (%)
Uomo
Donna
No
5
93
2
100
Sì
67
24
9
100
Sì
No
Non so
Totale
Non so
7
26
67
100
Tabella 4.4 Le ragioni per non volere figli nei prossimi due anni
per numero di figli avuti, 2000 (%)
Partner
Lavoro
Economici
Stile di vita
Non sono pronta
Sono soddisfatta dei figli che ho
Altro
Totale
Totale
0
14
17
18
7
17
17
9
100
29
25
6
5
29
_
5
100
Numero di figli avuti
1
2
4
17
20
12
14
18
15
100
1
10
31
11
4
31
12
100
≥3
3
2
35
2
1
50
8
100
Tabella 4.5 Le ragioni per non volere figli nei prossimi due anni
per età del figlio più piccolo, 2000 (%)
Partner
Lavoro
Economici
Stile di vita
Non sono pronta
Sono soddisfatta dei figli che ho
Altro
Totale
0-3
12
34
11
10
21
13
100
4-5
2
9
30
10
5
38
7
100
Età del figlio più piccolo
6-10
4
15
30
7
5
28
10
100
oltre10
4
7
15
9
5
42
17
100
55
56 Adele Menniti e Rossella Palomba
Grafico 4.3 Il numero di figli desiderati in alcune categorie di intervistate, 2000 (valore medio)
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1,0
nord
occupate
disoccupate
diploma sup.
26-35 anni
nubili
totale
diploma inf.
centro
coniugate
laurea
20-25 anni
casalinghe
mezzogiorno
1,5
2,0
2,5
Grafico 4.4 L’età media per avere il primo figlio secondo il numero di figli che si desidera avere
Età media
28
26
24
22
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0
Numero di figli
1
2
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>=3
Le intenzioni di avere figli
57
Tabella 4.6 Le motivazioni alla dimensione familiare desiderata, 2000 (%)
Motivazioni
1
È il numero di figli che posso gestire
Desidero famiglia numerosa
Per avere un maschio e una femmina
Desidero famiglia piccola
È il numero di figli che mi posso permettere economicamente
Stesso numero figli famiglia di origine mia/partner/amici
Altro
Totale
40
1
1
25
16
7
10
100
Dimensione familiare auspicata
2
>=3
Totale
37
2
23
12
10
8
8
100
27
46
2
1
8
11
5
100
35
15
14
10
10
9
7
100
Capitolo V
FIGLI? NO, GRAZIE
di Maura Misiti
Il "non avere figli" sta diventando un fenomeno nuovo per le dimensioni e la diffusione che va assumendo nelle popolazioni occidentali, stando agli ultimi dati anche
l'Italia si sta allineando - con il consueto ritardo - a questo trend1.
Gli effetti demografici di questa tendenza si profilano importanti poiché vanno nella
direzione di un'ulteriore trasformazione dei modelli di fecondità. L'infecondità2 dunque
si aggiunge - o forse si inscrive - a quell'insieme di "nuovi" comportamenti all'insegna
del ritardo nel calendario degli eventi che segnano le tappe della vita adulta, che, senza
manifestarsi come espressioni di cambiamenti radicali, stanno profondamente cambiando il volto delle nostre società e soprattutto stanno ponendo le basi per una trasformazione del loro futuro assetto demografico.
Le spiegazioni di questo fenomeno fanno riferimento a diverse interpretazioni in cui
le chiavi di lettura si sovrappongono e si intersecano. Come spesso avviene nell'interpretazione dei comportamenti individuali è la complessità l'elemento che prevale.
Anche sulla base della letteratura consolidata è tuttavia possibile individuare almeno tre
fattori che possono aver influito - e che soprattutto continueranno ad esercitare la loro
influenza in futuro - sulla crescita di coppie e di donne senza figli.
Il modello del posponimento, consolidato nelle generazioni degli anni '50, è sicuramente il fattore più diffuso ed accreditato nella spiegazione dell'aumento dell'infecondità3. L'innalzamento dell'età media al matrimonio e il ritardo - che in alcuni casi si traduce in una mancata nascita - del primo figlio sono la manifestazione esemplare dell'azione di questo modello di comportamento delle coppie. In questa ottica l'infecondità è
l'effetto imprevisto di una strategia volontaria, indotta dall'allungamento del periodo di
formazione, dalle difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e dall'efficienza delle scelte contraccettive, a fattori dunque di tipo "oggettivo", che invece di una scelta deliberata
di non fare figli; in questo caso la mancanza di figli si può definire come un desiderio
frustrato dalla strettoia biologica della fine della vita feconda, dissonante con le aspira1
Cfr. il capitolo II di questo rapporto e F.Prioux, (1993), “L'infeconditè en Europe”, in A. Blum, L.L.
Rallu eds., European population, II Demographic Dinamics, Ined, Paris.
2
Per infeconde si intendono le donne senza figli, queste possono essere distinte tra "involontarie" e
"volontarie". Tra le prime sono comprese quelle che hanno impedimenti biologici e fisiologici.
3
J. C. Abma, L. Peterson, “Voluntary Childlessness Among U. S. Women: Recent Trends and
Determinants”, comunicazione presentata al 1995 PAA Meeting; G. Dalla Zuanna (1999), “The banquet of Aeolus. An interpretation of the Italian lowest low fertility”, comunicazione presentata al
secondo seminario “Lowest Fertility”, Max Plank Institute, Rostock, dicembre.
59
zioni e i valori legati alla procreazione e agli ideali familiari4.
Vi è un altro elemento di recente visibilità, come la sterilità biologica, che può aver
contribuito alla diffusione all'aumento di coppie senza figli, riconducibile a fattori involontari; il contributo di questo fattore all'infecondità delle coppie non ha al momento
avuto riscontri univoci. Le stime più accreditate indicano infatti che la quota di donne
che presentano problemi fisiologici nell'avere figli è intorno al 5,4%5 e quindi lontana
dalla quota complessiva di donne senza figli. In mancanza di dati empirici recenti non è
possibile valutare correttamente se la sterilità involontaria abbia subito un incremento e
dunque se abbia avuto un effetto sulla infecondità delle donne occidentali, al di là dei
messaggi mediatici più o meno allarmistici. A questo contribuiscono le differenze di
approccio tra medici e demografi allo studio della sterilità6, differenze che impediscono
di avere una visione chiara dell'evoluzione del fenomeno; il successo che i trattamenti
medici contro la sterilità hanno avuto a partire dagli anni '70 riducendo quindi l'infecondità involontaria7; la comparsa della infertilità maschile (anche se difficilmente
valutabile) e, infine, dal fatto che anche la sterilità è un risultato indiretto del posponimento delle nascite, in quanto all'aumentare dell'età aumenta la difficoltà ad avere figli.
Infine l'aspetto più inedito - almeno nella realtà demografica europea, anche a causa
della sua relativa visibilità statistica - è quello di chi rimane senza figli per scelta, aspetto che interessa un segmento di popolazione che soprattutto nella società nordamericana ha richiamato un notevole interesse da parte degli studiosi, non solo per le implicazioni demografiche, ma anche per il significato sociale e psicologico che tale scelta rappresenta.
Si può interpretare la scelta di non fare figli in chiave anti-normativa, ossia come
rifiuto dei valori socialmente affermati. Tale rifiuto sottointende diverse posizioni, che
vanno dalla reazione alle ideologie pronataliste alla radicalizzazione della libertà delle
scelte riproduttive8. Dunque l'infecondità volontaria, sulla base delle ricerche nordamericane, può essere considerata sia come espressione di una scelta "emotiva", in alternativa ai valori dominanti, sia come scelta "razionale", in risposta alla doppia presenza
richiesta alle donne nelle società occidentali, e dunque come elemento di ridiscussione
delle nostre relazioni sociali fondamentali9.
4
G. Dalla Zuanna (1999), cit.; P. de Sandre, F. Ongaro, R. Rettaroli, S. Salvini (1997), Matrimonio e
figli: tra rinvio e rinuncia, Il Mulino, Bologna.
5
WHO/OMS (1990), Tabulation of data on the prevalence of primary and secundary infertility,
Geneve.
6
H. Leridon, (1991), “Sterilite et hypofertilité: du silence a l'impatience?”, Population, 46, 2, 225-47.
7
L. Toulemon, (1995), “Très peu des couples restent volontariement sans enfants”, Population, 50,
4-5, 1079-1109.
8
S.L.D.Rovi, (1994), “Taking "no"for an answer: using negative reproductive intentions to study the
childless/childfree”, Population Research and Policy Review, 13, 4, 343-365.
9
S.L.D. Rovi, cit.
60 Maura Misiti
5.1. I nostri dati
Come abbiamo visto (cap. IV) circa il 65% delle donne italiane che abbiamo intervistato non ha intenzione di avere figli nel prossimo futuro, mentre poco più del 10% non
ha ancora deciso. All'interno di questa nebulosa siamo in grado di individuare chi tra
queste non vuole figli come progetto di vita, ovvero chi risponde "nessuno" al quesito
relativo all'obiettivo riproduttivo complessivo. Si tratta di numeri piccoli - questo gruppo rappresenta infatti circa il 2,5% del campione10 - e dunque di un fenomeno poco rilevante dal punto di vista quantitativo, ma molto interessante come espressione e attuazione di comportamenti "fuori norma" o "devianti" specialmente nel nostro paese dove
il matrimonio e la maternità rappresentano valori prioritari condivisi ed apprezzati dalla
stragrande maggioranza della popolazione11.
Il dato italiano che emerge dalla nostra indagine rappresenta anche il più basso valore tra quelli ottenuti con metodologie analoghe ed in date non troppo lontane in altri
paesi, come quello della Francia che si attesta tra il 4 e il 5%, o quello degli Stati Uniti
dove nel '90 era pari al 4,3%12.
Le motivazioni addotte alla scelta di non fare figli contribuiscono alla comprensione
del contesto in cui matura una decisione così radicale. Le ragioni che emergono dal
nostro campione (Tabella 5.1) fanno pensare ad una decisione indipendente dai vincoli
strutturali (lavoro, reddito, abitazione); sono posizioni che definiscono un atteggiamento deciso ed "eccentrico" rispetto ai valori socialmente diffusi: la costruzione di una
famiglia, il valore dei figli, il ruolo "femminile" di dedizione e rinuncia. Ad affermazioni che negano il ruolo centrale della famiglia e del matrimonio, delle soddisfazioni
emotive e psicologiche legate all'avere figli, si affiancano quelle che fanno emergere
l'importanza di uno stile di vita "adulto" e del desiderio di continuare a sperimentare la
libertà che ne consegue.
In questo profilo motivazionale delle donne italiane riconosciamo alcuni aspetti rilevati in indagini analoghe13, mentre solo parzialmente troviamo conferme ai risultati italiani dell'INF2, dove invece la "problematicità" dell'essere genitori e le preoccupazioni
economiche dell'allevamento dei figli, sono i motivi più importanti nella scelta di non
avere figli14; problematiche pur presenti nelle risposte alla nostra indagine, ma non considerate prioritarie.
Per quanto riguarda la situazione italiana va anche tenuto conto di un possibile effet10
Si tratta di un valore leggermente inferiore a quello individuato dall'INF italiana in cui la quota era
pari al 3,4%, ma riferita ad un range di età più ampio (20-49), poiché la quota si alza al crescere dell'età si spiega la differenza tra le due indagini.
11
R. Palomba, (1996), “Il valore dei figli in Italia”, in C. Bonifazi, A. Menniti, R. Palomba (a cura di),
Bambini, anziani e immigrati, Firenze, La Nuova Italia.
12
J.C. Abma, L. Peterson, cit.
13
V. J. Callan (1986), “The impact of first birth: Married and single Women preferring Childlessness,
One Child, or Two Children”, Journal of Marriage and the Family, 48, may, 261-269.
14
M.P. Sorvillo, M. Marsili, (1999), “Aspettative di fecondità”, in P.de Sandre, A.Pinnelli, A.Santini,
a cura di, Nuzialità e fecondità in trasformazione: percorsi e fattori del cambiamento, Il Mulino,
Bologna.
Figli? No, grazie
61
to di razionalizzazione ex-post (maternità desiderata e non realizzata) sulle opinioni
espresse in merito alle aspettative complessive15.
Ma vi sono altri elementi che possono arricchire i contorni di questo gruppo e che
possono contribuire alla definizione di coloro che non intendono avere figli. A questo
proposito la maggior parte delle analisi che hanno trattato questo aspetto dell'infecondità mette in evidenza il fatto che le persone che non intendono avere figli rappresentino un insieme distinto, non solo per la loro scelta riproduttiva, ma anche a causa del
diverso atteggiamento verso questioni che investono e riguardano la vita familiare e
sono spesso oggetto di opinioni stereotipate. Cerchiamo di vedere se anche nella nostra
indagine emerge questo carattere di separatezza e distinzione.
Per alcune questioni le risposte del gruppo sembrano più dettate da un atteggiamento
di razionalizzazione ex-post di un'esperienza personale che da un'opinione precisa nel
merito. E' il caso dell'età ideale di una donna per avere il primo figlio, che viene da
questo gruppo preferibilmente anticipata alle età giovani (23-27 anni) o giovanissime
(18-22 anni); e dell'indicazione della preferenza verso una fine più precoce del periodo
riproduttivo soprattutto entro i 35 anni.
Più caratteristiche sono invece le opinioni sul modello di famiglia e su alcuni comportamenti in campo riproduttivo, in particolare si registra una divergenza significativa
rispetto alla percezione di famiglia numerosa, che risulta in questo gruppo più ridotta
rispetto all'opinione media (lo è una famiglia con tre figli per il 50% contro il 40%, ed
una con due figli per il 6% rispetto al 3%). Anche verso le coppie che hanno il primo
figlio ad una età più avanzata emergono forti differenze, soprattutto rispetto alla valutazione positiva che caratterizza il gruppo rispetto all'insieme delle intervistate (32% contro il 18%). Molto indicativa è anche la differenza che emerge sull'opinione relativa alle
coppie senza figli, in questo caso la percezione positiva del gruppo è coerentemente
elevatissima (45%) e si distanzia molto da quella dell'insieme delle intervistate, tra cui
invece prevale nettamente una connotazione negativa di questo comportamento.
Ulteriori specificazioni sulla definizione di questo gruppo si traggono dall'analisi
delle sue caratteristiche strutturali. Il profilo medio delle donne che hanno risposto di
non volere figli è quello di persone età tra i 36 e i 40 anni, senza una relazione di coppia, che vivono sole, di istruzione media superiore, occupate, residenti nel Nord ovest,
in città medio grandi. Una significativa presenza di divorziate, studentesse e dirigenti
ed una sotto-rappresentazione di casalinghe sono altri tratti emergenti dalle caratteristiche strutturali del gruppo. Queste caratteristiche confermano in buona parte i risultati di
ricerche precedenti in cui variabili come l'istruzione elevata, l'occupazione, l'età più
avanzata, sono significativamente associate alla decisione di non diventare genitori16.
In definitiva possiamo concordare sul carattere distinto delle opinioni del gruppo dei
"non genitori per scelta", sia in quanto espressione di un ideale alternativo alle norme
predominanti, sia come insieme, alquanto coerente, di opinioni conseguenti ai propri
comportamenti.
15
M.P. Sorvillo, M. Marsili, cit.
J.C. Abma, L. Peterson, cit.; S.L.D. Rovi, cit.
16
62 Maura Misiti
Il quadro che emerge da questi dati non consente di dare una lettura univoca del contesto sociale in cui matura la scelta di non diventare genitori, sia l'ipotesi della razionalizzazione di un desiderio non realizzato, che quella di un'espressione di un comportamento corrispondente ad una precisa strategia di vita in funzione di obiettivi come il
lavoro o l'autorealizzazione, sono applicabili a questo fenomeno. Senz'altro sono troppo
poche le informazioni su questo gruppo per poterne approfondire il ritratto e trarne
delle ipotesi di evoluzione, sviluppo ed influenza sulla società italiana. L'Osservatorio
sulle aspettative di fecondità sarà dunque utilizzato anche per monitorare questo fenomeno ed in particolare la stabilità della scelta di non fare figli.
Tabella 5.1 Perché non vuole avere figli, 2000 (%)
Non ho intenzione di costruire una famiglia
Non mi piacciono i bambini
Voglio mantenere la mia libertà
Sarei preoccupata per il loro futuro
Non ho intenzione di sposarmi
Dovrei lasciare i miei interessi
Altro
26
20
18
10
11
6
8
Appendice A
LA STRATEGIA DI CAMPIONAMENTO
di Loredana Cerbara
1. Vincoli e soluzioni nella progettazione.
Come per tutte le indagini campionarie a carattere scientifico, non si può prescindere
dalla progettazione di un efficace piano di campionamento. D’altra parte l’IRP ha
ormai acquisito una certa esperienza in fatto di sondaggi di opinione e, soprattutto negli
ultimi tempi, ha fatto un uso sempre maggiore delle più moderne tecniche di rilevazione che consentono di ottenere risultati in tempi estremamente rapidi e a costi del tutto
contenuti. L’utilizzo delle tecnologie informatiche, il cosiddetto sistema ‘CATI’
(Computer Assisted Telephone Interview) che oggi rappresenta l’ultima frontiera del
processo di produzione dei dati di tipo statistico, pur presentando l’inconveniente di
contattare gli intervistati soltanto per telefono, e quindi di poter raggiungere solo le
famiglie dotate di un apparecchio telefonico e non direttamente i singoli individui che
sono l’oggetto dell’indagine, offre molti altri vantaggi. Basti pensare al fatto che il processo di acquisizione dei dati su supporto informatico avviene nello stesso momento
dell’intervista (e non in un secondo momento come avveniva con la tecnica di rilevazione basta su questionario cartaceo) ed è controllabile in maniera automatica attraverso l’utilizzo di regole di congruenza che consentono di evitare l’inserimento di dati
errati perché impossibili o perché non previsti in fase di progettazione. Inoltre, il sondaggio telefonico, anche se è spesso utilizzato senza piani preventivi e senza veste di
scientificità come spinta pubblicitaria da parte di molti mass media, è ormai entrato
nell’uso comune e incontra sempre meno gli ostacoli iniziali dovuti alla diffidenza
degli intervistati.
Le indagini telefoniche, quindi, rendono il vincolo sul numero di interviste da effettuare, vincolo dettato ovviamente da imposizioni di tipo economico, sempre meno
ingombrante perché si possono produrre dati di buona qualità e caratterizzati da una
maggiore stabilità grazie anche alla possibilità di progettare piani di campionamento
estremamente potenti dal punto di vista della variabilità dell’errore1. Infatti, non è da
sottovalutare la relativa semplicità con cui si possono pianificare campionamenti di tipo
stratificato ad un solo stadio che, in termini pratici, sono i più affidabili. Infine, una
1
Per un approfondimento sui temi qui esposti cfr. V. Castellano, A. Herzel (1981), Elementi di teoria
dei campioni, Università di Roma, Facoltà di Scienze Statistiche Demografiche ed Attuariali, Edizioni
Sistema; G. Cicchitelli, A. Herzel, G.E. Montanari (1995), Il campionamento statistico, Bologna, Il
Mulino.
64 Loredana Cerbara
progettazione di questo tipo viene incontro (anche se non è possibile quantificare in che
misura) ai problemi riguardo la possibile distorsione che possono introdurre nei dati,
sia il meccanismo della mancata risposta, sia la non coincidenza della popolazione contattabile con l’universo di riferimento dell’indagine; critiche queste, che sono state più
volte mosse alle tecniche di rilevazione telefonica o, in generale, di tipo telematico.
2. Struttura del campione.
Nel caso dell’indagine sulle intenzioni riproduttive, come anche in altre esperienze
precedenti dell’IRP, si è scelto di progettare un campione di tipo stratificato ad un solo
stadio. In termini pratici, si è idealmente suddivisa la popolazione delle donne italiane
in età compresa tra 20 e 40 anni (il cosiddetto target di riferimento), in sottopopolazioni individuate a seconda del possesso o meno di alcune caratteristiche che si riteneva
potessero contribuire a chiarire la struttura dei risultati e che, in questo caso particolare,
sono lo stato civile (2 modalità) e la zona geografica di residenza (3 modalità). La
tabella a mostra la percentuale stimata di donne in target in Italia. I campioni relativi
alle due indagini rispettano entrambi questa percentuale, per cui si può dire che sono
rappresentativi della popolazione italiana che presenta le caratteristiche descritte nella
tabella a. Naturalmente, visto che la distanza temporale tra le due indagini è estremamente ridotta (appena un anno) si è scelto di utilizzare la distribuzione descritta nella
tabella a per entrambe le indagini. Infatti le differenze che si avrebbero adottando per la
seconda indagine una distribuzione per le due variabili di stratificazione sopra descritte
più recente sono di scarsa rilevanza.
All’interno di ciascuna di queste 6 sottopopolazioni della popolazione in target, sono
state scelte le donne da intervistare in modo casuale. In realtà non si tratta di casualità
in senso stretto, come vorrebbe la teoria tradizionale del campionamento, in quanto,
come si accennava nel paragrafo precedente, il sistema di contatto telefonico permette
di estrarre a caso dei numeri telefonici che non hanno una corrispondenza di tipo 1 ad 1
con chi si vuole intervistare, ma corrispondono ‘quasi’ 1 ad 1 con le famiglie italiane
che comprendono al loro interno la popolazione in target. In questo caso si decide di
estrarre i numeri di telefono in quantità proporzionale alla probabilità di trovare una
persona a cui sia possibile somministrare l’intervista e si fanno diversi tentativi fino a
che non si trova la persona da intervistare. Tale probabilità si ottiene, approssimativamente, calcolando la proporzione di famiglie che hanno una donna in target (cioè, ad
esempio, la quota di famiglie delle seguenti tipologie: donne sole, donne in coppia
senza figli, madri in coppia, figlie di genitori soli, madri sole).
Questa probabilità viene utilizzata anche come stima per difetto della probabilità di
contatto. Quest’ultima, infatti, dipende, oltre che dalla quota di famiglie descritta sopra,
anche dalla probabilità di trovare a casa la persona di interesse (e a questo problema si
tenta di ovviare programmando opportunamente le telefonate nell’arco della giornata in
modo che i tentativi siano fatti in orari diversi o in momenti della giornata in cui si
ritiene che siano maggiori le possibilità che la persona cercata sia reperibile) e dalla
probabilità che non rifiuti l’intervista.
La strategia di campionamento
65
Possiamo confrontare questo dato con le reali percentuali di rifiuto calcolate a posteriori rispetto alle interviste e con la proporzione di contatti andati a buon fine sul totale
dei contatti. Nel caso dell’ultima indagine (ma anche per l’indagine precedente si sono
rilevati all’incirca gli stessi esiti dei contatti), i contatti andati a buon fine sono stati il
15%. La parte rimanente (l’85%) si compone di un 19% di rifiuto dell’intervista e di un
66% di esiti negativi del contatto per altri motivi (irreperibilità, fuori target, ecc.). Cioè
è andata a buon fine circa 1 telefonata su 7 tentativi, all’incirca pari al doppio del
numero di tentativi stimati nella tabella b. Risultato, questo, del tutto soddisfacente, dal
momento che erano stati previsti un numero di tentativi quadruplo rispetto alla quota di
famiglie in target. In termini numerici, erano stati estratti circa 20.000 numeri complessivamente e proporzionalmente nelle tre ripartizioni ma sono stati sufficienti poco più
della metà di essi.
Nei due campioni la distribuzione delle donne intervistate per stato civile (2 modalità) e per ripartizione geografica è descritta in dettaglio nella tabella b ed è esattamente
proporzionale alla popolazione di riferimento contenuta nella tabella a.
Inoltre, dal momento che la stratificazione di un campione di dimensioni contenute,
come è nel caso delle indagini sulle intenzioni riproduttive, non può essere effettuata su
molte variabili e, di queste, non possono essere considerate troppe modalità, per tener
conto anche di altre variabili di interesse sono state introdotte delle correzioni dei dati a
posteriori anziché aumentare le variabili di stratificazione. Infatti, se si ripartiscono proporzionalmente le interviste da effettuare rispetto alla popolazione nei singoli strati, si
può verificare il caso di strati che non possono essere considerati ‘ben rappresentati’,
cioè contengono un numero di casi (interviste) estremamente ridotto e, quindi, non
significativo dal punto di vista statistico. Questo si verifica tanto più spesso quanto più
numerose sono le celle di stratificazione.
Introdurre delle opportune correzioni attraverso l’utilizzo di pesi che consentono di
effettuare una sorta di post-stratificazione dei dati riconducendoli ad una situazione di
rappresentatività anche rispetto a variabili non considerate in fase di progettazione del
campione, migliora di molto le stime ottenute senza perdita di significatività. Queste
sono le ragioni che hanno condotto alla scelta di calcolare ed applicare a posteriori dei
pesi che rendessero il campione rappresentativo anche dell’età delle donne intervistate.
3. Piano di rilevazione degli errori.
Un’informazione esaustiva sul livello di precisione dei risultati implicherebbe la pubblicazione, per ogni stima calcolabile, dell’errore di campionamento ad essa associato.
Cosa, questa, che appesantirebbe notevolmente l’esposizione dei risultati dell’indagine.
Si è scelto quindi di dare una rappresentazione sintetica degli errori campionari allo
scopo di fornire uno strumento che renda conto dell’affidabilità dei risultati senza, però,
diminuirne la leggibilità.
Per un campionamento casuale semplice di tipo bernoulliano fissato che il 99% dei
campioni componenti l’universo bernoulliano di grandezza n0 (che nel nostro caso è
pari a 1500) debba fornire una stima p di P (dove P rappresenta una frequenza relativa
66 Loredana Cerbara
di una certa caratteristica della popolazione) diversa da P al massimo di una quantità
pari a d0, si ottiene che (secondo il teorema di Bienaymé-Tchebycheff):
d0 =
25 = 0,13
1500
Quantità che sovrastima abbondantemente la probabilità d’errore reale. Sotto l’ipotesi di normalità, infatti, questo valore diventerebbe:
d0 =
1,69 = 0,03
1500
Cioè, con un campione di 1500 unità ed un campionamento casuale semplice di tipo
bernoulliano si rischia di commettere un errore massimo del 3% per una stima su tutta
la popolazione intervistata. Il disegno campionario adottato in questo caso è di tipo
complesso e quindi è più efficiente rispetto a quello casuale semplice. D’altra parte
questa efficienza aggiuntiva è stata spesa, in una certa misura, nel momento in cui si è
fatto uso di una tecnica di rilevazione che raggiunge in modo complesso la persona da
intervistare, come abbiamo chiarito nei paragrafi precedenti. Perciò abbiamo deciso di
calcolare una stima dell’errore secondo uno schema semplificato, come se si trattasse di
un campionamento semplice, potendo così guadagnare molto in termini di efficacia
espositiva. In particolare, poiché le stime hanno in questo caso di solito la forma di frazioni, l’errore di campionamento che rischiamo di commettere viene stimato come:
σ (p) = σ B (p) • deft =
p (1-p) • deft
n0
che è il nostro errore di campionamento nella stima p della quantità P, σ B(p) è l’errore corrispondente per un campionamento casuale semplice di tipo bernoulliano, n0 è
la dimensione del campione e deft misura l’efficienza del campionamento complesso
adottato da noi rispetto al campionamento casuale semplice bernoulliano. Trascurando
la quantità deft, possiamo in tal modo facilmente calcolare la stima dell’errore per
diversi gruppi di variabili (ripartizione geografica, stato civile, livello di istruzione, e
così via). La tabella c fornisce la stima dell’errore assoluto percentuale (che corrisponde quindi alla quantità σ B(p) • 100) per diverse percentuali (di cui si trovano alcuni
valori in testata delle tabelle che seguono) che si possono ottenere come stime nel campione o in sottocampioni di esso. Naturalmente, poiché abbiamo trascurato la quantità
deft, questi valori sono delle stime, presumibilmente per difetto, della vera probabilità
in percentuale dell’errore.
Per chiarire l’utilizzo di queste tabelle facciamo un esempio. Se si vuole sapere l’errore, in percentuale, che possiamo commettere facendo l’affermazione: il 30% delle
donne coniugate dichiarano che …, basta cercare il valore più vicino a 30% nell’intestazione della tavola relativa all’errore percentuale calcolato per lo stato civile e leggere il
La strategia di campionamento
67
valore corrispondente alla riga delle coniugate. Si trova 1,59 che sta ad indicare la percentuale di errore della nostra affermazione. Infine, il valore dell’errore percentuale così
ricavato può essere usato per costruire un intervallo di confidenza della nostra stima.
I valori della tabella c si riferiscono in particolare alla seconda indagine. Abbiamo
omesso i valori relativi alla prima indagine per amore di leggibilità e per il fatto che
tutto sommato le differenze sono minime, se non, in diversi casi, addirittura nulle in
quanto le due indagini hanno lo stesso piano di campionamento per cui hanno una
struttura della popolazione intervistata del tutto simile.
4. Prospettive per le indagini future.
La fase della progettazione del campione ha richiesto un’attenzione maggiore che
negli altri casi. Infatti, dal momento che l’indagine sarà ripetuta più volte nel futuro, ma
sempre con lo stesso schema di campionamento, occorre stabilire una regola che possa
valere sempre. Inoltre gli stessi argomenti dell’indagine suggeriscono la possibilità di
adottare un campione ruotato reintervistando dopo un certo intervallo di tempo alcune
donne. Infatti, dal momento che alle donne si chiede quali siano le loro intenzioni
riproduttive nei prossimi due anni, si può pensare di ricontattarne alcune dopo due anni
dalla prima intervista per verificare quante di esse abbiano effettivamente realizzato ciò
che era nelle proprie intenzioni. Ovviamente andrà progettata anche questa seconda
fase tenendo conto che, complessivamente, il campione dovrà rimanere rappresentativo
della popolazione in target in Italia per stato civile e per distribuzione geografica.
Bisogna inoltre definire quante donne dovranno essere reintervistate e quali dovranno
essere le loro caratteristiche strutturali. I questionari somministrati fino ad ora contenevano anche un quesito relativo alla disponibilità ad una nuova intervista in un tempo
futuro. Ovviamente, le donne che dovranno essere intervistate una seconda volta saranno estratte dalla popolazione di coloro che hanno risposto affermativamente a questo
quesito, cosa, questa, che mette al riparo da elevati tassi di rifiuto dell’intervista, anche
se non si può sperare di trovare allo stesso numero telefonico tutte le donne già intervistate due anni prima. Questi e altri problemi di pianificazione del campione ruotato
saranno affrontati in sede di progettazione delle indagini future, ma saranno tenute
sempre presenti le scelte effettuate in occasione delle prime due indagini in modo da
ottenere un panel di dati robusto nel tempo.
68 Loredana Cerbara
Tabella a: Distribuzione percentuale delle donne italiane in età compresa
tra 20 e 40 anni per stato civile e ripartizione geografica.
Coniugate-conviventi
Altro
Totale
Nord
23,9
19,4
43,3
Centro
11,1
8,3
19,4
Mezzogiorno
23,2
14,1
37,3
Italia
58,3
41,7
100,0
Fonte: Istat
Tabella b: Probabilità di individuare una famiglia con una donna in target
e numero medio di tentativi previsti.
Nord
Centro
Mezzogiorno
Italia
Quota di famiglie in target
0,30
0,29
0,35
0,31
Numero medio di tentativi
3,36
3,39
2,89
3,20
Fonte: Istat
Tabella c: Errori di campionamento assoluti in percentuale per diverse sottoclassi.
5 o 95
10 o 90
Zona geografica
Nord
Centro
Sud
15 o 85 20 o 80
25 o 75
30 o 70 35 o 65 40 o 60
45 o 55
50
0,86
1,28
0,92
1,18
1,76
1,27
1,40
2,10
1,51
1,57
2,35
1,69
1,70
2,54
1,83
1,80
2,69
1,94
1,87
2,80
2,02
1,92
2,88
2,07
1,95
2,92
2,10
1,96
2,94
2,11
Stato civile
Coniugata
Nubile
Altro
0,76
0,88
3,05
1,04
1,21
4,20
1,24
1,44
5,00
1,39
1,61
5,60
1,50
1,74
6,06
1,59
1,84
6,42
1,65
1,92
6,68
1,70
1,97
6,86
1,72
2,00
6,97
1,73
2,01
7,00
Età
20-25
26-30
31-35
36-40
1,17
1,30
1,15
0,96
1,61
1,80
1,58
1,32
1,92
2,14
1,88
1,57
2,15
2,39
2,11
1,76
2,32
2,59
2,28
1,91
2,46
2,74
2,42
2,02
2,56
2,86
2,51
2,10
2,63
2,93
2,58
2,16
2,67
2,98
2,62
2,19
2,68
2,99
2,64
2,21
Titolo di studio
Licenza elementare
Licenza media inferiore
Licenza media superiore
Laurea
2,50
1,02
0,76
1,78
3,44
1,40
1,05
2,45
4,10
1,67
1,25
2,92
4,59
1,87
1,40
3,27
4,97
2,03
1,51
3,54
5,26
2,15
1,60
3,74
5,47
2,23
1,67
3,89
5,62
2,29
1,71
4,00
5,71
2,33
1,74
4,06
5,74
2,34
1,75
4,08
Attività principale
Occupata
Casalinga
Studentessa
Altro
0,78
1,05
1,62
2,13
1,07
1,44
2,23
2,93
1,28
1,72
2,65
3,48
1,43
1,92
2,97
3,90
1,55
2,08
3,22
4,23
1,64
2,20
3,41
4,47
1,71
2,29
3,55
4,65
1,75
2,36
3,64
4,78
1,78
2,39
3,70
4,86
1,79
2,41
3,72
4,88
Numero di figli
0
1
2
>=3
0,843
1,248
1,086
1,957
1,161
1,718
1,494
2,694
1,382
2,045
1,779
3,207
1,548
2,290
1,993
3,592
1,675
2,479
2,157
3,889
1,773
2,624
2,283
4,115
1,845
2,731
2,376
4,283
1,895
2,805
2,440
4,399
1,925
2,849
2,478
4,468
1,935
2,863
2,491
4,490
Appendice B
TUTTI I NUMERI: PERCENTUALI E QUESTIONARIO
1. Lei è sposata o vive stabilmente con un partner?
• Si . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .58
• No . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .42
2. In che anno si è sposata o ha iniziato la convivenza?
• Dal 1973 al 1979 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7
• Dal 1980 al 1984 . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15
• Dal 1985 al 1999 . . . . . . . . . . . . . . . . . . .23
• Dal 1990 al 1994 . . . . . . . . . . . . . . . . . . .29
• Dal 1995 al 1999 . . . . . . . . . . . . . . . . . . .26
3. Lei ha figli?
• Si, 1 figlio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .21
• Si, 2 figlio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .24
• Si, 3 figli e + . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7
• No . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .48
4. Il suo ultimo figlio/unico figlio è nato quando desiderato,
prima o dopo del previsto, o al di fuori di ogni programmazione?
• Quando desiderato . . . . . . . . . . . . . . . . . .75
• Prima del previsto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5
• Dopo del previsto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1
• Al di fuori di ogni programmazione . . . .19
(solo per chi non vive stabilmente con un partner)
5. Lei attualmente ha una relazione affettiva (sentimentale) importante/stabile
con un partner?
• si . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .55
•no . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .45
70
(solo se ha relazione affettiva)
6. Da quanto tempo?
• Meno di 1 anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19
• da 1,1 a 2 anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .21
• da 2,1 a 3 anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13
• da 3 anni o più . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .47
7. Lei nei prossimi 2 anni ha intenzione di avere un figlio?
• Sono incinta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4
• Si . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .20
• No/Non ne posso avere . . . . . . . . . . . . . .65
• Non ho idea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11
8. E suo marito/partner ha intenzione di avere figli nei prossimi 2 anni?
• Si . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .27
• No . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .63
• Non ha idea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .10
(solo per chi non può avere figli od ha difficoltà ad averne)
9. Ha/avete intenzione di ricorrere a metodi di fecondazione assistita (artificiale)?
• Si . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6
• No . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .94
71
(solo per chi ha dichiarato di non volere/sapere se avere figli nei prossimi 2 anni)
10. Mi può indicare le ragioni più importanti per le quali
non vuole avere figli nei prossimi due anni?
10a. Mi può indicare le ragioni più importanti che la fanno esitare
nella decisione di avere figli nei prossimi due anni? (fino a 3 risposte)
• Non sono pronta/non siamo pronti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .17
• Instabilità/difficoltà dell’attuale rapporto,
non considero stabile l’attuale partner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1
• Non ho un partner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
• Vorrei prima trovare un lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
• Avrei problemi sul posto di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6
• Vorrei prima affermarmi sul lavoro (fare carriera) . . . . . . . . . . . . . .4
• Problemi economici/
problemi logistici a casa (mancanza di spazio) . . . . . . . . . . . . . . .21
• Vorrei mantenere l’attuale tenore di vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7
• Dovrei lasciare i miei interessi attuali a cui tengo . . . . . . . . . . . . . .6
• Non intendo avere altri figli oltre gli attuali,
sono soddisfatta dei figli che ho . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18
• Sono/sarei già preoccupata per il futuro del figlio/i che già ho . . . .3
• Ho difficoltà ad avere figli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1
• Non posso avere figli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1
• Non sono sposata/prima voglio sposarmi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4
• Non voglio avere figli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2
• Non ho l’età giusta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1
• Problemi di salute/gravidanza difficile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3
• Altro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2
11. E quanti figli vorrebbe avere in tutto? (compresi quelli che eventualmente
ha già / o sta per avere)
• Nessuno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2
• Uno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11
• Due . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .58
• Tre e più . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .29
72
12. Lei mi ha detto che vorrebbe avere … figli. Perché proprio .. figli ?
(fino a 3 risposte)
• Perché è lo stesso numero di figli della famiglia
di origine mia e di mio marito/partner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4
• Perché è lo stesso numero di figli della mia famiglia di origine . . . .5
• Perché è lo stesso numero di figli della famiglia
di mio marito/partner/miei amici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
• Per avere un maschio ed una femmina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .16
• Perché è il numero di figli che posso gestire
(dipende da organizzazione familiare) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .35
• Perché è il numero di figli che mi posso permettere
(dipende da casa e reddito) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18
• Desidero avere una famiglia piccola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13
• Mi piacerebbe avere una famiglia numerosa . . . . . . . . . . . . . . . . .17
• E’ il numero di figli che mi permette
di coltivare gli interessi a cui tengo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3
• Con il lavoro che ho posso gestire questo numero di figli . . . . . . . .2
• Non voglio avere il figlio unico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3
• Per problemi di salute . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1
• È questo il numero di figli che ho programmato . . . . . . . . . . . . . . .2
• Altro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6
(solo per chi ha dichiarato di non volere figli)
12a. Lei mi ha detto che non vorrebbe avere figli.
Mi può dire quale è il motivo principale di questa risposta?
• Non ho intenzione di costruire una famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
• Non ho intenzione di sposarmi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11
• Dovrei lasciare i miei interessi a cui tengo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
• Dovrei rinunciare al mio tenore di vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
• Non mi piacciano i bambini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .20
• Voglio mantenere la mia libertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18
• Sarei preoccupata per il loro futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .10
• Altro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .8
13. Quanti figli ha avuto sua madre?
• Uno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
• Due . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
• Tre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
• Quattro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14
• Cinque e più . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13
73
14. Secondo lei, a che età una donna dovrebbe avere il primo figlio?
• 26,0 (valore medio)
15. Secondo lei, a che età una donna non dovrebbe fare più figli?
• 41,9 (valore medio)
16. A partire da quanti figli lei considera una famiglia numerosa?
• 3,8 (valore medio)
17. Siamo interessati a conoscere la sua opinione su alcuni fatti
che investono la vita familiare. Che opinione ha del fatto che:
Positiva
Né positiva
Negativa
né negativa
Le coppie non sposate abbiano figli . . . . . . . . . . .48 . . . . . . . . .35 . . . . . . . . . .17
Le coppie decidano di avere il loro
primo figlio ad un’età sempre più avanzata . . .18 . . . . . . . . .35 . . . . . . . . . .47
Una coppia sposata decida di non avere figli . . . .13 . . . . . . . . .39 . . . . . . . . . .48
18. Qual è la sua attuale attività principale?
• Occupata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
• Studentessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
• In cerca di occupazione . . . . . . . . . . . . . . . 6
• Casalinga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
• Altro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
19. Il suo è un lavoro è:
• Stabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .81
• Precario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19
20. Lei lavora:
• A tempo pieno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .70
• A tempo parziale (part-time) . . . . . . . . . .26
• Saltuario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4
21. Suo marito/partner ha un lavoro?
• Si . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .92
• No . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .8
22. Il lavoro di Suo marito/partner è:
• Stabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .92
• Precario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .8
74
23 Suo marito/partner lavora:
• A tempo pieno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .94
• A tempo parziale (part-time) . . . . . . . . . . .3
• Saltuario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3
24. Qual è la situazione finanziaria attuale della sua famiglia?
• Riesce a risparmiare abbastanza . . . . . . . 22
• Riesce a risparmiare qualcosa . . . . . . . . 39
• Quadra appena il suo bilancio . . . . . . . . 35
• Deve prelevare dalle riserve . . . . . . . . . . . 3
• Deve fare debiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
25. La Vostra situazione finanziaria negli ultimi 3 anni è:
• Migliorata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .27
• Invariata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .55
• Peggiorata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18
26. La Vostra situazione finanziaria nei prossimi 2 anni:
• Migliorerà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .47
• Resterà invariata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .46
• Peggiorerà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
27. Mi sa indicare di quante stanze è composta la sua casa
(senza contare cucina e bagno)?
• 3,7 (valore medio)
28. Lei nei prossimi 2 anni ha intenzione di sposarsi/convivere?
• Si . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .63
• No . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .31
• Nono so . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
29. Il suo partner ha le sue stesse intenzioni nei riguardi del matrimonio?
• Si . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .86
• No . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11
• Non so . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3
75
30. Infine torniamo a Lei. Mi può dire il suo titolo di studio:
• Laurea/diploma universitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
• Diploma o qualifica di scuola media superiore . . . . . . . . . . . . . . . .57
• Licenza di scuola media inferiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .30
• Licenza elementare e nessun titolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
(Solo per le occupate)
31. La posizione nella professione:
• Dirigente e direttivo quadro . . . . . . . . . . . .3
• Impiegata, intermedio . . . . . . . . . . . . . . . .54
• Capo operaia e operaia . . . . . . . . . . . . . . .24
• Libera professionista . . . . . . . . . . . . . . . . .8
• Lavoratrice in proprio . . . . . . . . . . . . . . . .5
• Altro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6
32. Mi può indicare il numero di componenti
della sua famiglia compresa lei (componenti conviventi)?
• 3,64 (valore medio)
33. Mi può indicare il suo stato civile?
• Sposata/convivente . . . . . . . . . . . . . . . . . .54
• Nubile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .43
• Separata/divorziata . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2
• Vedova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1
34 Possiamo intervistarla tra due anni per sapere cosa è cambiato nella Sua famiglia?
•Si . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .95
•No . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5
Riassunto
L’Istituto di Ricerche sulla Popolazione ha deciso di avviare un Osservatorio sulle intenzioni riproduttive che, raccogliendo annualmente le decisioni delle donne italiane di avere o non
avere figli e verificandone le modifiche nel tempo, possa costituire una base interpretativa del
calo della natalità, diventare uno strumento per prevedere l’andamento della fecondità nel
breve termine e fornire un supporto scientifico ad interventi politici nel settore. Infatti, ogni
anno l’Istituto reintervisterà una parte delle donne oggetto di studio per analizzare se effettivamente le loro aspettative di fecondità si siano realizzate nei tempi dovuti e, se no, perché.
L’indagine, di tipo telefonico, è stata svolta nei primi mesi di quest’anno su un campione rappresentativo di 1500 donne di età fra i 20 e i 40 anni, residenti nelle tre aree geografiche.
I primi risultati dell’Osservatorio sono sintetizzati in questo Working Paper. Il Rapporto di
ricerca si articola in 5 capitoli relativi a: l’Osservatorio sulle aspettative di fecondità; donne e
figli nell’Italia di fine secolo; la famiglia ideale; le intenzioni di avere figli; figli? No, grazie.
Una Appendice che comprende un capitolo sulle strategie di campionamento e il questionario
di indagine con le relative frequenze completa il Rapporto.
Abstract
The Institute for Population Research (IRP) has decided to set up an Observatory on reproductive intentions; an annual collection of data on the decision by Italian women whether or
not to have children with the monitoring of changes over time can form a basis for interpreting
the fall in the birth rate, as well as a tool for forecasting short-term fertility trends and for providing scientific support to policy measures in the field. Every year, the Institute will again
interview some of the women in the survey to analyse whether their fertility expectations have
been fulfilled in the forecast time, and if not, the reason. This is a telephone survey conducted
in the early months of this year on a representative sample of 1,500 women aged between 20
and 40, resident in the North, Centre and South of Italy.
The first results of the Observatory are summed up in this Working Paper. The report includes 5 chapters on: The Observatory on fertility expectations; Women and children in Italy at
the end of the century; The Ideal Family; Intentions to have children; Children? No, thanks.
An Annexe with a chapter on sampling strategies and the survey questionnaire with the relative
frequencies ends the Report.
Résumé
L'IRP (Institut de Recherches sur la Population) a décidé de créer un Observatoire sur les
intentions reproductives des femmes italiennes. En recueillant chaque année les décisions de
ces femmes sur l'intention d'avoir des enfants ou de ne pas en avoir, et en vérifiant les modifications apportées dans le temps à de telles décisions, l'Observatoire pourra interpréter la baisse
de la natalité, devenir un instrument de prévision de l'évolution de la fécondité à court terme, et
fournir un support scientifique à des interventions politiques dans ce secteur. En effet, chaque
année, l'Institut interrogera une partie des femmes faisant l'objet de l'étude, afin de vérifier si
leurs attentes en matière de fécondité se sont effectivement réalisées dans les temps, et si ce
n'est pas le cas, pourquoi. L'enquête effectuée par téléphone a eu lieu au début de cette année
sur un échantillon représentatif de 1 500 femmes de 20 à 40 ans, résidant dans le Nord, le
Centre et le Sud de l’Italie .
Les premiers résultats de l'Observatoire sont résumés dans ce Document de Travail
(Working Paper). Le Rapport de recherche s'articule en 5 chapitres : L'Observatoire sur les
attentes en matière de fécondité ; Femmes et enfants dans l'Italie de la fin du siècle ; La famille
idéal; Les intentions d'avoir des enfants ; Des enfants ? Non, merci. Un Appendice comprenant
un chapitre sur les stratégies d'échantillonnage et le questionnaire d'enquête avec les fréquences correspondantes complète le Rapport.