Bistarelli Agostino - La “resistenza” della Repubblica

Transcript

Bistarelli Agostino - La “resistenza” della Repubblica
PRESENTE
Numero 65 maggio/agosto 2005 anno XXIII
FRANCOANGELI
La "resistenza" della Repubblica sociale italiana
Agostino Bistarelli
Per iniziativa di 25 senatori di Alleanza Nazionale e del trentino Renzo Gubert dell'Udc è stato
presentato il disegno di legge n. 2244 sul Riconoscimento della qualifica di militari belligeranti a
quanti prestarono servizio militare dal 1943 al 1945 nell'esercito della Rsi. Nella relazione che
accompagna l'articolato, si legge: «a distanza di tanti anni appare giusto riconoscere ai reduci delle
forze armate della Rsi la qualifica di militari belligeranti che compete loro sul piano dei fatti e del
diritto nazionale ed internazionale, qualifica che essi hanno sempre rivendicato con forza».
Secondo questa impostazione il dopoguerra si concluderebbe solo ora ed è come se per tutto
questo periodo una parte di italiani fosse stata esule in patria, secondo la definizione più volte
ricorrente nella storiografia e nella memoria dei reduci della Rsi. Infatti, di fronte alla doppia
sconfitta, queste produzioni di memoria e di racconto storico sono segnate chiaramente da
atteggiamenti di estraneità all'Italia democratica, dove il lato esistenziale, quello culturale e quello
politico si raccolgono nei temi speculari dell'autocompiacitnento 1 e del risentimento, dispiegandosi
sulla contrapposizione fra la Rsi, presentata come un punto alto Iella storia nazionale, e un'Italia
della Resistenza dietro cui avevano trovato epressione tutti i vizi storici e le consuete cadute di
carattere della nazione 2 -.
La dimensione esistenziale nella memoria dei combattenti si presenta così nel dopoguerra con
la chiave di lettura della proscrizione, attraverso la quale
' Per la presenza di questo atteggiamento nella produzione storiografica cfr.
«Teoria politica», 13 (1997), n. 1, pp. 3-21.
M. Revelli, La storia d'Italia riscritta dalla destra,
2
F. Germinario, L'altra memoria. L ' e s t r e m a destra, Salò e la Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 19, che sottolinea
anche I'intreccio, nel mondo proveniente dall'esperienza di Salò, tra la ricostruzione di una propria sfera individuale e quella di
un'azione politica generale. Questo ha significato indirizzare le forze verso la definizione di una propria memoria più che sul terreno
della ricostruzione storica, piani che non necessariamente coincidono: «la rielaborazione del lutto - essendo mossa dalla necessità
di ricostruire in forte Iegame fra presente e passato - non significa fare storiografia. Le ricostruzioni di provenienza neofascista
hanno risposto al requisito fondamentale di costruire un'altra memoria che fornisse ulteriori argomenti e motivazioni al ruolo
antisistemico che il neofascismo aveva assunto fin dagli inizi nella società italiana» (p. 17).
<<Passato e presente>>, a. XXIII (2005), n. 65
5
USI E ABUSI DELLA STORIA
rivendicare orgogliosamente una propria diversità, invece di fare i conti con la sconfitta e
con l’isolamento: «i soli proscritti italiani del nostro tempo sono stati i combattenti della
X MAS e di altre formazioni volontarie della Rsi, sono stati i reduci della Rsi nei primi
anni del dopoguerra», secondo la delinizione di Giovanni Volpe 3 . Anche altri osservatori
insistono sulla «percezione di sentirsi superstite o sopravvissuto a un’epoca, con il
corollario di frustrazione e di rivalsa» 4 che ispira la produzione dei reduci di Salò. In
questa lettura l’8 settembre assume ancora di più il senso di spartiacque, soprattutto sul
piano della dimensione etica, in modo che l’appello a valori supremi possa sconfiggere
l’accusa che più delegittima, quella della complicità con i nazisti. Castellacci, ad
esempio, ricorda la sua scelta anche in termini di rito di passaggio, di beau geste:
II «bello», nei nostri sentimenti di allora, coincideva con il «morale». Era brutto, sopra ogni altra
considerazione, che la guerra finisse a quel modo, senza che nessuno (di tutto un popolo fino a
poco tempo prima partecipe e più o meno entusiasta) pagasse il conto. Premevano in quell’idea di
«bello» parole fino a quel momento importanti (e a quel punto arrivate al limite storico estremo di
un possibile riscatto) come onore, lealtà, fedeltà, responsabilità, fermezza, coraggio, contrapposte
a vergogna, viltà, sbracamento, voltafaccia, tradimento. Erano le parole d’ordine che avevano
regolato fino a qualche giorno prima i nostri giochi di ragazzi, le scazzottate, le gare, le amicizie, i
rapporti con il prossimo. Tutto ciò non era necessariamente «fascismo». Era invece un mondo di
valori che veniva da più lontano nel tempo 5 .
3
G. Volpe, I nuovi Proscritti, «Intervento», 11 (1983), n.63, p.64. Significativo anche per il tentativo di rinviare alla
cultura storica risorgimentale il titolo del libro dì M.Tarchi, Esuli in patria. I fascisti nell’Italia repubblicana, Guanda,
Milano-Parm a 1995. Sulla chiave di Iettura proposta cfr. Anche M. Revelli. L «nuovi proscritti>>:appunti su alcuni temi
cul turali della nuova destra, «Rivista di storia contemporanea>>, 12 (1983). N.1, pp. 37-69, incentrato sulla riscoperta
da parte della destra del libro di Ernst von Salomon, l proscritti, «tanto da diventarne per molti versi un simbolo. In
esso sembrano abbozzarsi, su uno sfondo storico inquietante, quelle che, in un certo senso, possono essere
considerate come le controfigure ideali di un’antropologia della crisi a uso del neofascismo italiano e della sua
“metamorfosi integrale” agli albori degli anni ‘80>> (p. 37): cfr. p. 46 sulla ripetizione ossessiva, nelle pubblicazioni
della nuova destra, del concetto della necessità di chiudere un «dopoguerra durato quarant’anni anni».
4 E’ questa la chiave di lettura dei libri di Mazzantini e Tarchi proposta da A. Ungari, Tra radicalismo e inserimento
nel sistema. Le destre italiane del secondo dopoguerra. «Annali della Fondazione Ugo Spirito». 11 (1999), p. 280,
secondo il quale sia il t a g l i o autobiografico di Mazzantini, A cercar la bella morte, sia quello politologico di Tarchi,
Esuli in patria, riescono a dar conto dello spirito «di quanti avevano aderito e creduto, spesso ingenuamente,
nell’esperienza del fascismo repubblicano, e che da tale esperienza erano usciti provati, psicologicamente e, a volte,
anche nel fisico» (p. 280).
5 Colloquio con M. Castellacci, in F. Giorgino-N. Rao (a cura di), L’un contro l’altro armati. Dicci testimonianze della
guerra civile (1943-l945), Mursia, Milano 1945, p.111 Castellacci, che nel dopoguerra lavorerà al giornale radio Rai
prima di fondare con Pierfrancesco Pingitore il teatro “Bagaglino”, è l’autore dei versi che diventarono quasi l’inno
ufficiale della Rsi: «Le donne non ci vogliono più bene / perché portiamo la camicia nera / Hanno detto che siamo da
galera. / hanno detto che siamo da catene…».
LA “RESISTENZA” DELLA RSI 117
La memorialistica combattentistica cerca così di avallare una visione dell'adesione alla Rsi come
necessaria per la dignità nazionale messa fortemente in crisi dalla vigliaccheria dell'8 settembre.
Emblematica di questa posizione è I'identificazione proposta da Graziani, il "soldato impavido del regime" e della sua epopea coloniale, della propria figura con quella di un generale nemico, Charles de
Gaulle, come nota Germinario: «nell'Italia umiliata e tradita del settembre 1943, come tre anni prima
nella Francia della terza Repubblica, c'erano stati dei soldati che avevano saputo anteporre le ragioni
della patria a quelle della politica, rifiutandosi di obbedire agli ordini di un governo che aveva
abiurato, se non alla legittimità giuridica e politica, certo alla propria autorità morale, adottando scelte
politiche lesive del bene supremo della nazione»6 .
Proseguendo per questa strada, si scaricano sull'avversario le accuse di collaborazionismo, di
cedimento allo straniero, di illegittimità della scelta di continuare a combattere, attraverso la
presentazione di una propria diversità, più che culturale quasi antropologica che, manifestatasi
durante la guerra, continuerà anche a conflitto finito. E su questo piano si può cercare di rivendicare
un proprio ruolo anche nel dopoguerra. «Noi eravamo storicamente l' "altra verità”. La nostra verità
culturale, sociale, umana, era stata calpestata, diffamata, vilipesa, ma era lì ferina, accusatrice
implacabile»7 , si compiace Franzolin ancora quaranta anni dopo. E il disegno di legge ricordato cerca
di chiudere il ciclo, riscrivendo la storia dal punto di vista dei vinti. Ha notato acutamente Pavone:
«stando alle loro motivazioni, la vera Resistenza in Italia in quegli anni fu fatta dalla Repubblica di
Salò, nata da una sana ribellione contro i traditori dell'8 settembre»8.
Questa operazione di falsa coscienza è dimostrata chiaramente sia dal testo dell'articolato, sul
quale tornerò, sia dal richiamo continuo che la relazione fa a una sentenza del Tribunale supremo
militare del 1954. Nell'aprile di quell'anno, I'organismo si pronunciò sul ricorso presentato da ufficiali
della "Legione Tagliamento" contro la sentenza del Tribunale militare di Milano che nel 1952 aveva
riconosciuto 12 ufficiali colpevoli del reato di aiuto al nemico (art. 5 d.l.l. 27 luglio 1944 n. 159, in rel.
artt. 51 e 110 c.p.) per avere
con azione diretta, o con ordini ed istrurioni a propri dipendenti, e col consentire l'azione di questi in tal senso,
commesso fatti intesi a favorire le operazioni militari ed i disegni politici del tedesco nemico invasore, a nuocere
alle operazioni delle forze armate del legittimo Stato italiano, ed a menomare la fedeltà dei cittadini dello Stato
stesso: partecipando alla lotta contro i partigiani per la guerra di liberazione; at-
6
F. Germinario, L'altra m em or ia c it., p. 53.
U. Franzolin, E’ m ancato un pr ogetto c ul tural e, «Inter vento», 14 ( 1986) , n. 78- 79, p. 57.
C. Pavone, Vogli ono una r ivi ncita non la paci ficazione, interviste di S. Fiori, «la Repubblica>>, 18 febbraio
2005.
7
8
118
USI E ABUSI DELLA STORIA
tuando e facendo attuare, anche contro le popolazioni civili, rastrellamenti, sevizie,uccisioni, saccheggi,
incendi e distruzioni, sequestri di persona ed arbitrarie perquisizioni 9 .
Il Tribunale supremo militare dichiarò inammissibili alcuni ricorsi, ne accolse altri, ridusse le
condanne, ma soprattutto accolse la tesi di fondo del ricorso: costituendo la Repubblica sociale un
governo di fatto, i suoi combattenti dovevano essere considerati belligeranti, gli ordini impartiti dai
superiori ai loro subordinati dovevano essere eseguiti; si sostenne, addirittura, che «non può far
velo alla soluzione del quesito, che è di ordine strettamente giuridico, il carattere insurrezionale del
Governo suddetto, per trarne I'illazione generica della illegittimità di tali ordini». Così, sulla base di
una interpretazione assai discutibile della Convenzione dell'Aja, si rovesciarono le parti: sia che
fossero dipendenti dai tedeschi che autonomi, ai reparti della Rsi «si doveva riconoscere la qualità
di belligeranti, perché comandati da capi responsabili, portavano segni distintivi e riconoscibili a
distanza, apertamente le armi, e si conformavano, per quanto era possibile, nei confronti dell'avversario belligerante, alle leggi e agli usi di guerra». sostenendo che per le stesse ragioni i partigiani
potevano essere considerati belligeranti. Nella sentenza veniva evidenziato il nuovo «clima
dell'auspicata pacificazione e delle sopite passioni politiche». Rinviando al giudizio della storia
l'esame delle responsabilità collettive, si ammetteva la possibilità di tener conto dei moventi e degli
scopi per cui si attuò la singola collaborazione, in omaggio all'«anelito di pacificazione che pervade
tutto il popolo italiano e tutti i partiti, nessuno escluso, anelito tradotto dai singoli Governi che si
sono susseguiti, dal 1946 a oggi, in decreti di Sovrana clemenza, intesi a porre sempre più sullo
stesso piano morale tutti gli italiani in buona fede, per modo che tutti si sentano figli della stessa
Patria, e non vi siano più dei tollerati, degli umiliati e dei reietti, cui si possa, ad ogni istante,
rinfacciare un passato che fu piuttosto opera del fato, che degli individui».
Una sentenza, quella del 1954, giunta al culmine dei "lunghi inverni" della Resistenza e che rimase
comunque isolata, essendo palesemente in conflitto con tutta la legislazione sul collaborazionismo
con i tedeschi che trova il suo punto di origine nel d.l.lgt. 27 luglio 1944, n. 159, e nelle numerose
pronun9
P. Ambrosio, “ In nome del popolo italiano ". La sentenza contro Zuccari e altri uffciali della legione Tagliamento,
«I'impegno». 5 (1985), n. 2, ed. web riveduta e corretta, Istituto per la storia della Resistenza e della società
contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, agosto 2003. Delio stesso autore cfr. Guerra civile o guerra di
liberazione? [Dalla sentenza contro Merico Zuccari e altri appartenenti alla legione "Tagliamento"], ivi, 9 ( 1989). n. 3.
II Tribunale di Milano inflisse quattro ergastoli e otto condanne tra i 16 e i 24 anni di reclusione (in parte condonati).
Tutti furono condannati alla degradazione, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e alle altre conseguenze di legge
e al pagamento, in solido, delle spese processuali.
LA “RESISTENZA” DELLA RSI
119
ce delle corti di merito e della suprema Corte di Cassazione, anche a Sezioni unite. Naturalmente la
relazione al disegno di legge attuale non contiene alcun accenno alla consolidata giurisprudenza
sul tema, accoppiando così una forma di revisionismo giuridico a quello storico basato sulla
«storiografia più recente e anche la letteratura più attenta (da ultimo il libro di Gianpaolo Pansa I
figli dell'aquila e prima altri autori come Mazzantini, Vivarelli, Beppe Fenoglio, per citarne solo
alcuni)». Dicevamo dell'articolato: anche questo dimostra la strumentalità della legge, visto che non
c'è coincidenza tra il titolo, la definizione degli articoli e la relazione. Mentre il titolo e la relazione
fanno riferimento in pratica solo all'esercito, nell'art. 1 vi è solo il riferimento a soldati, sottufficiali e
ufficiali «c he prestarono servizio» nella Rsi. Si aprirebbe così la strada all'equiparazione anche
degli appartenenti alla Gnr, alle Brigate Nere, alle SS italiane o alle altre formazioni di volontari che
parteciparono all'orrore antisemita.
Ma vi è un altro elemento da considerare e che dimostra I'uso politico della storia e della
legislazione. Parliamo del fatto che, per quanto attiene il livello soggettivo, questo riconoscimento è
nei fatti già avvenuto, addirittura dai primissimi anni del dopoguerra. In uno dei testi classici e
ufficiali della storiografia militare si può trovare la seguente descrizione della ricostituzione
dell'esercito e del comportamento dei quadri:
nonostante la eterogeneità delle esperienze e delle provenienze, essi non tardarono a riamalgamarsi e si può dire che la
loro coesione fu cementata anche dagli atteggiamenti antimilitari di cui si sentivano circondati. La conquistata armonia
venne invece incrinata qualche tempo dopo, quando cioè si cominciò a reimmettere in servizio quadri ufficiali e sottufficiali
che avevano prestato giuramento di fedeltà al governo di Salò o che addirittura avevano prestato servizio nelle forze
armate della repubblica sociale italiana. La graduale e quasi clandestina riassunzione in servizio di tali quadri - in un
primo momento tenuti fuori dalle forze annate regolari- venne successivamente sanzionata dalla legge n. 93 del 23
febbraio 1952 che concesse loro il riconoscimento giuridico del servizio prestato sia agli effetti della carriera sia
dell'anzianità di scrvizio 10 .
Infatti la norma citata, ratificando il d.l. 4 marzo 1948 n. 137, introduceva modifiche sulla
concessione dei benefici ai combattenti della seconda guerra mondiale, e in particolare allargava la
platea dei beneficiari anche a quanti erano stati puniti per le scelte effettuate dopo I'8 settembre
1943, non solo nel caso di successivi comportamenti di riscatto (partecipazione alla guerra di
liberazione) o per cause di valore militare dimostrate prima dell'armistizio, ma anche per il semplice
servizio, per almeno cinque mesi, in zona di operazione. In più, anche coloro che non rientravano in
queste larghe maglie, potevano aver diritto al «computo, agli effetti dell'inquadramento nei ruoli,
degli
10
F . Stefani, La storia della dottrina e degli ordinamenti dell'esercio italiano, vol.III, t.1 UsSme, Roma 1987, pp.550-51
120
USI E ABUSI DELLA STORIA
aumenti periodici di stipendio e delle promozioni, del periodo trascorso presso reparti operanti», e
all'aumento dei limiti massimi di età per l'ammissione ai concorsi pubblici''. La stessa fonte
storiografica, pur definendo il provvedimento «un errore molto grave determinato da scarsa sensibilità
morale e politica del penultimo governo De Gasperi (Dc e Pri) e delle supreme gerarchie militari del
momento, ancorché diretto a sanare una situazione di fatto già esistente», sintetizza: «la conclusione
fu che ufficiali superiori delle forze armate di Salò pervennero ai gradi di colonnello e di generale,
mentre i sottotenenti e i tenenti di quelle forze armate pagarono dopo trent'anni il fio della colpa che
era stata loro perdonata»12 .
Sulle dinamiche interne alle Forze annate alla fine degli anni '40 torna un altro studio ufficiale,
illuminante per il discorso che andiamo facendo. Per dare compattezza ai quadri la Difesa agì
da una parte dislocando nelle isole o nelle sedi periferiche ufficiali e sottufficiali non sicuramente «atlantici»;
dall'altra rivedendo le «epurazioni» di un certo numero di appartenenti alle Forze armate che, avendo aderito al
regime di Salò, erano stati allontanati dal servizio attivo. Quest'ultimo provvedimento ebbe tuttavia a provocare
risentimenti anche nel corpo degli ufficiali filoatlantici già «fedeli alla bandiera». La riammissione degli ex di Salò
nei ranghi ha costituito certamente, negli anni 1948-1950, un fatto negativo per l'etica militare ponendo in crisi
quello che è uno dei suoi principi fondamentali: fedeltà al giuramento ed obbedienza agli ordini legittimi. Per
qualche tempo nelle mense, nei circoli e, necessariamente meno, negli uffici, i «fedeli alla bandiera» cercavano
accuratamente di evitare o di ridurre i contatti con i provenienti dalla Rsi 13.
Dunque, pur con la sottolineatura delle dinamiche negative provocate all'interno dell'istituzione
militare, il recupero dei quadri è assodato. Ma anche per quanto riguarda i giovani di leva che
risposero al bando di Graziani le cose non stanno proprio come le descrive la relazione
accompagnatoria del d.d.l. 2244. Se è vero che il d.m. del 2 dicembre 1945 dichiarò inefficace il
servizio di leva prestato nella Rsi, è anche dimostrato che lo stesso Cadorna, in veste di capo dello
Stato maggiore, fece notare che per quanto riguarda la truppa vennero giudicati incorporabili gli
arruolati per forza14. Anche in una recente ricostruzione storiografica, certamente non legata al
presunto canone resistenziale, si sottolinea l'opera dello Stato maggiore dell'esercito nell'attenuare i
criteri di epurazione verso quanti avevano prestato servizio nella Rsi: «sull'adozione di questa linea
pesò probabilmente, oltre ad un'equa conside11
L. 23 febbraio 1952, n. 93, art. 2, in «Gazzetta ufficiale», n. 60, 10 marzo 1952.
F. Stefani, La storia della dottrina cit.
M. Marotta. Professione e «condizione» militare dal secondo dopoguerra al 1975, in C.Jean (a cura di), Storia delle Forze
armate italiane 1945-1975. Aspetti ordinativi e sociologici. Angeli, Milano 1994, pp. 141-42.
14
G.N. Amoretti, La relazione Cadorna sull'opera dello Stata Maggiore dell'Esercito (8 settembre 1943- 31 gennaio 1947),
Rapallo 1983, p. 43.
12
13
LA “RESISTENZA” DELLA RSI 121
razione della crisi di coscienza attraversata da tutti nel settembre 1943, anche la previsione della
delicata situazione in cui ben presto l'esercito si sarebbe venuto a trovare>>. Nell'affrontare un anno
delicato come il 1946 (quello delle prime elezioni democratiche. del referendum istituzionale,
dell'emergere della crisi al confine orientale), nella chiamata alla leva degli appartenenti alla classe
1924 fu adottato il riciclaggio di quelli che avevano già prestato servizio a Salò nella speranza «che una
buona percentuale di essi fosse costituita da soldati già addestrati ed esperti, da poter avviare ai reparti
dopo brevissima istruzione, in modo da scongiurare il pericolo d'un prolungato periodo di scarsa
efficienza operativa>>15.
È dunque lontana dalla realtà storica la lettura proposta dai proponenti la legge, anche per quel che
riguarda la questione burocratica dello stato di servizio. Già nel 1973 una circolare della Direzione
generale per i sottufficiali e militari di truppa aveva autorizzato i Distretti militari a rilasciare «una
attestazione del servizio prestato nelle Forze Annate della Rsi in tutto conforme a quello stabilito da
16
questo Ministero» . Questa necessità politica di privilegiare la continuità rispetto al cambiamento parallelamente si svolgeva l'avvilente vicenda della mancata valorizzazione degli appartenenti al Corpo
Volontari della Libertà - non è limitata solo all'esercito, ma trova maggior evidenza in altre componenti
delle forze armate. È il caso dei carabinieri, della Marina e dell'Aeronautica, dove la tecnica farà premio
sui valori: è in questa logica che si può leggere come emblematica la vicenda di Luigi Gorrini, maggiore
pilota dell'Aeronautica Rsi, e poi nel dopoguerra maresciallo di quella della Repubblica italiana, con
medaglia d'oro concessa per il periodo pre-8 settembre e inserito tra gli assi italiani della seconda
guerra mondiale anche a causa delle 19 vittorie ottenute durante la Rsi. Come egli stesso aveva
annesso in un'intervista, «la guerra sapevano tutti che era persa con El-Alamein ed io l'ho persa due
volte: I'8 settembre ed il 25 aprile», ma c'è evidentemente chi cerca ora una improponibile rivincita.
È questo il vero senso del disegno di legge attuale: equiparare chi aveva combattuto per Salò a
«quanti prestarono servizio nei diversi eserciti dei Paesi tra loro in conflitto durante la seconda guerra
mondiale», serve in realtà non al riconoscimento di un potenziale diritto soggettivo, ma a dare dignità di
Stato tra gli Stati alla Rsi, riabilitandone così governo, uomini e politiche.
1 5
G.N.Amoretti-F. Wolkestein Braccini, L'esercito italiano dopo l'8 settembre. L'opera dello Stato Maggiore attraverso la "Relazione
.
Cadorna", «Nuova storia contemporanea». 8 (2004). n. I. p. 47
1 6
R i l a s c i o di attestazione del servizio prestato nelle Forze Armate della sedicente Rsi, Circolare del direttore generale Zanela
ai Distretti militari, «Acta dell'Istituto storico Repubblica sociale italiana>>. 17 (2004), n. 3, p. 14. Scorrendo la serie delle pubblicazioni
sono rintracciabili altri casi dì stati di servizio prodotti dai reduci contenenti riferimenti a quello prestato nella Rsi.
122 USI E ABUSI DELLA STORIA
Ma le conseguenze non si limiterebbero all'autoassoluzione per la collaborazione con le pratiche del razzismo
hitleriano, perché allora diverrebbero combattenti illegittimi i partigiani e si minerebbe la base della nostra
Costituzione. Passo dopo passo, dopo avere affiancato varie giornate del ricordo a quella della memoria, la
revisione ad uso politico della storia ne rovescia il senso, e attraverso lo slittamento di una sillaba, da
pacificazione a parificazione, pone nell'angolo dei cattivi coloro ai quali dobbiamo libertà e democrazia.