concia uva ille e brutta
Transcript
concia uva ille e brutta
ITALIANO 22410 Arrivata qui 23 DICEMBRE da inizio traduzioni INDICE RUZZANTE FRANCA 1 PRESENTAZIONE Prima di cominciare vi voglio leggere un messaggio ascoltatelo con attenzione: FRANCA 2 ARTICOLO SU RUZZANTE TRADIRE PER TRADURRE RUZZANTE di Dario Fo 2 BIS Altra presentazione Il linguaggio LINGUAGGIO Ruzzante usa una lingua che pur rifacendosi al pavano dilcontado è in verità completamente reinventata. Franca 3 ANTIPROLO PLAUTO RUDENS LA PIOVANA 658 “Or è témpo FRANCA 4 2812 ALTRO PROLOGO CON PRESENTAZIONE CARDINAL CORNARO FRANCA 4 bis L'ORAZIONE AL CARDINAL MARCO CORNARO FRANCA 5 90 Inutile sottolineare che questo cardinale-arcivescovo aveva un senso enorme del diritto alla libertà di parola, anche se questo metteva a disagio, provocava, aveva una tolleranza straordinaria Franca 6 presentazione 2473 GALILEO GALILEI Abbiamo accennato come dopo la morte di Ruzzante (1542), FRANCA 6 bis BRANO GALILEO 2473 GALILEO GALILEI Dialetto galileo GALILEO FRANCA 7 La diaspora dei comici. Franca 8 “IL CONGEDO”, DALLA BETIA Franca-TAMÌA: (direttamente al pubblico) Un àtemo per plagér. Perdonéme, avànte de lassàrve, ve vorerèsse far un coménto de conzédo: me FRANCA 9 1551 PROLOGO A “LA VITA” FRANCA 9 bis BRANO 876 De quando che Adamo e nostra madre Eva, biastemàda 'me putàna, fùron dal Paradjs cazzàdi fòra, per la rasón che évano magnàdo 'sta malarbèta póma... Malerbèta, fructo che ziùsto la se dée dar da magnàre sojaménte ai puòrzi, 'ste póme grame! FRANCA 10 ALTRA STESURA "LA VITA" presentazione Il grande studioso di Ruzzante, quello che ha fatto poi pubblicare tutte le opere intiere, soprattutto le farse, i mariazzi ha inserito, molto intelligentemente una lettera, che poi è diventata famosa, quella all'Alvarotto. È il Beolco che scrive ad Alvarotto, che è il suo compagno di lavoro più importante, anche Franca 11. ALTRA PRESENTAZIONE Un bel giorno, Ruzzante scrive una lettera all'attore che interpreta il ruolo di Menato. Ma la lettera è solo un pretesto per realizzare LA VITA 12 1260 LA VITA ALTRA STESURA Tuto l’è comenzò in del giorno de quando che Adamo e nostra madre Eva, biastemàda 'me putàna, fùrno dal Paradjs cazzàdi fòra, FRANCA 13 CONTROLLARE SE PRESENTAZ. FILA CON BRANO DIALETTO 974 e tamia, nale LA MOSCHETA ANTIPROLOGO: FRANCA: Adesso, parliamo un po' delle donne e della loro condizione all'inizio del '500 a Padova e a Venezia. FRANCA 14 Mariazzo A questo punto s'innesta la tragedia. Succede nel mariàzzo... FRANCA 15 INIZIO TRAGEDIA In scena Zìlio, Nale, Betìa. ZILIO: O t'hài fornìt de tràrme bèco puòrco traitóre! FRANCA 16 (Esce Taçìo. Entra Tamìa.) LAMENTO DELLA TAMIA PER IL MARITO CHE CREDE MORTO TAMÌA: Morto? Esto morto bèlo amor de mi Franca 17 Agitando un turìbolo, avvolto nel lenzuolo in cima ad un gradone appare Nale, il marito. Il lenzuolo è lo stesso con cui era stato ricoperto come creduto ammazzato. Tono lugubre d'oltretomba. NALE: Lassa el laménto che oremàj mi son conténto FRANCA 18 Entra in scena Meneghèllo, l'innamorato di TAMIA. MENEGHELLO, ora che Nale è tolto di mezzo offre a Tamia di diventare suo marito). FRANCA 19 NALE esce di scena. Entra Tamìa che si lamenta a sua volta. TAMIA: Marìo? El bisogna ben che te mé stia a pregare? Te vòi donare l'ànema, FRANCA 16 NALE esce di scena. Entra Tamia che si lamenta a sua volta. FRANCA TAMIA: O tristo ti Tamia desgrasià FRANCA 20 NON STO SCOPRENDO CHE DICE ‘STO CAZZO DI NALE TAMIA esce e rientra di lì a poco con ZILIO e la BETIA. Poco più indietro s'intravede MENEGHELLO. Nale: Te vorsévi rimaridàre, fia de putta! Tamìa: No’ è vera! Si vui fusse davéa morto, FRANCA 21 Partiti i quattro MENEGHELLO, che è restato nascosto a spiare, entra in scena e commenta esterefatto. MENEG.: Pòta, ma còssa che sta'l capetàndo? Prima Nale el sta muòrto, 22 FRANCA: Ma tornando alla Betìa della Moscheta, vi stavo dicendo che non solo questa donna s'è tirata appresso nel suo trasloco in città il marito, ma pure Menato, compare di Ruzzante, che è stato suo amante qualche tempo addietro, di cui lei ora non ne vuole più sapere. La Betìa, fémena de l'asasìn, FRACA 23 ATTRICE: BETIA sta sull'uscio di casa con un cesto in mano e chiama le galline. Le si fa incontro MENATO. Franca 24 Franca: Passiamo ora al secondo corteggiamento che è quello del soldato bergamasco. Ancora vediamo la BETIA col suo cesto che sta aprendo l'uscio: all'improvviso, si trova davanti il soldato TONIN (che parla lombardesco) Spaventata, arretra. FRANCA 25 Altra scena: MENATO incontra RUZZANTE, vengono a discorrere della fedeltà delle donne. MENATO provoca RUZZANTE a verificare la fedeltà di BETIA. E come? Basterà che RUZZANTE, si travesta da studente forestiero indossando un abito alla spagnola che MENATO gli procurerà... poi RUZZANTE, travestito, proverà a corteggiare la moglie. FRANCA 26 PENSIERI E DIALOGHI DI INNAMORATI DEVO SCOPRIRE COSA MANCA…. CREDO MANCHINO LEGAMI ITALIANO DEVO METTERLI 17204 RUZZANTE UOMO DI TEATRO di Dario Fo A cura di Franca Rame TRADUZIONI FRANCA 1 ANTIPROLOGO DARIO PRESENTAZIONE Prima di cominciare vi voglio leggere un messaggio ascoltatelo con attenzione: FRANCA 2 ALTRO PROLOGO TRADIRE PER TRADURRE 2 BIS Altra presentazione Il linguaggio LINGUAGGIO Ruzzante usa una lingua che pur rifacendosi al Franca 3 ANTIPROLO PLAUTO RUDENS LA PIOVANA TRADUZIONE piovana Franca 3 658"Ora è tempo che si cominci con 'sto prologo. Tutti tacciano... che sentirete delle novelle belle e nuove... e, se avrete pazienza e ingegno... avrete anche divertimento. Vengo ad avvisarvi che 'sta nuova storia è nata da poco. E' anche vero che ascolterete un teatro tagliato e tornito in un legnamivecchio. Ma non è tanto il vecchio o il nuovo che conta. Da quel vecchio albero noialtri siamo pur nati. E come potremmo conoscere (sapere), infine, dove vogliamo arrivare se non sappiamo da dove siamo venuti? E poi non c'è quel proverbio antico che dice: "Triste sia quella comunità che non rispetta un vecchio"? Purché, s'intende, quel vecchio non ti venga a ricordare in ogni momento che lui è saggio, che ha grande esperienza, che solamente la sua idea è giusta e buona, tu sei giovane strambo e di sicuro sbaglierai, così che all'istante sbotti: "Vecchio! Ma vai a cagare!". Se poi qualcuno, mentre stiamo recitando, si alzerà in piedi dicendo: "Io l'ho gia sentito quel discorso quel rispetto-dialogo o anche la storia…" non mettetevi a gridare: "Stai buono, silenzio! Stai seduto! Buttate fuori 'sto ubriaco!". No, ha ragione lui… non ha detto una cosa stramba: non si puo più far del nuovo o favellare all'improvviso che non sia stato già fatto, scritto, attuato... e così ti gridano: "Ohi furbastro, una vecchia idea ce la servi impanata?". Diceva un granda filosofo, con sicurezza assoluta, che noi siamo al mondo adesso, ma ci siamo gia stati anche mille e mille anni in dietro. Io ero io, e voi eravate voi... quelli, erano gli altri... e gli altri erano quelli... e, passati che saranno altri mille anni, quando sarà stato fatto tutto un giro, non so quale granda ruota, torneremo a essere qui ancora: io qui in piedi davanti a voi, voi la seduti a fare il pubblico spettatore. Io, a favellarvi da attore, voi ad ascoltarmi... gioiosi o tristi... che dipende (da quel che dico). Io, che ero stato io, saro ancora io, e voi che eravate stati voi, sarete ancora voi, e queste parole che mille anni fa erano parole, saranno ancora le stesse parole e ci saranno, come mille anni fa, quegli spettatori che ascoltano e scoprono (capiscono)... e ridono o piangono... Quelli che piangono perché non capiscono e quelli che neanche morti, vogliono capire. (Uscendo dal personaggio) C'erano già allora gli abbonati! (Riprende) E ci saranno anche quelli a cui sembrerà di averle già ascoltate 'ste parole... come ora capita a voi! Qualcuno può pensare che la scrittura di questa commedia sia stata rubata o peggio manomessa-acconciata. Ma, immaginiamo che uno ritrovasse un vecchio cofano (baule) e ci scoprisse dentro un vestito... un abito di quelli che usavano portare nel tempo antico, di taglio e foggia dismessa. E dato che scopre che questo panno, questo tessuto è ancora buono, sano e prezioso, immaginiamo, che facesse tagliare in questo panno corsetti, vesti, giubbe e gonnelle… per vivi… alla maniera (moda) nostra e la foggia antica la lasciassimo per i morti. Sarebbe rubare questo? E sarebbe smanomettere da villani e imbrogliare? No, in verita! Bene, così è avvenuto, è capitato, per questa nostra novella, storia teatrata (teatralizzata), che era stata creata per i vecchi antichi, morti... che non ci sono piu... e scritta con parole non più usate, che non son buone per voi che siete vivi. Così, io, che sono maestro di questa commedia... e sto in questo mondo, ho lasciato le loro parole ai morti... e a quegli spettatori che credono di essere vivi solamente perché nessuno ha avuto il coraggio di avvisarli che sono morti da un pezzo... e quello stesso discorso che volevo fare... quelle parole da morti le ho acconciate per voi… per i vivi, e non gli ho tolto nessun pensiero (concetto)... nulla ho tolto… se non l'oscuro.637 FRANCA 4 2812 ALTRO PROLOGO CON PRESENTAZIONE CARDINAL CORNARO Ruzzante è il più grande uomo di teatro TRADUZIONE CORNARO 2723 Traduzione Ruzzante: Mi scappello davanti a questo aristocratico pubblico... Mi è permesso di parlarvi? Siete preparati ad ascoltarmi? Vado? Bene: Signor Reverendissimo Messere Vescovo e Scardinale Cornaro, sono venuto qui, proprio in questa villa, a tenervi questo discorso e non a Padova in città... e voi, sapete perché? Perché così come gli scapoli… quelli senza moglie scapoli si chiamano… cercano di far becchi i maritati, così i cittadini vengono a farsi gioco di noi contadini poveracci, ci sbertucciano appena parliamo. E' perciò che fuggiamo da loro come i passeri quando scorgono arrivargli addosso un falchetto! Io sono venuto qui perché mi hanno mandato a dire le loro ragioni tutta la gente del territorio padano, contadini che mi hanno scelto come buon parlatore e gran prologatore (colui che tiene il prologo). Dunque, dicevo... vengo a dirvi... adesso non mi ricordo... ah sì... voglio dare alla Vostra eccellenza, un consiglio che quei illetterati (ignoranti) dottori di Padova non vi hanno saputo dare. Loro, questi dottoroni, sanno solamente dire che voi siete Cardinale e poi vi spiegano che CardinaleScardinale viene da cardine-scardine... che poi non è altro, questo Scardinale, che il marchingegno di ferro che tiene su le porte del Paradiso e le fa girare. Difatti le porte girano su cosa? Sui cardini... cardini, che noi chiamiamo "cancri". Cancro vi chiamano! "L'illustrissimo cancro!". Sapete cosa vuol dire Cardinale nel nostro linguaggio pavano? Ora ve lo dico! Scardinale è un principe, un grande signore ricco, che in questo mondo si dà un gran piacere e, quando muore... perché tutti moriamo... anche se voi non avete fatto del gran bene, voi andate lo stesso dritto come un fuso in Paradiso. E se la porta è chiusa con le spranghe, voi la scardinate! Scardinate la porta, i cancri e le chiavarde. Entrate per ogni via e per ogni buco! Straripando! "Ohi! Si salvi chi può! Attenti al turbine! Arriva lo Scardinale!". Si leva come un vento tremendo di tempesta... Scappano gli angeli... San Pietro si butta in ginocchio: "Dio abbi pietà!". Crolla il portone. "Passa lo Scardinatore!" E' arrivato beato in Paradiso! Questo vuol dire Scardinale! Voi siete nostro pastore e pecoraio e le governate pur bene le vostre bestie, capre e pecore... che poi siamo noi contadini del padovano... le mungete bene queste pecore... le rasate bene, gli tosate la lana, ma per nostro vantaggio e conforto, e ci fate pelare per farci provare il fresco, specialmente nell'estate! Voi siete nostro Scardinale e Papa e avete la libertà di fare e disfare come vi pare. E' per questa ragione che mi hanno mandato a domandarvi (chiedervi) che voi facciate delle leggi diverse e statuti nuovi. La prima nuova legge che vi si domanda, è che si cancelli la regola che obbliga noi contadini-villani di digiunare in certi giorni. Perché, Signor Cardinale, voi sicuramente ne converrete con me, che quello di non far mangiare proprio a noi contadini, che tiriamo già (la cinghia) le codighe (le budella), anche in quaresima e altri giorni della pena del Signore Cristo, ci pare sia una gran follia. Già abbiamo tribolazioni di non trovare pane e zuppa nei giorni normali... abbiamo le carestie, che ci fanno digiunare, poi i soldati che ci arrivano a rubarci il pasto dalla bocca, poi la peste che prende gli armenti, e la gramegna che (straccia) distrugge i campi... poi sopra a tutti, gli usurai strozzini. Se c'è carestia questi malnati usurai strozzini, non vogliono vendere né distribuire la biada. Loro pensano solo al guadagno che va a montare. Io credo che siano più bramosi loro del sangue dei poveretti che non i pidocchi e le zecche, del sangue dei cani! Vi prego, signore Messere lo Cardinale, voi dovreste riunirli tutti 'sti usurai in una cattedrale. E poi benedirli e farli tutti santi... come gli Apostoli e poi imporre loro che vadano camminando sull'acqua... così finalmente vanno sotto e annegano tutti quanti! Allora dicevo... voi Illustrissimo Cardinale fate una legge che dice: "I signori, i prelati, i dottori, le monache e i soldati... devono digiunare tutti i giorni che il precetto l'ordina... salvo i villani e le femmine loro!". Anzi, in quei giorni che i cittadini dabbene non mangiano, tutto quello che avanzano lo devono passare a noialtri... che nella quaresima si faccia finalmente un pasto continuo da scoppiare! Ma io capisco bene che 'sta legge non piacerà a quelli che il digiuno lo fanno quattro volte al giorno... nell'intervallo che c'è fra un pasto e l'altro. Non è che non abbiamo, noi contadini, volontà di obbedire digiunando. Io, per esempio, vado pensando che si potrebbe risolvere di mangiar poco... tutto l'anno: si potrebbero mangiare delle sorbe, le sorbe che voi lo sapete stringono le budella, tanto che non ci passerebbe che una scoreggia... ma con un lamento così disperato... che ti si strugge il cuore! Ahaaaaa! Così che, appresso, sarebbe sufficiente ingoiare una scodella piccola di semolino, che ti senti subito sazio da vomitare! Ma il miglior espediente di sicuro è quello di mangiarsi un trogolo di biada e crusca, come quei pastoni che si danno ai porci, poi si prende una rapa grossa e la si ficca su a turacciolo per il buco che sta sotto tra le natiche... Un turacciolo che tappa il gran tino . Così tutte le biade e le stoppie dentro le budella... non possono uscire , e le trippe resterebbero sempre ripiene, seppur di merda, e non ci verrebbe più tanta fame! L'unico fastidio sarebbero quei rutti che si possono immaginare di liberazione. E poi il fiato! Che quando conversi, le parole ti escono tutte di un sapore (odore) che pare il fiato di quando parlano i letterati dell'Università. La seconda legge da cancellare, Messere il Cardinale, di cui vi facciamo proposta, sarebbe quella che ci ordina una costumanza nel vestire. Che adesso è legge che tutti ci tocca andare intorno con le braghe, la camicia... e le femmine con le gonne, camicie e pettorine anche quando c'è un sole con i raggi che scottano da arrostire nei campi. Non sarebbe meglio, Illustrissimo Messere, di vestirsi al naturale... come dire che si andasse in giro tutti come siamo nati? Sì, nudi, senza coprirsi le vergogne. Ma cos'è 'sta vergogna poi? Vergogna di mostrare queste membra splendide che ci fanno procreare e nascere al mondo? Non credete voi che non sia una meraviglia rimirare una donna nuda, senza tutti questi corpetti, gonnelle e controgonnelle? La femmina nuda che si muove e ride è un dono grande del Dio creatore... e danza, salta sui piedi nudi... lunghi... e muove le gambe a danza con 'sti polpacci torniti... e muove 'ste cosce… ‘ste cosciotte bianche: due colonne liscie di marmo che si tengono caricate sopra due natiche tonde-stagne che fan balanza (bilancia - dondolano) nella danza. O belle da pizzicare, che come le vedi non ti puoi trattenere dal darle una sculacciata (manata) d'amore a mano aperta. Stciach! E quel orticello... quel giardino dolce e ombroso che sta davanti tra le cosce... che a pensarci mi si disperde il cuore... Quel posticino che anche voi, con tutto che siete prete, quando siete nato e venuto al mondo, l'avete baciato... E poi quelle tette tonde, perfette, lavorate come al tornio... due brocche di latte. E appresso le anche che fanno altalena con la scodella della pancia e dell’ombelico. E adesso guarda le braccia, anche loro tornite, che fanno cerchi e ghirigori nell'aria... Il collo tondo con sopra un viso più bianco e rosato, bocca da baciare senza prendere fiato, e finisci in quegli occhi che mandano raggi del sole... Cristo di Loreto, sono pur belli questi occhi! Potrebbero trapassare le mura di Padova! Orbettina!, quando Noè caricò tutte le bestie sull'arca erano tutte nude queste bestie, non avevano corpetti e non facevano peccato. E perché allora, perché non dovrebbero passeggiare nude anche le femmine che, io credo, sono migliori degli animali dell'Arca. Se vuoi proprio coprirle un poco, che proprio non ne puoi fare a meno, mettile in testa un bel cappellino. La terza nuova legge dice che si deve farsi ragione dell'amore. Amore, ah! Se non ci fosse amore: vacche, pecore, scrofe, cavalle del riverso mondo, non farebbero mai frutto. Il naturale è l'amore fra uomini e femmine... è la più bella cosa che ci sia al mondo. Quarta legge: dar ordine ai poeti e ai sletterati (letterati) di non far più ballate dove chiamano "giovane pastore" un pecoraro... e la pecorara la chiamano "pastorella"... o "dolce pastora"... Il vecchio boaro lo chiamano "saggio vegliardo"... o cancro! E poi, come conversano fra loro questi pecorar-bovari? Da letterati! Stanno a pascolare pecore che cagano in ogni cantone (angolo)... appestano tutta l'aria di puzza e tanfo, ma loro tengono un ventaglio in mano... fanno reverenza. E fanno cerimognali 'sti pecorai vestiti di seta e di velluto... le pastorelle col farsetto damascato... sottane tutte ricamate come fossero figlie del duca di Ferrara, e intanto mungono vacche, inforcano strame e dicono tutto in rima... baciata. Non hanno mai problema di fame, di pane e neanche di faticare, di andar di corpo o di pisciare... Poi, non ti venga in mente di far l'amore... Succede una volta, ma per accidente (caso): una ragazza si dondola su un' altalena, ugualmente si dondola di contro, su un'altra, un ragazzo-bel-garzone. Il vento maligno alza le sottane della ragazza. Per uno strappo, con un ramo al giovane si stracciano le braghe. Il vento svirgola l'altalena. Uno di qua, l'altra di là: sciaff! Si scontrano nel bel mezzo e restano inchiavardati! Oh che piacere! Lei, resta gravida e lui tutto sderenato! Oh che peccato! Ma nessuno se ne accorge... come se niente fosse capitato! E uno, non resta innamorato perché è preso dagli occhi dell'altro o dell'altra, dalle sue parole e della sua voce che canta, no! E' per un incidente, che restano punti da frecce nel costato. Frecce d'Amore! Sì, è lui il dio d'Amore che arriva tutto nudo... con le alette sulle spalle, che si porta dietro l'arco e le frecce... E non ci vede. Ha gli occhi bendati! E non sta a domandare: "Dimmi ora bel giovine, ti piacerebbe che questa ragazza si pigliasse una frecciata tra le tette da restare innamorata folle di te?". No, lui non domanda... Inforca la freccia e tira... Proprio come un orbo: infilza cavalli, pecore, porci, femmine brutte, ragazze di gran beltà, un principe invaghito di una cavalla, regine innamorate di un figlio di un cane... chi prende, prende... non ascolta ragioni... e non rompete i coglioni! No, l'amore, quello naturale che fa infiorire di colpo tutto l'universo... non ha né frecce né fionde. Arriva col vento... s'inficca dappertutto per fare vivere noi, fin dentro la terra. E si inficca nel profondo per farla innamorare 'sta terra, per nutrire le biade, il frumento, le rape... e dentro al mare e fa innamorare pesci che saltano in branco come fontane. Moriremmo senza questo amore! Amore ah! Ma guardate se non è uomo dabbene 'sto nostro amore... e se non ci vuole bene e se non è carico di discrezione... E non lo sanno tutti che, se uno vuol fare un innesto a un albero, se il germoglio e l'innesto non sono innamorati, non attecchiscono mai... altro che frecce scagliate dal dio orbato (accecato) d'Amore! E' l'amore (del) naturale che soffia fiato ... nella notte piena di stelle e di luna. Amore ah! La quinta di queste nuove regole, è che ogni prete, curato, frate o cappellano, possa prendere moglie... non che lo possa, ma è obbligato a ammogliarsi o altrimenti, che debba essere castrato proprio come un castrone. E così andrà pure a ramengo questa maledetta fragilità della carne! Questo fuoco che prende uomini e femmine del piacere di darsi molta contentezza e attorcigliarsi abbracciati. E 'sto fuoco prende anche i preti che, sebbene coperti di religione, immersi nell'incenso che sfumazza dai turiboli, quando gli prende questo fremito della carne, non sanno in che buco cacciarsi. Perché, d'accordo che sono preti ma sono anche uomini come siamo noi, e qualcuno è più maschio di noi. E per il fatto che non hanno femmine sottomano quando lo spiffero amoroso si infila dentro al suo aspersorio, appena si imbatte in una delle nostre femmine... alla prima botta benedetta di fatto le ha già ingravidate. E noi poveretti facciamo le spese dei suoi figlioli, ci tocca mantenerli, crescerli, allevarli 'sti figli d'un curato! Al contrario, se saranno castrati, noi non avremo questa bega sulle spalle. E meglio se avranno moglie... non saranno di continuo coi coglioni infuocati... e in eterno il perno in calore!... Che, 'ste loro mogli, li terranno costantemente ben munti. E se anche continueranno a ingravidare le nostre femmine, noi allo stesso modo, ingravideremo anche le loro. E alla fine saremo alla pari... che d'accordo che dovremo far le spese di allevare e crescere i loro figliuoli... ma anche loro dovranno crescere e mantenere i nostri... e per giunta dovranno non soltanto nutrirgli l'anima a 'sti figli, ma dovranno dar da mangiare anche al corpo, se no quelli gli mangiano il Vangelo, la Bibbia, le candele e il sacrestano! La sesta legge, è quella che eliminerà questo cancro di sangue avvelenato che c'è tra noi contadini del territorio contro i cittadini di Padova... 'sto odio che fra di noi ci mangeremmo il cuore! Loro dicono di noi contadini: villani, rosponi, spalamerda, caproni! Noi gli rispondiamo: scagarelle, usurai, strozzini, mangia sangue dei poveretti. Culattoni! Orecchioni! E siamo più nemici che non sono i turchi con i cristiani, che quando ci si incontra ci scanneremmo con le mani! Bene, Messere lo Scardinale, noialtri vorremmo che con nuova legge si aggiustassero 'ste differenze... e faceste che al contrario, fossimo la stessa cosa uguale! Per venire al dunque, sono qui a domandarvi che voi facciate 'sta legge: che ogni uomo villano di campagna possa prendere quattro mogli, e ogni femmina contadina-villana possa prendersi quattro mariti. Così si arriverà di sicuro che i cittadini maschi della città, a cui tirano (piacciono) le nostre donne, 'sti golosi per poter avere quattro femmine verranno a stare nel territorio, a costo di faticare sulla terra. E tutte le cittadine… che a loro piace… per potersi prendere quattro uomini, traslocheranno sui campi... e noi contadini andremo al galoppo su 'ste giovenche nuove! In questa maniera, infine, saremo tutti una stessa cosa, non ci sarà più invidia né inimicizia... per il fatto che saremo tutti un parentado. E tutte le donne saranno piene gravide, e si adempirà infine la legge del signor Jesus-Dio Cristo che dice: "Crescete e moltiplicatevi!". Così, di sicuro, non avremo giammai più paura dei Turchi che ci impalano: sì, nel culo! Che in pochi anni saremmo tanti che, come arrivano i Turchi, si trovano con cristiani dappertutto. Così che gli infileremo noialtri, nelle loro natiche, la colonna di San Marco intera, con tutto il leone, il suo libro e le ali aperte... che fanno tanto male! Adesso anche capita che una femmina con un solo uomo, non riesca a riempirsi (rimanere gravida), ma quando per legge 'sta femmina schizzinosa di seme, ne avrà quattro di uomini e quattro vomeri d'aratro che le rimuovono le zolle... voglio vedere se alla fine non arriverà il miracolo della fecondità. Non si farà neanche nessun becco al mondo... e nemmeno quel peccato… che non dovrebbe essere peccato… di andare a sbaciucchiarsi-stropicciarsi con le femmine d'altri, ché tutti avranno un gran daffare in casa loro. Quante belle ragazze povere, in Padova, che non hanno dote per potersi maritare, dentro 'sta ammucchiata troverebbero da infilarsi bene. E tutte 'ste ragazze che siccome non hanno la dote vanno a chiudersi monache in monasteri? Al fine sforneranno bambini dappertutto! Non si vedranno intorno che bambini, ragazzi, ragazze, figli e figliuole e cielo! Non potreste fare, se Dio m'aiuta, una legge più bella e santa! Legge che farebbe gioire tutto il mondo, legge che sarebbe civile e teologica. Provate a ripensarci. Fatela questa bella legge, e vi assicuro, Illustrissimo, che non ci sarà più portone sprangato per voi in Paradiso! E anche se andrete all'inferno, troverete tante di quelle anime riconoscenti che vi applaudono da assordare tutti i demoni! E sul trono vi porteranno in trionfo sulla sedia più alta dello Scardinale... lo Scardinale dell'inferno!Amen! FRANCA 5 90 Inutile sottolineare che questo cardinalearcivescovo aveva un senso enorme del diritto alla libertà di parola, anche se questo metteva a disagio, provocava, aveva una tolleranza straordinaria. Oggi è inimmaginabile che un arcivescovo dei nostri tempi arrivi ad accettare un simile discorso, farebbe sobbalzi. Quel arcivescovo di Parigi che s'è permesso soltanto di parlare della sessualità dei preti è stato cacciato in Madagascar o giù di lì a meditare nelle foreste. Impossibile! C'è stato un degrado sul piano del senso della tolleranza, dell'apertura mentale, della dialettica enorme. C'è un abisso. Franca 6 presentazione 2473 GALILEO GALILEI Abbiamo accennato come dopo la morte di Ruzzante (1542), la compagnia del Beolco continuò ad agire per un altro mezzo secolo, esibendosi con immutato successo per tutta la Padania orientale. Fra gli appassionati sostenitori di quel teatro troviamo molti uomini importanti, fra i quali addirittura l’allora giovanissimo Galileo Galilei. Il grande fisico matematico era docente all’Università di Padova. Il suo interesse per quel genere di teatro davvero rivoluzionario lo indusse ad imparare quel composito, difficilissimo dialetto e ad esibirsi in commedie del Ruzzante e addirittura a proporre dialoghi originali scritti di proprio pugno. Il giovane scienziato, che già manifestava idee nuove a proposito del sistema eliocentrico, espresso da Copernico proprio nella facoltà di Ferrara, capì subito del pericolo di manifestarle esplicitamente che cosa?- e pensò di trasporre le sue analisi e i suoi presupposti in scritti di taglio teatrale alla Ruzzante Poco tempo fa ho incontrato in Svezia, a Stoccolma, un importante fisico, matematico docente all’attuale università di Bologna, Vladimir Fava. Personalmente mi ero esibito nel Real Teather (CONTROLLARE) della città scandinava recitando brani dell’opera ruzzantina. Dopo essersi complimentato per la mia esibizione il professore mi chiese d’acchito: «Lei conosce il testo scritto da Galileo Galilei in pavano?» «Sì – risposi io – ne ho sentito parlare ma non ho mai avuto l’occasione di leggermelo per intiero.» «Eccolo – mi rispose – e mi consegnò un plico stampato – questo è il famoso dialogo fra il contadino e il dottore scritto da Galileo.» Andammo a cenare insieme. Il professor Fava mi lesse il dialogo, spiegandomi man mano le allusioni di certe battute e le relative allegorie mascherate nell’assurdo confronto fra il dottore e il villano. Mi esercitai rileggendolo davanti ad amici e colleghi, quindi decisi di metterlo in scena. Il debutto avvenne a Napoli e per quell’occasione avevo invitato a teatro un gruppo di professori della facoltà di fisica e matematica coi loro allievi. Man mano che mi inoltravo nel gioco del rustico diverbio tra la teoria copernicana e quella tolemaica, docenti e studenti sembravano impazzire per lo spasso. Il rozzo linguaggio pavano, infarcito di terminologie scientificoastronomiche creava un’assurda mescolanza soprattutto grazie alle immagini surrealcasarecce espresse dal villano a duro contrasto con quelle astrali del sapiente. Ad un certo punto del dialogo saltano fuori delle assurdità: enormi polente che rotolano nel cielo girando, gigantesche forme di formaggio che, come ruzzole, turbinano nel firmamento… ruzzole a base di formaggio, frittate al posto degli astri e dei pianeti... Il villano descrive con contorcimenti e sibili il roteare dei corpi celesti, disegnando orbite concentriche inesorabili e perfette nelle loro dinamica geometria. «E come succede? – lo provoca il Maestro di scienza – Come accade che essi pianeti e astri si trovino a disegnare cerchi invece che lasciarsi proiettare all’infinito in una immensa retta che si perde nell’incommensurabile eterno?» 1) «E’ che ‘sti astri – risponde il villano – si vogliono bene, si attirano per passione uno con l’altro in un desiderio che si scambiano come di una, due, dieci calamite. È l’amor che muove il creato, solamente l’amor. Ma Cristo, che amor! Roba da Dio!». Terminato lo spettacolo naturalmente ci siamo ritrovati, noi della compagnia, con i docenti e i loro allievi. Uno di loro osservava come in quel testo che aveva appena ascoltato ci fossero già, se pur accennate, delle intuizioni che verranno poi sviluppate nel tempo in cui il Galilei si trova a subire l’ostracismo del Santissimo Uffizio: l'analisi scientifica dell’effetto dell’alta e bassa marea, quindi lo studio dell'attrazione magnetica degli astri e della centrificazione. E tutto l’esposto, espresso con tanta ironia e sarcasmo è rimasto miracolosamente nascosto agli occhi del Santo Tribunale. Per fortuna, l’umorismo e la satira sono scienze sconosciute e disprezzate dai fanatici persecutori. Eccovi quindi il dialogo faceto tra il villano che s’affida al buon senso paradossale e il dottore che si rifa alle sacre leggi del canone antico. FRANCA 7 TRADUZIONE Galileo 1183 Traduzione Galileo interno al brano di presentazione di Dario 1) «E’ che ‘sti astri – risponde il villano – si vogliono bene, si attirano per passione uno con l’altro in un desiderio che si scambiano come di una, due, dieci calamite. È l’amor che muove il creato, solamente l’amor. Ma Cristo, che amor! Roba da Dio!». 2) Ah, ah, ah! Gli astri e pianeti stanno incastonati dentro la grande volta di cristallo come le campane di vetro per ricoprire i santi? Nel pallone di vetro?! 3) Il sole? Questa fornace bruciante (rovente) che scioglie il ferro, il bronzo e anche l'acciaio è incastonata in una cappa di vetro? Ma per 'sto gran calore tutto ‘sto vetro andrebbe fuso e vedremmo precipitarci addosso tocchi di vetro a bombarda come da un vulcano scoppiato: bicchieri roventi, tocchi di lampadario appena colato, una tempesta di vetri brucianti! E sul terreno, ohi, andremo tutti a balzi (saltellando) con i piedi tagliati dai pezzi di vetro che ci sono dappertutto. 4) Non stanno appesi! Ma vanno rotolando per l'aria. 5) Sì, proprio!, compreso il nostro pianeta, che io sono sicuro, la terra non sta fissa inchiodata come dice Aristotile, ma va zigzagando come una trottola in gran cerchio... Avete in mente la "ruzzola"? Esce dal personaggio e si rivolge direttamente al pubblico INSERTO A Quella di forma di pecorino che con la corda avvoltolata, poi si lancia a rotoloni? Bene, la terra, proprio come un gran formaggio va rotolando per il firmamento. 6) Sì, o se vuoi uguale a una frittata di centomila milioni di uova... o una "soppressata" gigante che va zigzagando per il cielo. Dove il sole è una polenta stragrande infuocato, che nel vorticare (vortice) tremendo sbroffa fuori gnocchi di polenta vanno sparpagliandosi per il cielo e diventano stelle brucianti di luce del firmamento! RIVEDERE CON TRADUZIONE Arrivata qui 7) E Marte è una torta di castagnaccio e Venere è una schiacciata di farina di ceci... una cecinata farinata tenera. 8) Giusto! Ma quanto è larga una frittata casareccia? Due spanne. E la terra? Calcola da qua alla Francia e poi su fino alla Bretagna e all'isola di Tule. E misura in giù fino alla terra dei Turchi e spanna su spanna fino alle Indie e il Mondo Nuovo appena ritrovato (scoperto) e fino alle Afriche. Quanti anni dovrai stare a slargarle 'ste spanne per misurare quanto è largo, lungo, 'sto formaggio tremendo che è la terra? E poi prova a moltiplicare i venti, trenta attimi di sbatter ciglia con i milioni di milioni di palme... e avrai mille di mille anni che 'sto tremendo formaggio che è la terra le tocca andare girando per il cielo firmamento. Poi ancora aggiungici il braccio di chi l'ha fatto girare. Che bisogna ricordarselo che non è mica quello di un qualsiasi villano lanciator di "ruzzola" ma è braccio di messer altissimo il signor Dio Onnipotente... E puoi immaginare che razza di "ruzzolata" sa dare alla terra 'sto stracampione di "ruzzola" che è il santissimo creatore! Lui, come nella festa di san Pietro e Giovanni, ha fatto girare a "ruzzola" svirgolata per il cielo frittate, formaggi, farinate e torte di prosciutto così che l'universo intero è stato solcato da 'ste formaggiate rotolanti a l'impazzata e tutto gira: frittate croccanti, frittate infiammate e bollenti e poi brucianti infuocate come il sole. 8) Sì, tutto si muove e gira. Niente e nessuno sta fermo nel creato. E nell'universo ci sono venti tremendi e correnti come nel mare. Il sole gira per l'universo come una bombarda di pece greca infuocata, lanciata nell'aria da una catapulta a scoppio: BUAM! E nel girare il vento attizza un gran fuoco in sempiterno. E anche le stelle sono fuochi lanciati per l'aria, rotolanti... che ogni tanto, appena cala la forza della parabola... specialmente nella notte del santo Lorenzo, che hanno il vento contro... e correnti dannate... basta!, gli cala la forza e precipitano... e si spengono con una gran coda di fuoco. 9) È per via del "tiramento" dell'alta e della bassa marea. 10) Ma sì… come quando sulla terra, la luna che si è fatta prossima al nostro gran formaggio, tira in su l'acqua... tanto che il mare si sgonfia e i germogli spuntano fuori dal terreno a "rebatoni" (traforando)... così nell'universo tutto si attira: la luna tira la terra, il sole tira la luna e la terra e tutti i pianeti si tirano l'un l'altro con tanto desiderio e passione come per un magnetismo tremendo che li costringe a girare dentro le orbite, senza farsi sputar di fuori. Così si dice che un uomo e una donna innamorati si tirano fra loro e una femmina tira per il suo uomo e l'uomo gli tira sempre per quasi tutte le femmine. Perché è più generoso, lui! E dunque tutti, astri e pianeti e le stelle vorticandosi di tiramenti appassionati stanno sospesi che tutto il disequilibrio (si romperebbe) in un grande disastro "fracassoso" se non ci fosse questo tiramento generale che è poi il magnifico universale tiramento d'amore. 10) No, nessuno è incorreggibile salvo il Padreterno. Puranche il nostro sole si ritroverà un giorno col tiramento che si spegne... o il magnetismo degli astri-pianeti intorno a lui sparirà... e si ritroveranno venti e correnti contro e... tremendo!, comincerà a calare la forza della parabola... E ancora si spegnerà il sole e la sua luce... Una coda lunga e lucente come una meteora infuocata si allungherà filante per il cielo e così nello scuro scompare il sole. Basta! Fine della commedia! Silenzio! Tutti a casa! Tutti a dormire in sempiterno. Tutti a dormire e buoni! E non rompete più i coglioni! 11) No, è il tuo di universo che è da crepar dal ridere, eh dottore. E’ il tuo di universo, con 'ste volte di vetro di cristallo, col Padreterno che sta là spiaccicato col dorso incollato alla volta del firmamento, con in testa inchiodato il triangolo. È che a voi altri dottori vi fa spavento l'idea di un universo troppo grande... voi preferite che sia perfetto e calcolabile… e limitato... con un Dio-Padreterno proporzionato a 'ste misure... impastato dentro a uno spazio ristretto... calcolabile e tutto in ordine perfetto! No, mi dispiace dottori, l'universo non è ristretto e non è calcolabile. Eì immensurabilmente più grande di quello che si può pensare. v L'universo è infinito… Perché è il Deo padre che non l’ha finito! è incalcolabile e tutto di un perché il Padreterno è infinito... perciò non lo può presentare finito e ordinato. E questa soluzion a voialtri disordine incommensurabile, signori dottori non piace, vi porta spavento… voialtri preferite pensare a un Dio padre a vostra emmagine, uguale a voi. Della vostra misura, perché se ‘sto Dio Padre deventa troppo grande, sbotta un universo nel quale tutto si disperde. Ecco la ragione che vi ha fattp inventare un creato di corta misura, in modo che la terra sia sempre lì ben piantata intramezzo al gran giardino, fermata, con tutti i pianeti che girano torno a torno a noialtri con l’aggiunta del sole osequioso che gira come fosse dentro a una giostra e l’uomo intramezzo seduto, con gli astri che girano: “Che bel tramonto che mi hai fatto 'stassera, grAZie! ! Oh che belL’ alba! Oh la luna che monta! Ohi, Marte sIAmo in ritardo! Venere, vai soto!” VERIFICARE CON DARIO COSA PREFERISCE Voialtri preferite pensare a un Deo padre a vostra somiglianza perfettamente e che voialtri assomigliaste a Dio... Similitatem Deus. E 'sta assomiglianza dell'uomo col suo Dio può apparire credibile solamente se Dio non è troppo grande... e similmente il suo creato... e che la terra sia ben piantata ferma in mezzo... nel centro del creato. E tutte le stelle e i pianeti, compreso il sole tutto ossequioso, ti gira intorno come in giostra, sempre tutto ordinato. E che tu, uomo dottore, stia seduto in mezzo al padrone della giostra. Ma se vieni a scoprire, d'incanto (di colpo), che la giostra non c'è... che la terra e gli astri tutti hanno ognuno il proprio giramento intorno al sole e ad ogni momento ti accorgi che altri pianeti e altre stelle spuntano dappertutto e ancora si allarga ‘sto firmamento così esagerato cghe tutto si sperde…gira come una frittata che ruzzola per il cielo... e che tutto gira... rotolando in una gran "scaracollata" di bordello (disordine)... allora: RIVEDERE TRADUZIONE "Non c'è più misura". L'universo è "sfrondà"... E tutto diventa stragrande, spropositato, infinito a cominciare dal Padreterno Dio, che non puoi più immaginarlo come un caro vecchio bonaccione con la barba, stravaccato tra le nuvole, trasportato dagli angiolini con le ali. Così, all'istante, l'uomo diventa piccolo, ma così piccolo piccino che al suo confronto una pulce-pidocchio sembra un elefante: "Oh, dove sei tu uomo?" "(Con voce sottile) Sono qui nel fondo..." "Sei lì? Oh, ma fai schifo!" GNACH! (Mima di schiacciarlo col pollice) "Ahiaoa!" "Perdonami, ti ho schiacciato!" È finita tutta l'umanità. FRANCA 8 Diaspora comici Presentazione L’elogio del San Carlon d’Arona Franca 9 “IL CONGEDO”, DALLA BETIA Tamìa: (direttamente al pubblico) Un attimo per piacere. Perdonatemi, prima di lasciarvi, vorrei farvi un commento di congedo: mi sembra che tra il pubblico ci sia stato qualcuno che per gli argomenti che abbiamo portato e il linguaggio scurrile che abbiamo tenuto, ha avuto tremori di indignazione. Ho visto femmine... signore... che hanno storto la bocca, gli occhi gli si sono svirgolati, e le gambe, all'improvviso, gli si sono incrociate, chiuse come fosse arrivata una mano grinfiosa (rapace) tra le sue cosce a frugarle sconciamente. Per concludere queste signore femmine - le ho sentite - dicevano che erano porcherie (sporcaccionate) quello che diciamo. "Che non è buon costume nominare passere e potte e bindorloni... sopratutto l'aspersorio col birillo né il pindorlone suo signore. Gravi impudicizia è nominare il coglione invano... e tutti i suoi derivati: i maronati, i coiómberi, i baléngoli e i bagolón!" Ma noi siamo per il naturale... e dicendo "al naturale", signore e signori miei illustrissimi, non si può dire con altre parole. Volete che diciamo, uccellino... usignolo, farfallina, pubenta, strogolì, pisello, passerina e prugnarella? Ma ditemi voi femmine: chi in questo universo che non sappia per quale pertugio siamo venuti al mondo? Ma voi dite: tutto quello che è sconveniente e zozzo non si devi nominare. E allora cominciamo ad ordinare che non si debbano mai più nominare parole, quelle sì, orribili e ributtanti, come: guerra! Invasione! Massacro! Potere e conquista! Carestia, fame, tribolamento, faticare come schiavi, prigione e prigionieri, bottino, stupro alle donne e sopratutto, l' "ingiustizia"!, e la mancanza di liberta. Ma voi, care le mie donne gentili, di quello, non vi disperate né vi indignate. Voi avete i brividi solamente quando si fa allusione a tutto quel piacere che c’è restato: attorcigliarsi nell’amore, scambiarsi passione, sollazzo e godimento. Se si nomina, senza allegoria, quegli strumenti che ci permettono di fare ‘sto bel peccato, voi vi segnate svelte per tre volte col il segno della croce. Al contrario, a voi sembra normale quando il prete e ilvcardinale vanno benedicendo le armi con i soldati che prtono per la battaglia: “Benedictae sea (siano): bandiere, lance e cannoni”. E l’aspersorio del vescovo va a bagnare tutte ‘ste armi che tra pocco gronderanno sangue. Voi, femmine signore dabbene, non provate alcuna indignazione a guardare 'sti strumenti di morte, glorificati! Ma se un cardinale passasse con l'aspersorio a benedire quegli altri strumenti... che ciascuno di noi tiene sotto le braghe e le gonnelle... strumenti che danno la vita, non la morte: "Oh! Scandalo! Tremenda blasfemia!". Voi soltanto a tutti i giochi ridanciani vi indignate! Ma come fate a comprenderli, mi chiedo? Donne dabbene non hanno cervello scaltrito per intendere il gioco sottile dell'oscenità: solamente femmine scaltre... di basso discorrere-scurriles-trivialisobscenus, lo possono intendere. E voi l'avete capito! Bene! Allora, mi spiace, ma voi non potete venire a dirmi che siete femmine dabbene. 'Ste sconcerie oscene le intendono solamente le puttane! Buonasera...386 FRANCA 10 1551 PROLOGO A “LA VITA” Zorzi, che ha curato per Einaudi l’intiera edizione dei 849 dialetto FRANCA 10 849 Da quando Adamo e nostra madre Eva, bestemmiata come puttana, furono dal Paradiso cacciati per la ragione che avevano mangiato 'sto maledetto pomo... Maledetto frutto, che giusto lo si deve dar da mangiare solamente ai porci, 'ste mele grame! Dicevo che da allora, dal tempo della gran cacciata dal Paradiso, è nato 'sto fatto che oltre soffrire, faticare come bestie per campare, a noialtri uomini e femmine per castigo... ci tocca di morire. Che, fai attenzione, senza pomo avremmo vissuto in eterno. Ohi che a me vengono i brividi a pensare: "Sempre in eterno con la stessa moglie, in eterno con le medesime campane... lo stesso prete-curato. Che, in verità, non ci sarebbe stato questo prete-curato poiché nel Paradiso non esisteva ancora la questione del peccato. Dunque senza peccato non c'era il curato. Dunque, il prete è un aggiunta di punizione che ci hanno affibiato! Cosa stavo dicendo? Ah sì, del castigo del morire. Da allora si fa l'augurio nell'alzare i bicchieri: "Salute! Figlioli tanti! Buon pro ti faccia. Tu possa campare una vita lunga!". E cosa sarebbe 'sta vita lunga? Campare di cento e cento anni fino a trecento come Noè? A proposito di Noè, che fu il primo spremitore di uve per trarne fuori il vino... cos'è che procura 'sto spirito magico del vino che ti procura l’ incantamento? Bisogna forse che i grani (acini) del picciuolo dell'uva siano tanti? Bisogna che i graspi siano ben pregni di 'sto liquore del mosto od occorre che ci voglia che il pigmento profumato sbotti fuori come il miele? Forse che il mosto nei tini con i graspi a fermentare bolle più all'impazzata se il filare della vite è più lungo e i graspi sono di gran lunga più numerosi? No, tutto questo non basta per dar vita alla vite. Quel che fa nascere un vino che si possa poi chiamare "exelentis maravegia" è la follia gioiosa che spruzza innaffiando per incantamento fin dalla fioritura, finché l'uva è venuta matura dorata. E' proprio dentro la radice, nel ceppo suo, a fondo, che s'impregna la vita della vite. Dunque ugualmente per vivere assai in abbondanza bisogna forse farsi una vita lunga? Una vita è forse più lunga se la si prolunga con un'altra vita? Così come non è abbastanza aggiungere un altro filare di vite alla vigna che hai già, per far che la vite doni più vita al vino, così è per la vita dell'uomo. E' dentro all'albero della vite che la vita cresce e si moltiplica in valore. Non per prolungamento del filare della vite. Vita, spirito e follia non si misurano né a palmi, né a passi, né per pertiche... ma per l'intensità, si misura per l'intensità. Allora datemi buon ascolto. Non conoscete gente al mondo che vivendo una vita lunga sia giunta ai cento anni? La conoscete? E ci sono persino di quelli che hanno passato i cento anni e qualche anno in più. Vi dirò che ci sono di questi campaa-lungo una grande quantità che si sono accorti d'essere stati al mondo, vivi, solamente quando sono stati morti. Dunque è la morte che li ha resi edotti, fatti coscienti della vita. ARRIVATA QUI Ma non sapendo quelli d'essere mai stati vivi quando lo erano, vuoi tu chiamar vita questa loro vita ? No di sicuro. Anche se tu aggiungessi un centinaio di vite a 'sta prima vita, un'altra vita aggiunta all'altra e un'altra ancora, quelli non avrebbero mai avuto una vita sola da chiamare vita. Se uno vivesse, ma anche un anno solo, e sapesse in 'sto poco tempo di vita d'essere stato vivo non si dovrebbe chiamare più vita la sua? E vita più lunga di uno che campando in eterno non avesse giammai saputo di essere stato vivo? Quindi, come nel grappolo d'uva non è tanto il numero dei grani che rende il vino meraviglioso e vivo, e nemmeno la grande lunghezza dei filari che fa sembrare siringato di spirito profumato alla follia 'sto liquido magico , così non è tanto il numero dei giorni che ci fanno coscienti di vivere una vita degna quanto la follia e la saggezza impregnate di una "stramberia fantasticante" così generosa da far sì che quando all'istante cessa la tua vita, all'istante viene a mancare qualcosa anche nella vita degli altri. La vita piena di stralunamenti come in un albero che butta mille fiori e i rami si distendono a pettinare l'aria e giocano a danzare col vento e non gli importa di spampanarsi intorno e sperdere fiori e far risate che paion di spavento. 'St'albero si sogna di essere albero maestro di una nave grande con le vele di trinchetto a rande gonfie e piene come pance di femmine ingravidate. Così follia e allegrezza, aggiunte alla ragione, spingono a più lunga vita, se alla vita tua aggiungi un'altra vita che ugualmente sappia d'esser ben in vita, aggiunge follia, giocondità alla tua follia e fa il doppio del fantasticante e aggiungendo una vita all'altra ancora di tutta gente che da sempre si accorge di esser dietro a campare. E' da lì che nasce l'eternità della vita. FRANCA 11 ALTRA PRESENTAZIONE FRANCA 12 ALTRA PRESENTAZIONE LA VITA Un bel giorno, Ruzzante scrive una lettera all'attore che interpreta il ruolo di Menato. Ma la lettera è solo un pretesto per realizzare, in forma teatrale, un discorso filosofico sul valore e il significato della vita. È un monologo di una forza inaudita. Vi dirò che, come l'ho letto, m'era venuto in mente di realizzare una beffa spassosa: avevo deciso di presentarvelo come una traduzione seicentesca di un brano dell'Enrico VIII di Sheakspeare. Mi sarei scompisciato dal ridere leggendo poi i commenti della maggior parte dei critici, che figurati se avrebbero ammesso di non conoscerlo. Ma poi, non me la sono sentita di comportarmi da figlio di buona donna. Sarà per un'altra volta. Ora ascoltate il discorso di Ruzzante nella lettera a Menato. FRANCA 13 LA VITA 13 1278 Traduzione CI SONO DUE TRADUZIONI DI SEGUITO VEDERE QUELLA GIUSTA. SONO ANDATA INSIEME!!! Tutto è cominciato nel giorno in cui Adamo e nostra madre Eva, bestemmiata come puttana, furono dal Paradiso cacciati per la ragione che avevano mangiato 'sto maledetto pomo... 'ste mele grame… frutto che si deve dar da mangiare giusto solamente ai porci! E’ stato in quel maledetto giorno che nostro Padre creatore, furente come un demonio, è spuntato con le dita e le mani a stracciar nuvole, bestemmiando con un parlar tremendo: " Adamo ed Eva disgraziati, dove siete? Malnati! Cosa ho fatto io per crearvi come figli miei, con le mie mani vi ho fatto, uguali a me, nella mota, nel fango impastato, vi ho dato il mio fiato, il mio respiro, poi il mio spirito e tutto 'sto creato per voi. Che, l’ho fatto per me? Ma no, per voi! Gli animali, i pesci gli uccelli, per voi figli, tutta roba per nutrirvi. frutti tutti per voi in eterno da mangiare... Vi ho chiesto solamente di non toccarmi un frutto che avevo creato proprio per me solo, uno sfizio… un albero di pome… Vi avevo avvertiti: "Quello non me lo toccate! E’ roba mia! L'unica! Tutto il resto popotete mangiarvelo… anche anche gli angeli e i cherubini, ma quello lasciatelo stare!" Ma voi malnati, no… me l'avete mangiata! Disgraziati! Fuori! Fuori! Golosi! Fuori da 'sto Paradiso!” E’ arrivato l'angelo, l'angelo maggiore con le ali distese, grandi… con la spada di fuoco, che andava sventagliando sciabolate in ogni luogo. ZZZAK!, una tagliata a fenderci il culo in due, che prima noialtri, esso di dietro l’avevamo fatto come un pallone unico, ma con questa sferragliata di lama zaaaak, una fessa nel mezzo: son saltate fuori due chiappe… E’ lì che ci sono nate le chiappe…che non stanno namanco tanto male. Belle! E da quel giorno accade che noialtri, uomini e femmine, venendo al mondo dobbiamo soffrire, e così nostra madre nel partorire va gridando di dolore. E poi lamenti di tristezza… e oltre a faticare come bestie per campare, a noialtri figli di Dio per castigo... ci tocca anche di morire. E pensare che eravamo là beati a crogiolarci, a rotolarci dentro 'sti prati tutti verdolini, che non seccavano mai ‘sti fior profumati… e le farfalle che volavano intorno e gli uccelli che giocavano con gli altri animali... un rider di piacere dentro l'acqua, con i piedi... e non c'era neanche da faticare per mangiare… ti venivano gli animali addosso, tra le braccia, i frutti ti cadevano giù da soli nella mano... Oh che bello era stare in vita: "Che giorno è oggi?" - "Che t'importa, siamo eterni!" Eterni! Ohi che mi vengono i brividi al pensiero che eravam nati eterni… sempre in eterno con la stessa moglie, in eterno con le medesime campane... lo stesso prete-curato, sempre quello... (correggendosi all’istante) No, che non ci sarebbe stato ‘sto pretecurato, per la ragione che non avremmo mangiato la mela e non ci sarebbe stata ‘sto peccato… Dunque senza peccato cosa ci fa un curato? Allora il prete è un aggiunta di punizione che ci hanno affibiato! Cosa stavo dicendo? Ah sì, del castigo del morire. Da allora si fa l'augurio nell'alzare i bicchieri: "Salute! Figli tanti! Buon pro ti faccia. Tu possa campare una vita lunga!". E cosa sarebbe 'sta vita lunga? Campare cento e cento anni fino a trecento come Noè? Avete in mente Noè? Quello che per primo ha schiacciato i grappoli d’uva per trarne fuori il vino. Cos'è che procura 'sto spirito magico del vino che sbotta in incantamento? Bisogna forse che i grani (acini) del picciuolo dell'uva siano tanti? Bisogna che i grappoli siano ben pregni di 'sto liquore di mosto, od occorre che il pigmento profumato sbotti fuori come il miele? Forse che il mosto nei tini con i grappoli schiacciati a fermentare va bollendo più all'impazzata se il filare della vite è più lungo e i grappoli di un’abbondanza esagerata? No, tutto questo non basta per dar vita alla vite. Ciò che fa nascere un vino che si possa poi chiamare "exelentis maravegia" è la follia gioiosa che spruzza innaffiando per incantamento fin dalla fioritura, e monta col maturare dell'uva. E' proprio dentro la radice, nel ceppo suo, a fondo, che s'impregna la vita della vite, quindi, ugualmente per vivere una vita degna e giocosa non basta farsi una lunga vita? Così come non è abbastanza aggiungere un altro filare di vite alla vigna che hai già, per far che la vite doni più vita al vino, così è per la vita dell'uomo. E' dentro l'albero della vite che la vita cresce e si moltiplica in valore, non per il prolungamento del filare della vite. Vita, spirito e follia non si misurano né a palmi, né a passi, né per pertiche... ma per l'intensità si misura, per l'intensità. Inteso?… Non avete capito?! Mi tocca di spiegarvi ancora! Datemi buon ascolto. Non conoscete gente al mondo che vivendo una vita lunga sia arrivata ai cento anni? La conoscete? E ci sono persino di quelli che hanno passato i cento anni di qualche anno. Vi dirò che ci sono di questi campa-a-lungo una grande quantità di cui ci si è accorti che sono stati al mondo soltanto il giorno che son morti. E a loro volta finalmente si son resi conto d’esser stati vivi solo al momento in cui l’anima loro tornava al creatore. Dunque è la morte che li ha resi edotti, fatti coscienti della vita. Ma non sapendo quelli d'essere mai stati vivi quando lo erano, vuoi tu chiamar campare quel loro transitar in vita? No di sicuro. Anche se tu aggiungessi un centinaio di vite a 'sta prima vita, un'altra vita aggiunta all'altra e un'altra ancora, quelli non avrebbero mai avuto una vita sola, da chiamare vita. Di contro se uno stesse al mondo vivesse, ma giusto il tempo della giovinezza e in sto breve passaggio ognuno di lui, e dello suo stare in vita, si facessero accorti per suo valore e peso, e quindi alla sua dipartita ogniun provasse duolo, non si dovrebbe chiamare maggior vita la sua? E vita più lunga di uno che campando in eterno non avesse giammai saputo di essere stato vivo? Ora dunque, come nel grappolo d'uva non è la grand’abbondanza dei grani che rende il vino meraviglioso e vivo, e nemmeno la l’estesa processione dei filari che impregna di spirito profumato alla follia 'sto liquido stregato, così non è tanto il numero dei giorni che ci riesce di campare a farci coscienti di star vivendo una vita degna… quanto piuttosto la follia e la saggezza impregnate di una "stramberia fantasticante" così generosa da far sì che quando all'istante cessa la tua vita, similmente nella vita degli altri viene all’improvviso a mancare qualcos della loro vita. Gransorte è quindi una vita piena di stralunamenti come un albero che butta mille fiori e i rami si distendono a pettinare l'aria e giocano a danzare col vento e non gli importa di spampanarsi intorno e sperdere fiori e far risate che paion di spavento. 'St'albero si sogna di essere albero maestro di una nave grande con le vele di trinchetto e rande, gonfie e piene come ventri di femmine ingravidate. Così, follia e allegrezza, aggiunte alla ragione, spingono a più lunga vita, se sta tua vita non la vai vivendo di nascosto, ma con gli altri legato, e così generoso… che non t’importa di spendere tutta sta tua vita per provare che sia giocondità e libertà e giustizia buona per la gente tutta. E' da lì che nasce l'eternità della vita. E io vado sperando che il giorno che me ne vado morendo, la gente dica: "Peccato che abbia finito di campare, era così vivo, da vivo!". "LA VITA" TRADUZIONE Traduzione Tutto è cominciato nel gior no in cui Adamo e nostra madre Eva, bestemmiata come puttana, furono dal Paradiso cacciati per la ragione che avevano mangiato 'sto maledetto pomo... 'ste mele grame… frutto che si deve dar da mangiare giusto solamente ai porci! E’ stato in quel maledetto giorno che nostro Padre creatore, furente come un demonio, è spuntato con le dita e le mani a stracciar nuvole, bestemmiando con un parlar tremendo: " Adamo ed Eva disgraziati, dove siete? Malnati! Cosa ho fatto io per crearvi come figli miei, con le mie mani vi ho fatto, uguali a me, nella mota, nel fango impastato, vi ho dato il mio fiato, il mio respiro, poi il mio spirito e tutto 'sto creato per voi. Che, l’ho fatto per me? Ma no, per voi! Gli animali, i pesci gli uccelli, per voi figli, tutta roba per nutrirvi. frutti tutti per voi in eterno da mangiare... Vi ho chiesto solamente di non toccarmi un frutto che avevo creato proprio per me solo, uno sfizio… un albero di pome… Vi avevo avvertiti: "Quello non me lo toccate! E’ roba mia! L'unica! Tutto il resto popotete mangiarvelo… anche anche gli angeli e i cherubini, ma quello lasciatelo stare!" Ma voi malnati, no… me l'avete mangiata! Disgraziati! Fuori! Fuori! Golosi! Fuori da 'sto Paradiso!” E’ arrivato l'angelo, l'angelo maggiore con le ali distese, grandi… con la spada di fuoco, che andava sventagliando sciabolate in ogni luogo. ZZZAK!, una tagliata a fenderci il culo in due, che prima noialtri, esso di dietro l’avevamo fatto come un pallone unico, ma con questa sferragliata di lama zaaaak, una fessa nel mezzo: son saltate fuori due chiappe… E’ lì che ci sono nate le chiappe…che non stanno namanco tanto male. Belle! Da quel giorno accade che noialtri, uomini e femmine, venendo al mondo dobbiamo soffrire, e così nostra madre nel partorire va gridando di dolore. E poi lamenti di tristezza… e oltre a faticare come bestie per campare, a noialtri figli di Dio per castigo... ci tocca anche di morire. E pensare che eravamo là beati a crogiolarci, a rotolarci dentro 'sti prati tutti verdolini, che non seccavano mai ‘sti fior profumati… e le farfalle che volavano intorno e gli uccelli che giocavano con gli altri animali... un rider di piacere dentro l'acqua, con i piedi... e non c'era neanche da faticare per mangiare… ti venivano gli animali addosso, tra le braccia, i frutti ti cadevano giù da soli nella mano... Oh che bello era stare in vita: "Che giorno è oggi?" - "Che t'importa, siamo eterni!" Eterni! Ohi che mi vengono i brividi al pensiero che eravam nati eterni… sempre in eterno con la stessa moglie, in eterno con le medesime campane... lo stesso prete-curato, sempre quello... (correggendosi all’istante) No, che non ci sarebbe stato ‘sto pretecurato, per la ragione che non avremmo mangiato la mela e non ci sarebbe stata ‘sto peccato… Dunque senza peccato cosa ci fa un curato? Allora il prete è un aggiunta di punizione che ci hanno affibiato! Cosa stavo dicendo? Ah sì, del castigo del morire. Da allora si fa l'augurio nell'alzare i bicchieri: "Salute! Figli tanti! Buon pro ti faccia. Tu possa campare una vita lunga!". E cosa sarebbe 'sta vita lunga? Campare cento e cento anni fino a trecento come Noè? Avete in mente Noè? Quello che per primo ha schiacciato i grappoli d’uva per trarne fuori il vino. Cos'è che procura 'sto spirito magico del vino che sbotta in incantamento? Bisogna forse che i grani (acini) del picciuolo dell'uva siano tanti? Bisogna che i grappoli siano ben pregni di 'sto liquore di mosto, od occorre che il pigmento profumato sbotti fuori come il miele? Forse che il mosto nei tini con i grappoli schiacciati a fermentare va bollendo più all'impazzata se il filare della vite è più lungo e i grappoli di un’abbondanza esagerata? No, tutto questo non basta per dar vita alla vite. Ciò che fa nascere un vino che si possa poi chiamare "exelentis maravegia" è la follia gioiosa che spruzza innaffiando per incantamento fin dalla fioritura, e monta col maturare dell'uva. E' proprio dentro la radice, nel ceppo suo, a fondo, che s'impregna la vita della vite, quindi, ugualmente per vivere una vita degna e giocosa non basta farsi una lunga vita? Così come non è abbastanza aggiungere un altro filare di vite alla vigna che hai già, per far che la vite doni più vita al vino, così è per la vita dell'uomo. E' dentro l'albero della vite che la vita cresce e si moltiplica in valore, non per il prolungamento del filare della vite. Vita, spirito e follia non si misurano né a palmi, né a passi, né per pertiche... ma per l'intensità si misura, per l'intensità. Inteso?… Non avete capito?! Mi tocca di spiegarvi ancora! Datemi buon ascolto. Non conoscete gente al mondo che vivendo una vita lunga sia arrivata ai cento anni? La conoscete? E ci sono persino di quelli che hanno passato i cento anni di qualche anno. Vi dirò che ci sono di questi campa-a-lungo una grande quantità di cui ci si è accorti che sono stati al mondo soltanto il giorno che son morti. E a loro volta finalmente si son resi conto d’esser stati vivi solo al momento in cui l’anima loro tornava al creatore. Dunque è la morte che li ha resi edotti, fatti coscienti della vita. Ma non sapendo quelli d'essere mai stati vivi quando lo erano, vuoi tu chiamar campare quel loro transitar in vita? No di sicuro. Anche se tu aggiungessi un centinaio di vite a 'sta prima vita, un'altra vita aggiunta all'altra e un'altra ancora, quelli non avrebbero mai avuto una vita sola, da chiamare vita. Di contro se uno stesse al mondo giusto il tempo della giovinezza e in sto breve passaggio ognuno di lui, e dello suo stare in vita, si facessero accorti per suo valore e peso, e quindi alla sua dipartita ogniun provasse duolo, non si dovrebbe chiamare maggior vita la sua? E vita più lunga di uno che campando in eterno non avesse giammai saputo di essere stato vivo? Ora dunque, come nel grappolo d'uva non è la grand’abbondanza dei grani che rende il vino meraviglioso e vivo, e nemmeno la l’estesa processione dei filari che impregna di spirito profumato alla follia 'sto liquido stregato, così non è tanto il numero dei giorni che ci riesce di campare a farci coscienti di star vivendo una vita degna… quanto piuttosto la follia e la saggezza impregnate di una "stramberia fantasticante" così generosa da far sì che quando all'istante cessa la tua vita, similmente nella vita degli altri viene all’improvviso a mancare qualcos della loro vita. Gransorte è quindi una vita piena di stralunamenti come un albero che butta mille fiori e i rami si distendono a pettinare l'aria e giocano a danzare col vento e non gli importa di spampanarsi intorno e sperdere fiori e far risate che paion di spavento. 'St'albero si sogna di essere albero maestro di una nave grande con le vele di trinchetto e rande, gonfie e piene come pance di femmine ingravidate. Così, follia e allegrezza, aggiunte alla ragione, spingono a più lunga vita, se sta tua vita non la vai vivendo di nascosto, ma con gli altri legato, e così generoso… che non t’importa di spendere tutta sta tua vita per provare che sia giocondità e libertà e giustizia buona per la gente tutta. E' da lì che nasce l'eternità della vita. E io vado sperando che il giorno che me ne vado morendo, la gente dica: "Peccato che abbia finito di campare, era così vivo, da vivo!". FRANCA 13 Traduzione brano finale CONTROLLARE SE PRESENTAZ. FILA CON BRANO DIALETTO LA MOSCHETA ANTIPROLOGO: FRANCA: Adesso, parliamo un po' delle donne e della loro condizione all'inizio del '500 a Padova e a Venezia. Tanto per cominciare, Venezia era molto più popolata di quanto non lo sia oggi. Gli abitanti raggiungevano il numero di 160 mila. Oggi è ridotta a circa 90 mila persone. “Tu vedrai che non ti faccio imbrogli è gran bella e è anche più valente di ogni putta che ci sia in tutto il padovano! Mettila pure a lavorare a quella maniera e a quel partito che vuoi. La puoi menare donde ti pare. Ti so dire che non si tira gimmai indietro ma sempre si ficca innanzi e non è mai stanca di lavorare. Marchioro, eccitato, risponde: “Andiamo, presto che mi tira una voglia di starle appresso a 'sta vostra figliola...” Per la sua bellezza, grazia... intelligenza? No. “Voglio giammai lasciarla... se e così buona di lavorare!” FRANCA 14 Mariazzo 532 A questo punto s'innesta la tragedia. Succede nel mariàzzo... cioè la festa per le nozze piuttosto contrastate di Zìlio con la Betìa. Durante la festa scopriamo che c'è un altro contadino di nome Nale che è innamorato pazzo della sposa di Zìlio e anche lei, la sposa-Betìa, pur essendo innamorata del suo promesso sposo, Zìlio, s'è presa una gran passione per Nale. CONTROLLARE SE PRESENTAZ. FILA CON BRANO DIALETTO 974 e tamia, nale LA MOSCHETA ANTIPROLOGO: FRANCA: Adesso, parliamo un po' delle donne e della loro condizione all'inizio del '500 a Padova e a Venezia. FRANCA 15 Mariazzo A questo punto s'innesta la tragedia. Succede nel mariàzzo... cioè la festa per le nozze piuttosto contrastate di Zìlio con la Betìa. FRANCA 15 BIS INIZIO TRAGEDIA In scena Zìlio, Nale, Betìa. Traduzione Zìlio: Oh hai pur finito di farmi becco, porco traditore! Ora ti voglio mangiare il cuore! Nale: Non lo fare cancro, non lo fare! Zìlio: Tieni! Infame ghiottone! Betìa: No, lascialo stare... per amor mio! Zìlio: Taci puttana! (Accoltella Nale e fugge) Nale: Ohimé Dio... sono morto, mi hanno ammazzato! (Cade a terra). Betìa: Oh triste, me, sconsolata! Ma perché l'hai tu ammazzato? Ora come farò io, che avevo messo in conto di avere due mariti... Come riuscirai tu solo, Zìlio a fare che non mi venga a mancare 'st'altro. Oh poveretta io di merda che ora sono restata con un solo maschio! Dio! Come per poco si ammazza un uomo! Esce la Betìa, mentre portano via il marito avvolto in un lenzuolo. Taçìo, contadino saggio e avveduto è stato testimone del fattaccio e commenta: Poveretto te Nale! Hai voluto troppo scherzar col fuoco Facevi la ronda (corte) a 'sta ragazza la portavi in carriola le facevi le capriole tra le sue sottane e le gonnelle ad amoreggiare... accontentati! No signore, vai anche a sbertucciare da becco al suo prossimo marito! Non ti accontenti di un pertugio ne vuoi due? Anzi, quattro, con le chiappe. Ah! E allora beccati 'st'altro buco tu… nella tua di carne! E poi vai intorno a dire che son le femmine sole la cagione di tutto il malanno che arriva al mondo. Sì, è anche vero... (Si rivolge alle donne che stanno in platea) Voi femmine tutte... senza offendervi, siete bucate in ogni luogo pure nel cervello! Ma cari signori maschi non scarichiamo tutta la (ogni) responsabilità addosso alle femmine, che nostra, è la colpa massima che facciamo e disfiamo ogni trappola perché, loro femmine nostre ci facciano becchi e infine... ci stracciamo le vesti e piangiamo da traditi. Guardiamoci bene negli occhi uomini, tutti quanti, in verità voi pensate che se noi maschi fossimo nei panni loro... di queste donne credete voi che si troverebbe mai una donna dabbene? Oh, no... d'incanto ci apparirebbe un mondo solo di puttane! Sento sua moglie, la Tamìa straziàre perché suo marto è stato ammazzato. Oh l’ascolterete adesso del piangere... che non è mai capitato che una moglie volesse così ben a un uomo come vuole Tamìa a Nale suo marito accoppato. FRANCA 16 (Esce Taçìo. Entra Tamìa.) LAMENTO DELLA TAMIA PER IL MARITO CHE CREDA MORTO TAMIA: Morto? E' morto amore mio bello!... Ti hanno ammazzato?! Comipotro io disgraziata restare in vita? Oh bello e buon boaro Dalla gioia grossa… Oh dolce e caro amore, oh caro il mio buon piacere che solevo avere ogni notte nilletto con te! Mi hai lasciato sola e ora di lacrimimi annego... Mi davi diletto (piacere) per la via che volevo E quilche io volevo lo volevi anche tu. Oh cari e buoni giorni, che quanti ne abbiamo avuti e anche voi buoi piangete e noi vacche andiamo a dire al bordello che non abbiamo piùchi ci mungera o montera? Tu mi hai lasciato sola e ora di lacrimimi annego... Tu eri tutto il mondo e il mio spasso tu eri terra e frumento tu eri il mio toro... il mio (torasso) granda toro e puranche il mio montone! Ohhh montone, montone, bello mio montone! Tu, non correrai piùa darmi urtoni con la tua testa fra le mie gambe! Che stravaccate ruzzolando! O botte dolce senza sangue o care spinte, mai più ti sentiro Oh dolce mio fratello (fratellaccio) che per darmi sollazzo e con migiocare mi solevi dare delle maniate sul culo. Oh dolce mio figliuolo mi volevi pur bene! Che se talvolta per accidente traevo una scorreggia... ohh... non mi facevi sentire mortificata, ma mi dicevi: "Buon pro ti facciano ‘sti tuoi sospiri!” Tu eri valente uomo con un arco in manio comifa un cinghiale infuriato fedele a Venezia e a san Marco che se scorgevi un tedesco tu gli volgevi il culo e scappavi solo per non fargli dilmale. Oh gioia di viole Oh cervello di uomo avveduto Tu sapevi imbrogliare e menare le gambe in spalla poi fuggire!, Che giaammai nilpadovano ci qualcuno tuo pari. Mi hai lasciato sull'erba povera midi merda! Vuoi che adesso perda La mia gioventu bella e gentile? Questa è una mala sorte che io non ne ho colpa no! Franca 17 Agitando un turìbolo, avvolto nillenzuolo in cima ad un gradone appare Nale, il marito. Il lenzuolo è lo stesso con cui era stato ricoperto comicreduto ammazzato. Tono lugubre da oltretomba Dialogo tamia e Nale. Nale: (finge di tornare dall'aldila) Lascia il lamento, che ormai io sono contento di starmene dovi sto. TAMIA: Marito caro, siete voi?! NALE: E chi vuoi che sia? Per certo sono io! Tamìa: Sei tu l'anima di mio marito? Nale: Quella sono! E dell'inferno sono condannato al fuoco. TAMIA: Oh lasciati abbracciare e darti un bacio! NALE: Oh no, non mi toccare! che son fatto solo d’anima comidire che sto riempito di vuoto. TAMIA: Vodo? Vodo comifato da fumo? NALE: Hai indovinato basta uno spiffero, un soffio di fiato che mi disfo tutto sparso comi la brina appena spunta il sole. Tamìa: Senza corpo e solamente fiato (respiro)? E comipuo essere che ti stai bruciando (che ti vai bruciando)? Nale: Moglie, lo capirai di persona che giu all'inferno, l'arrosto dilgran bracere è preparato anche per te! Tamìa: Il bracere?! O triste e grama me! Ma raccontatemi caro marito: è dolore morire? Nale: Puh! (Fa il gesto di non poterci pensare per il tanto dolore che ha provato) Non lo potrei mai ridire! Tamìa: E' uno strazio da graffiare (spellare)? Nale: Ah, proprio! E la ragione è per la separazione dell'anima dal corpo perché, è naturale che il corpo vuole un gran bene a 'st'anima sua di lui! Tamìa: È per 'sta ragione poi, che si prova gran dolore? Nale: Sicuro! Da lì viene il sudore, e nasce la gran pena. E comiquando a un coniglio gli strappi da dosso il suo pellame: pensa a una manio che ti si affonda nilgargozzo a scorticarti. 'St'anima abbracciata al corpo suo disperato... non vuole uscire! E lì nasce questa gran pena per venirne (uscirne) fuori dalla bocca. Tamìa: Oh taci che mi sono venuti i brividi da tremare! Nale: Oh, non averne timore che a te tocchera per il didietro dilculo morire. Tamìa: Per il di dietro?! Oh, madre dilpertugio oscuro! Ma dimmi ora, marito caro: comisiete arrivato in fondo a 'sto gran buco... nell'inferno al fuoco? Nale: Ci fui trascinato a pedate nelle natiche! Mi hanno spintonato e (fatto) saltare in un gran bracere ardente... di slancio sono uscito... E per fare in modo che questo fuoco perda 'sto suo gran bruciore mi sono gettato (cacciato) tutto giu in un gran mare di merda. Tutto sotto mi sono infilato: sotto con la bocca aperta, così ne ho ingolata una gran boccata di quella piùmanitecata. Tamìa: Che pasto! Guardami, sono qui tutta sudata, mi viene da vomitare! Fai mente, anima mia, che condizione disgraziata, malerbetta è la nostra vita di contadini. Prima di venire al mondo stiamo dentro le pance delle nostre madri, sballottati per novi mesi nell'acquaccia puzzolente poi nasciamo con gran dolore. Ci stringono legati nelle fasce immerdati con i vermi e il vomito (dei bambini) e poi la rosolia, le croste... e razzolare nella corte comile galline. Se ti va bene poi, vai a dottrina dal curato che ti coltiva a schiaffi e bacchettate. Poi a governare bestie: pecore, buoi e zappare terra, e tagliare melega e frumento e poi figli, marito e tribolazioni... Ti godi la carestia, ti prenda (ti arriva) la morìa dei castroni. Ti strozzano gli usurai, ti spennano comiun uccello! Poi arrivano i soldati che a noi femmine ci cavalcano comiputtane. E la domenica, arriva infine il godimento: in chiesa, in ginocchio, a domanidare perdono a Dio in pentimento. Nale: Amen! Tamìa: Qualche anno di vita cil contento (contenta) lo abbiamo un poco d'amore, qualche gioia, un sorriso una festa da ubriacarsi, poi arriva la morte all'improvviso e giu all'inferno siamo condannati! Nale: 'Sto lamento moglie non migliora... Dicono che noialtri contadini, siamo nati dalla pancia di un asino che in allegrezza poi ci ha partorito con una scoreggia. Ma, almeno per i soldati che giu all'inferno son condannati , al castigo eterno, ti voglio dare un bilconsolo (una bella consolazione): non sono mica i diavoli che vanno a straziare e i patimenti dare... Difatti, moglie, ho incontrato quilsoldato che tu sai... che ti ha rovesciato a terra davanti a me. Tamìa: Non milo ricordare! Fu un malfatto (brutta storia). Nale: E fu gran dispetto 'sto malnato! Tamìa: Basta così! Puttana, che non dico di Dio, credevano sempre di poterci tenere sotto e caricarci comifanno i montoni! NALE: Ma sta sicura che adesso son bin ripagati perché dio ha ordinato che essi siano messi a nostra disposizione. Adesso gli facciamo bin pagare il pane, la biada che ci hanno mngiato. Gli facciamo bere un bilbrodetto d piombo, fuso, bollente… Ah! Guardali comibattono i denti! Ah! Adesso voglio godere di questi malnati con tutta 'sta loro boria... che né legge né feda avevano e poi bestemiavano: "Puttana di Dio, statti buona di sotto a darmi piacere!". Maledetti! Credevano sempre di poterci dominare! Se fossi in voi, giu all'inferno gli farei pur manigiare della merda bollente e sbattergli fuori tutti i denti che non possano piùmasticare. Ah, a proposito... e quilcapitano sgaroso che al soldo dilfrancese ne ha fatto di scannare a noialtri contadini? Nale: Parli di Sonzìn Benzon? Tamìa: Sì, lui, 'sto gran porco! Che, comifosse in Arena, godeva a rimirare 'ste povere femmine nostre, denudate... montate comigiovenche dai suoi soldati.Ci sfotteva e faceva gran risate! Quello, ora che sta morto, l'hai incontrato? Nale: Ah, ah! Sonzìn Benzon! Sicuro, e ho scoperto che sta peggio di noialtri: da una brigata di contadini fu impiccato e poi su attaccato (appeso) a rovescio, per un piede così che l'anima via gli ando sparata per il culo... quale un gran tampone di tanfo e, comigiunta all'inferno ha ammorbato tutto il reame. I diavoli disperati, per non respirare 'sto gran smerdasso (il gran fetore di merda) si sono inficcati due tizzoni ardenti, per uno, dentro le narici che, comiper incanto non sentivano più'sto tanfo. Tamìa: Ohi che finimondo! Ma dimmi marito, com'è fatto 'sto inferno? Nale: E' uguale a 'sta vita nostra di contadini che gia facciamo su questa terra in tutte le stagioni: caldo d'estate e freddo gelido d'inverno. Ci sono caldaie e spiedoni in ogni luogo e sempre senti gridare animibucate che vanno ad arrostire e lessare. Tamìa: Ma dimmi di laggiu, di 'sti demoni: son matti o savi o son burloni? Nale: Burloni? Non hanno sorrisi... Non si puo trovare in loro nessuna carita. C'è un loro signore di 'sti demoni poi, che fa tremare per le crudelta che ti puo fare. L'ho visto contento solamente nilmomento che è arrivati laggiu, Domenico Tagliacalze buffone. Tamìa: Oh il gran ciarlatano! L'ho visto, da vivo, far capriole e poi cantare... Nale: Infatti, comiè arrivato giu, monta su un banche e comincia a blaterar scherzoso e poi una canzone cantare facendo quilsuo viso da incantare minchioni. "Oh bella gente, prima di venir qui son stato in Paradiso. Tutti i beati mostravano un triste sorriso sbadigliavano di noia, i poveracci, facevano pieta. C'erano tutte donne vergini e immacolate e tutti i santi spirituali perfetti suonavano liuti con una corda sola e viole d'amore senza far andare l'archetto. E' per 'sta ragione che dal Paradiso son scappato e in 'st'inferno mi sono buttato!" Poi di colpo si molla un gran schiaffo sulla faccia, e finge che un vespone gli ha piantato il pungiglione sulla guancia bzzhz... fa il verso dilvespone che vola intorno bzzhz... un'altra pacca sulla pancia bzzhz... "State fermi che lo voglio schiacciare 'st'animale." Gli va vicino un diavolone e: patapan! Gli molla un gran schiaffo con la manio a sganassone! Bzzhz... è scappato di nuovo! "Fermi che lo voglio prendere!" Il Tagliacalze si lanci addosso a un'arcidiavolo e lo schiaffeggia! Una pedata a un diavolo minore e puranche al suo signore. Zizzhzz... Adesso i vesponi sono tanti arrivano anche delle api, moschiti, tafani e calabroni: zzizzhz. Picchia di qua, zompa di la, tira sberle, pacche, schiaffoni, pedate! E ridono a crepapelle i diavoli e si danno pacche e gran pedate fra di loro. Di colpo ride il signore dell'inferno da pisciarsi sotto, è tutto uno sghignazzo e un gran darsi sberle trema l'androne per una giornata spaventata è il terremoto è l'inferno dell'allegrezza! IL PEZZO CHE SEGUE HA TRADUZIONE ma forse è STATO TAGLIATORAGIONARCI. TAMIA : (ride) Ma perché anche tu non ti sei buttato a fare il matto? Cisto che sei una buon pagliaccio che non ce n’è un altro uguale? NALE: Oh ho voluto bin tentare ma non mi valse sbofonezare né far sgambetti che poi quest’inferno non è luogo più adatto a far galìteghi per un saltimbanco. Ho subito scopeperto che in questo teatro morto C’è il permesso di poter ridere per ogni secolo abbondante Ma una volta solamente. TAMIA : Ma comipuo succedere che appena arrivato sei gia partito?? Da nemmeno un or eri in questo mondo... tempo di una scorèggia sei all'inferno e poi torni ancora su? NALE: Moglie, nell’ altro mondo non c’è la misura diltempo che avete qui. Dio nostro ha scombinato ogni regola. Nellìaltro mondo, il tempo di un bacio amoroso Puo riempire un’eternita e tre giri dell’ universo intero è il tempo d'un sospiro. Ma trattando diltempo, il mio tempo è tutto gia passato. Devo ripartire, dammi la tua mano da salutare. TAMIA: No, non voglio il mal malanno gia ho avuto un giorno disperato. Va dovi vuoi che io tenerti non m'interèssa più e mi voglio pur rimaritare. NALE: Rimaritare? Bon, ti lascero fare quilche cancaro che vorrai. TAMIA: Mi lasci fare? Marito, dimmi la verita mi volevate mai bene, da vivo? NALE: Bene a voi? No, in nomidi dio giammai vi n'ho voluto. TAMIA: Ti venisse una gobba con sopra un bugnone! (maledicendosi, si lasciano l'un l'altro). FRANCA 18 Entra in scena Meneghello, l'innamorato di TAMIA: ora che Nale è tolto di mezzo offre a Tamia di diventare suo marito). TAMIA: Marito? E bisogna bin che tu mi stia a pregare? Ti voglio donare l'anima, il fiato e la vita. Gioia mia pulita che cercavo io? No, non sei convinto da quanto tempo mi piaci tanto e per nessuno al mondo ho tanta golosia comine ho per te! Oh, son piùdì, che meno il culo per esser tua moglie guardami ho i tremori addosso tienimi che piùnon posso andiamo a fare adesso tosto, 'sto martrimonio! (Mentre i due se ne vanno abbracciati rientra NALE, senza lenzuolo. E' disperato: impreca contro se stesso e la mala idea di farsi passare per morto). NALE: Oh cancaro mi son pure tirato dietro i cani… e son qui e triste e deriso! Pota, ma comiho pensato di inventarmi 'sta novella di fingere che Zìlio m'abbia ammazato e io da gran matto che sono ho fatto tutto questo per scoprire se mia moglie mi voleva bene o puranche no. (Sogghigna) Pota ora comiho pensato di trarle tante sbruffonate E anche quella di andarle a dire che ne le ho Giammai voluto bene. E se adesso capita che se sposi credendo che io son morto? Pota, che gran coglione che fui a metterla in disperazione. (Impreca sulla decisione della sua donna che ha scoperto, si vuil maritare). Oh sangue di mio padre! (Rivolto alle spettatrici) Voialtre femmine siete certamente bucate dappertutto puranche nel cervello! FRANCA 19 NALE esce di scena. Entra Tamia che si lamenta a sua volta. TAMIA: Oh triste tu Tamia disgraziata che hai fatto mai?! Si dira sempre di me che una puttana son stata perché non era passata manco una giornata da che mio marito s'è morto e io vado cercando in lacrimiil conforto di un altro omo cil suo su spasso DIVERTIMENTO (??)deporto. Diranno: "Oh aveva pure una gran voglia ‘sta femmina che non vedeva l'ora che 'sto cristiano tirasse le cuoia!" Alla fine che mine importa? Dica ognuno quilche gli pare non vi daro nemmeno due scoregge per farvi un po' ballare. culo No, io non potrei mai stare senza marito nemmeno un giorno. Potrei pur stare senza manigiare anche per un anno ma non stare senza un uomo. Riappare NALE e la supplica NALE: Non prenderti l’altro uomo che son vivo! TAMIA: O Jesus, Vérzin Maria! (La donna si lascia cadere riversa al suolo). NALE: Non aver paura, o Tamia che non son morto ma perché vuoi morire tu? Era uno scherzo da pagliaccio oh moglie, o moglie bella cara dolce la mia fratella che se morissi tu a morirei davvero anch’io. (NALE cerca di rianimarla) Oh diavolo che mi porta non è che sei morta davvero? Sei morta? (Si da uno schiaffo) T'ho becco (cornuto)! Hai perso il cervello! a voler tutte 'ste smerdassate t'ho, morbo a te e a chi t'ha creato! (Si mena pugni in testa e si dispera) Vai a trovare ora un'altra fante così amorosa che piacere mi dava e gran conforto e io sono andato a farle torto, gran malnato! E mo non so che fare se potessi farla rinvenire l'acqua dovrei spruzzare ma non c’è una fonte intorno. Adesso le piscerei in viso d'accordo, non è buona costumaniza ma a son dell'avviso che tutto va bene se c'è fretta. (Si slaccia i calzoni poi ci ripensa) No, non posso, le voglio troppo bene non lo posso fare. (Per disperazione corre qua e la in preda a un granda tremore) Ohi che il diavolo direttamente mi entro tutto in corpo. Ohi mè, son spirito- spiritato! (Ci ripensa) E se quilcoltello m'avesse proprio ammazzato? non so se son nell’ altro mondo o son qui. E se stessi dormendo? E che stessi sognando? Voglio provare se potessi 'me' manigiare se son vivo o no. (Si slaccia di nuovo le braghe) Proverei a cagare un poco Per vedere se poi sento l’odore... (Ci ripensa, estrae dalla saccoccia un pezzo di pane, lo addenta) Manigio pure con buon sapore!... (Spicca un salto) E sì, salto anche! (Fa un gioco schiaffeggiandosi le mani) E gioco anche con le mani! E anche vedo la Tamìa! (Estrae un coltello) Mi viene la fantasia di darmi in lo magón di 'sto coltello che vedro adesso bilda bello se son morto alfìn (Esita, riflette. Tamìa intanto ha aperto gli occhi) bon, se son morto a non mi potro ammazzare, ma se son vivo andro di certo a morire e mi togliero da ‘sta vita al mondo Bon, sara meglio che io muoia! Che 'sta mia femmina traditora non ha aspettato manco mezz'ora che fossi spirado per correre a prendersi un marito nuovo. TAMIA:(lo interrompe) Marito sei tu? NALE: Sì, pota di chi m’ha fatto! TAMIA: Cosa cianci che io abbia preso marito? NALE: Puta di tua madre Non t’ho visto andartene via abbracciata a uno? TAMIA: Tu non troverai mai nessuno che questo posse dire. Ora mi farai bin morire se dici ‘ste follie mi farai stcioncar l’anima e crepare. NALE: Non farlo, moglie, non lo fare che facevo per gioco tu sei la mia dolce figliola il miobilcastello adesso conosco il bello che io mi son sognato e ho dormìo fin adesso e se t'ho ingiuriata (insultata) perdinami gioia e mio tesoro l'ho fatto per troppo amor. TAMIA: Anch'io voglio solamente voi per marito e gi altri li cago tutti quanti! Ringraziati siano i beati e i santi che da retrovarti morto t'hanno salvato Mi hai fatto gran torto a darmi 'sto gran spavento se eravate morto voi io, ‘ta sicuro che misarei voluta ammazzare. (Si abbracciano. Nale chieda alla moglie di andare da Zìlio a intercedere perché si faccia pace. Nale resta solo) FRANCA 20 NON STO SCOPRENDO CHE DICE ‘STO CAZZO DI NALE TAMIA esce e rientra di lì a poco con Zilio e la Betia. Poco piùindietro s'intraveda MENEGHELLO. Nale: Ti volevi rimaritare, figlia di puttana! Tamìa: Non è vero! Se voi foste davvero morto, io, stai sicuro, fuori di cervello (impazzita)... monaca... o in un bordello mi sarei cacciata! Nale: (andando ad abbracciarlo) Zìlio caro fraèlo ti domando perdono se ti ho ingiuriato, in sempiterno e credimi che ho pagato il ghiaccio dell’inverno con 'sta frotola dilviaggio all’inferno, che per poco non lo truovo davvero di starci condannato. ZILIO: Ala fine Nale ti sei comportato proprio male male. Nale, Nale, non si fa così. TAMIA: Ha avuto granda ragione, 'sto caro figlio, Zìlio, amoroso Zìlio, di picchiati ‘sto colpo di coltello! Volevi la sua Betìa senza farglialcun regalo! BETIA: Ah, furbacchione ti sei messo in fantasia di prendermi senza nulla pagare diltuo! NALE: E cosa sarebbe dilmio che dovevo dargli in cambio? BETIA: E’ comiil gioco delle carte alla primiera: fante chiama la donna, donna chiama un fante e si accoppiano tutti quanti. NALE: Non capisco, mi pare che dietro ci sia uno strambo intento. TAMIA: Apri bene il cervello Nale... la Betìa parla di un aggiustamento di fare cosa mai fatta… cosa, che nilnaturale si combina in due, ma in tre è ancor meglio 'sto diletto. In quattro poi è il mariazzo piùperfetto! NALE: Da due a duei in quattro? A darsi gusto? BETIA: Sì, hai inteso giusto! Darsi il gran contento in comunanza. NALE: Apriamo bin la danza! Quattro contenti? E ogne notte ci tiriamo a sorte? ZILIO: Sì, teniamo aperte tutte le nostre porte e portamenti. Se tu ti accontenti, son contento anch’io! NALE: Bene! Da 'sto momento sia fatto! Che dite femmine nostre? TAMIA: Che siamo stracontente dilbilbello! NALE: Facciamo 'sto patto di scambiarcie potte e rapanelli. BETIA: Non c’è bisogno di scritture di notai… tocchiamoci le mani comifanno i bovari. ZILIO: Che sia fra noialtri accomodato che ogniun si potra dare tutto il piacere che lo vorra! No!, non lo faro giammai domani! Subito! NALE: Che, se siamo conssenzienti e pur contenti… Zìlio E Nale: (in coro) Non ci sara neanche peccato! Tamìa: E comidice il proverbio: "Fino in quattro è amore... in cinque, è orgia!" NALE: Che, se siamo consenzienti e pur contenti, non ci sara peccato. FRANCA 21 Partiti i quattro Meneghello che è restato nascosto a spiare entra in scena e commenta esterefatto Meneghello: Potta, ma cosa sta capitando?! Prima Nale sta morto, la Betìa, femmina dell'assassino, piange, e non ha conforto. Poi arriva disperata Tamìa moglie dell'assassinato... che voleva sposarsi con me. Lamenti, passioni e strappacuore! Risorge l'anima dilmorto dal gran spavento lei, la moglie (si) muore. Ma lui, anche se bucato (ferito) da coltello, non è spirato. Comiper incanto risorgono tutti e due, l'uomo e la moglie e fanno allegrezza e grandi abbracci, giunge anche il compare che l'ha ucciso. Si baruffano? No! Tutti si pacificano e si mettono in armonia di scambio: si danno il contento. Ah, che buon matrimonio! E io, perso d'amore mine resto solo abbandonato comiun pagliaccio? Tutti s'imbucano al caldo e io sto di ghiaccio? Così mi avrebbero scaricato? Vogliono farsi una ballata di quadriglia scambiar passo, far figure nuove... cingersi alla vita! E coricarsi su un unico paglione (materasso)? E se mi intrufolassi anch'io in questo matrimonio a scambio? Ah io non sono coglione! Io, Meneghello, sono così bravo in questa danza! Potta di mia madre, con tutta riverenza, se c'è posto per quattro ce ne sara anche per cinque. Non c'è differenza... Aspettatemi che arrivo anch'io! FRANCA 22 LA BETIA DELLA MOSCHETA Ma tornando alla Betìa della Moscheta, vi stavo dicendo che non solo questa donna s'è tirata appresso nel suo trasloco in città il marito, ma pure Menato, compare di Ruzzante, che è stato suo amante qualche tempo addietro, di cui lei ora non ne vuole più sapere. Ora vi mostreremo tre corteggiamenti alla Betìa. Il primo di Menato, il secondo di Tonìn, il soldato bergamasco, e il terzo sempre alla Betìa, del marito Ruzzante, travestito da studente, che vuole mettere alla prova la donna. Via con il primo. FRANCA 23 ATTRICE: BETIA sta sull'uscio di casa con un cesto in mano e chiama le galline. Le si fa incontro MENATO. Traduzione Betìa: Pio, pio, pio… madre santa dovi si saranno cacciate ‘ste galline? MENATO: Dio vi dia salute, comare. Sapete se è in casa il mio compare? BETIA: (brusca) Non so dovi sia andato. Salute. (Accenna ad andarsene). Una cittadina… non vi si puo neanche parlare. BETIA: Sono quilche sono! Se io sto a Padova, voi, fatemi il piacere di restarne fuori. MENATO: Ci sto di certo... fuori, per forza ci sto. Quelche prima, nei campi mi sembrava aver profumo, ora mi pare abbian puzza. E io me ne vado nei campi e passo dove stavamo (voi e me) insieme a ragionare abbracciati… mi sento venire una smania a strappacuore, che mi disfo (sciolgo) tutto comi il sale nella minestra. E perchè? Per vostro amore, traditrice ch'altro non siete! Per il dololore che mi fa non reuscirò a favellarvi (parlarvi) e... dirvi parole. BETIA: Bene, adesso le parole le avete dette e anchele favelle... Che volete ancora da me? MENATO: Perché siete così crudele e velenosa? BETIA: A dirvelo in una parola non voglio giammai più esser matta come sono stata con voi. Giammai più, per tutta la vita! E in casa di mio marito, poi! MENATO: Giammai più per tutta la vita? A femmine siete proprio come le foglie che sballonzolano come spunta il vento. Ma vi siete pure dimenticata delle parole che mi dicevate? BETIA: No, non le ho dimenticate. Sì, vi dicevo che voi eravate la mia radice, la mia felicità, il mio consigliere il mio conforto. E che per tutta la vita mia sareste sempre stato voi. Che io vi arei tenuto sempre nel mio cuore. MENATO: E allora? Lo dicevo per gioco? BETIA: Aspetta che non ho ancora finito…Ti dicevo che quando mangiavo ti vedevo nel pane Ti dicevo che quando mangiavo e come bevevo ti vedevo nella scodella e bevevo anche te. MENATO: A 'sta passione adesso cosa è capitato? BETIA: E’ capitato che con 'sto venirmene in città, ho voluto dare un colpo di scopo a tutto quello che stava nel paese: alla biava, agli alberi,le zolle, lo strame e la terra… all’amore (fatto di) nascosto (che si devi nascondere) e a tutto quello che è piantato, fiorito e cresciuto. Tutto l’ubriacature di sto amore che mi straziava il cuore e mi stondorlava stordiva il cerevello. MENATO: No Betìa, voi non potete abbandonarmi in 'sta maniera. Betìa scappate (fuggite) via con me! BETIA: Mi venga piuttosto una saetta che mi fulmini! Non ci fu giammai nessuno dei miei parenti che sia andato via con qualcuno. Io, voglio potere guardare negli occhi i cristiani. Io! E adesso se avete ancora voglia di ciarlare, ciarlate per conto vostro, compare. Franca 24 Franca: Passiamo ora al secondo corteggiamento che è quello del soldato bergamasco. Ancora vediamo la Betìa col suo cesto che sta aprendo l'uscio: all'improvviso, si trova davanti il soldato Tonin (che parla lombardesco) Spaventata, arretra. BETIA: Uuh! A m'avete fatto mancare il cuore! TONIN: Mancare il cuore? A ma non può mancare a chi non ce l’ho più. BETIA: No? E dove è andato? TONIN: Si è infilato nel vostro bel seno tondo e stagno, cara faccetta dolce. BETIA: Nel mio seno non ho il cuore di nessuno, io! TONIN: Sangue del cànchero! Com’è possibile che bellezza e crudeltà stiano insieme? Ho veduto io, uomini e femmine d’ogni generazione, ho visto buoi, vacche, scrofe, porcelli e anche un elefante, ma mai son riuscito a innamorarmi, se non di voi, cuoricino mio dolce... che quando vedo quei vostri occhi lucenti comi specchi e languidi come velluto e le labbra rosse di ciliegia e quei denti bianchi profumati mi bolle il sangue come fa d'agosto il vino nel tinazzo del mosto. BETIA: Lucenti come specchi? Oh avesse visto come ero qualche tempo fa! Altro che ciliegie! Ero tutta pomi e meloni, come muovevo svelta come una cavalla al Palio! Tenevo occhi di sfarfàla! Adesso son quasi sfiorita. Avevo pelle così liscia e stagna che con le unghie non si riusciva a graffiarmi. TONIN: Oh Dio, sarei pur pieno di fortuna se mi voleste un po’ di bene. BETIA: Ma chi vi vuole male? Non voglio male a nessuno io... Credetemi... A voi poi, signor Tonino, non voglio male. TONIN: No? Vorrei che vi entrasse un poco del mio amor nel seno (cuore). Che anche voi provaste come mi ritrovo pieno di tribulazioni e affanni... che mi vanno per il cervello per amor vosto. BETIA: Vi dirò la verità, io: Voi non siete per me, messere, né io, sono per voi. TONIN: Mi dite di no? Son soldato da quattordici anni... io! Mi rifiutate neanche fossi un pataro? Un facchino buono a nessuno (a niete)? (Le cinge la vita). BETIA: Non dite così, a me. Dico che non siete da mie braccia. (Si divincola appena). TONIN: Ma potremmo avere delle braccia giuste se ci abbracciamo! BETIA: (sfuggendogli) Dico che no, non voglio! TONIN: E adesso, che debbo fare io dunque... con 'sto tronco che mi è spuntato! (Esce dal personaggio e si rivolge al pubblico:) Se non l'aveste capito qui c'è un'allusione piuttosto grevi all'eccitazione vistosa di Tonin (rientra nel personaggio) E adesso, che debbo fare io dunque... con 'sto tronco che mi è spuntato! BETIA: (ride con malizia) Adesso, fatevelo in brodo, così che tutti n'abbiano! TONIN: Vorrei una grazia da domine deo e poi sarei contento per un bel pezzo. BETIA: Anch’ io ne vorrei una. TONIN: Che vorreste visino mio bello? (L'abbraccia). BETIA: Ditelo prima voi. TONIN: No, prima ditelo voi. BETIA: Vi prego, ditelo voi d'innanzi. (lo cinge col braccio). TONIN: A vorrei essere un cesto, e che adesso, che andate a dar da mangiare alle galline, mi teneste per il manico. BETIA: (ride) E i vorrei che tutto quello che mi viene per le mani doventasse polenta di fatto! ATTRICE: BETIA e TONIN ridono e si tengono abbracciati... ma sul più bello sentono arrivare il RUZZANTE. TONIN s'allontana. FRANCA 25 TERZO CORTEGGIAMENTO Franca: Menato incontra Ruzzante, vengono a discorrere della fedeltà delle donne. Menato provoca Ruzzante a verificare la fedeltà di Betia. E come? Basterà che Ruzzante, si travesta da studente forestiero indossando un abito alla spagnola che Menato gli procurerà... poi Ruzzante, travestito, proverà a corteggiare la moglie. RUZZ.: (pavoneggiandosi nell'abito tutto sboffi e fronzoli) Guardami! Vorrei bin incontrar qualcuno che avesse ilcoraggio di dire che non sono uno spagnolo! (Va alla porta di casa e s'appresta a bussare) Ah, ah, bisogna che non scoppi a ridere in faccia alla mia Betìa. Càncaro, son pure un gran farabutto ad arrangiarle uno scherzo tanto, alla mia femmina! Mi sento come uno che si squarcia le scarpe in punta per scoprirsi le dita dei piedi. (Bussa) Olà! Chi sta lo quivi in codesta casa? BETIA: (affacciandosi alla finestra) Chi è quello? RUZZ: Io mi, sono. Mi conoscete io me? BETIA: Da donda siete voi? Non vi conosco, io. RUZZ.: (si nasconda il viso col cappello) Io mi, sono della Italia di Firenze come a dire napolitano... e dunque anche un poco spagnolo. BETIA: E in quale modo mi conoscete, voi? L’invasione dei francesi… io ero alloggiato in casa vostra. BETIA: Siete sicuro? Non mi ricordo, io. RUZZ: Sapete perché vi sembra di non conoscermi? Guardatemi bene. BETIA: Non guardo uomini che non cognosco, io. RUZZ: Non mi coriconoscete perché non siete degna di colui che vi vuole bene. BETIA: Mi sembra sì di avervi veduto. Pensate che io non sia degna di guardarvi? Sono degna di guardare un cane, io, vorrei vedere che non... un cristiano. RUZZ.: E io me, son cattàto (preso) d'amor per voi mi sono strasformato in un cristiano incanàto. Se volete èsser la mia morosa, vi darò da los dinéro. Guardano qua se mi mancano. (Scuote la borsa dei denari che ha soffiaato al soldato). BETIA: A vi dirò, che non parlo, con gente che non vedo illo volto. RUZZ.: Ma io mi verrò in la casa vostra, dentro in la camera vostra camera ... ci guardaremo tutti... da su e da sotto. BETIA: E se poi si venisse a sapere? Lo sapesse mio marito? A farei un bel guadagno, io! RUZZ.: (smascherandosi) Deh, pòta di chi t'ha fatto! Ohi, che t'ascolto a dire?! Tu mi farsti dunque becco? BETIA: O Deo santissimo! Che mi arriva? RUZZ.: Scappa pure dove vuoi, che non te sarai sicura nemmeno dietro all'altare. Voglio chiudere bene ‘ste porte che nessuno non mi ti possa togliere dalle mani. FRANCA : E qui c'è una trovata di teatro straordinario. RUZZANTE con tecnica che potremmo definire cinematografica taglia a mezzo la scena. Interrompe l'azione calando il sipario e riprenda la storia saltando di netto la lite. Ritroviamo RUZZANTE abbacchiato e sconfitto, incalzato dalla BETIA, piangente, che è riuscita a ribaltare totalmente la situazione. BETIA: (piange) Ma tu mi credevi così scema e allocchita da non averti riconosciuto subito, appena hai aperto bocca? RUZZ.: Ma perchè non me l'ha detto e scoperto all'improviso, allora. BETIA: Volevo sincerarmi fin dove eri malnato... da venirmi a giocare trappole per poi scoprirmi infedele... Infame che sei (sei un infame!)! RUZZ.: Per quello sei stata dentro il gioco? Oh, sei ben cattiva anche tu! BETIA: Sangue da càncaro, cattiva io? (Piange) Ma allora che vale dimostrarsi in ogni momento retta, onesta femmina da ben se poi ti ritrovi con uno perfido che ti cimenta in trappole per godere di farmi cadere come puttana? Basta! Me ne andrò in un monastero. RUZZ.: No!... Non andare! Perdono! Te domando perdono doppio ATTRICE: BETIA sta sull'uscio di casa con un cesto in mano e chiama le galline. Le si fa FRANCA 26 PENSIERI E DIALOGHI DI INNAMORATI DARIO PRESENTAZIONE ? Ruzzante: Oh Fiore, mio sangue, mio amore! Non posso più mangiare, né bere, né dormire… né fare altra cosa di 'sto mondo che va alla rovescia... tanta doglia, tanta smania, tanto bruciore (fuoco) e batticuore mi prende, tanto che mi sembra d'aver dentro lo stomaco, palate di brace infuocata. E son tutto in follia che se non lo vedo, 'sto mio fiore mi sento morire… e come mi arriva d'innazi agli occhi mi sento svenire... tanto che mi pare che ci sia uno che mi succhia (fa il verso) fuori tutta il midollo dalle ossa. E’ un dolore che mi procura più sofferenza dei tormenti della fame nelle carestie quando stavo sempre per svenire. Ma quello eran rose e viole rispetto di 'sto amore... perché alla fine un rimedio lo trovavo: era abbastanza riuscissi a magiare qualche pezzo di pane, o una rapa, e il dolore si scioglieva. Ma ora (qui) non si scioglie giammai... più cerco di cacciarmelo di dosso, più cresce la scalmana che mi sento \squarciare e mi vengono certi brividi che mi soffocano e vado tutto in acqua per il sudore... (al pubblico) Non avete mai provato ‘ste dolori-doglie-ambascie, voi? 'Sto sangue freddo... i pallori, il batticuore? E come avete fatto a campare o scampare la morte-? Avete provato mai a morire e a resuscitare? Io non riesco, io voglio morire e poi restare interrato-sepolto! Mi hanno detto che è un bel morire quando si muore da disperati… è la verita? Qualcuno di voi l’ha vissuto? Alzate una mano! Ma come si può ammazzarmi senza farmi male? Sono sicuro che se mi ammazzasse lei, ‘sto mio Fiore morirei senza provare nessun dolore. Oh morte, a ti prego, vai nelle sue mani di lei e dalle la libertà di farmi morire. Che dolciore, che soavità sarebbe per me morire per le tue care mani... con le tue dita che mi si chiudono a strangolarmi il gargarozzo... mi vedo soffocare a pococ a poco: la faccia si tinge d'un violaccio, gli occhi scoppiano fuori… vado, stròpio, muoio... ultimo rantolo… e dico: “Ti amo!”. E appena sarò morto desperato verrò col mio spirito assatanato addosso a te, crudele mio fiore, te farò annegare in un fosso... e poi ti trascinerò desnuda sulla riva… in preda a singulti, brividi e sbattementi d'agonia e alfine ti farò quello che non potrei giamai farti da vivo. Così da morto mi sazierò tanto vivàz che me piàse. FIORINA: Càncaro!, 'sto Ruzzante sa parlare bene: “Non conosco nessuna – dicevate - che mi possa far più contento quando v'incontro. Fiore infiorato, che profumate di più di ogni pigmento o balsamo! Vi fare burla di me? Dico, volete strizzarmi le cipolle negli occhi? Che quando io vi volevo bene… sconvolta d’amor come ero, che se avessi buttato il mio cuore in un secchio pieno d’acqua non avrebbe saputo lavarmi il sangue morto che c’era all’intorno… che per amor vostro ero pronta a diventare la più svergognata ragazza di tutto il padovano... fino a Ferrara. Per te mi ero conciata-ridotta che non sapevo più dove mi trovavo: camminavo e i miei occhi erano sopra le nuvole, correvo alla ricerca della tua voce, cantavano gli uccelli… e il mio cuore zompettava a saltellini sui rami con i fringuelli. Sfarfallavano le parole nella bocca e cantavano a ninna nanna come desidero dormire con te! Quando io ti volevo così bene, sola mi lasciasti… una primavera sola tu mi facesti ballare! “Sangue del càncaro! - mi dicevi Sempre nel piacere ti farò stare. Quante feste si fanno in Padova? Bene, voglio che tutte siano nostre! Voi Fiorina, danzatrice e ballerina, e io il vostro danzatore ballerino. E andremo girando, rotando... facendo figure, vi lancerò nell’aria per prendervi nella capriolagiravolta-pirolette e scambi di mani e incrociar di passo e contro figure e poi abbracciati a rovescio... scalmanàti! Ma poi ho ballato una premavera sola. (Al pubblico) Poh, è proprio usanza di voi uomini di promettere festa, gioco e carnevale e poi farti dono di una quaresima. E noi povere femmine crediamo ogni cosa… e ci facciamo menare per il naso e anche per le chiappe… andiamo facendovi tutti i piaceri che vi si possono fare. E voi poi, quando siete stufi, ci lasciate piantate come un palo a tener su la vigna o come massimo riconoscimento con un capellone in testa, allargate le braccia, dritte nel campo di frumento a scacciare i passeri e a paventare i corvi. Franca 27 (nel Dialetto questa parte è eliminata?) FRANCA ATTRICE: Rientra in casa chiudendo l'uscio. Ruzzante resta comio un cane battutto, umiliato e disperato. In oltre Betìa, per vendicarsi dell'affronto, va nella casa di TONIN. Ruzzante va a battere alla porta dil soldato, rivuole la sua donna. TONIN la fa uscire dopo essersi preso gioco di Ruzzante. Ruzzante sfida TONIN. Il soldato non vuole infierire, gli interessa di più tenersi buona la Betìa, quindi non accetta la provocazione, resta in casa. Convinto d'averlo spaventato, Ruzzante si mette in combutta con MENATO per affrontare insiemio il bergamasco e massacrarlo di botte. Lo aspetteranno al primo crocevia nella notte. Ruzzante resterà sul cantone, MENATO starà dietro l'altra strada per prenderlo alle spalle. In verità il suo intento è quello di recarsi nella casa della Betìa e far con lei l'amore. Così fa. Ruzzante armato di tutto punto, scudo, spada e pettorale di ferro, sta tutto rannicchiato contro il muro, trema di paùra. RUZZ.: Pòta! al sangue di me. Son pure in pericolo il mio compare mio mi va a cacciare sempre in 'sti luoghi da restare scanati. Io voglio porre 'sto piede innanzi con lo scudo dietro alla schiena. Son pronto a buttare via 'sta spada... che nel combatter mio potrei infilzarmici. Dal dietro la casa di Betìa giunge l'eco dello scontro fra MENATO e TONIN. Grida, fracasso, ombre passano in proscenio, colpi di bastone, urla. S'intuisce che MENATO sta caricando di botte TONIN. Ruzzante, coperto dallo scudo cerca di darsi alla fuga, si scontra con uno dei due. Si volta e va a sbattere contro un pilastro, e poi di nuovo rotea la spada centrando il muro, cade, si rialza, ricarica. Pazzo di paùra va inciampando, sbattendo contro pilastri, muri. Alla fine si prenda anche una gragniuola di colpi da MENATO che, dopo aver bastonato il soldato bergamasco è risalito in casa della Betìa, fra le sue braccia. RUZZ.: Sono morto… vado a morire senza manco essermi confessato. Dirò un patre nostro prima di spirare. Patre nostro che sei nel cielo di qua e di là vieni un fiato (un attimo) giù in 'sto terreno (terra). Abbi pietà, liberami dei miei peccati ma non liberare gli altri quelli che mi hanno di botte picchiato. MENATO, dopo aver consumato esce dalla casa di Betìa e si pone alle spalle di Ruzzante fingendo di venire dalla strada. MENATO: Siete voi compare? Cosa vi è capitato? RUZZ.: Sono di già in viaggio per l'aldilà. Mi hanno accoppato. MENATO: E’ vostro 'sto scudo, compare? RUZZ.: Sì pòtta del càncaro! Adesso, compare, quando siete partito partìssi, io son restato al cantone per guardarmi bene d’attorno. Non so com'è vedo luccicare non so che: mi sembrava un fuoco… e sì era un fuoco. Gli vado incontro… mi pareva un piede e poi due piedi, e poi una gamba e poi due gambe, apresso vedo un busto e poi una testa d'orco sopra al busto e attaccate al busto due braccia... e si ingrandisce alto... gigante, e mi viene addosso. Mi riparo con lo scudo e lui soffia un vento tremendo che pare un mulinone e va rotando braccia e spade... e fuoco. E io sgargàsso da spada e punto fondo e slanzo di taglio e paro da roèrso, e sbato. Ma a quell'orco spunta un'altra testa con capelli da serpente e lingua infiammata... e fulmeni che gli escono dal naso e scoregge di fuoco dal culo. MENATO: Oh, morbettina! E non avete avuto paura? RUZZ.: Paura, mi? Credo che mi sono cagato addosso… e anche spisciacchiato dappertutto… son tutto bagnato fradicio rotto e strasonà. ATTRICE: Betìa esce terrorizzata sull'uscio. Betìa: Pace! Pace! RUZZ.: Pace? Ma con chi? Betìa: Voglio che tu me lo prometta. (Si porta le mani al viso e si pone in ginocchio). RUZZ.: prometto di non fare che? Betìa: Di non picchiare più gente e fare ‘sto massacro. RUZZ.: Con chi non far massacro? Betìa: Con il soldato. RUZZ.: Con quel balbión batezzato in un truogolo dei puorci? E dove vuoi che lo prenda adesso? Betìa: E’ qui in casa. Dice che gli sei corso dietro Che si è scontrato con te e che tu gli hai dato botte come fossi un toro infuriato. RUZZ.: io, toro infuriato? E gli ho dato botte? Betìa: E sì, è tutto sangue che, a vederlo si piange quasi son morta. Fate la pace, Fate pace! (Le mani giunte, lo supplica). RUZZ.: Ah, adesso comprendo cosa è arivato (successo): credo che è ststo quando m’è sembrato di contrarmi con l’orco mulinante. Betìa: Orco mulinante? RUZZ.: Son ben forte e fiero io. Quando mia madre e mio padre mi hanno generato essa avea una corazza indòsso allo stomaco, lui, mio padre, teneva un pettorale di ferro, l'elmo e la spada indrisàda di punta. Sono così abituato a venire alle mani, io, ARRIVAT A QUI che quand non tengo qualcuno con cui attaccare briga verrei alle mani con me stesso. Sì, adesso mi viene ben chiaro in mente: io Credevo di picchiare nel muro con lo scudo, e avere dato di stòco su un pilasto ma era con 'sto bergamasco che mi battevo. Deo dei cristiani, è pur vero che qundo vado in furore (m’infurio) scambio uomini per case e guerieri per alberi, portoni per orchi e giganti; mi butto che faccio orrore e smulinàsso botte da ogni parte. In verità sentivo pur gridare: "Pietà! Pietà!" Ma non ero capace di arrestarmi. Uscito di cervello come Rolando. Ero io. Un'armata intera ghe sconcàssi. Malcapitato 'sto soldato... che avevo pur avvisato di non sprovocarmi a me che son pericoloso che quando mi parte il vento le mie braccia si arrampicano fino al cielo. Scaragàsso portoni portàle Famiglie inere, cavalli, vecchi, monache e preti fin sull'altare! Son un castogi... la maledizione di Dio! PENSIERI E DIALOGHI DI INNAMORATI Ruzzante: O Fióre, meo sàngue, meo amór! Non pòsso pì magnàre, né bévere, né dromìre... né far altra còssa da 'sto roèrso mondo... tanta duògia, tanta smagnia, tanto brusòre e sbatecòre micata, che miparèse d'avere deréntro ilstòmego palàda da braçe enfogàde. E son tutto in folìa che se no la végo 'sto mifióre misénto a morire e comila mi'riva d'enànzi a li uògi misénto desvegnìre... tanto che mipare che ghe sìpia un che misciuscia (fa il verso) fòra tutta la medòlla da le òsse. M'è un dolór che mienfrìca majór soffrànza che non era i torménti da la famiin le carestìe quand che a staséa sempre per desvégnire. Ma quèlo gn'era ruòse e viuòle a respèto da 'sto amore... perchè a la fin un remèdio lo truovàve: l'era abàsta mireossissi a magnàre qualche tòco da pane, o una rava, e lo dolóre se deslenguéva. Ma chi non se deslèngue gimài... pì a çérco da cazzàrmelo via da dòsso, più grèsse la scalmàna che misénto sbregàre e mivegn çèrte sgrìsole che le misofféga e vago tutto in aqua per suòr... (al pubblico) Avìt giamài provàt 'ste duògie, voi? 'Sti sàngui frègi... i palór, i sbaticòre? E comia i fàit a scampàre? Ai provàt a crepàre e resussitàre? Mi non riésso, mi a vòi morìre e po' restàre enterà! Migh'han dito che l'è un bel morìre quand se muòre da desperà, l'è verité? Quaicun da voi lo gh'ha visut? Valzé unaman!, quaicùn. Ma comia s'puòl mazàmisanza che mifaghe male? A son segùro che se la mimazàsse éla, 'sta miaFióre, a morarìe (moriràe) sénza pruovàr negùn dolóre. O morte, a te priégo, vaghi in le so man da éla e daghe liberté che la mifaghi morìre. Adesso che dolzóre, Adesso che suavité misaràe morìre per le to care man... co le tòe didi che misèra a stròsascràngolo al gargòs... mivégo sofegàr da poco a poco : la facia se tigne d'un violaciòn, li uògi sbòta fòra a stciopetón, vago, stròpio, Adessoro... ràntulo ùltemo e digo: "Te amo!". E quando apéna ché a sarò Adessorto desperó a 'gnirò cil mispirto satanà adòsso a ti, cruèl mifióre, te farò negàre int'un fosso... e despó te anderò a strasicàre desnùda su la riviera tutta catà da sengùlti, sbrìvidi e sbateménti d'agonìa e alfìn te fagarò quèl che non poèsto giamài farte da vivo. Cossì da morto miasazerò tanto vivàz che mipiàse. FIORINA: Càncaro che 'sto Ruzzante al savìa bòn parlare: "A non cognósso neguna - ildicevo - che mipoèsse far pì conténto comiche v'encontro. Fiore infiorà, che parfumé pì da ògne piménto o bàlzemo!" Vi fì sbùrla da mi? A digo, vorzìt strissàrmile sigòle in di uògi? Che quando mi a vi voléa bén a vu, stravezzà d'amor che gi-éro che chi l'avèssi butà ilmicòre in un ségio impiegnì d'aqua non gh'avrìa savut lavàrghe ilsàngue muòrto che ghe s'era d'intórno, che per amór da voigéro preparàdà a 'gnir la pì svergognàda tósa da tutto ilpavàn... fino a Feràra. Per ti mis'éro acconzàda che non savìo e do' miretruovévo: caminàvo e i miuògi i éreno da sóvra le nìvole, coréndo a la ziérca da la tua vóz, cantàva i osèi, ilmicòre zompetàva a balzelìni sui rami cói fringuèli. Sfarfalàre le mie parole in la bóca e i diséva a nina e nana comidesìo dormìr con ti. Quando mi te vorséo sì bén sola ti milaghièssi stare, una premavera sola ti mifagìsti balàre! "Sàngue dilcàncaro! - ti midisìi - Sempre in d'un piasére te ghe farò stare. Quante fèste se fano in Pavana? Bòn, a voglio che tutte supìa nuòstre! VoiFiorìna, danzuósa e balarìna, e mi lo vuoistro danzóso baleré. E anderém ziràndo, rotàndo... faéndo figure, vi lanzerò in ilàire per catàrvi in sperolète e stciàmbi da man e incrosàr da passo e contra figure e po' embrasàdi da rovèrso... scalmanà! Ma po' ho balàt una premavera sola. (Al pubblico) Poh, l'è pruòprio usànza da voiuominii a promèter fèsta, ziògo e carnavàle e po' farte dón da una quarésema. E nu poère fèmine a creón da ognicossa. E se fóm menàre per ilnaso e anco le ciàpe, andémo fazèndo tutti i plagér che vi se pòssi fare. E voipo', can a' si stufi, a ne laghé impiantò comiun pale a tegnìr su la vigna o per màximo reconossiménto con un capelón in crapa, slargàdi i brassi, drissàdi in dilcampo dilforménto a descàr li pàsseri e sparaventàr li còrvi. PROLOGO ALLA "PIOVANA" Ma prima devo dirvi qualcosa a proposito dil linguaggio. Ammettiamo subito che il pavano parlato dal Beolco, Ruzzante, è un linguaggio ostico, quasi incomprensibile. Ve ne do una prova: UNA LINGUA MORTA Che, at sbolzonò? Cos'hai trafitto? Le puòti sgoliàr: lo potevi risparmiare. - In il può: neanche fosse un. Ibro jandussò: appestato - I li è pur gamgòi: l'avevi pure riconosciuto I le stùpie: tra le canne. - Tuòte, tuòte! Dagli, dagli! - E' un çenghiaro abàvo che: è un bil cinghiale, mettetevi di punta - A cuoro ve acazìsse: è facile che ci aggredisca. -- Tolive d'apónto da nè! Toglietevi dal suo naso! - O bòn spelàzo l'hè chi a lò: o che bell'animale è già qui. - A 'l dare do' bén: a darci soddisfazione. Molte compagnie di teatro che avevano messo in scena commedie dil Beolco, Mauri, Parenti, Baseggio... rispettando alla lettera il testo originale, si dovettero rendere bin presto conto della difficoltà di comunicare con il pubblico, che rimaneva attonito e, le più volte, staccato, addirittura estraneo alla rappresentazione, perfino quando si recitava nil Veneto. Nelle successive repliche, quelle stesse compagnie, furono costrette a sostituire i termini originali più astrusi e incomprensibili con espressioni più accessibili, in veneto o addirittura in padano attuale... se non in una specie di italianesco camuffato. In questo genere di riadattamento, il difficile, è mantenere i giusti fonemi, le cadenze, i ritmi particolari, le assonanze e le onomatopeiche originali dil Ruzzante. L'altro problema con Ruzzante è sempre stato il comico, o meglio, il produrre divertimento e ilarità. Non basta rendere attuali i termini, le espressioni presenti, è l'attualità delle situazioni comiche consunte, che bisogna ripristinare nei testi dil Ruzzante, riuscendo a mantenere lo stile, l' irruenza... la stessa cadenza comica. Guai se la si banalizza o la si renda gratuitamente triviale. Insomma, noi ci siamo preoccupati di far arrivare il discorso dil Ruzzante che è certamente il fatto teatrale più importante dil Rinascimento per tutta l'Europa. Speriamo di esserci riusciti. Là dove ci siamo ytrovati di fronte termini comio "muzàr", che significa scxappare, o comio "jandùssa" che significa opeste, ragóni... rospi...ecc. e di questi termini ce ne sono a centinaia comio si poteva risolvere? Andavamo distribuendo un piccolo vocabolario o glossario a testa? ANTIPROLOGO DARIO: Prima di cominciare vi voglio leggere un messaggio: ascoltatelo con attenzione. "Dovendosi questa sera recitare una commedia antica, non biasimate se la troverete in verso o in lingua non tutta pulita. Io la scrissi ma, se io stesso fossi vivo in questi tempi, non farei le mie commedie in altra maniera che di questa medesima di cui ora siete spettatori. E ancóra vi prego che non vogliate far giudizio né paragone di questa, con quelle che ho lasciate scritte. Vi giuro che elle furono recitate altrimenti che non sono stampate oggidì, perché molte cose stanno stanno bene nellapenna, ma sulla scena stanno male." Chi parla così è il Ruzzante, in persona o meglio Angelo Beolco, detto il Ruzzante, autore-attorecapo di compagnia dil '500. Quello che avete ascoltato è l'antiprologo della Vaccària o Vaccarìa... una commedia ripresa della Asinària di Plauto dal Ruzzante stesso. Chi viene in scena a darci il messaggio è un folletto mandato da Plauto in persona, e noi potremmo questa sera raccontare a nostra volta che Ruzzante c'è venuto a consigliare: "Se io stesso fossi vivo, oggi, non reciterei le mie commedie nella stessa maniera in cui le avevo recitate allora.2 Dobbiamo ammetterlo: Ruzzante era veramente un rivoluzionario, oltre che il nostro più granda autore-attore dil Rinascimento. Ma il massimo della chiarezza riguardo il modo giusto di riscrivere e rimettere in scena commedie antiche, Ruzzante lo esprimio nil prologo della Piovana, andata in scena nil carnevale dil 1533, aveva più o meno 33 anni. Insomma, noi ci siamo preoccupati di far arrivare il discorso dil Ruzzante che è certamente il fatto teatrale più importante dil Rinascimento per tutta l'Europa. Speriamo di esserci riusciti. Là dove ci siamo trovati di fronte termini comio "muzàr", che significa scappare, o comio "jandùssa" che significa peste, ragóni... rospi... ecc., e di questi termini ce ne sono a centinaia, comio si poteva risolvere? Andavamo distribuendo un piccolo vocabolario o glossario a testa? No, abbiamo risolto con le iterazioni o con incastri. Per esempio: "cojombaro-cojon", "sbolzonò da frezze", dove sbolzonó significa frecciate! Oppure, tutte le iterazioni di "ragazza", "non mio tocàr a mì che són fiòla, tósa, puta e gersonèta". Ma soprattutto, anche lá, dove abbiamo tradotto con termini accessibili, abbiamo cercato di rispettare assolutamente il tessuto originale. Ecco, lo ribadisce lo stesso Ruzzante: "Il tessuto è la cosa più importante". Ascoltiamo, infatti, cosa ci viene a dire, a questo proposito, lui di persona nell'introduzione della Piovana. 666 PLAUTO RUDENS LA PIOVANA "Or è témpo che se comènza co' 'sto pruòlogo. Ogniùn tasa... che sentirì da noèle bele e nuòve... e, se a gh'hit pacénçia e ingégn... gh'avarìt anco deverteménto. Végno ad avisàrve che 'sta nuòva istòria l'è da puòco che l'è fata. L'è pur vera che ascoltarìt un tiàtro tajà e tornìd in un legnàmio vègio. Ma non è tanto il vègio o il nòvo che cónta. Da quél vègio àlbaro moàltri sémo pur nassiùdi. E comio podarèssemo conóssere, al fin, dónda se vòlo arivàre se non savém da donda a sémo vegnùdi? E po' non gh'è quèl pruovèrbio antìgo che dise: "Trista la sìbia quèle comuneté che non respècta un vègio!?". Pur che s'inténde, quèl vègio non te végna a regordàrte in ògne moménto che lu l'è sàvio, che tégne gran 'speriénzia, che soiaménte l'idéa sòa l'è ziùsta e bòna. Ti sèt zióvin stràmbulo ti e da segùro ti va a sbajare. Così che a un estànte ti sbòti: "Vègio! Ma vate a cagàre!" Se po' qualche d'un, intànto che sémo a rezitare, se valzeràsse in piede disiéndo: "Mi lo gh'ho già sentùdo quèl parlaménto o quèl respètto diàlogo o anca l'istòria"... non metìve a criàr: "Sta bon, silénzio... state sentà! Sbaté fòra st'inbriàgo!" No, il gh'ha resón quèl, non l'ha dit unaròba stramba: non se pil pì far da nòvo o favelàr al'improvìsa che non sìbia stà già fato, scripto, actùado, e i te dise: "Oi furbàsso, una végia idéa, un poch marscìda te ne la servìda ?". Dicevo un gran filuosòfo, con securtà apsolùta, che noàltri séom al mondo adèsso, ma ghe sémo già stàit purànco mila e mila ani indrìo. Mi, a' jére mi, e vu giéri vui... quègi éreno i altri... e i altri éreno quègi... e, pasàdi che seràn àlteri mila ani, quando l'àbia fato tutto un ziro, non so quale gran ruòda, a torneròn a èsser chi ancóra: mi chi-ló, dal latino, in piede devànti a vui, vui lialó sentàdi a far lo pùbleco spetaór. Mi, a favelàrve da actór, vui a 'scoltàrme... zuoiósi o tristi... che depénde. Mi che a éro stàit mi, a sarò ancóra io mi, e vui che iéri stàit vui, sarì ancóra vui, e 'ste parole che mila ani àntes i gera parole, sarà ancóra le mismio parole e a ghe saràn, comio mila ani passàdi, quèi speaòr che inténda e descòvre... e i rida o piàgne... quèi che piàgne perchè non le inténda e quèi che manco morti, le vòl inténde... C'erano già allora gli abbonati! E ghe sarà anco quèi che ghe parerà da avérle già ascolté 'ste parole... comio aóra ve càpita a vui! A qualcùn se puòl penzàre che quèsta scriptùra da comédie sìbia stada robàda o pejór manometùdaacconzàda. Ma emmaziném: che un, retruovàsse un vègio còfano e ghe descovrìsse dentro un vestiménto... un abito, da quèi che se soléa portàre in il témpo antìgo, da tàio e fòggia desmetùda. E da po', che il descòvre che 'sto panno, il tesùto, l'è ancòra bòn, e san e preziòso, emaziném, che il faèsse tajàr in 'sto panno: corsètt, vèste a giùbe, gonèle per vivi a la manera nuòstra. E la fòggia antìga, ghe la lassàssi per i morti. A sarìa rubàre quèst? E sarìa smanomètere da vilàn... e strafugàre? No, in veretà! Adesso bén, cossì l'è entravegnù. L'è capità, per 'sta nuòstra-noèla-istòria-teatràda, che la gera fata per i viègi antìghi, muòrti... che non i gh'è più... e scripta con parole desmetùe, che non son bòne per vui che sit viviénti. Cossì, mi, che son maìstro a 'sta comédia... e stò in èsto mondo, gh'ho lassà le suò parole ai muòrti... e a quèi spetaór che i créda d'esserevivi soiaménte perchè nisciun gh'ha avùt il coràio da advisàrli che són morti da un pèsso e quèl medèsmo descórso che i volevofare... quèle parole, da morti, le gh'ho acconçió per vui, per i vivi e non gh'ho tolto negùn pensaménto... niénte gh'ho tolto, si non lo scuro. TORMENTONE RINNOVATE, FATELI VIVI I CLASSICI incontro MENATO. Pire, pire, pió. Matre santa, indóvi se sarà cazà 'ste galìne? Dio vi daga salùt, comàre. Savìt se l'è in casa MENATO: ilmé compare? BETIA: (brusca) A non sò dónda sia andò, a la fè. Salùt. (Accenna ad andarsene). MENATO: Specìt un fià. Deo gràssia, da quant si 'rivò chì in Pava sit deventà unagran siòra, una çitaìna. Non vi se pil manco far descórsi. BETIA: A són quèl che són. Se mi stò a Pava voi, fémiil plagér, restì da fòra. MENATO: A ghe stago per çièrto... fòra, per fòrza ghe stago. Quèl che prima, ai campi miparèse avér BETIA: parfùmo, Adesso mispuza. E mi ghe vago ai campi e spasso dónda stavìssemo voi e mi a rasonàre ambrassàdi... e misénto 'egnìre 'na smànea, un strapelaménto, che a midesfàgo tutto comiilsale ne la menèstra. E perchè? Per vostro amore, tradidóra ch'altro non sèit! Per il dolór che mifa non reussirò a favelérve... dirvi parole. BETIA: Bòn, Adesso le parole le avìt disìe e anche le favèle... Che volìu ancóra da mi? Perchè sit sì cruèl e venenósa? MENATO: BETIA: A dìrvela int'ùna paròla a non vòi giamài più esser mata compàgn che sont stada con voi. Giamài più, per tutta la vita! E in casa dilmé marìo, po'! Gimài più per tutta la vita? MENATO: A fèmine sì pruòprio comile fòie che sbalànza comispica ilvénto. Ma ne gh'haìt pur desmentegà da le parole che midisìo? No, non e gh'ho desmentegà. BETIA: Sì, vi disìo che voi giéri la mia radìs, ilmio conténto, ilmio consèjo ilmeo confòrto. E che per tutta la vita méa lo sarèsse sempre stàit vu. Che mi v'avarìa tegnùt sempre in lo còre. E allora? Diséo per ziògo? MENATO: BETIA: Specchia, che non gh'ho fornìt. Te dicevo che quand magnàvi te vidéo in lo pan, e comebivévo te vidéo in la scoèla e te bivévo anche ti. MENATO: E da 'sta pasión Adesso cossa ne gh'ha capità? BETIA: N'é capità che con 'sto vegnìrmi in çità, gh'ho vorsùd darghe una bòta da ranza a tutto quèl che stéva nilpais: a la biàva, ai àrbori, le zòle ilstramie la tèra... a l'amor nascondùo e a tutto quèl che gh'è piantà, florìt... e cresùt. Tutto l'embriagaménto da 'st'amore che mistrazàva ilcòre e mistondorlàva il çervèl. MENATO: No Betìa, voi non podìt abandonàrme in 'sta manéra. Betìa scapé via con mi. BETIA: Mivégna pitòsto una saèta che misfùlmene! Ilnon gh'é fu giamài nicùn dilmiparentò che andàsse via con quaicùn. Mi, vòi poér vardàrghe in ti uògi ai cristiàn, a mi! E adessos sì gh'avìt ancóra vòia da ciarlàre ciarlìt per cónto vostro compare. FRANCA 3 ANTIPROLOGO DARIO: Prima di cominciare vi voglio leggere un messaggio ascoltatelo con attenzione: "Dovendosi questa sera recitare una commedia antica, non biasimate se la troverete in verso o in lingua non tutta pulita. Io la scrissi ma, se io stesso fossi vivo in questi tempi, non farei le mie commedie in altra maniera che di questa medesima di cui ora siete spettatori. E ancora vi prego che non vogliate far giudizio né paragone di questa, con quelle che ho lasciate scritte. Vi giuro che elle furono recitate altrimenti che non sono stampate oggidì, perché molte cose stanno bene nella penna, ma sulla scena stanno male." Chi parla così è il Ruzzante, in persona o meglio Angelo Beolco, detto il Ruzzante, autore-attorecapo di compagnia dil'500. Quello che avete ascoltato è l'antiprologo della Vaccaria o Vaccarìa... una commedia ripresa della Asinaria di Plauto dal Ruzzante. Chi viene in scena a darci il messaggio è un folletto mandato da Plauto in persona, e noi potremmo questa sera raccontare a nostra volta che Ruzzante c'è venuto a dire: "Se io stesso fossi vivo, oggi, non reciterei le mie commedie nella stessa maniera in cui le avevo recitate allora. Dobbiamo ammetterlo: Ruzzante era veramente un rivoluzionario, oltre che il nostro piùgranda autore-attore dilRinascimento. Ma il massimo della chiarezza riguardo il modo giusto di riscrivere e rimettere in scena commedie antiche, Ruzzante lo espriminilprologo della Piovana, andata in scena nilcarnevale dil1533. Aveva piùo meno 33 anni. E' Ruzzante stesso nei panni di una nuova maschera, Garbinello che parla. FRANCA 4 ANTIPROLO PLAUTO RUDENS LA PIOVANA "Or è tempo che se comènza FRANCA 5 CONTROLLARE SE PRESENTAZ. FILA CON BRANO DIALETTO 974 e tamia, nale LA MOSCHETA ANTIPROLOGO: FRANCA: Adesso, parliamo un po' delle donne e della loro condizione all'inizio dil'500 a Padova e a Venezia. Tanto per cominciare, Venezia era molto piùpopolata di quanto non lo sia oggi. Gli abitanti raggiungevano il numero di 160 mila. Oggi è ridotta a circa 90 mila persone. Nil'500, causa le carestie, le guerre contro i francesi e i suoi alleati, le guerre contro l'Austria che invadeva le terre della Repubblica Veneziana, la gente dilcontado s'era riversata in massa in Venezia a cercar lavoro e tranquillita. Si calcola che gli immigrati, tutta gente dilcontado, fossero arrivati a superare i 60 mila. Le donne prostitutte al tempo dilRuzzante erano piùdi 40 mila, senza contare i loro papponi. La Repubblica di Venezia cerco di relegarle nilsestiere dilCastelletto... ch'era diventato il ghetto dilpeccato... Esiste una tela famosa di quiltempo che ci presenta la sfilata delle gondole che, a centinaia, transitano nilCanal grande. Dentro ogni gondola stanno bin spaparanzate, a far bella mostra di sé, una o due prostitutte tutte imbellettate e con le zinne bin spinte in fuori... insomma donne libere che presentano la loro mercanzia. Sui ponti, migliaia di veneziani e forestieri che applaudono, gesticolano, fanno apprezzamenti piùo meno scurrili. La sfilata delle "pütane" era l’avvenimento piùseguito e applaudito, superava perfino quanto a partecipazione l'elezione dilnuovo Doge. La Repubblica, con leggi, editti, retate di polizia, cerco per tutto il '500 di sfoltire quella massa enormidi peccatrici, ma non ci fu niente da fare... crescevano ogni anno. Le prostitutte e il loro mercato incidevano in modo troppo salutare sulla economia della citta. C'erano, inoltre, in gran numero le "pute da bén"... quelle donne che, comila Dina nil"Bilora", si trasformavano in concubine fisse di mercanti, grossi artigiani, liberi professionisti in genere. Fra l'altro, non è azzardato indovinare che anche nilParlamento dilRuzzante la professione della sua donna, la Gnua, fosse quella di prostitutta, piùo meno professionista, protetta dal classico pappone... il bravaccio della commedia, appunto. E le altre, le cosiddette costumate signore rispettabili che, comici fa sapere con ironia lo stesso Ruzzante, s'erano ridotte anche nilpadovano ad un numero davvero esiguo... che ruolo avevano nella societa? Scopriamo, grazie alle commedie dilBeolco, che la donna dilveneto era molto piùemancipata e libera di quanto non fosse nilresto d'Italia e d'Europa... a cominciare dal potere che deteneva nella famiglia. Per esempio, la Betìa della Moscheta, decida di lasciare le terre e i campi dilpavano per trasferirsi nella capitale della Serenissima. E' lei in prima persona che ha preso questa risoluzione. E il marito, volente o nolente devi abbandonare vacche, asini, cavalle e montoni per seguirla. Lei è donna autonoma, risoluta... e non è costretta da legge alcuna a soccombere. In questo caso... non certo eccezionalmente... sono gli uomini che sono costretti alle sue regole... E' lei, la Betìa, che tiene il gioco. Così nil“Parlamento” e nil“Bifora”, le due protagoniste decidono della propria vita con razionalita e determinazione a dir poco impressionanti. Non c'è né lusinga né violenza dei loro maschi che le possa far desistere da cio che hanno gia scelto. Nella “Piovana”, Resca, la vecchia moglie, offesa dal comportamento dilmarito, se ne va di casa portandosi via pentole, cazzuole, posate, canestri ricolmi di cibo... e guai a chi prova a fermarla. Spunta qualche eccezione. Succeda nella “Fiorina”... Di lei, vistosa e avvenente giovane contadina, sono innamorati due uomini: Ruzzante e Marchioro. Ruzzante si batte per lei con Marchioro che gliele da di santa ragione. Fiorina propenda per il vincitore, se ne sente innamorata. Ruzzante, aiutato da una banda di amici suoi, decida di rapirla, costringerla a far l'amore con lui e poi risolvere tutto cil classico matrimonio riparatore alla maniera siculo-calabrese dei giorni nostri. Il fatto orrendo, satiricamente sottolineato dal Ruzzante, si scopre essere l'accomodamento: un’anziana testimone va a raccontare all'innamorato contendente, il Marchioro, comila Fiorina rapita si divincolasse, scalciasse, chiamasse aiuto. Anche con la bocca tappata, i suoi occhi chiedevano disperatamente alla vecchia di venirle in soccorso. Ma Marchioro non creda affatto che Fiorina sia vittima e innocente, anzi, reagisce cil sospetto, è convinto che Fiorina sia stata consenziente e che tutto quildivincolarsi da scalmanata, quelle urla, non fossero altro che una sceneggiata per eccitare vieppiùl’aggressore. Solo il padre della ragazza la creda innocente: è convinto che il fattaccio sia stato architettato e messo in atto da Ruzzante e soci contro la volonta della figliola. E' furente, s'è armato e va deciso a farsi restituire la figlia e punire i ribaldi. Per strada incontra il padre dilRuzzante. Questi lo implora di venire ad un accomodamento, di lasciar le cose comistanno… uno scandalo sarebbe a tutto svantaggio della figliuola. Calmato il primo furore vedrai... accettera, serena e contenta, il matrimonio cil Ruzzante. In fondo, lui, il rapitore, è buon lavoratore e le portera gran rispetto... anche se, per averla, non l'ha affatto rispettata…” Inoltre c'è da frenare la rabbia dilMarchioro che, a sua volta gabbato, è furente, pretenda pesante vendetta. Il padre di Ruzzante propone l'accomodamento finale: offre a Marchioro in riparazione, al posto di Fiorina, la propria figlia (sorella dilRuzzante)... è bella, splendente, è forte e lavoratrice, ognuno la vorrebbe per sposa. Il Marchioro accetta di buon grado. Nessuno si preoccupa di interpellare la nuova promessa: chiederle che cosa pensi di quilmercato. Nessuno si preoccupa nemmeno di andarla ad avvisare. E qui, con la sua denuncia va giu davvero pesante il Ruzzante: "Si avvisa forse una manza... una giovenca, prima di venderla a un nuovo padrone e portarla alla monta? L'autore, il Beolco, fa dire al padre dilRuzzante che la sta cedendo al Marchioro: "Vedrai che io non ti faccio imbrogli è gran bella e vale anche più di ogni putta che che ci sia in tutto il padovano! Mettila pure a lavorare nilmodo e a quilpartito che vuoi. La puoi portare dovi ti pare. Ti dico che non si tira mai indietro ma sempre si ficca innanzi e non è mai stanche al lavoro. Marchioro, eccitato, risponde: "Andiamo, presto che a mi tira una voglia di starle appreso a 'sta vostra figliuola..." Per la sua bellezza, grazia... intelligenza? No. "Non voglio giammai lasciarla... se è così brava a lavorare!" Mariazzo INIZIO TRAGEDIA In scena Zìlio, Nale, Betìa. Zìlio: Nale: Zìlio: Betìa: Zìlio: Nale: Oh, hai pur finito di farmi becco, porco traditore! Ora ti voglio mangiare il cuore! Non lo fare cancro, non lo fare! Tieni! Infamighiottone! No, lascialo stare... per amor mio! Taci puttana! (Accoltella Nale e fugge) Ohimé Dio... sono morto, mi hanno ammazzato! Betìa: Oh triste, me, sconsolata! Ma perché l'hai tu ammazzato? Ora comifaro io, che avevo messo in conto di avere due mariti... Comiriuscirai tu solo, Zìlio a fare che non mi venga a mancare 'st'altro. Oh poveretta midi merda che ora sono restata con un solo maschio! Dio! Comiper poco si ammazza un uomo! (Esce la Betìa, mentre portano via il marito avvolto in un lenzuolo. Taçìo, contadino saggio e avveduto è stato testimone dilfattaccio e commenta) Tasìo: Poveretto te Nale! Hai voluto troppo scherzar cil fuoco. Facevi la ronda (corte) a 'sta ragazza la portavi in carriola le facevi le capriole tra le sue sottane e le gonnelle ad amoreggiare... Accontentati! No signore, vai anche a sbertucciare da becco al suo prossimo marito! Non ti accontenti di un pertugio ne vuoi due? Anzi, quattro, con le chiappe. Ah! E allora beccati 'st'altro buco tu, nella tua di carne! E poi vai intorno a dire che son le femmine sole la cagione di tutto il malanno che arriva al mondo. Sì, è anche vero... Voi femmine tutte... senza offendervi, siete bucate in ogni luogo pure nilcervello! Ma cari signori maschi non scarichiamo tutta la (ogni) responsabilita addosso alle femmine, che nostra, è la colpa massima che facciamo e disfiamo ogni trappola perché, loro femmine nostre ci facciano becchi e infine... ci stracciamo le vesti e piangiamo da traditi. Guardiamoci bene negli occhi uomini, tutti quanti, in verita voi pensate che se noi maschi fossimo nei panni loro... di queste donne credete voi che si troverebbe mai una donna dabbene? Oh, no... d'incanto ci apparirebbe un mondo solo di puttane! Sento sua moglie, la Tamìa straziata che suo marito è stato amazato. Oh l'ascolterete ora piangere... che non è mai capitato che una moglie volesse così bene a un uomo comivuole la Tamìa a Nale so marito acoppato.