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“COSA DEVO CHIARIRE?…” Musidora e il Perturbante [ Breton, Aragon, e il perturbante surrealista in calzamaglia di seta nera... “Avenir, avenir! Le monde devrait finir par une belle terrasse de café.” Musidora seduce e sfotte la Storia, che tanto al solito non capisce mai… Ma “il motto di spirito” e la Nascita della Tragedia troppo spesso si equivalgono: come gli urli e le risate nei film dei vampiri… ] (per Isabel Pérez del Pulgar) * “… Avvolta nella calzamaglia di seta nera, gli occhi bistrati da femmina fatale quanto malavitosa, Irma Vep dalle ali di pece spalancate a fisarmonica, entrava dentro lo schermo proiettandosi in atmosfere fumose e profetiche”… Che strano e ruotante racconto, questo con cui Nina Maroccolo rende omaggio alla musa vampiretta dei Surrealisti: “Musidora”, leggesi Musidorà (nome preso in prestito da una poesia di Gautier!), al secolo Jeanne Roques (Parigi, 1889-1957), fu dunque attrice regista, co-sceneggiatrice dei suoi film in piena epopea del muto, a partire dall’amata serie Les Vampires (1915-16) di Louis Feuillade… Un mondo malavitoso un po’ parodiato un po’ stilizzato come in un’atmosfera da futuro fumetto dark. Antieroina del Bello e bellissima soubrette alle Folie-Bergères, già studentessa di belle arti, amica di Colette, perfino romanziera (Paroxysmes; En amour tout est possible) fu insomma una donna colta e spregiudicata, giustamente cooptata – correvano i pieni anni ’20 – dai ragazzacci sodali del Surrealismo, instancabilmente tragi-umoristici, per incarnare le loro desiate e radicali pièces d’avanguardia, feroci e ridanciane al contempo. * Ma con l’avvento del sonoro tutto finisce – e la voce di Musidora rimane in fondo dentro, dietro il grande schermo… Emozionante che Nina oggi se l’inventi, ce la restituisca in fondo patinata, anticata d’epoca, ma anche in perfetto e rinnovato languore, erotismo e malessere di albeggiante, sferragliante futuro. Merito della poesia dei suoi gesti, di quel cupo corpo ombreggiato, mascherato, che sedimenta e titilla la fantasia. Merito del “perturbante” (superba, imperiosa e rischiosa categoria psicanalitica su cui tanto ci insegna il Prof. Freud! Il quale infatti, da poco terminata la prima guerra mondiale, dedicò nel 1919 un intero saggio a Il perturbante – “Das Unheimliche”), che di continuo Musidora incarna e seduce, rappresenta e insieme rinnega, sconfessa – un “perturbante” esagerato ed esanime come le sue candide prede fanciulle, le colombelle borghesi in abito bianco e fiori d’arancio (lei ha la pelle, che sbuccia nuda, ghiotta, zuccherina ed aspra come arancia matura), imperdonabili di fatuità, ipocrite demi-vierges, le deflorate mezze-vergini del perbenismo domestico, che la vampiretta/vampirissima danna e condanna – si direbbe – entrandogli nell’immaginario e nei sogni, nel Malestremo sacrosanto dei loro piccoli incubi. “Ti mordo in bacio… E sono fiori di pietrisco le lacrime mie. Pesano nell’attraversarmi il viso da bambola di celluloide. Mi pesano, m’attorcigliano, mi liquidano nel muto mélo…” * Ma il grande “coup de théâtre” ce lo dona e propina la regista Isabel Pérez del Pulgar, andalusa di Granada, maliosa, felina e sinuosa come Musidora, ma qui ancor più madornale e dramatica, meglio d’un’eroina dannunziana giunta in ritardo sul passato ma in fiero anticipo sul presente, da un’imperscrutabile Città Morta che riaccade solo di notte… Regista, nonché qui intrigante, plastica e ondeggiante performer, Isabel è strepitosamente capace di sovrapporsi a Musidora, di perseguire, guatare, risucchiare letteralmente la sua stessa immagine – duplice e univoca come un’ombra/luce di psiche, l’archetipo altalenante del bene e del male, l’angelica diavolessa che in Amore è forse ogni donna… “Ora rido! Mi diverto! Non fare l’errore di prendermi sul serio, petit cœur fragile. En amour tout est possible! E tu, sei il sogno negli occhi di una tortora nerovestita. » Nina Maroccolo ha ragione, ed avevano ragioni i Surrealisti, cioè Aragon, Breton & Company, a richiederla come protagonista femminile, “Mad Souri” nel Tesoro dei gesuiti , una pièce che non fu mai rappresentata (correva il dicembre 1928), ma che era certamente un capolavoro annunciato dell’umorismo noir, capace di mescolare insieme l’attualità e il meraviglioso, con dense trovate da music-hall (“s’ispirava” – ricorda Marcel Jean nell’Autobiografia del Surrealismo – “a un fatto di cronaca realmente accaduto, il misterioso omicidio, nel febbraio 1928, del cassiere delle Missioni straniere della Compagnia di Gesù, nel suo ufficio di rue Varenne a Parigi. L’assassino non fu mai trovato. Il denaro non era stato toccato, ma era scomparsa una cartella di documenti”…). Un capolavoro mancato, perché mai messo in scena, e dove invece c’era tutto quello che aleggiava in quell’Europa che già scivolava, si perdeva verso le incipienti dittature e la futura orrida guerra… Parodiati, c’erano il Tempo e l’Eternità, Spettri, Automi, la Sincope e i Fantasmi, Manichini e Treni di periferia… C’erano valzer e casseforti, i Fatti di Cronaca, registri e la topa d’albergo in calzamaglia: Lei, “Mad Souri” alias Musidora alias Jeanne Roques… Il Tempo e l’Eternità – attenzione – nomati con la maiuscola, intesi proprio come pirandelliani, titubanti e pervicaci personaggi in cerca d’autore… L’Eternità che invocava ed ammirava la psicoanalisi: “Viva Freud, il grande scienziato viennese!”. E l’orchestra che avrebbe suadentemente suonato Old man river… * Il finale è meta-letterario, come piace dire oggi – cioè romanzo nel romanzo, cinema nel cinema, psiche nel perturbante (o viceversa), luce (s)vestita d’ombra ed ombra immensa di riflettore… La Musidora che è in ogni Donna, quella stessa che ama, paventa ma cerca ogni uomo: feroce e languida, tigresca e infine soporifera, come ogni vera mascotte d’Eros: “Mio caro spettatore, non comprendo perché sono diventata un quesito. Cosa devo chiarire? E comunque, dovessi chiarire laddove è solo ombra, perché trascendere la domanda con un segno distintivo?”… Qui? Quoi? Quand? Où?… Quanto al Perturbante, è davvero più elegante e ambiguo (ma fascinoso anch’egli!) di un anticipato individuo a metà tra il beckettiano, apocalittico (e alienante) Mr. Godot, e lo scombiccherato, post-metafisico e per fortuna ludico Monsieur Hulot (ricordate la verve tragicomica di Jacques Tati?!). Il Perturbante, oui!: fidanzato ideale di Musidora, tormento goffo e invisibile, elegante conato d’intelletto, almeno quanto lei è concreta, danzerina creatura carnale… Inguainata del color nero caro ad Eros e ai negozietti di lingerie. * Isabel diventa Musidora, le entra entro e ne esce fuori, collima, si sovrappone e non resiste, ma la doppia all’unisono… Un viraggio in blue notte le accredita ogni gesta, gli occhi grandi aureolati dal rimmel piangono un altro po’ d’intenso: ma Isabel/Musidora guarda sempre in macchina, cioè fissa proprio noi… e intanto danza, apre le mani/ali, sfarfalla movenze, ali pipistrellate e orecchie tonde dell’unica Topolina “vera” che mai Walt Disney riuscì a disegnare, forse a capire Donna... La voce di Nina intanto la racconta, quest’eterna Musidora, mentre davanti a noi Isabel la smentisce, la accompagna ad entrarci dentro, ad atterrirci di un’infinita dolcezza... Non è forse così, non è questo, l’Amore? Ma In amore tutto è possibile! – e lo giura il perfetto, arrotato accento francese di un’altra amica di “Choral”, Anna Costalonga, voce inviata da Lipsia… Simil-parigina, briosa in falsariga (mutandina) da café chantant, pulviscolare di gioia! Le “Autobiografie Corali” così si cercano, si chiamano e solidarizzano. Splendida esperienza per un fare un’arte che deve metterle tutte insieme. Parole, immagini, scrittura, regia, voce, canto, disincanto… Non dimentichiamo quindi la Musica, di Vinz Notaro (talento giovane ma indiscutibile, coadiuvato dal “metallòfono” di Anita Annunziata), musica che qui è trascinante, radicale e aspra d’ironia come quella fragrante pièce “noir” surrealista… Questa, anzi, in cui la risata arcana e “perturbante” di Nina s’interseca con l’eco metallica… Marcel Jean, lui c’era, e se ne fa un cronista inoppugnabile: “Tavolini di un caffè con clienti seduti intorno hanno invaso il palcoscenico a conclusione dello spettacolo e Musidora, davanti al sipario che s’è appena chiuso, saluta il pubblico e pronuncia questa frase, che per un certo aspetto riassume la filosofia esistenziale del surrealismo: Avvenire, avvenire! Il mondo dovrebbe finire in una bella terrazza di caffè. *** L’avvenire è qui, resta sempre immobile, corre e s’inclina e gira su se stesso, come la Terra che Tolomeo disse d’essere statica, ma non era vero, come non è quindi vero – ci scrive dallo spazio ultramondano Niccolò Copernico – che Musidora venusiana non parlasse, che ella si fermò al “muto”, che viveva solo di notte e che i suoi baci non fossero purissimi d’amore. Vampireschi, sì, ma di che colore poi era quel sangue? Sangue fra rito e storia – nero fino al rosso, nero come i quadri e quadrati e rettangoli schermati, incastonati e clonati dalla musa lunare di Isabel, forse incognita ancella di Diana cacciatrice. Un nero virato ad libitum di biancori dolcissimi, in cui azzurro e rosa coincidono. E le parole delle sue lettere sembrano anch’esse radiazioni di cielo, effrazioni di cuore. Un Rosa e un Azzurro rapinosi, rapinati… Come nei sogni che noi non ricordiamo, ma certo esistono – e non erano affatto in bianco e nero, oh no!, non avvenivano muti… Plinio Perilli