Linee di confine: Svevo e Pirandello, due punti di vista

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Linee di confine: Svevo e Pirandello, due punti di vista
Linee di confine: Svevo e Pirandello, due punti di vista
Kazuhiro TAKATA(Università degli studi stranieri di Tokyo)
Nel panorama italiano tra l’Unità e gli albori del Novecento, Italo Svevo e Luigi Pirandello―l’uno nel pieno delle
tensioni politiche sorte intorno alla riannessione di Trieste, l’altro nell’interscambio tra Sicilia e penisola―affrontano
il tema delle “linee di confine”: quelle tracciate per creare un cosmos da un caos. Seguendo queste linee di confine che
collegano e separano “interno” ed “esterno”, le immaginazioni dei due autori risalgono fino alle origini mitologiche. Là,
come i due scrittori mettono in luce, attorno al nucleo del “peccato originale” (e del “senso di colpa”) un tempo presero
forma le cerimonie e le festività religiose, come rinnovamento ciclico delle comunità umane. Ma in una modernità in
cui le religioni hanno perduto il ruolo di intermediarie per la collettività umana, le linee di confine vengono a
rappresentare solo il divieto e la separazione. Così, nella nostra contemporaneità, quale sarà l’elemento coesivo della
collettività umana, capace di procurare una “guarigione” alle nevrosi delle folle urbane (ai personaggi in cerca
d’autore)? In questa relazione si tenterà di ripercorrere il pensiero dei due scrittori, che si sviluppò anche attraverso
la “psicanalisi” e il “cinema” nell’epoca precedente all’avvento dei totalitarismi.
Italo Svevo(1861-1928)
Aron Hector Schmitz, meglio noto con lo pseudonimo di Italo Svevo, nasce da una famiglia di origine
ebraica nella Trieste dell’Impero Austro-Ungarico. Nonostante la sua intimità col dialetto triestino e
il tedesco, sceglie l’italiano per esprimersi nella scrittura. Nel 1907 conosce James Joyce trasferito a
Trieste, e anche grazie al suo incoraggiamento, pubblica il suo ultimo romanzo La coscienza di Zeno
(1923). Gli altri due suoi romanzi sono Una vita (1892) e Senilità (1898).
Luigi Pirandello(1867-1936)
Nasce ad Agrigento in Sicilia, regione che dopo l’Unità diviene un luogo di “frontiera” del Sud. Nel
1892 si trasferisce a Roma e, a parte occasionali ritorni, trascorre la vita nella città in cui si
mescolano civiltà moderna e vestigia dell’antichità. Scrive un’enorme quantità di romanzi e drammi.
Oltre ad opere come Il fu Mattia Pascal (1904), I quaderni di Serafino Gubbio operatore (1925), Uno,
nessuno e centomila (1926) ecc..., lascia anche la raccolta, Novelle per un anno, che comprende più di
250 novelle. I suoi capolavori teatrali sono Sei personaggi in cerca d’autore (la cui prima
rappresentazione precede di un anno la Marcia su Roma), Enrico IV(1922), Questa sera si recita a
soggetto (1930), La favola del figlio cambiato (1934) e negli ultimi anni la “trilogia mitica” che
comprende, fra le altre, Giganti della montagna (1936). Nel 1925 è tra i firmatari del manifesto degli
intellettuali fascisti.