Cronaca di una tragica estate
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Cronaca di una tragica estate
LA CRONACA DI QUELLA TRAGICA ESTATE, NARRATA DALLA GAZZETTA PIEMONTESE La Gazzetta Piemontese 26.6.1894 n. 174 LIONE (N.m.) 24 (ore 22,55). Questa sera, alle ore 22, il presidente della Repubblica, Carnot, fu pugnalato da un anarchico, che dice di essere italiano. Carnot usciva in vettura dal palazzo del Commercio, dopo aver assistito a un banchetto di 200 coperti, per recarsi al teatro. A un certo punto l’assassino fu presso la carrozza e, prima che alcuno se ne potesse accorgere, vi saltò dentro colpendo di pugnale il presidente al fegato. Carnot è morente. La città è furibonda contro gli italiani. CARNOT PUGNALATO DA UN ANARCHICO L’animo resta impietrito dal dolore e dallo sgomento all’annuncio dell’orribile delitto che toglie alla Francia il suo presidente, uno dei cittadini suoi più eletti e stimati. Nella commozione di questo momento non è facile né prevedere né scrivere quali conseguenze potrà avere, in Francia e in Europa, la tragedia di Lione. Dice il telegramma che l’assassino è un “anarchico italiano”. Gli anarchici non hanno patria. Bisogna che contro di essi le nazioni civili oppongano la più fiera campagna, senza pietà e senza quartiere. In Italia, come in tutto il mondo civile, la ferale notizia avrà una eco piena di dolore e di raccapriccio. Sady Carnot era una di quelle figure elevate e nobili, le qual, mentre circondano sé di rispetto e di simpatia, onorano tutto quanto un paese. Egli era uno dei migliori presidenti, dei più liberali e più sapienti che avesse avuto finora la terza Repubblica. Il pugnale nefando, che l’ha colpito nelle viscere, sarà esso stesso la triste cagione di nuove contese, di nuove rappresaglie fra i due popoli? Noi ci auguriamo che ciò non stia per avvenire. L’Italia non può aver nulla di comune con gli assassini. Ma confessiamo che il nostro timore è grande. Dio tolga che il delitto orribile possa avere così terribili conseguenze! É in quest’ora di dolore mandiamo alla Francia l’espressione sincera del nostro rammarico pel lutto nazionale che l’ha colpita. Particolari dell’attentato – La morte Il telegramma di Depuy LIONE (S.g.) 25. Carnot è morto alle 12,15. Dopo il banchetto, che aveva avuto luogo alle 9.10, il corteo erasi formato per recarsi al teatro. Nella prima vettura era Carnot. Giunto a metà della facciata del palazzo del Commercio, ove il banchetto aveva avuto luogo e mentre Carnot rispondeva salutando alle acclamazioni, un individuo precipitatosi sul landau salendo rapidamente sul marciapiede1. Il landau si fermò subito. Vedesi Carnot divenire pallido e livido e cadere indietro sul landau. Gli spettatori gettaronsi subito sull’individuo che Rivaud, prefetto del Rodano, trovantesi al fianco di Carnot nella vettura, fece cadere con un pugno. La folla voleva uccidere l’assassino. Occorsero oltre dieci agenti di polizia per proteggerlo e occorse che le guardie di polizia circondassero tali agenti per salvare il colpevole. Emozione indescrivibile. L’assassino è un giovane di 25 anni circa, corto, imberbe, vestito con un camiciotto e berretto. Cammina fra gli agenti di polizia colla testa bassa come fosse pronto a gettarsi sopra le guardie per tentare di fuggire. É condotto all’Ufficio di polizia, ove gli si mettono le manette. Il prefetto giunse alla Polizia verso le tre del mattino insieme alle Autorità ed interroga l’assassino. Questi risponde senza emozioni, ma senza cinismo. Perquisito trovasi che ha un libretto vistato a Parigi il 24 giugno 1894 annunziante essere nato a Motta Visconti, provincia di Milano. Il colpevole scrive poscia sopra una carta parecchie parole in latino. Dichiara che parlerà dinanzi alle Assise. […omissis…] L’assassinio dichiarò chiamarsi Cesario Giovanni Santo, italiano e di avere 22 anni. Parla con molto stento il francese. Dichiara che abita a Cette2 da sei mesi. Era giunto stamane a Lione. Carnot rimase ferito nella regione del fegato. Ebbe una emorragia abbondante che erasi riuscito ad arrestare. I ministri sono partiti al tocco dopo la mezzanotte. Il Consiglio dei ministri si radunerà stamane a Parigi. Il giornale riporta inoltre: La descrizione dell’attentato L’ultimo discorso di Carnot Le dimostrazioni contro gli italiani La ferita – Gli ultimi momenti di Carnot Per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica L’impressione a Parigi L’impressione per l’attentato a Roma Come il Re, Crispi e Billot appresero la notizia L’annunzio della morte di Carnot alla Camera italiana Un telegramma di Crispi al prefetto di Torino Il curriculucum di Francesco Maria Carnot 1 2 Il predellino del landau Séte, cittadina nei pressi di Montpellier ed Aigues Mortes, ove nel 1893 vi fu il massacro di italiani che lavoravano nelle saline. La Gazzetta Piemontese 26/27.6.1894 n. 175 dedica tre pagine all’attentato. In prima pagina apre con il titolo: LA TRAGEDIA DI LIONE – NUOVI PARTICOLARI DELL’ASSASSINIO DI CARNOT. L’impressione in Francia ed in Italia. Nuovi particolari del delitto. L’impressione della città. L’attacco ai caffè italiani. LIONE (N.m.) 25 (ore 10,55). La città è ancora sotto la cupa impressione della terribile tragedia di ieri sera. Le vie sono ingombre di folla avida di conoscere tutti i particolari della truce scena di sangue che ha funestato la nazione intera. Infiniti sono i commenti e purtroppo tutt’altro che benigni per noi italiani. L’articolo prosegue con altri particolari sull’attentato e sui primi soccorsi alla vittima per poi riprendere con: […] La notizia della tragedia si sparse tosto per la città producendo un’enorme impressione. Tosto si udirono manifestare dei propositi di rappresaglia contro gli italiani, e infatti poco dopo si seppe che là una folla di gente aveva invaso il Caffè Casati e faceva scempio di tutti i mobili. Altri stabilimenti pubblici subirono la stessa sorte. Tutta la notte le vie furono percorse dalla folla portante bandiere e cantante la Marsigliese, inframmezzata di grida di morte agli italiani. *** Altri articoli descrivono: l’arrivo della famiglia Carnot a Lione; di voci di disordini a Marsiglia; Della dimostrazione contro il Consolato italiano di Lione; Della salma in viaggio per Parigi. *** Caserio Santo interrogato dal giudice istruttore LIONE (S.g.) 25. L’assassino di Carnot chiamasi esattamente Caserio Santo Ieronimo. Il suo stato civile è conforme alle informazioni già note. Esercitava la professione di fornaio. Era segnalato da lungo tempo come anarchico pericoloso. Si stupisce che non sia stato espulso. Fece il tragitto a piedi da Vienne a Lione, ove giunse con 60 centesimi. Folla numerosa nelle vie. Numerosi magazzini sono chiusi. Il giudice istruttore ha interrogato stamane l’assassino che rifiuta ostinatamente di rispondere dichiarando che si spiegherà in Assise. La folla saccheggiò stanotte il locale dell’Armonia Italiana e alcune osterie italiane nelle vie … Fino a stamane furono operati sessanta arresti. La polizia … il Consolato italiano. I manifestanti rispettano la bandiera o lo stemma del Consolato. CETTE(S.m.) 25. L’assassino Caserio era ancora qui sabato. É stato otto mesi aiutante fornaio presso Viola. Il padrone gli consegnò 80 centesimi. Partì dicendo che andrebbe dove la vita stessa lo condurrebbe. Lasciò la città sabato alle 2,45. Era conosciuto come anarchico militante. Ha 21 anni. Comperò il pugnale venerdì. Seguono: Da Parigi: Impressioni francesi - Consiglio dei ministri a Parigi -Casimir-Perier successore di Carnot? *** DA ROMA - AL SENATO ITALIANO Parla l’on. Crispi CRISPI (Tutti i senatori e i ministri si alzano): Signori senatori, ho il dolore di annunziarvi che un grave delitto è stato commesso a Lione, Sadi Carnot, presidente della Repubblica, è morto colpito da mano assassina. L’autore dell’omicidio è nato in Italia ed appartiene a quella setta infame che non riconosce né patria né famiglia (Bene! Bravo!) Combatte tutti i Governi, siano Repubbliche o Monarchie e contro la quale la società dovrebbe insorgere per tutelarsi onde simili assassinii non si ripetano. (Vivissime approvazioni) Tutta l’Italia sentì con dolore l’amara notizia. Questo Senato, nel quale batte il cuore della patria, vorrà certo associarsi al lutto della nazione. Il Senato italiano, che non fu mai secondo in tutti gli atti della vita nazionale, manderà alla Francia l’espressione unanime del suo cordoglio ed orrore vivissimo. (Voci e generali segni d’approvazione) La Gazzetta Piemontese 26/27.6.1894 n. 175 Pagina 2 La pagina riporta l’intervento di Crispi alla Camera ed altre attestazioni di condoglianze ufficiali da parte di governi e comuni. In coda ad un articolo dedicato ai disordini avvenuti a Marsiglia, si accenna al “gruppo anarchico di Cette” e ad un primo accenno di complotto: […omissis…] Si assodò che esiste a Cette, città della Provenza donde proviene il Caserio, un forte gruppo d’anarchici; si suppone sia complice dell’assassino. *** Cominciano ad apparire i primi articoli riguardanti la vita di Santo. *** INTERVISTA CON UN PARENTE DELL’ASSASSINO Quel che dice Ada Negri che fu maestra a Motta Visconti Milano, 25 giugno (ore 15), (Vice Agb.) – Oggi, verso le 12, ho trovato in un restaurant, come cameriere un cugino del Caserio, l’assassino di Carnot. Ecco le informazioni che io ho avuto da lui. Il Caserio ha nome Santo, ed è nativo di Motta Visconti, nella provincia di Milano. Non ha 24 anni, come riferivano i giornali del mattino, ma appena 21 anni e mezzo. La famiglia del Caserio, che abita a Motta Visconti, è una famiglia di condizioni discrete, tiene due botteghe, una di pane e una di salumi, e, come molte famiglie operaie dei piccoli paesetti lombardi, possiede inoltre qualche pezzo di terra e buoi da lavoro. La famiglia si compone di padre, madre e di otto3 fratelli di cui il Santo è il penultimo nato. Fanciullo, era di indole mite, tranquillo, ed era il beniamino della madre. Partì da Motta a 13 anni e venne a Milano ove un suo fratello maggiore tiene due piccole osterie in via Orte. Arrivato a Milano, si allogò per alcuni mesi come garzone fornaio; poscia passò alla rivendita del pane che si trova sul Corso Vittorio Emanuele, dopo via Pattari, e che è chiamata in vernacolo la pristineri di …[illeggibile, n.d.r.]. Era ubbidiente lavoratore ed arrivò a diventare banchiere (rivenditore a banco) della bottega. La sua professione di fede anarchica data da cinque o sei anni. Pare che i germi dell’anarchismo li ricevesse da un suo compagno di bottega: ben presto esso diventò uno degli anarchici più infervorati. Ma si teneva nascosto, e né il suo padrone né la sua famiglia ne seppe nulla per un pezzo. Il primo ad accorgesene fu il fratello maggiore, abitante a Milano, che lo rimproverò ed usò ogni mezzo per correggerlo. Fra i due fratelli ne nacque una rottura. Anche la famiglia restò impressionata tristemente dal nuovo contegno assunto dal giovanetto. Due anni fa, quando gli anarchici distribuirono foglietti volanti ai soldati a Porta Vittoria, il Caserio fu arrestato e condannato a quattro giorni di carcere. Sua madre, quando ne ricevette la notizia a Motta, se ne ammalò e restò ammalata per alcuni mesi. Allora fra la famiglia ed il giovane si determinò una rottura. Santo restò a Milano ancora poco tempo disoccupato. Poi partì improvvisamente, e da un anno e mezzo la famiglia non seppe più dove si trovasse e non ebbe più notizie di lui. *** Erano sette fratelli: Carlo Enrico del 1861, Luigi del 1864, Leopoldo Giuseppe del 1866, Carlo Arminio (Erminio) del 1868, Celeste Gio Batta del 1871, Sante Ironimo del 1873 e Dina Maria Antonia del 1879. Il padre Giannantonio nacque nel 1836 e morì nel 1887. La madre, Martina Broglia nacque nel 1843. 3 Si riportano alcuni brani da altri giornali italiani fra i quali l’intervista ad Ada Negri del Corriere: Il Corriere pubblica poche righe di una intervista con Ada Negri, che è stata, come è noto maestra a Motta Visconti. La poetessa ha dichiarato di non aver mai sentito di un anarchico4. Ed ha espressa l’opinione che si tratti di un individuo emigrato da molto tempo, perché gli individui esaltati non possono vivere nell’ambiente tranquillo dei nostri Comuni lombardi. La popolazione di Motta Visconti è poi fra le migliori per la mitezza d’animo e buon senso. MILANO (S.m.) 25. – L’assassino di Carnot è figlio di Maria Broglia ed Antonio Caserio. Egli affigliossi nel gennaio 1892 alla setta anarchica e tentò di fare, con altri due pericolosi anarchici, un giornale5 che rappresentasse le idee del gruppo anarchico individualista. Mandò a tale scopo una circolare, ma non trovò i fondi necessari. La Polizia italiana lo seguitò fino alla fine del 1893, alla quale epoca Caserio andò in Isvizzera. Su questa pagina venne riportata inoltre una curiosa notizia: *** A proposito dell’attentato Carnot L’Illustration che si pubblica a Parigi sabato scorso ha un articolo: Simple théorie de l’énigme historique, di Pierre Veber, in cui, scherzando briosamente su La raison d’État, la quale permette di arditamente affermare e provare qualsiasi assurdo, l’autore conchiude che essa può giungere a far credere che: “l’actuel M. Carnot, dont le vrai patronyme est Mouillot, remplace le vrai Carnot, mort en 1892, poignardé par l’infame Constant!”6 E monsieur Carnot veniva pugnalato proprio il giorno in cui la satirica profezia dell’umorista francese veniva alla luce! La Gazzetta Piemontese 26/27.6.1894 n. 175 Pagina 3: Fra le ultime notizie sul lutto di Francia, vi sono tre trafiletti riguardanti: 1. L’autopsia di Carnot LIONE (S.g.) 26. Il processo verbale dell’autopsia di Carnot firmato dai medici dice: “La ferita è una delle più orribili che abbiansi giammai viste. Il fegato era attraversato da parte a parte per una profondità di 12 centimetri. La vena d’orta tagliata in due punti e la costola corrispondente spezzata. L’arma penetrò per una lunghezza totale di 18 centimetri. Nella cavità addominale trovaronsi due litri di sangue. 2. Il soggiorno di Caserio a Parigi PARIGI (S.g.) 26. I giornali assicurano che l’assassino Sante Caserio rimase a Parigi sotto falso nome presso un negoziante di vino italiano chiamato Berti, dimorante in via Traversiére. La Prefettura di polizia sembra convinta che il Santo fu in relazione con gli anarchici militanti. 3. I compagni di Caserio a Cette CETTE (S.g.) 25. L’Autorità perquisì il domicilio di una diecina di anarchici. Quattro arresti. La folla enorme nelle strade legge avidamente i giornali. Nessun incidente. La Gazzetta Piemontese 28.6.1894 n. 176 Pagina 2 Le notizie passano in seconda pagina ove si riportano le gravi dimostrazioni antitaliane verificatisi in varie città francesi: Una notte di saccheggio e d’incendi a Lione. Molti italiani gravemente feriti; Il fermento di Marsiglia – Prudente appello del sindaco – Gli italiani che vogliono partire; Stemma e bandiera strappati dal Consolato a Grenoble; La folla contro un circo italiano a Montluçon [Fra queste notizie, appaiono i primi approfondimenti e, soprattutto, si fa riferimento al “complotto” e ci si interroga se “ebbe complici”. N.d.r.] Ada Negri insegnò a Motta Visconti dal 1988 al 1992, quando Santo si era già trasferito a Milano. Nel 1988 aveva quindici anni (!). Trattasi di “A pée” (A piedi, ovvero “a bolletta”; “senza nulla”) 6 “l’attuale Sig. Carnot, il cui vero cognome è Mouillot, sostituisce il vero Carnot, morto nel 1892, pugnalato dall’infame Constant!” 4 5 Caserio ebbe complici? LIONE (N.m.) 26 (ore 14,10). Alla Prefettura di polizia di Lione pare prevalga la convinzione che Caserio avesse dei complici. Non si hanno ancora dettagli precisi per assodare la cosa, ma si raccolsero già interessanti particolari che meritano di essere segnalati. Sabato sera un certo Vielly –noto pure sotto il nome di Faure- si trovava in una piccola osteria in via del Bue ed avrebbe detto queste parole chiaramente intese dall’oste: “Carnot arriverà a Lione. Qualcuno salirà sulla sua vettura e lo pugnalerà.” Un garzone dell’osteria riferì queste parole alla Polizia e fu trattenuto a disposizione del giudice d’istruzione. Vielly è attivamente ricercato. Stamattina tornò un momento all’osteria, ma gli agenti non riuscirono ad arrestarlo essendo giunti qualche minuto dopo la sua uscita. Vielly è noto come anarchico militante. Furono sequestrate parecchie carte ed opuscolo al suo domicilio. Fu quivi tratta in arresto la sua amante, certa Samuel, perché rifiutò di dare qualsiasi schiarimento sul suo amico. La Polizia ricerca pure attivamente un altro anarchico, noto alcoolista, che avrebbe detto parole pressoché identiche a quelle di Vielly. Ciò che dice Caserio al giudice. C’era il complotto? Arresti di anarchici a Cette LIONE (S.m.) 26. L’interrogatorio di Caserio si protrasse fino ad ora avanzata. Il giudice istruttore gli chiese notizie del suo soggiorno a Cette e sulla sua partenza da tale città. Si conferma che Caserio vide a Montpellier e Vienne parecchie persone cui nulla disse sulle sue intenzioni. Caserio dichiarasi nettamente anarchico e partigiano della propaganda anarchica con vie di fatto. Dice formalmente di avere agito di propria iniziativa e di non partecipare a veruna banda da cui avesse potuto ricevere consiglio. Pare che il giudice istruttore creda invece nella possibilità d’un complotto e concentri le sue investigazioni sopra questo punto. Si attribuiscono con fondamento all’elemento anarchico che approfitta della commozione della cittadinanza, i saccheggi compiuti ai negozi italiani senza alcun danno alle persone. La maggioranza dell’elemento operaio disapprova gli eccessi mantenendosi tranquilla. L’idea di un complotto anarchico si fa sempre più strada. Notasi che mentre la Stampa aveva salutato l’arrivo del presidente della Repubblica nel modo più cordiale, aveva fatto eccezione il Peuple, giornale socialista rivoluzionario predicente lo sconvolgimento totale della società. Una quantità di negozi appartenenti ad italiani ed a francesi furono saccheggiati stanotte. Alcune bande di dimostranti riuscirono ad entrare nell’Esposizione distruggendo parecchia mostre italiane. La città oggi è calma. Confidasi che i disordini non si rinnoveranno. CETTE (S.m.) 26. Il numero degli arrestati è di otto. VIENNE (Isére) (S.m.) 26. Credesi che Caserio già da parecchio tempo facesse ad intervalli viaggi d’andata e ritorno tra Parigi e Cette e fosse latore di lettere del partito anarchico che egli avrebbe distribuite facendo sosta nei centri anarchici situati lungo il suo itinerario. Si sono operati tre arresti. [Escono anche le prime informazioni sulla famiglia Caserio e sui precedenti di Santo. Spunta la richiesta del passaporto al sindaco Baj. N.d.r.] La famiglia Caserio ed i precedenti di Sante L’abitazione della famiglia Caserio consta di poche stanzuccie miseramente arredate, ma notevolmente pulite. Trovasi all’estremità di Motta Visconti. La madre è una donna piena di vita e di vigore. Ieri, allorché fu resa edotta della lugubre notizia, la povera donna irruppe in dirottissimo pianto, chiedendo, supplichevole, alle persone che la circondavano per confortarla, cosa mai sarebbe stato di suo figlio. Essa lo chiamava ripetutamente per nome. L’ultima lettera c’egli inviò alla famiglia data dal gennaio passato. Come si sa, il Sante Caserio è renitente alla leva. L’anno scorso, poco prima della leva, egli si presentò dal sindaco del suo paese, signor Baj, a chiedergli un passaporto per l’estero, giustificando la sua domanda col pretesto di andare a cercare lavoro. Ma il sindaco, tenuto conto e delle cattive informazioni del Caserio e sospettando che egli cercasse il mezzo di sottrarsi alla leva imminente, gli rifiutò il passaporto. Il Caserio, di fronte all’inflessibilità del sindaco non insistette, anzi parve rassegnarsi agli ammonimenti vivi del funzionario che gli rimproverava la sua condotta e lo indirizzava al bene. E se ne andò. Ma alcuni giorni dopo si venne a sapere che era scomparso. E da informazioni assunte in seguito si poté stabilire che egli, qualificandosi con falso nome, aveva preso la fuga attraverso la Svizzera. I reporters dei giornali di Milano hanno intervistato il signor Luigi Caserio, fratello del Santo, che tiene osteria in via Orti. Ne diamo i brani più interessanti in aggiunta a quelli che ci ha mandati il nostro corrispondente milanese“Quando era ragazzo –disse il Luigi Caserio- nessuno avrebbe previsto che finiva così. Era un bel fanciullo, biondo, dalla faccia femminile; tutti noi fratelli eravamo biondissimi e ci cercavano per le funzioni religiose, per le processioni! A Santo gli facevano fare da San Giovanni, nudo, con una pelle di pecora sulle spalle: era una bellezza. A Motta è sempre stato di chiesa e faceva il chierico. Venne a Milano a fare il fornaio, aveva quattordici anni. Prima stette un anno in un prestino di via […illeggibile] e poi in corso Garibaldi; dopo poco tempo è passato al prestino di corso Vittorio Emanuele delle Tre Marie, dove gli posero affezione perché un bravissimo fornaio e un giovane attento, puntiglioso. Aveva presso ai 19 anni quando Santo cominciò a frequentare il Gori e la combriccola degli anarchici e la fu finita. L’abbiamo perduto. Con quel suo talento è diventato uno degli scaldati: parlava come un Dio, un vero avvocato. Se attaccava a discorrere delle sue idee politiche nessuno era buono a fermarlo. Quel suo maledetto mestiere di fornaio gli lasciava molte ore di libertà e alla sera andava per i suoi affari coi compagni anarchici a rovinarsi del tutto: di giorno andava nelle campagne vicine per i prati a tenere discorsi all’aria aperta. La Questura lo teneva d’occhio. In seguito alla preghiera della mamma e del fratello, il Santo promise che non si sarebbe più impicciato di anarchia; ma non mantenne la promessa. In seguito andò a Lugano, poi a Cette. Ecco intanto –secondo la Sera di Milano- un sunto della fedina criminale del Santo. Caserio Santo fu Antonio è nato a Motta Visconti l’8 settembre 1873. Fu arrestato il 26 aprile del 18937 per la distribuzione dell’opuscolo anarchico Giorgio e Silvio8 ai soldati. Condannato a 8 mesi e 10 giorni di reclusione9 il sofferte dal 26 aprile al 27 maggio. Ridotta la pena a 5 mesi per condono e 3 mesi in seguito all’amnistia. Il 9 dicembre 1893 fu colpito da mandato d’arresto, ma era fuggito a Lugano10. Dopo passò a Cette, indi a Lione, e da sei mesi non se ne avevano notizie. Il fratello di Caserio abitante a Torino I telegrammi di Lione hanno fatto cenno di una lettera che il Santo Caserio teneva in tasca nel momento dell’arresto e firmata Giovanni. Si seppe in seguito che il Giovanni è uno dei tanti fratelli del Santo, e si disse anche che egli si trovava presentemente a Torino in qualità di cuoco presso una famiglia signorile. Questa famiglia è quelle del cavaliere Giuseppe Magni, col quale abbiamo parlato stamane. Da circa un anno il cav. Magni tiene al proprio servizio il Giovanni Caserio11 in seguito a raccomandazione del sindaco di Motta Visconti suo amico. Ce lo dipinse come un attivo giovane, di animo mite e buon. Parlando di lui il cav. Magni ci disse testualmente: “Il fratello Giovanni è una vera perla di giovane.” É nato un anno prima del Santo, cosicché ha ora 22 anni soltanto. Ama assai la propria madre alla quale invia mensilmente una parte del proprio salario. É’ molto affezionato anche al Santo e da ieri non fa altro che piangere e non sa darsi pace. É poi specialmente inquieto per la mamma. Interrogato dal cav. Magni raccontò anche lui il passato del Santo come il fratello Luigi ha raccontato ai reporters di Milano. Il Santo, una volta buono, di carattere quieto, si recò a Milano a lavorare da fornaio e ivi fece la conoscenza di un collega che lo catechizzò nella dottrina anarchica. Quando la famiglia se ne accorse, tentò con ogni mezzo di soffocare i principii sovversivi che gli si erano instillati nel cervello, ma a nulla valse, nemmeno le lacrime della mamma. Le feroci dottrine avevano travolta quell’anima giovinetta ed era fatale che allo sciagurato fosse riservato il triste privilegio della notorietà del delitto. *** In realtà si trattava del 1892 Opuscolo col quale si istigavano i militari a ribellarsi, a disertare, a disobbedire ai loro superiori, e a fare propaganda fra i compagni. (La Sera, 27 giugno 1894) 9 Per il reato di cui all’art. 246 n. 1 del C.P. e cioè per eccitamento a delinquere. (c.s.) 10 Ricorse in Appello. La condanna fu confermata il 7 giugno 1893. (c.s.) 11 Gio Batta Caserio. 7 8 Le ultime notizie sul Caserio Milano, 26 giugno (Vice-agb)- [N.d.r.: La corrispondenza da Milano ripropone le interviste ai fratelli Luigi e Giovanni, aggiungendo:] … Il fratello [Luigi, n.d.r.] parlando degli anarchici, stringe i pugni di dolore e di rabbia. Giura che Sante non avrebbe mai commesso il delitto, e che ne deve essere stato incaricato per levata a sorte.12 Oltre che quello riferito, il Caserio aveva un altro precedente giudiziario. Il suo nome apparve nel processo agli anarchici del 1889, quando la Questura, temendo che si preparasse qualche cosa di grave nella prima festa del 1° maggio, ne fece una retata. Il Caserio, che allora aveva 16 anni, non fu processato per mancanza di prove. Si ricorda che in quella occasione il Bacchialoni, sostituto procuratore del re, disse queste precise parole: “Ve ne sono molti giovanetti e contro di questi non si può concretare l’accusa; ma assicuro che fra costoro c’è un vivaio di gente che fra pochi anni passerà ai fatti.” *** In cronaca si riportano le manifestazioni in Italia delle Società e dei Circoli per l’assassinio di Carnot, la presa di posizione del Partito dei lavoratori socialisti e le narrazioni degli operai italiani in fuga dalla Francia. *** Il Comitato centrale del Partito dei lavoratori socialisti (che ieri sera non partecipò alla controdimostrazione anarchica) ha distribuiti oggi fra gli operai 50mila copie di un manifestino, col quale il Partito stesso “esecra il delitto consumato verso il presidente della Repubblica francese come un atto brutale, come la negazione di ogni principio di logica rivoluzionaria” accennando che il Partito socialista tende a conquistare i poteri pubblici con i mezzi della moderna civiltà. La Gazzetta Piemontese 29.6.1894 n. 178 Pagina 1 In prima pagina rimbalza la seguente notizia: Il complice di Caserio che si suicida a Cette MARSIGLIA (N.m.) 28 (ore 11). Da Cette, ove abitava Caserio prima di recarsi a compiere il suo misfatto a Lione, giungono notizie assai gravi, inquantoché sembrano confermare che l’uccisione di Carnot sia stata veramente conseguenza di una congiura. Certo Mario Garnier, prima ancora che giungesse notizia dell’attentato, trovandosi in un crocchio di amici, annunciò improvvisamente che Carnot era morto. La cosa venne agli orecchi della Polizia e l’Autorità giudiziaria citò il Garnier per avere spiegazioni sul fatto, sospettando che egli fosse complice del delitto. Ma quegli, disperato nel vedersi scoperto, si suicidò… se pure non “venne suicidato” dai suoi compagni in anarchia. L’agente Durand era stato incaricato dalla Polizia della stretta vigilanza di Caserio a Cette. Si deplora che egli abbia adempiuto al suo incarico con molta negligenza, lasciando che il Caserio congiurasse e partisse per Lione. Il console italiano a Cette mandò al Governo della Repubblica un nobile indirizzo a nome di quella colonia italiana, protestando contro l’assassinio e ripudiandone l’autore. Un trafiletto in seconda pagina riprende il tema: Un complice confesso di Caserio MONTPELLIER (S.m.) 28. L’anarchico Laborie, arrestato, confessò che pranzò sabato col Caserio, che gli confidò lo scopo del viaggio che imprendeva a Lione. In terza pagina la tesi del complotto viene riproposta con nuovi particolari. Non manca una notizia roboante: Caserio voleva uccidere il Papa e Re Umberto... I complici di Caserio Caserio voleva uccidere il Papa e re Umberto? Non v’ha più dubbio: l’assassinio del presidente Carnot non era opera isolata di un fanatico, ma il risultato d’una congiura anarchica, dacché gli anarchici, pure affettando di spingere l’individualismo sino a ricusare di stringersi in società, non agiscono sempre per iniziativa individuale quando si tratta di commettere uno dei É il primo riferimento che viene fatto in merito a questa circostanza, peraltro mai confermata nei fatti. Verrà riproposta il 30 giugno a seguito di una “confessione” di un militare in carcere. 12 loro misfatti. Lo ha recentemente provato l’attentato d’Henry di cui furono perfino complici alcuni membri della famiglia Reclus; ora lo dimostra l’inchiesta aperta dalle Autorità giudiziarie francesi sugli anarchici dimoranti a Cette e Montpellier, in Provenza. La Polizia francese riconobbe dunque complici del Caserio gli anarchici Saurel di Cette, Laborie di Montpellier, Parodi d’Alais. Saurel fu incarcerato a Montpellier, Parodi, giunto a Montpellier da Alais, fu arrestato al momento in cui prendeva il treno per fuggire. Laborie si era recato, lunedì mattina, al mercato dell’Osservatorio in Montpellier, ove teneva un banco; avvertito da Parodi che la polizia perquisiva il suo domicilio e spaventato cui aveva preso parte, si diede alla fuga, abbandonando le proprie merci, e si rifugiò presso l’italiano Lucchesi, altro anarchico, abitante presso Montpellier. Fu arrestato da una guardia rurale mentre si disponeva a fuggire più lontano. Già fino dallo scorso gennaio si era fatta una perquisizione in casa sua: la Polizia aveva trovato polvere pirica, un pugnale, delle rivoltelle. Interrogato dopo il suo arresto, Laborie dapprima negò, ma poscia confessò d’aver parlato all’assassino di Carnot nella giornata di sabato. L’istruttoria viene tenuta segreta. Mancano i particolari dell’interrogatorio. Un telegramma ci annunciava ieri che Laborie si era suicidato: ci mancano ancora i particolari su questo fatto. Dall’inchiesta dell’Autorità giudiziaria risultò che Caserio lasciò Cette nella giornata di sabato; si trattenne a Montpellier sino a sera; trascorse tutto il pomeriggio con Laborie. Presso costui l’attendeva pure il Parodi. L’istruttoria è condotta dal Brousse, giudice istruttore a Montpellier. A proposito di Caserio si nota come, senza la lite avuta col suo padrone Viala, e che non fu da lui provocata egli sarebbe probabilmente rimasto a Cette, e Carnot vivrebbe ancora. Il Viale, scacciandolo, gli diede 90 lire di cui egli era debitore: il Caserio ebbe così il denaro necessario per recarsi a Lione e comperare il pugnale.13 Quando venne interrogato dalla Polizia sulle sue idee anarchiche, Caserio rispose: “É peccato che io sia stato condannato in Italia. Se non avessi temuto di venir arrestato quando fossi rientrato nel territorio del Regno, sarebbe già un bel pezzo che il Papa ed il Re d’Italia sarebbero saltati.” E qui delle brutte ingiurie. Ciò nullameno la Polizia di Cette e Montpellier descrive Caserio come un ingenuo, designato dalla sorte a compiere il delitto per cui s’è reso tristamente famoso.14 La Gazzetta Piemontese 30.6.1894 n. 179 Pagina 1 Il complotto tiene ancora banco: Il complotto per l’assassinio di Carnot. MARSIGLIA (S.m.) 29. L’esistenza della cospirazione allo scopo di assassinare Carnot è ora accertata. La polizia è sulle traccie degli affigliati. Questi tennero l’ultima loro riunione a Cette. In tale riunione il Caserio fu designato per eseguire la criminosa decisione. Gli arresti sono imminenti. MONTPELLIER (S.m.) 29. Alcuni anarchici arrestati per sospetto di complicità con Laborie, amico di Caserio, vennero rilasciati dopo l’interrogatorio. *** Il sindaco di Motta a Dupuy, Milano, 29 giugno (Vice-agl)-Il sindaco di Motta Visconti, il paese nativo di Caserio, ha spedito al presidente Dupuy il seguente telegramma: “Presidente Dupuy, Parigi “Colpite dall’atto nefando, esecrato, l’Autorità, la popolazione e la stessa famiglia dello sciagurato Caserio esprimono sensi di profonda indignazione. “Motta Visconti, 26 giugno 1894 Sindaco: Primo Baj”15 In terza pagina viene evidenziata l’ondata di profughi italiani che lasciarono la Francia in quei giorni. La situazione per loro, in Francia, era sempre più pericolosa. Singolare questo complotto! Avrebbero deciso di uccidere Carnot, estraendo a sorte l’autore e poi tutto si sarebbe sgonfiato se Caserio non avesse litigato con il Viala? 14 Sembra che qualche dubbio sulla versione della Polizia serpeggiasse anche fra gli inviati della Gazzetta…. 15 Per il riferimento alla famiglia, un fratello di Caserio, scenderà a Motta per protestare col sindaco Baj. 13 La Gazzetta Piemontese 1-2.7.1894 n. 180 Pagina 1 La prima pagina riporta che prima della chiusura dei lavori, Crispi presenterà alla Camera un progetto di legge relativo alla repressione degli anarchici. Si ripropone inoltre il teorema del complotto: I sette complici di Caserio MARSIGLIA (N.m.) 30 (ore 11,57). In seguito alla denuncia fatta da un soldato detenuto in queste carceri, il quale fu testimone oculare di alcuni fatti recenti, la Polizia tiene oramai in sue mani il bandolo del famoso complotto di Cette, dove sette congiurati –sette veri capoccia anarchici- si radunarono più volte e designarono Caserio per l’esecuzione della condanna di morte decretata da quel Tribunale di sicari sul capo del povero presidente Carnot. La Polizia agì abilissimamente, tantoché, a mezzo di opportuni e prontissimi ordini telegrafici diramati segretamente, riuscì –assicurarsi- ad arrestare quasi tutti i complici di Caserio. D’altro canto, conforme ad un rapporto del governatore di Barcellona, risulterebbe assodato in modo non dubbio che pei vari attentati commessi o solo decretati in questi ultimi tempi esisteva una direzione centrale anarchica, che diramava gli ordini. Non si poté bene ancora stabilire dove fosse la sede di questa direzione. Probabilmente a Cette. (Cette è una cittadina nel dipartimento dell’Hérault, circondario di Montpellier, ha 22.400 abitanti e dista da Parigi 780 chilometri). *** A proposito di questa congiura anarchica, all’ultimo momento, la Stefani ci comunica: “MARSIGLIA, 30. Il Petit Marseilles pubblica particolari sulla scoperta della cospirazione contro Carnot. Lunedì un soldato recentemente incorporato e attualmente detenuto in prigione militare, apprendendo l’assassino di Carnot, disse: “Sapevo che Carnot doveva essere ucciso a Lione. É’ l’italiano Caserio che fece il colpo. Lo conosco, è lui che la sorte aveva designato”16. Il soldato raccontò allora che in seguito all’esecuzione di Vaillant e di Henry un gruppo di sette anarchici aveva decretato la morte di Carnot. Una sera si estrasse a sorte la persona che doveva pugnalare Carnot a Lione. La sorte designò Caserio che dimostrò feroce gioia. In seguito a futile discussione col suo padrone, Caserio lo lasciò venerdì 22 giugno, fecesi pagare e comperò il pugnale e partì per Lione. Il soldato rinnovò ieri questa confessione dinanzi ai magistrati e diede i nomi di sette congiurati, che debbono essere attualmente già arrestati o prossimi ad esserlo.” Alla fine di questo articolo, la Gazzetta piemontese, nonostante queste notizie e mentre in tutta la Francia gli italiani erano vittime di rappresaglie, riportava che a Cette le cose così andavano: Gli italiani a Cette CETTE (S.m.) 30. Gli italiani continuano a lavorare tranquillamente senza essere affatto molestati. Nessuno rimpatria. Anche nell’Hérault tutto è calmo. La Gazzetta Piemontese 1-2.7.1894 n. 180 Pagina 2 Caserio comincia a parlare LIONE (S.m.) 30. Caserio incomincia a divenire più comunicativo. L’eccitazione nervosa è cessata. Sicché si è potuto ottenere ieri alcune rivelazioni circa il complotto internazionale, di cui egli fu il mandatario. Il soggiorno di Caserio in Insvizzera BERNA (S.m.) 30. Da un’inchiesta ufficiale risulta che Caserio lavorò dal 6 marzo al 24 giugno 1893 a Lugano come giovane fornaio e partecipò allo sciopero che scoppiò in quell’epoca; quindi scomparve. La Gazzetta Piemontese 2-3.7.1894 n. 181 Pagina 1 In prima pagina si trova la descrizione del gran funerale di Sadi-Carnot, che prosegue nella pagina 2. L’estrazione a sorte è la tesi già espressa nell’intervista al fratello Luigi del 26 giugno (due giorni dopo l’attentato) e pubblicata sulla Gazzetta piemontese il 28 giugno, che non verrà mai suffragata da fatti concreti. 16 La Gazzetta Piemontese 2-3.7.1894 n. 181 Pagina 2 In questa pagina viene riportata la dichiarazione di Caserio al procuratore della Repubblica di Lione. Come narra Caserio il suo delitto. “Lavorai presso il padrone di Cette fino alle ore 10 della mattina di sabato, quindi egli mi saldò il conto con 20 franchi, dei 30 mensili del mio salario. Avevo ancora 4 o 5 franchi dei 10 pagatimi in acconto la domenica precedente. Alle ore 11 del mattino comperai il pugnale da un armaiuolo nella Rue Grande Caserme, pagandolo 5 franchi. Al tocco del pomeriggio andai al Caffè del Gard e chiesi un giornale, scambiando quattro chiacchiere col padrone e con gli avventori. Dissi loro che andavo a Lione. Credevano che scherzassi. Alle 3 andai alla stazione. Il diretto per Montpellier era partito. Presi alle 3,5 il treno per Montbazin, e ripartendo da Montbazin alle 4, arrivai a Montpellier alle 4,44. Colà non vi era più alcun treno per Avignone avanti le 11,23 di sera. Intanto andai a trovare la signora Laborie che avevo conosciuta a Cette. Rimasi la serata con i coniugi Laborie e un loro camerata. Alle 11 mi accompagnarono alla stazione e partii alle 11,23 di sera. Ma il treno andava soltanto sino a Tarascona. Nel treno parlai con due gendarmi, che poi si addormentarono fino a Tarascona. Colà l’impiegato ferroviario mi disse che per andare in terza classe ad Avignone dovevo aspettare sino alle ore 7 della mattina, mentre pagando un franco di supplemento potrei partire subito con l’exprés. Mi decisi di pagare due franchi e quarantacinque e montai in un compartimento di prima classe che era al completo. Dovetti restare in piedi la prima mezz’ora di tragitto tra quei borghesi che parevano spaventati vedendomi mal vestito, con pantaloni e giacchetta grigio-chiara, berretta piatta grigia e visiera della medesima stoffa. Discesi ad Avignone domenica alle ore due e un quarto della mattina. L’impiegato mi disse che il treno per Lione di terza classe parte alle quattro e dodici, e che il prezzo è di undici franchi e cinquanta. Uscito dalla stazione, pochi minuti dopo rientrai per dormire su una panchetta fino alle tre e mezzo. Uscito ancora, comperai due soldi di pane. Quando rientrai alla stazione avevo ancora dodici franchi. Pensai che spendendone undici e cinquanta resterei senza mangiare.” “Sapevo che la strada da Vienne a Lione non è lunga, avendola fatta lo scorso inverno 1893. Presi dunque un biglietto per Vienne, pagandolo nove franchi e ottanta. Partendo da Avignone era solo; ma arrivammo a Vienne con vagone completo. Comperai il giornale Lyon Républicain, staccandone l’itinerario di Carnot. Col resto avviluppai il manico del pugnale, che m’usciva dalla tasca. Arrivato a Vienne cercai diverse conoscenze, e dissi al parrucchiere che m’aveva fatto la barba: “Parto per Lione alle tre.17” Al tocco e mezzo bevetti un bicchiere col parrucchiere, quindi partii solo, a piedi, per Lione. Lessi sulla placca della strada Vienne-Lione, 27 chilometri. Poco prima avevo comperato un pacchetto di tabacco per 50 centesimi.” “Uscendo da Vienne, trovai molte persone. Alcune mi chiedevano la strada; risposi: “So che questa conduce a Lione.” Più oltre trovai tre mendicanti, tra cui due ciechi. Più lontano chiesi un bicchiere d’acqua in una casa lungo la strada. Un uomo ne stava appunto attingendo della freschissima. Ne bevetti due bicchieri, poi traversai un bel villaggio, forse Saint-Symphorien; vidi la caserma della gendarmeria, la mairie. A mezza strada cominciò a piovere. Rimasi dieci minuti sotto un albero. Passai quindi un altro villaggio; vidi la caserma dei gendarmi e sulla porta un gendarme, fra due donne che fumava la pipa. Passai fumando una sigaretta: nulla mi disse. Più avanti quattro uomini giuocavano alle boccie; infine un palo divideva il dipartimento dell’Isére da quello del Rodano.” “Giunto a Saint-Fons vidi uscire dal cimitero una trentina di persone piangenti. Finalmente vidi la tranvia a vapore, poi la tranvia a cavalli. Seguendo le rotaie credetti che arriverei alla via della Guillotière, ma sbagliavo. Chiesi la strada ad un giovinotto. Dopo parecchio cammino arrivai a Lione. Vidi i gendarmi e le guardie che respingevano la folla, poi un palazzo illuminato: era la Borsa. La gente diceva che il presidente doveva uscire di là per recarsi a teatro. Ero sulla sinistra, ma sapendo che il presidente sedeva in carrozza a destra, tentai di attraversare la via. Ci riuscii, malgrado gli agenti, ficcandomi dietro la carrozza. Un agente volle far scendere un ragazzo arrampicato sulla colonnetta del gas. Approfittai del tafferuglio per cacciarmi in prima fila. Siccome facevo delle riflessioni ad alta voce, probabilmente in lingua meneghina, due giovinotti si domandavano di quale nazione potevo essere.” “Finalmente ecco la carrozza del presidente. Ai due lati eravi un cavaliere. La testa del cavallo di destra É singolare il fatto che per la seconda volta in poche ore, una persona che si appresta ad uccidere il presidente della Repubblica a seguito di un complotto, comunichi ad estranei che sta andando a Lione. 17 trovavasi circa al livello della testa del presidente. Mentre passavano gli ultimi cavalieri che precedevano la carrozza, aprii la mia giacchetta, afferrai il pugnale colla sinistra, essendo collocato nell’unica tasca di destra interna, quindi urtando due giovinotti che mi stavano davanti, ripresi il pugnale colla destra facendo colla sinistra scivolare il fodero, che cadde in terra.” “Mi avanzai vivamente, però senza saltare, verso la carrozza, e seguendo una linea obliqua, appoggiai la mano sinistra sulla carrozza e con un colpo solo portato leggermente dall’alto in basso, cacciai il pugnale fino alla guardia nel petto del presidente.” “La mia mano toccava il suo abito; lasciai il pugnale nella ferita. Il manico aveva ancora un pezzo di giornale. Nel portare il colpo gridai, non so se forte o sottovoce: Viva la rivoluzione!” “Quindi mi ritrassi vivamente; poi, vedendo che non mi arrestavano, che non si mostrava di comprendere che cosa avevo fatto, corsi innanzi alla carrozza, e passando presso i cavalli gridai: Viva l’anarchia! Questo grido fu inteso dagli agenti. Poi passai davanti ai cavalli dirigendomi alla sinistra, obliquamente, tentando di penetrare nella folla e sparire. Donne e uomini rifiutarono di lasciarmi passare. Dietro di me si gridava: Arrestatelo! Un agente mi mise pel primo le mani addosso afferrandomi al collo per di dietro e tosto fui preso da una ventina di persone.” La Gazzetta Piemontese 2-3.7.1894 n. 181 A pagina 3 il giornale riporta una grave accusa rivolta ad Ada Negri da due giornali: Il Don Marzio di Napoli e la Difesa di Venezia hanno accusato in due articoletti che hanno fatto rumore, l’Ada Negri di avere inspirato l’assassino, o di avere almeno benedetta l’anarchia, perché essa fu maestra a Motta Visconti, la patria di Caserio. Il corrispondente milanese del Falchetto ha intervistata a questo proposito la poetessa, che ha risposto largamente all’assurda accusa, prima osservando che essa fu a Motta quando il Caserio ne era già lontano da anni18, secondo che essa non appartiene a nessun partito politico. Essa crede che l’accusa muova da qualche nemico. La Gazzetta Piemontese 4.7.1894 n. 183 Pagina 2 Il processo contro Caserio PARIGI (N.m.) 3 (ore 20,55) – Caserio verrà giudicato forse il 28 corrente alla Corte d’Assise del Rodano. Presiederebbe il consigliere Beuillac; il procuratore generale Fochier sarebbe Pubblico Ministero; l’imputato sarebbe difeso dall’avv. Villenueve. *** LA MADRE Il gran dramma non è finito… Alla vittima il mondo civile ha reso le onoranze riservate ai grandi della terra; l’assassino passerà per le mani del sig. Deibler; la vedova infelice, che ora sparge lacrime e fiori sulla tomba del marito, troverà in seguito nel tempo un po’ di calma e di ristoro e conforto nell’amore e nell’orgoglio giusto dei figli… Ma quando tutte le cose avranno ripreso il loro stato normale, quando gli animi si saranno rimessi in pace, il dramma anche allora non sarà tuttavia finito. Resterà sempre un dolore: la madre di Sante Caserio. Le emozioni vive di questi giorni, le discussioni acri della politica, il furore della plebe, la paura degli uni, la vigliaccheria degli altri, la filosofia degli spiriti forti e degli egoisti –tutto quell’insieme di impressioni, di pensieri, di idee che si sono accavallati sopra il gran dramma hanno distolto gli sguardi e i cuori della gente dall’osservazione del personaggio più umanamente pietoso del dramma: la madre! Anche quando i giornalisti si affannavano ad avere interviste coi “parenti” dell’anarchico, anche allora quella figura di donna si nascondeva come se la avvolgesse d’un velo misterioso il suo stesso dolore. L’altro giorno soltanto corse una voce: “La madre di Caserio è impazzita.” E allora si mandò tosto per informazioni dal sindaco di Motta Visconti, e questi ha risposto: “Benché il truce fatto abbia reso l’infelice donna fra le più sventurate madri, pure si è sempre mostrata sana di mente. La povera donna, accasciata dal dolore, rimase invisibile tutto il giorno, segregandosi nella sua modesta abitazione. Il Sindaco di Motta Visconti, Baj Primo.” No, la povera donna non è impazzita. Il dolore non le ha tolto la ragione, come non le ha tolto la vita. Le è rimasta la ragione perché potesse assaporare tutta l’amarezza della sua sventura. E vivrà nel suo pensiero, che sarà sempre doloroso, perché le possano dire ancora: “vostro figlio è morto oggi sotto la mannaia”, perché la 18 Ada Negri insegnò a Motta Visconti dal 1888 al 1892, Caserio lasciò il paese per Milano a 13 anni: nel 1886 gente vedendola per via, le sussurri dietro, indicandola ai bambini: “Quella è la madre di Caserio…”. Sarà una nuova immagine della madre dei sette dolori! La sua vita sarà un Calvario. La sua morte, povera donna, una liberazione. E chi non piange, di che pianger suole? Io vedo quella donna infelicissima in fondo alla sua stanzetta, accasciata, triste, piangente sulla povera scranna su cui ha lavorato tanti giorni felici, circondata dai suoi figli, fra le carezze e i baci di quella giovane vita crescente… Il paese, nella sua piccolezza, contiene un dramma immenso che ha commosso tutto il mondo, e sarà ricordato dalla storia. La gente chiacchiera o curiosa o dolente. La madre non sente alcuno; non sente che il suo dolore. E la mente le ricorre ai bei tempi, quando il suo piccolo Sante frequentava la scuola, e il mondo, tristo, non le aveva corrotto quell’anima… Lo vede crescere, farsi uomo; vede svilupparsi in lui quel carattere triste, solitario, impulsivo. La povera madre ricostruisce nella sua mente tutta la vita di quel nato delle sue viscere. Forse nel suo cuore di madre, si fa qualche rimprovero… povera donna! Chi sa ancora che in quell’anima addolorata e mite non passi un pensiero di rancore per gli uomini che hanno fatto di suo figlio un assassino! Chi sa quali rimpianti e quali rampogne! Chi le dirà le angoscie, chi li conoscerà i pensieri di quella madre infelicissima? O io vorrei poter chiamare tutti color i quali hanno scritto e filosofato sull’assassinio di Sadi-Carnot, tutti coloro che, o apertamente o per sottinteso, hanno pensato e detto che questo assassinio ammaestrerà una certa classe di uomini (come se dinanzi alla vita e alla morte tutti gli uomini non fossero uguali!); vorrei poter raccogliere dinanzi alla porta di casa della madre di Caserio tutti coloro che nel delitto politico (?) vedono soltanto un “fenomeno” sociale storicamente necessario al progresso ed introdurli, senza rumori, al cospetto di quella povera donna… e dir loro: “Guardate!” No, l’umanità non può andare avanti al prezzo di così grandi dolori… La Gazzetta Piemontese 5.7.1894 n. 184 Pagina 2 Una perquisizione in casa della famiglia Caserio. La madre dell’assassino. Togliamo dal Corriere in data 4: “In seguito a sollecitazioni della Polizia francese, l’Autorità giudiziaria di Milano ha ordinata una perquisizione in casa della famiglia di Sante Caserio –il noto assassino di Carnot- a Motta Visconti. L’altro giorno, infatti, si è recato colà il delegato Eula con alcuni agenti. Il funzionario parlò con la madre dell’assassino, annunciandole il motivo della sua visita, ed usandole ogni riguardo, molto più che la donna si trova in preda ad un grande abbattimento.” “Fu la madre stessa che –annuendo, senza reticenza alcuna, all’invito del funzionario, di consegnargli, cioè, scritti od altro che avesse relazione col figlio, tirò fuori il di lui ritratto ed una di lui lettera a lei diretta. La infelice madre conservava quei due oggetti con una specie di culto, chiusi nel comò, e porgendoli al funzionario essa diede in dirottissimo pianto.” “La lettera data da Cette ai primi dello scorso febbraio. Con essa il Caserio informava la madre che era colà occupato presso un prestino: terminava però chiedendole di mandargli del denaro per sopperire a certe spese urgenti. La madre gli spedì 80 lire, accompagnandogli la somma con mille saggi consigli per tenerlo lontano dalle cattive compagnie ed incitarlo al bene.” “Il funzionario si trattenne a lungo in quella casa; ma, naturalmente, all’infuori di quella lettera e di quel ritratto null’altro di importante, per l’Autorità inquirente, possedeva quella desolata famiglia. Quando il funzionario prese commiato, la madre insisteva piangendo perché egli le dicesse quale pena avrebbero inflitto al figlio. Povera donna!” “Il delegato Eula si procurò inoltre la fede di nascita, lo stato di famiglia e tutto quanto concerne l’esistenza del Caserio e il suo soggiorno a Motta Visconti. Il rapporto di queste investigazioni venne ieri stesso consegnato all’Autorità giudiziaria, che lo spedirà subito a quella francese.” La Gazzetta Piemontese 7.7.1894 n. 186 Pagina 2 Gli scienziati “giudicano” gli anarchici: Un giudizio del Lombroso su Lega e Caserio Il corrispondente romano del Berliner Tageblatt ha interpellato il prof. Cesare Lombroso a proposito del Lega e del Caserio, ed il Lombroso ha risposto così: “A mio parere il Lega ed il Caserio sono due fanatici, ed il Caserio in ogni caso ha il fanatismo pervertito dell’epilessia ereditata dal padre: entrambi non mi sembrano né pazzi né propriamente criminali. Nel loro accecamento gli anarchici pretendono di uccidere il diritto, ma dal loro canto di non esserne uccisi, e questa fu anche la ragione dell’assassinio del povero (?!) Caserio. Del resto, per comprendere l’estrinsecarsi del fanatismo pazzesco, bisogna trasportarsi per un momento nei loro cervelli. Quanto ai rimedi, io credo che a poco giovi la repressione violenta. Si deve procurare uno sfogo al fanatismo economico come se ne è trovato uno nelle Costituzioni al fanatismo politico ed un altro nella tolleranza al fanatismo religioso, ma ciò intende soltanto la Francia. Del resto pubblicherò presto un lavoro sugli anarchici.” Tali le parole attribuite al Lombroso dal Berliner Tageblatt e che noi abbiamo tradotto alla lettera. Nel merito, naturalmente, facciamo le più ampie riserve perché ci sembra che in linea di fatto ed in linea di teoria molto ci sarebbe a ridire in merito al giudizio espresso dell’illustre psichiatra. Ma gioverà attendere il libro annunziato sugli anarchici per poterci formare un criterio più esatto e più ponderato. *** Una rivoltellata contro un treno Pavia, 6 luglio I viaggiatori giunti in questa stazione stamattina, alle ore 9,49, col treno direttissimo in viaggio da Milano a Genova, dichiararono che nei pressi della città nostra un misterioso colpo di rivoltella sarebbe stato esploso contro il treno stesso. Finora non se ne sa altro. Comunque, il fatto venne subito denunciato all’Arma dei carabinieri. La Gazzetta Piemontese 8.7.1894 n. 187 Pagina 3 Un aneddoto su Sante Caserio. Chi lo difenderà. Milano, 8 luglio (Vice-agb) – Ecco un aneddoto curioso che serve a mostrare quale fosse il tipo psicologico del Caserio e che rileva soprattutto la sua facile suggestionabilità. Nel 189119 il Caserio fu eletto vice-segretario della Società di mutuo soccorso fra i lavoratori fornai, e rimase un anno in carica, adempiendo scrupolosamente ed intelligentemente le proprie funzioni. Ma, venuta l’assemblea generale, in casa alcuni fornai di tendenze anarchiche gli rimproverarono di rimanere a quel posto. Il Caserio non rispose durante la seduta; ma alcuni giorni dopo il Maggioni, presidente della Società, si vide arrivare una lettera con cui il Caserio presentava le sue dimissioni, motivandole con la ragione che anche le Società di mutuo soccorso sono altrettanti piccoli Governi. Il Maggioni non riuscì a fargli ritirare le dimissioni, anzi pochi mesi dopo il Caserio si dimise ancora da socio. L’idea anarchica l’aveva ormai conquistato definitivamente. Siccome nessun avvocato del Foro francese si è finora mostrato disposto ad assumere la difesa dell’uccisore di Carnot, il fratello di Caserio, residente a Milano e la Società dei fornai, della quale il Caserio fu socio quando si trovava a Milano, hanno pregato l’avvocato Alfredo Podreider di accettarla, ed il Podreider ha consentito. Gli ordinamenti giudiziari francesi consentono a qualunque avvocato straniero di patrocinare davanti alla Assise, ed il Podreider, che possiede benissimo il francese, potrà disimpegnare il grave incarico a cui è stato chiamato. Si attende da Lione la risposta dell’accusato perché Caserio accetti il difensore designatogli dai suoi vecchi compagni di lavoro e dalla sua famiglia. 19 A 18 anni La Gazzetta Piemontese 10.7.1894 n. 189 Pagina 2 Quel che dice di Sante Caserio un monaco che gli fu compagno di scuola. Una lettera alla madre. Una madre francese alla madre di Caserio. Il Progresso di Piacenza ha intervistato un giovane religioso, professore di lettere di distinta famiglia di Motta Visconti, che fu compagno di scuola di Sante Caserio, l’assassino di Carnot. Il giovane monaco disse: “Sante si faceva voler bene da tutti; era molto servizievole e pronto a favorire i compagni. Ma fino da fanciullo era chiuso in sé. Come un lungo raccoglimento lo prendeva. Ed allora –come del resto quasi sempre- parlava pochissimo. Il difetto di parlar pochissimo era in lui connaturato…” “Anche da piccino era di una vivacità, di una irrequietudine a tutta prova. A scuola –dove era fra i mediocrinon poteva star fermo un minuto secondo. Poi aveva poca o nessuna voglia di studiare.” “Fuori di scuola: un folletto, ma buono e cortese. Io e lui eravamo entrambi chierici di chiesa in San Giovanni Battista, patrono e titolare di Motta Visconti; servivamo insieme nelle funzioni, ed il Caserio in quelle sue occupazioni di levita ci metteva un’attenzione, un concentramento proprio da credente. Di memoria tenace, riteneva facilmente e cerimoniale e preci. Insomma il parroco di Motta aveva spesso per lui vive e ripetute parole di encomio. Era amante della solitudine.” “Aveva poi un orrore incredibile per tutto quanto avesse avuto l’aria di riferirsi ad un furterello, si trattasse pure di qualche pera o qualche pesca.” “ A Motta Visconti tutti gli volevano bene; nessuna cosa faceva prevedere si tremenda catastrofe. Chi lo avrebbe mai detto quando, coi suoi capelli lunghi, il viso fresco e la pelle di agnello a bisdosso sulle spalle20, egli faceva il San Giovannino nella festa patronale del 24 giugno!...” “Eppure di quel mio compagno, a Milano, ne hanno fatto una stoffa di assassino. Quel ragazzo aveva un’indole mite e malleabile. Diretto da compagni virtuosi, ne avrebbero fatto un cittadino modello. Traviato da empi, ne cavarono uno spaventevole omicida…” “Quando appresi la notizia, non volli persuadermi fosse vera, ma poi dovetti cedere dinanzi all’evidenza. Ed allora io, povero ed oscuro frate, ho creduto che alla infelicissima madre dell’assassino non sarebbe tornata discara la parola mia di conforto al suo cuore angosciato. E mentre tutti scrivevano e telegrafavano da ogni parte del mondo alla sventuratissima vedova Carnot, io scrissi alla madre del Caserio raccomandando la povera vecchia alla misericordia del Signore.” *** L’Italia del Popolo di Milano pubblica, come documento umano, la seguente lettera che Caserio scriveva l’anno scorso alla madre sua: “Ginevra, 18 luglio 1893. Cara Madre apena ricevuto La vostra lettera eco a rispondervi, sono rimasto un poco che non ero buono di parlare a vedere che voi siete sacrifigata a mandarmi L. 6 però non sono rimasto sodisfato. A vedere scrito solo che poche riche forse che voi quando avete scrito questa lettera eravate arabiata verso di me e forsi che voi o Madre credi che sono venuto tristo21 verso di voi e tutti i miei fratelli, no ma se sapesti quanto pianto che faccio non potere mandarvi denari a voi e non sono capascio di trovare lavoro voi mi dite di venire a cassa ma io ci penso che anche voi avete bisogno e per questo che io continuo a cercare per vedere se trovo, Lavoro, sapeste io madre che mentre scrivo questa lettera continuo a piangere per voi tutti, da due volte provai a scrivere ma le lacrime mi facevano dasmetere22 di scrivere, basta non ò più nula da dirvi solo che speterete a rispondermi che così vi farò sapere se venco a casa o se troverò lavoro.” “Tanti saluti a tutti mile baccio e fateli sapere anche ai fratelli Giovanni e il Bigio [Luigi, n.d.r.] Che mi trovo via di Lugano perché io non ci ho scrito perché ci vuol sempre 25 centesimi Saluti E sono il vostro figlio Santo.” *** Un appunto filologico sul patronimico. Come il San Giovanni riprodotto nell’affresco sulla facciata della Chiesa patronale. Dialettale mottese significante “cattivo”. 22 Dal dialetto mottese “dasmœt” (smettere). 20 21 In latino si diceva caserius un operaio addetto all’industria dei formaggi (cacio; tedesco, käse); e Motta Visconti è appunto nel centro di una pianura che esercita su larga scala una tale industria, e il cognome Caserio vi è molto diffuso. *** Milano, 9 luglio (Vice-agb.) – Un redattore della Sera riporta da una intervista avuta ieri con varie persone di Motta Visconti una lettera pervenuta alcuni giorni orsono alla madre di Caserio. Eccone il testo: “Neuchatel, 2,7,94. Alla signora Caserio madre, Motta Visconti, “Signora, Mentre tanti segni di simpatia sono mandati a Parigi, in questi giorni tristi, lei non deve credere, o brava donna, che le madri di famiglia non pensino anche a lei. “Riceva dunque per lei e per la sua famiglia l’espressione della nostra simpatia per la grande sventura che vi colpisce di avere un figlio che ha potuto smarrirsi a questo punto. “Preghiamo Iddio per lui” Una madre di famiglia” La lettera è scritta in italiano, ma dalla costruzione delle frasi si comprende che è di origine francese. La povera madre di Caserio è stata assai consolata e sollevata da questo pensiero gentile. *** La Gazzetta Piemontese, con un servizio da Nizza Marittima dell’8 luglio, riferisce che un giornale locale, L’Eclaireur, ha iniziato una sottoscrizione per erigere un monumento a Carnot. Segnala inoltre che all’iniziativa non si sono tirati indietro gli italiani residenti in città e che due Compagnie drammatiche (De Ricci Grifoni al teatro Rieso e Ferrero Begino al Politeama), dopo aver chiuso i battenti del teatro per dieci giorni in segno di lutto, alla riapertura hanno dato due rappresentazioni a beneficio della sottoscrizione. Il servizio prosegue con questa notizia: Ciò non pare che ciò sia andato a genio a qualche spirito esaltato, o, se si vuol pigliarla per altro verso, a qualche burlone. Poiché i direttori delle due Compagnie ricevettero ieri una lettera ciascuno, scritta in francese castigatissimo, recante in fondo la firma: Les Anarchistes, e un disegno rappresentante una bomba in atto di scoppiare. Le due letterine, identiche, dicono così: “Signor direttore, l’anarchico penetra per tutto; guardatevi dunque voi e la vostra Compagnia, se non volete che vi cogliamo all’improvviso. Bisogna vendicare Carnot (!) e noi (!) lo vendicheremo. Ma anzitutto fuori questi cochons di italiani, che ci arruffano in mano la matassa. Abbasso gli italiani e viva l’anarchia. Gli anarchici vogliono vendicare Carnot e dare l’ostracismo agli italiani!” Anche nel nostro dipartimento qualche feroce protezionista del lavoro vorrebbe banditi gli italiani da parecchie fabbriche, manifatture e intraprese; ma la cosa non attacca, perché l’italiano qui è elemento troppo necessario e indispensabile alla vita locale; quindi tutto è e sarà calmo. La Gazzetta Piemontese 13.7.1894 n. 192 Pagina 2 Viene riportata la seguente notizia: VIGEVANO, 12 (Fernandez). Una lettera di anarchici al sindaco di Motta Visconti E non si dica che gli anarchici non conoscono una tal qual compitezza diplomatica. Ieri una persona di Motta Visconti, in posizione di essere ben informata, mi narrava che il sindaco di questo paese ricevette recentemente una lettera compitissima, proveniente da Mantova e sottoscritta “Un gruppo di anarchici”,nella quale si facevano grandi congratulazioni al sindaco perché il paesello da lui amministrato ebbe l’alto onore di dare i natali ad un cittadino del merito e della benemerenza d’un Sante Caserio e si esprimeva un voto di plauso all’operato del Caserio stesso in nome di tutto il partito anarchico; infine si ufficiava il sindaco a incaricarsi di leggere questa stessa lettera alla famiglia del Caserio. Il sindaco, manco a dirlo, non solo non tenne calcolo dell’incarico, ma girò la lettera all’Autorità politica di Abbiategrasso. La Gazzetta Piemontese 15.7.1894 n. 193 Pagina 1 L’esagerazione del sindaco Baj! Ovvero, quando si vuole strafare. La Gazzetta Piemontese registrò anche questa notizia: La famiglia Caserio Milano, 14 luglio (Vice-agb.) – Ricordate che ultimamente il sindaco di Motta Visconti, signor Baj, spedì al Governo francese e fece pubblicare i sensi d’indignazione della popolazione del paese pel delitto del Caserio, ed aggiungeva che la stessa famiglia del Caserio si univa in questa protesta indignata contro l’assassino. Alcuni giornali rilevarono l’inopportunità e l’esagerazione di questa espressione. Ora ho saputo da un cugino del Caserio, cameriere in un restaurant di Milano, che il fratello del Sante si è recato ieri altro a Motta per protestare presso il sindaco che ha redatto il telegramma; essendo certo che se il funzionario ha avuto effettivamente l’assentimento della famiglia, questa, composta di poveri contadini, non aveva certamente compreso la portata ed il significato della frase. La Gazzetta Piemontese 19.7.1894 n. 198 Pagina 3 Caserio rinviato alle Assise LIONE (S.g.) 19. La Sezione d’accusa esaminò e concluse per il rinvio di Caserio dinanzi alla Corte d’Assise. Il relativo incartamento fu immediatamente trasmesso al Presidente della Corte. La Gazzetta Piemontese 20.7.1894 n. 199 Pagina 2 Fervono i preparativi per il processo e la Gazzetta riporta questo articolo: Sante Caserio Mandato da Lione a la Tribuna: “Il processo di Sante Caserio è fissato per il 27 luglio. Da qualche giorno si lavora a restaurare la sala della Corte d’Assise. Questa sala è grande e alta di volta e di aspetto imponente, con un colonnato di marmo bianco; ma era in uno stato di manutenzione da far pietà. “Insieme ai restauri, delle modificazioni sono state appartate alla sala. Per esempio, finora gli accusati si recavano al loro banco, collocato di fronte agli stalli dei giurati, passando in mezzo al pubblico. Adesso per Caserio è stato creato un passaggio speciale. Inoltre gli accusati aspettavano finora il loro turno per essere giudicati in celle situate nei sotterranei del palazzo di giustizia. Caserio invece, appena giunto dalla prigione di San Paolo, sarà trattenuto in una cameretta che fino ad ora serviva agli accusati che aspettavano il verdetto dei giurati. “Il tavolo della Stampa nei giorni ordinari è collocato innanzi al banco della Difesa. In questa occasione, siccome si prevede una affluenza straordinaria di reporters, sarà messo a loro disposizione anche il tavolo dei corpi di reato. “I corpi di reato nel processo attuale si riducono a ben poca cosa: al pugnale di cui si servì Caserio e ad un disegno in riduzione della carrozza in cui il presidente Carnot fu colpito. Nella vettura non fu trovata alcuna traccia di sangue. “La maggior parte delle persone che hanno incontrato il Caserio nel tragitto da Cette a Lione sarà udita all’udienza. Inutile aggiungere che i primi ad essere intesi saranno i testimoni oculari del dramma: gli staffieri che erano seduti dietro la vettura, il generale Borius, Ravaud, prefetto del Rodano, e Gailleton, sindaco di Lione. Uno dei testimoni più importanti sarà il signor Artigand, armaiuolo di Cette, che vendé l’arma a Caserio. “Un episodio che potrebbe intitolarsi: Mors tua, via mea. “Il signor Artigand ha ricevuto finora più di mille domande di pugnali identici a quello che comperò Caserio. I suoi operai non bastano a far fronte a tante commissioni. “La prigione in cui è rinchiuso Caserio, la prigione di San Paolo, è situata dietro la Voûtes de Perrache, a cento metri dalla chiesa di Santa Bauldina, innanzi alla quale si fanno le esecuzioni capitali e dove il 9 gennaio ultimo fu ghigliottinato Busseuil, l’assassino di una donna pubblica. É una prigione modernissima, provvista di tutti i perfezionamenti in materia penitenziaria. “Caserio, che occupa la cella n. 14, ha smesso la sua aria arrogante e si mostra grave e pensoso. Una delle sue grandi preoccupazioni è la data del processo. Vorrebbe essere affrettato, perché teme di infiacchirsi e di perdere l’energia che lo ha sostenuto finora. “All’udienza si vedrà se sono un uomo!” egli spesso ripete ai suoi guardiani. “Riceve con molta affabilità il giudice istruttore e si piega, senza lamentarsi, a tutte le formalità. Si leva la mattina all’ora regolamentare, alle 5, e si nutre del cibo prescritto dal regolamento: pane nero, una zuppa la mattina, un piatto di legumi secchi alle 4 pom. e carne due volte la settimana. Non ha mai bevuto del vino, né ha reclamato per averlo. Siccome non lavora, non ha alcun pecunio. Uno sconosciuto gli spedì una lira e 50 centesimi accompagnati da una lettera di congratulazioni; ma né il denaro né la lettera gli furono rimessi. “Caserio va a letto alle 7 e dorme profondamente fino all’ora della sveglia. “Le piccole nuances [sfumature, n.d.r.] della lingua francese gli sfuggono, ma sa rispondere abbastanza bene a una domanda formulata in modo preciso. Così che forse non occorrerà un interprete ai dibattimenti. “Un fatto curioso è che la lista dei testimoni che hanno veduto il Caserio si ferma a Lione. Qui non si è potuto, malgrado tutte le ricerche, trovare né quel giovane che gli indicò la strada, né le persone che egli urtò per avvicinarsi alla carrozza di Carnot, e nemmeno il gardien de paix col quale Caserio disputò a proposito di un monello che si era arrampicato su un fanale.”23 La Gazzetta Piemontese 22.7.1894 n. 201 Pagina 2 Fra le notizie dall’estero vi è questa: FRANCIA. Una lettera di Caserio all’avv. Podreider L’avv. Podreider, dopo essere stato rifiutato dal Caserio, ricevette da lui la seguente lettera: “Lyon, 18 luglio 1894 “Illustrissimo signor avvocato, so che siete stato raccomandato da tutta la mia cara Famiglia , e dei miei cari compagni di lavoro di venire a difendermi. Anche io vi acceto come il mio avvocato difensore essendo che la Lecce mi obliga avere un Avvocato, dunque e meglio che sapette parlare anche L’italiano. “chredo che andrete d’acordo con il Presidente della Corte d’Assise il giorno che dovete venire. “Ricevete un saluto e mi farette un cran favore di farci sapere ai niei compagni Panetieri e la mia Cara Famiglia che vi ho cetato come il mio Difensore. Caserio Santo.” La Gazzetta Piemontese 25.7.1894 n. 205 Pagina 2 I confessori di Caserio I due sacerdoti che si sono proposti per recarsi a Lione allo scopo di confessare e convertire Caserio sono: don Carlo Pellegrini, aggiunto alla cancelleria della Curia, e don Luigi Testa, assistente spirituale alle Vettere. La loro partenza è però subordinata al permesso delle Autorità ecclesiastiche.24 La Gazzetta Piemontese 25.7.1894 n. 205 Pagina 3 Un’intervista coll’avv. Podreider che andrà a difendere Caserio Un redattore della Sera ha avuto un lungo colloquio coll’avv. Podreider, di cui tanto di è scritto di questi giorni. Stralciando i punti più interessanti della conversazione a titolo di semplice curiosità, pur facendo le nostre assolute riserve sull’opportunità di questa partenza di un avvocato italiano alla difesa di una testa perduta… “Ebbene, avvocato, lei che avrà letto cosa scrissero i giornali sul suo conto, ci dirà francamente: a Lione ci va sì o no?” “Veramente –ci disse- io tengo molto, particolarmente dopo tutte le diatribe e le polemiche che si sono fatte sul mio nome, a fare questa difesa. Comprenderà che dopo quanto si è detto e scritto in questi giorni sull’argomento, io sono come messo in puntiglio, si è eccitato il mio amor proprio; se si sapesse a quante difficoltà ho dovuto parare!” Non solo, non si parla più di complici e di complotto. Quanto ipotizzato nei giorni successivi all’attentato, nonostante gli sforzi investigativi, non ha trovato riscontro alcuno in sede di istruttoria del processo. 24 Tale compito toccherà a don Alessandro Grassi, coadiutore di Motta Visconti ed ex trappista. 23 “Quali, per esempio?” “Ma… ecco: io non sono per nulla un anarchico, e non posso quindi difendere il Caserio basandomi sulle teorie che egli professa; mancherebbe assolutamente in me la convinzione. Non sono neppure socialista e non posso valermi, come fece il mio collega Lollini per il Lega, degli argomenti che mi potrebbero venire dalle teorie di quel partito. A me non è dato difendere il Sante Caserio che appoggiandomi alla sua irresponsabilità, alla impulsività del suo delitto. E di questa tesi io ho una convinzione più che profonda e che d’altra parte è condivisa da tutti i psichiatri italiani che ho interrogato ed ai quali ho scritto. E di questo fatto sono convinti, come le dicevo, tutti i nostri maggiori specialisti psichiatri, ma…” “Ma?...c’è un ma?” “C’è e non lieve, tutti questi grandi scienziati se si trattasse di testimoniare per il disgraziato qui in Italia, in casa nostra, non esiterebbero un momento ad intervenire come periti. Ma trattandosi di andare all’estero, dicono che è un altro affare ed in maggioranza si sono disinteressati della questione.” “E che ragioni adducono?” “Molte, moltissime, perfino troppe; alcune delle quali non hanno serio fondamento. Si figuri che le principali sono queste: che alcuni temono di non sapersi esprimere con sufficiente correttezza in francese, e conseguentemente di prestarsi troppo alle canzonature dei giornale francesi. Altri hanno timori di conseguenze internazionali, dicono che i questi tempi di rancori tra i due popoli latini può fare cattiva impressione nel pubblico francese l’intervento di un psichiatra italiano in favore del Caserio; altri infine –e questo mi duole dirlo- temono persino per la sicurezza personale. […] “Siccome fino a poco fa questo mi mancava e istavo veramente per rinunciare al grave incarico e ne avevo già telegrafato al signor Dubreuil, quando ho trovato un insigne scienziato torinese, del quale mi consenta per ora di tacerne il nome..” “Lombroso?...” “No, non è Lombroso… quel psichiatra pare che verrà; me lo ha telegrafato, sotto date condizioni. Queste io non le conosco ancora, ma non dubito che ci potremo accordare.” “Perché non ha cercato di trovarne colà?” “Perché non ne conosco intimamente il valore, perche essi più che i nostri devono temere l’impopolarità, perché sono quasi tutti impiegati in stabilimenti dello Stato ed infine perché questa scienza è forse colà meno bene intesa e meno progredita che da noi. Ad ogni modo, mancandomi ogni appoggio qui cercherò di averne là, ma ormai credo di non averne più bisogno.” “Insomma, a Lione ci va sì o no?...” “Se nulla succede, sì…” L’avv. Podreider comunica al giornalista un documento rilasciatogli dalla Direzione del Manicomio di Milano da cui risulta che tre parenti prossimi di Caserio furono ricoverati in quel Manicomio25. La Gazzetta Piemontese 27.7.1894 n. 206 Pagina 2 La difesa di Caserio Gli ultimi telegrammi recano che l’avvocato Podreider non andrà a Lione a difendere il Caserio. E tanto meglio. Per ogni delinquente, anche pel più indegno di pietà, il diritto della difesa è imprescrittibile e sacro. Ma, nel caso speciale, non era opportuno e tanto meno necessario che andasse a fungere da difensore proprio un avvocato italiano. Il Caserio sarà difeso, come sappiamo, dall’avv. Dubreuil, batonierr26 del Consiglio di disciplina degli avvocati di Lione, nominato d’ufficio. La Gazzetta Piemontese 27.7.1894 n. 206 Pagina 3 Il processo Caserio dinanzi all’Alta Corte? PARIGI (N.g.) 27 (ore 9,10). L’avv. Dubreuil, presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Lione, designato d’ufficio per la difesa di Caserio, avrebbe consigliato il suo cliente a ricorrere contro l’ordinanza della Camera d’accusa per ottenere di essere rinviato davanti all’Alta Corte di giustizia. Dubreuil motiverebbe il ricorso sul fatto che quello di Caserio è un delitto politico, epperciò di competenza 25 26 Risultò poi che non erano parenti, ma solo omonimi. A Motta Visconti il cognome Caserio era molto diffuso. Difensore d’ufficio dell’Alta Corte. Se al ricorso si facesse luogo, il processo sarebbe rinviato ad epoca indeterminata, sinora però Caserio non ha firmato il ricorso. La Gazzetta Piemontese 29.7.1894 n. 207 Pagina 3 Proibizione della pubblicità al processo Caserio? Podreider andrà a Lione. PARIGI (n.g.) 28 (ore 9). Dispacci da Lione recano che il presidente della Assise, Breuillac, d’accordo col guardasigilli, interdirà la pubblicità al dibattimento del processo Caserio.(?) I giornali sarebbero autorizzati a pubblicare soltanto l’atto d’accusa, il verdetto e la condanna27. Altri dispacci confermerebbero che, contrariamente a quanto da molti giornali si disse, l’avv. Podreider si troverà realmente alla sbarra della difesa a Lione il 2 agosto28. La Gazzetta Piemontese 29.7.1894 n. 208 Pagina 2 MILANO, 28 (Vice-agb.) Un prete di Motta a Lione. Il movimento dei preti attorno a Santo Caserio continua. Il cappellano delle carceri di Lione ha invitato a recarsi colà il sacerdote Alessandro Grassi, coadiutore di Motta Visconti è già confessore del Caserio. Il sacerdote è partito subito alla volta di Lione, munito delle credenziali arcivescovili. In quanto alla difesa di Caserio si nota che gli interessati lavorano senza tregua per raccogliere documenti e testimonianze sulla pazzia ereditaria saltuariamente nella famiglia. Il signor Pietro Baj, sindaco di Motta, è disposto anzi a recarsi a Lione per testimoniare della epilessia che travagliava il padre di Caserio, e che si presume in parte ereditata da questi. La Gazzetta Piemontese 31.7.1894 n. 210 Pagina 3 Un manoscritto di Caserio Lione, 30 luglio. (Cesare) – Caserio ha scritta la sua difesa. Egli ha finito di copiarla. Essa occupa tre fogli di formato notarile. É scritta in cattivo italiano ed è zeppa d’errori ortografici. Eccone alcuni brani: “Fino dalla mia più tenera infanzia fui colpito da questa lotta ineguale e sovranamente ingiusta fra la povertà lavoratrice e il capitale orgoglioso. Mentre l’infelice operaio consacra la sua vita ad una fatica incessante, che quando è interrotta da una malattia o da altra causa, la sua famiglia muore di fame, il capitalista borghese passeggia in vettura, ride della miseria del popolo e si rimpinza sino ad ammalare. “Non è per l’inazione che si arriverà al regno della giustizia. Agli anarchici il dare l’esempio. “Ho freddamente ucciso il presidente Carnot perché egli incarna meglio il tipo borghese, perché egli è il tiranno che passeggia in carrozza con dei valletti che lo servono come bestie, mentre nelle stamberghe migliaia d’esseri umani muore di fame…29” Il documento formicola di ripetizioni. La Gazzetta Piemontese 1.8.1894 n. 211 Pagina 3 Alla vigilia del processo Caserio Della dichiarazione di Santo Caserio, letta in aula dall’interprete messo a disposizione del Tribunale, verrà vietata la divulgazione. (“L’anarchiste et son juge” di Pierre Truche, edizioni Fayard, 1994) 28 L’avv. Podreider rinunciò in aula a sostenere la sua linea difensiva tesa a dimostrare la “follia” dell’imputato anche attraverso visite fiscale a madre e fratelli perché Caserio la contestò. (Leggasi più avanti la lettera pubblicata dalla Gazzetta il 1° agosto). L’arringa finale verrà tenuta dal difensore d’ufficio Dubreuil. (c.s.) 29 La parte del testo riportato dalla Gazzetta Piemontese non corrisponde esattamente a quanto scritto da Caserio (vedasi testo integrale più avanti 27 Lione, 31 luglio. (Cesare) – Probabilmente perché assorbiti dai divertimenti sportivi, dalle regate internazionali, dalla gara ciclistica di 1040 chilometri, probabilmente anche per non ripetersi, da circa una settimana i giornali di qui non parlano quasi mai del processo Caserio. I fogli parigini però, che devono mostrarsi sempre, se non bene, almeno copiosamente informati, trovano quasi quotidianamente qualche notizia, vera o falsa, di nessuna o di qualche importanza, da inserire. Generalmente però o sballavano frottole, o ripetevano in altra forma cose già note. Per esempio, il Journal, una delle gazzette meglio redatte non solo della Francia, ma di tutto il mondo, anche ieri sosteneva che la sessione della Corte d’Assise del Rodano è stata chiusa inopinatamente e che Breuillac non presiederà la sessione durante la quale Caserio sarà processato. Le due notizie erano semplicemente false. Infatti i processi continuano a svolgersi quotidianamente davanti alla nostra Corte d’Assise, la quale è sempre presieduta da De Breuillac, che –se non gli capita proprio qualche malanno straordinario- presiederà anche posdomani, quando verrà la volta di giudicare l’ormai celebre fornaio di Motta Visconti. Il curato di questo paesello, don Alessandro Grassi, trovandosi da qualche giorno in questa città, ha potuto vedere il Caserio in carcere, ma non ha nemmeno tentato di indurlo a confessarsi. Il cappellano delle carceri, l’abate Ponthus, ha pure capito che per il momento non val la pena di irritare con tentativi perfettamente inutili il giovane assassino del presidente della Repubblica. Questo abate Ponthus mi ha detto in una breve intervista che ebbi con lui che egli trova il tipo di Caserio simpatico, che ritiene essere stata la di lui indole buona, mite, generosa, che questo giovane delinquente sarebbe probabilissimamente divenuto un ottimo cittadino se fosse cresciuto in altro ambiente. Confesso che non mi manca la tentazione di riassumere la prima parte della terribile tragedia il cui secondo atto comincerà a svolgersi posdomani alle Assise di questa città. Ma farei troppo torto alla memoria dei lettori della Gazzetta se ripetessi, anche succintamente, la narrazione dei fatti accaduti la sera del 24 giugno in Rue de la République, l’assassinio commesso dal Caserio, i susseguenti disordini, la caccia all’italiano, la morte di Carnot, i di lui funerali e via via. Presenterò invece la scena su cui si svolgerà il succitato secondo atto. Il palazzo di giustizia di Lione è un grandioso fabbricato che sorge sulla riva destra della Saone, ai piedi della collina di Fourvières. A sud ha l’Arcivescovado, ad ovest il celebre Santuario della Madonna protettrice di Lione, ad est il fiume, a nord viuzze in cui trovansi osterie, negozianti di […illeggibile] ed altri oggetti di devozione. Del resto tutto il quartiere Fourvières puossi dire occupato esclusivamente da chiese, da conventi, da collegi, da mercanti di statue ed oggetti pel culto, nonché da alberghi ed osterie. La facciata del palazzo è resa imponentissima da un grandioso colonnato d’ordine corinzio. L’edificio occupa l’area dell’antico palazzo di Roanne. La sua costruzione, cominciata nel 1835, fu terminata nel 1842. É’ un bel monumento architettonico, ma non serve molto bene allo scopo per cui fu innalzato. La sala della Corte d’Assise non è troppo vasta, ha di rimarchevole un Cristo del pittore Bonnefond e le decorazioni delle pareti. Fu in questa sala che furono giudicati nel 1883 gli anarchici alla cui testa trovavasi il principe di Kropotkine. Per accedere dal centro della città al palazzo di giustizia si attraversa un ponte sospeso sulla Saone. Questo ponte è stato in questi giorni rimesso a nuovo; fu cioè rifatto il pavimento, furono verniciate le funi, ritoccati i pilastri. Non è da dirvi la ressa che si fa al Greffe per avere biglietti per assistere al processo. Il presidente delle Assise però ha deciso di largheggiare esclusivamente coi giornalisti. La requisitoria contro Caserio sarà pronunciata dal procuratore generale Fauchier. Difensore sarà, come sapete, il bàtonnier dell’Ordine degli avvocati, Dubreuil. I testimoni iscritti sorpassano la trentina. Da domani sera il palazzo sarà occupato militarmente. Sebbene finora nessun indizio lasci temere qualche furore da parte della folla e pare che si abbia definitivamente rinunciato all’idea di fare giustizia sommaria dell’assassino di Carnot, pure severissimi provvedimenti furono presi. Pare dunque probabilissimo che venerdì sera la condanna sarà pronunziata e il Caserio ricondotto alla sua prigione senza che nessun disordine sia scoppiato. Un’altra lettera di Caserio L’avv. Podreider ha ricevuto ieri un’altra lettera di Santo Caserio, che diamo affatto integrale, coi numerosi errori che essa contiene: “27 luglio 1894. “Illustrissimo signor Avvocato Podreider, “Avvendo letto il suo ultimo Telecrama, Vi rispondo chè io non voglio che fate visitare la mia cara Madre ed i miei fratelli per farli passare per passi chè sono ciamai statti passi e che non sono nemeno ogi. “Anche né non sono mai stato passo, come anche in questo momento che mi trovo in prigione non sono. “Se ò uccisso il Presidente Della Repubblica non è chè sono passo, mà è per il mio ideale anarchico. “Io cetto da lei una difesa chè corrisponde all’ideale anarchico è non come lei a l’intenzione sopra il suo telecrama. “Lo saluto e sono Caserio Santo” La Gazzetta Piemontese 2.8.1894 n. 212 Pagina 3 Il processo di Sante Caserio L’assassino di Carnot Una scena del processo: Caserio durante la deposizione dei testimoni Disegno di Scott per l’Illustration LIONE (N.g.) 2 (ore 7,10). Sante Caserio ha atteso fino a questa notte con calma di essere tradotto alle Assise. Egli ha rivisto il suo antico direttore spirituale di Motta Visconti, don Grassi, il quale ha cercato di indurlo a confessarsi e ad esprimere orrore pel delitto commesso. Ma il Caserio ha resistito a tutte le esortazioni; egli anzi si è dichiarato soddisfatto del suo delitto e ha soggiunto: “La morte non mi spaventa; mi si vedrà alla Corte d’Assise, mi si vedrà ai piedi della ghigliottina: non vacillerò.” Tuttavia si lasciò baciare ed abbracciare dall’abate Grassi, che veniva a trovarlo da parte di sua madre, e con lui parlò del villaggio natio e dei parenti. Ma ogni volta che il prete abbordava la questione della religione e del pentimento, Caserio usciva in violenti dichiarazioni. Il buon prete lo pregò, a nome di sua madre, di confessarsi e di chiedere perdono a Dio ed agli uomini. Caserio resistette sempre30. Intervenne allora il direttore delle carceri e gli disse di ascoltare il prete, perché potrebbe benissimo essere condannato a morte. Caserio rimase alquanto titubante, poi rispose: “Ebbene, vedremo dopo il processo…” Che questa risposta lasci credere ch’egli spera tuttavia di aver salva la testa?!... Ieri il direttore delle carceri ricevette da Roma all’indirizzo di Caserio un libro don Grassi legato in rosso su cui sta scritto: Il Nuovo Testamento. Lo speditore scrisse a matita nell’interno queste parole; “A nome di N.S. Gesù Cristo rimettete a Caserio questo libro, solo rimedio contro l’anarchia.” Così pure il Caserio ha continuato a protestare fino a ieri che egli non vuole assolutamente essere giudicato un pazzo. In una conversazione avuta con il suo difensore avvocato Dubreuil, egli, sentendo le idee del suo interlocutore, scattò esclamando: “La pazzia? Ma io non sono pazzo. Io vi proibisco di dire una tal cosa. Se voi parlerete di pazzia, io vi smentirò. Voi non avete il diritto di parlarne. É’ una menzogna. Io pazzo? Io so quello che ho fatto; se ho ucciso Carnot, si fu dopo una ben matura riflessione su ciò che facevo. D’altra parte io dirò perché l’ho ucciso ai giurati. E si vedrà che io non sono pazzo.” Per calmarlo Dubreuil dovette permettergli che nella difesa avrebbe rinunziato a questo mezzo. Del resto Caserio, a quanto si dice, continua ad essere non solo calmo, ma ad affettare anche una certa indifferenza. Egli ha ricevuto notizia di tutti gli atti del procedimento senza fare nessuna osservazione, come se non si trattasse di cose che lo riguardano. Questa mattina alle ore 4,30 Caserio venne trasportato dalle carceri di Saint-Paul al palazzo di giustizia in vettura cellulare scortata da quindici gendarmi a cavallo. Stante l’ora mattutina, pochi erano i curiosi presenti al trasporto. Il Caserio venne chiuso nella camera di sicurezza pei detenuti, che comunica con l’aula della Corte d’Assise mediante un corridoio. Ora molta gente si affolla intorno al palazzo di giustizia, davanti al quale sta schierato una battaglione di fanteria. Monsignor Palestra nel 1982, scrisse la Storia di Motta Visconti, sponsorizzata dall’Amministrazione Comunale. Nel riportare la lettera del 3 agosto 1894 di Santo alla madre, laddove fa riferimento alla visita di don Grassi, dopo la frase “Io ringrazio don Alessandro che è venuto a vedermi…”. Mons. Palestra mette i punti di sospensione tralasciando cinque parole e cioè: “ma io non voglio confessarmi.” Singolare questa censura! Se ancora nel 1982 qualcuno ha ritenuto di censurare le lettere di Santo Caserio e di non comunicarle integralmente alla popolazione mottese a cui era destinato il libro, è facile immaginarsi quale era il clima ed il contesto locale (e nazionale) degli anni di fine ottocento. 30 (ore 8) – In poche ore gli animi pacifici dei cittadini lionesi hanno subito la polarizzazione che prevedevasi. Una forte corrente di curiosità si manifesta dovunque. Tutti trovano necessario di occuparsi dell’imminente celebre processo. Una gran folla si pigia nei pressi del palazzo di giustizia, che è occupato da un battaglione di fanteria. Quivi ieri nel pomeriggio v’era una moltitudine di giornalisti parigini, dei dipartimenti e stranieri che cercavano di fissare il loro posto per il processo. Sbrigato con un’assoluzione l’affare di un povero diavolo che era imputato di aver approvato –essendo ubriaco- l’assassinio di Carnot, il presidente della Corte d’Assise scese in mezzo alla sala cercando di accontentare i giornalisti d’ogni nazionalità, che naturalmente vantavano i loro diritti. I più esigenti erano gli spagnuoli, i più remissivi gli italiani e i rappresentanti la Stampa dipartimentale. Le case dove abitano i magistrati che devono giudicare Caserio sono sorvegliate dagli agenti della polizia lionese. Così pure nell’atrio della casa via Vittor Hugo, n. 48, dove sta il consigliere Breuillac, che presiede l’Assise, sta in permanenza un agente, il quale sorveglia ed esamina con molta cura tutti quelli che portano pacchetti più o meno misteriosi. Non si sa mai! Il presidente fino da ieri ha date tutte le ultime disposizioni per l’arredamento dell’aula. Caserio comprende abbastanza il francese, ma lo parla male esprimendosi in un certo patois franco-lombardo, che qui non sarebbe inteso dai più. Quindi ci si servirà di un interprete, il quale è stato nominato nella persona del signor De Gennéval, professore di lettere italiane alla Scuola di commercio di Lione. É’ un toscano. La Gazzetta Piemontese 3-4.8.1894 n. 213 Pagina 1 Il processo di Sante Caserio l’assassino di Carnot Interrogatorio dell’imputato LIONE (N.s.) 2 (ore 14,20). Pochi minuti dopo che il Caserio è introdotto nell’aula, il presidente della Corte, Breuillac, procede al suo interrogatorio, che non riesce molto lungo né supremamente interessante. Sin dalle prime rispose Caserio è o si mostra assai calmo e parla con voce piuttosto dolce. Chieste ed avute le generalità d’uso stabilenti l’identità dell’imputato, il presidente fa narrare a Caserio la storia in succinto della sua vita, parlando anche della sua famiglia. Ad un certo punto gli chiede: “Ma amavate voi questa famiglia di cui tanto parlate?” “L’ho sempre amata. Ma più ancora di essa, da quando ho avuto la ragione, appresi ad amare l’umanità…” É qui Caserio accenna alla prima volta ad accalorarsi e ad entrare nelle sue digressioni anarchico-sociali. Si vede che questa delle dichiarazioni di fede è una delle sue preoccupazioni. Ma il presidente lo richiama ben tosto alla narrazione del fatto, che Caserio ripete quasi con le stesse parole con cui l’ha narrato al giudice istruttore. Narra come da Cette capitasse a Lione a piedi con la ferma intenzione di compiere il misfatto. Dice: “Giunto a Lione, vidi un palazzo illuminato, che era quello della Borsa. La gente diceva che il presidente doveva uscire di là per recarsi a teatro. Ero sulla sinistra, ma sapendo che il presidente sedeva in carrozza a destra, tentai di traversare la via. Ecco la carrozza del presidente. Ai due lati eravi un cavaliere. La testa del cavallo di destra trovavasi circa al livello della testa del presidente. Mentre passavano gli ultimi cavalieri che precedevano la carrozza, aprii la mia giacchetta, afferrai il pugnale colla sinistra, essendo collocato nell’unica tasca di destra interna, quindi, urtando due giovinotti che mi stavano davanti, ripresi il pugnale colla destra, facendo colla sinistra scivolare il fodero, che cadde a terra. “Mi avanzai, però senza saltare, verso la carrozza, e seguendo una linea obliqua, appoggiai la mano sinistra sulla carrozza, e con un colpo solo portato dall’alto in basso, cacciai il pugnale fino alla guardia nel petto del presidente. (Il pubblico scoppia in esclamazioni di orrore.) “La mia mano toccava il suo abito; lasciai il pugnale nella ferita. Il manico aveva ancora un pezzo di giornale. Nel portare il colpo gridai: Viva la rivoluzione! “Quindi mi ritrassi vivamente; poi, vedendo che non mi arrestavano, che non si mostrava di comprendere che cosa avevo fatto, corsi innanzi alla carrozza e passando presso i cavalli gridai: Viva l’anarchia! Questo grido fu inteso dagli agenti. Poi passai davanti ai cavalli, dirigendomi sulla sinistra, obliquamente, tentando di penetrare nella folla e sparire. Donne e uomini rifiutarono di lasciarmi passare. Dietro di me si gridava: Arrestatelo! Un agente mi mise pel primo le mani addosso afferrandomi al collo per il di dietro e tosto fui preso da una ventina di persone.” Ad un certo punto il presidente gli chiede: “Ma dopo tutto voi, che con tanta franchezza confessate il vostro reato, che scopo vi prefiggevate commettendolo?” “Sapevo di non ottenere risultati pratici ed immediati, ma ho voluto fare un gran colpo che impressionasse, che terrorizzasse questi borghesi…” E qui secondo tentativo di tirata anarchica. Ma anche qui il presidente lo frena e rivolgendosi all’usciere dice: “Fate vedere all’imputato quel corpo di reato. (E addita il pugnale con cui Caserio ha trapassato il fegato di Carnot.) A questo punto scorre un fremito per tutta l’aula. Voilà ‘l poignard!... Il est taché de sang!... C’est le sang de ce pauvre président !... Queste ad altre frasi consimili infiorate di qualche imprecazione... udiamo mormorata tra le file dello scarso pubblico ed anche tra i giornalisti… Caserio, con la faccia smorta, sbarra gli occhi su quell’arma lorda ancora di sangue coagulato della sua vittima, e alla domanda del presidente se egli la riconosca per sua, prima tace, poi ad una seconda domanda risponde laconicamente e prontamente: “Si, è il mio pugnale.” Succede un nuovo mormorio nell’aula, che è tosto represso. Il pugnale è dall’usciere rimesso al posto di prima. Il presidente ordina all’imputato di sedersi. Dopo di che il cancelliere comincia la lettura dell’atto d’accusa, che è piuttosto lungo e minuzioso. Mentre il cancelliere legge, non perdo mai d’occhio Caserio, che ha ripreso il suo contegno calmo di prima. Egli guarda spesso per l’aula e ferma volentieri gli occhi sui banchi dei giornalisti, che, tra parentesi, sono i più popolati. Dei giornali italiani sono rappresentati dai rispettivi corrispondenti la Tribuna, la Sera, la Gazzetta Piemontese, il Caffaro, il Corriere della Sera e il Secolo. Dopo l’atto d’accusa si fa la chiama dei testi; sono fra questi personaggi ragguardevoli, come i generali Borius e Voisin, il prefetto Rivaud, il sindaco di Lione Gailletou ed i dottori Ollier e Poncett. (ore 16,10-Urgenza)- É già mezzogiorno e l’udienza viene sospesa. Alle ore 14 viene ripresa e dura fino alle 16. Durante questa ripresa si procede all’interrogatorio dei 19 testimoni; questi con brevi deposizioni, confermano tutti la deposizione fatta già da Caserio. Nasce solo una discordanza tra questi, il calzolaio Demergue ed il parrucchiere Bouthiet. Questi due ultimi affermano di aver essi arrestato Caserio al momento in cui dopo aver fatto il colpo tentava sparire tra la folla. Ma Caserio, scattando, grida: “Non è vero! Mi hanno arrestato le guardie. Eppoi io non fuggii per nulla tra la folla, -aggiunge indespettito- sapevo benissimo che mi avevano preso.” I due insistono, Caserio pure, ed il presidente, vista l’ora e soprattutto il cado, li mette d’accordo… sospendendo la seduta. Questa sarà ripresa stamattina alle nove per la requisitoria e per la difesa ed in giornata forse sul tardi, si avrà la sentenza. Altri particolari dell’interrogatorio LIONE (N.m.) 2 (ore 20,10). Raccolgo ancora alcuni particolari sull’interrogatorio, che mi paiono degni di nota. L’interrogatorio riesce alquanto difficile: Caserio comprende male le domande del presidente e risponde in cattivo francese. Parla generalmente con voce dolce, quasi indifferente, soprattutto quando il presidente gli parla della sua fanciullezza. Egli protesta vivamente quando il presidente fa cenno della malattia ereditaria nella famiglia di lui, che potrebbe renderlo irresponsabile. Qui Caserio discute i fatti citati a proposito e si dichiara nel pieno godimento di tutte le sue facoltà mentali. Presidente: “Caserio, dite quando avete aderito all’anarchia; è stato nel maggio del 1891?” Caserio: “Ben prima, ben prima come dirò ai giurati nella mia dichiarazione che ho preparata…” Dopo una rapida narrazione della prima infanzia di Caserio, che non fu segnalata da alcun atto di particolare cattiveria o da altre circostanze notevoli, il presidente passa a richiedere all’imputato delle sue relazioni avute con anarchici italiani e stranieri. Qui l’accusato ridiventa muto. Non vuol dare spiegazioni. Si direbbe che ha paura di essere interrogato. Gli premono i compagni. L’interrogatorio passa quindi in rivista i fatti e le gesta di Caserio a Milano, Lugano, Ginevra, Lione, Vienna, Avignone, Cette fino al 23 giugno. Dappertutto il Caserio è legato con gli anarchici: a Cette il Caserio sembra fosse il capo degli anarchici. Il presidente si estende in munite indagini e interrogazioni, a cui l’imputato risponde con manifesto compiacimento31 narrando particolareggiatamente le vicende dei suo viaggio da Cette a Lione. Quando il presidente gli ricorda che l’assassinio di Carnot fu commesso nel giorno anniversario di Solferino, Caserio risponde: “Appunto; era la festa della guerra civile.” (Mormorio nel pubblico) Il grande sfoggio di particolari, la minuziosa precisione posta nel narrare i fatti e la meditata indifferenza dell’imputato destano una viva commozione nell’uditorio. Caserio dice: “Il mio braccio mi ha tradito; volevo colpire Carnot al cuore.” Pierre Truche, nel suo libro L’anarchiste et son juge, Ed. Fayard 1894, a pag. 48, riferisce che Caserio durante le udienze, non mancò di sfoggiare il proprio umorismo ed il proprio sarcasmo. Alla domanda del giudice: “A Cette, frequentavate gli anarchici?”, Caserio rispose: “Non potevo andare dai borghesi”; alla domanda “voi frequentavate un barbiere anarchico”, rispose “Non potevo certo andare dal panettiere a farmi tagliare i capelli!” Quando il giudice gli chiese se avesse scritto un giorno “Se io ritornassi in Italia, ucciderei il papa ed il re”, rispose “Non tutte e due contemporaneamente; non escono mai insieme!” 31 Presidente: “Il delitto lo avete premeditato?” Caserio: “Questo lo dirò nella mia dichiarazione ai giurati.” Presidente: “Avete voi detto che se poteste tornare in Italia uccidereste il Papa e il Re?” Caserio: “Il Papa e il Re non istanno insieme per poterli uccidere entrambi!” Caserio nega formalmente l’esistenza di un complotto e di complici. Dice di avere ubbidito alla idea di vendetta e di odio che anima ogni anarchico, non alla ispirazione d’un capo qualsiasi; se egli colpì Carnot in offesa delle leggi umane e naturali, fu perché Carnot fece uccidere degli anarchici. Soggiunge: “Del resto io sono come un soldato, che deve essere pronto a ogni cosa! Presidente: “Che paragone fate! I soldati non assassinano la gente; i soldati servono la patria, mentre voi per correr dietro a criminosi ideali, avete rinnegata la vostra.” Caserio con aria da ispirato: “La mia patria è l’universo!” Del resto Caserio ammette ogni cosa; pare anzi che si compiaccia di insistere sui particolari. Contesta solo al fornaio Viala di Cette di aver detto vile Henry32. L’imputato sorride ai magistrati e lancia occhiate di supremo dolore sulla folla, dove non trova nessun occhio amico. I testimoni L’audizione dei testimoni è finita alle ore 17 e mezzo. Resta da udire il soldato Leblanc. Che, a quanto pare, sarebbe il teste più interessante. I testi odierni invece non hanno deposto nulla di nuovo o di interessante. Eccovi però alcuni particolari intorno alle loro deposizioni. Cousin, commissario di polizia, e 4 agenti depongono sopra i particolari dell’arresto e ripetono le parole pronunziate da Caserio al Commissario di polizia. Il generale Voisin descrive la gioia intima provata da Carnot per le entusiastiche ovazioni della folla anche nel momento stesso in cui Caserio si slanciò sulla vettura per colpirlo. Il teste dichiara di aver creduto che Caserio volesse consegnare a Carnot un mazzo di fiori. Non riconosce l’assassino. Il generale Borius, ex-segretario generale all’Eliseo, dice: “Quando Carnot fu colpito ebbe un senso di disgusto e disse: Oh! Quest’uomo! Poi vedendo la sua mano insanguinata, il povero presidente mormorò: Mi esce del sangue.” Il teste narra che da qualche tempo giungevano all’Eliseo numerose lettere di minaccia. Narra per quale fatalità la scorta seguiva e non circondava la vettura del presidente. Termina dicendo: “Carnot, stante la grandezza dell’animo suo, non ebbe una sola parola d’odio contro l’assassino!...” (Commozione vivissima nell’uditorio). I due ufficiali dei corazzieri che scortavano la vettura e il cameriere di Carnot dicono che l’attacco di Caserio fu così rapido che sarebbe stato impossibile il prevenirlo. Rivaud¸ prefetto del Rodano, racconta i fatti che seguirono immediatamente dopo l’attentato riguardo al servizio d’ordine. Dice di avere vivamente insistito sulle misure di sorveglianza da prendersi, ma si sa come la fiducia di Carnot le rendesse inutili. Si dichiara convinto che il sacrificio della sua vita fatto da Caserio gli dava il mezzo di sventare tutte le precauzioni di Polizia. Dice: “Come volete prevedere e frenare l’atto di un uomo che è deliberato di morire?...” Il presidente a questo punto si rivolge a Caserio e gli dice: “Eravate proprio deciso?” Caserio: “Se non fossi riuscito a Lione, avrei atteso altrove una migliore occasione!” Si da lettura della deposizione del sindaco Gailleton, che è malato. Quattro testimoni dichiarano che Caserio diede loro delle spinte cercando di fuggire. Caserio: “Mi dispiace di aver lasciato il pugnale nel petto di Carnot, perché me ne sarei servito per aprirmi il passaggio!” Debois, ispettore di polizia all’Eliseo, conferma che l’atto di Caserio fu così rapido, che, malgrado avesse visto l’assassino avvicinarsi, non poté afferrarlo a tempo. I dottori Poncet, Ollier, Contagne, Lacassagne, che curarono Carnot, depongono sopra numerosi dettagli tecnici, sopra la gravità della ferita e sui tentativi che credettero di fare senza grande speranza di salvare l’illustre ferito. Infine vengono escussi i testi: Vaux di Cette, coltellinaio, che vendette il pugnale, e che si rammarica di aver avuto un così tristo cliente, il fornaio Viala e moglie, che occuparono il Caserio, il commissario di Cette Crochiaca, il commissario di Vienne Boy, il commissario della prefettura del Rodano Pernel. L’udienza è levata alle 17,30. Piove. Si dice che, stante la pioggia, per poter rimandare in quartiere i soldati, il Caserio, anziché tenerlo nelle carceri del palazzo di giustizia, verrà fatto rientrare nelle carceri di Saint-Paul mediante la vettura cellulare. Alle ore 18,30 la vettura passa per la piazza Saint-Jean in mezzo a una gran folla di popolo che grida: “Abbasso! A morte!” Il cocchiere frusta i cavalli e la vettura fugge al trotto seguita dai carabinieri. La dimostrazione si disperde. Poi si viene a sapere che dentro la vettura c’erano solo i gendarmi, mentre Caserio dorme questa notte nelle carceri di palazzo. Cesare 32 É uno dei tanti anarchici mandati a morte ai quali Carnot rifiutò la grazia. La Gazzetta Piemontese 3-4.8.1894 n. 213 Pagina 3 Il processo Caserio a Lione La seconda udienza LIONE (N.g.) 3 (ore 9,15) – La richiesta di carte d’entrata all’aula delle Assise è stata anche oggi grandissima. Ma il presidente ed il greffier [cancelliere, n.d.r.] si mostrano inflessibili. Stamane sino dalla prima ora attorno al palazzo di giustizia si aggirano i soliti curiosi, che però numerosi agenti disperdono. Entro nell’aula un po’ presto, poco dopo le ore 8. Ha l’aspetto di ieri. É vivissima la curiosità per sapere il sistema di difesa che terrà il bâtonnier. Un giovane avvocato, suo allievo, mi conferma che il difensore sarà piuttosto breve e che insisterà soprattutto sulla giovinezza del suo cliente, esaltata e guastata dai dottrinari anarchici, sui quali cercherà di far ricadere la vera responsabilità del reato. Egli conferì brevemente ancora iersera con Caserio, il quale gli raccomandò ancora vivamente di non parlar punto della sua pazzia, perché egli allora protesterebbe, ma di basarsi sul suo ideale anarchico. Alle nove meno cinque Caserio è introdotto nell’aula. É anche oggi assai pallido ed abbattuto. Una guardia però dice che dormì tutta la notte. Alle nove precise entra la Corte Cesare La ghigliottina… Incanto di corpi di reato. PARIGI (N.g.) 3 (ore 8,50). Stamane o domattina devosi ghigliottinare a Limoges l’assassino Boucharelchas che, a scopo di furto aveva ucciso il suo padrone. Il giustiziando non ha che 17 anni. Il carnefice Deibler è arrivato iersera a Limoges. Come vedete, il nuovo presidente non è più clemente di Carnot, è il secondo che si ghigliottina in questo primo mese di suo diritto di grazia. *** Nel pomeriggio d’oggi nei magazzini giudiziari della Rue des Ecoles saranno messi all’incanto i resti dei delinquenti giustiziati ed i corpi di reato. Sono compresi nell’asta tutto il mobilio e gli abiti di Ravachol, oltre agli utensili che gli servirono per confezionare le bombe. Vi saranno pure gli ultimi abiti di Vaillant. (Chissà se il pugnale di Caserio, a giustizia fatta, sarà esso pure venduto all’asta?) La Gazzetta Piemontese 4-5.8.1894 n. 214 Pagina 1 Sante Caserio condannato a morte Un’intervista con don Grassi Continua l’audizione dei testi LIONE (N.g.) 3 ore 10,56). Appena entrata la Corte si compiono le piccole formalità d’uso. Io ne approfitto per scorrere il Lyon Répubblicain portatomi ora. Vi trovo un’interessante intervista che un suo redattore ha avuto con don Grassi, il buon parroco di Motta Visconti, che è venuto fino a Lione per vedere di indurre al pentimento questa sua anima perduta. Ad analoghe domande del giornalista, don Grassi risponde essere sua convinzione che chi ha traviato Caserio sia l’avvocato Gori, ed a questo unicamente si devono attribuire le tanto cambiate idee del garzone panettiere, che egli conobbe fanciullo buonissimo, mite, rispettoso. -Vedeste già Caserio? -Sì, sono stato tre volte a trovarlo nella sua cella. -E come vi ha ricevuto? -Sempre bene. -Che discorsi vi tenne? -Sinora non potei indurlo al pentimento, perché è tuttora accalorato per la sua anarchia. Di cui mi parlò molto.33 33 Il direttore della prigione Saint Paul di Lione e della circoscrizione pubblicò degli appunti sotto il titolo “Caserio in prigione” (Archives d’anthropologie crimenelle de crimonologie. Tomo 18° Edizione del 1903 Pag. 485/486/487/488 Ecco il testo che ci racconta delle visite di don Grassi a Santo Caserio: Tra giornalista e don Grassi si scambiano qualche altra domanda e risposta di minore interesse. Vedo che molti colleghi della Stampa, soprattutto di quella estera, redigono essi pure dispacci su questa breve intervista, e così il nome di don Grassi farà anch’esso il giro del mondo. Oggi nell’aula, quantunque ripiena tanto quanto e forse più di ieri, fa assai meno caldo perché nella mattinata è venuto giù un acquazzone e pioviggina tuttora. Direi quasi che fa freddo, perché vi sono tutte le finestre spalancate. L’audizione del soldato Leblanc Viene introdotto Leblanc, quel tal soldato detenuto per insubordinazione che primo avrebbe propalata la notizia del complotto di Cette per ammazzare il presidente Carnot. É un tipo originale di piou-piou [recluta, n.d.r.], che si avanza con aria disinvolta e più disinvolto ancora ha lo scilinguagnolo; parla francese serrato col tipico accento dell’ouvergnat. Dopo le consuete formalità, Presidente: “Dove e quando avete conosciuto Sante Caserio?” Teste: “All’ospedale di Cette nello scorso febbraio.”34 “28 luglio 1894 (…omissis…) Ieri sera Caserio era agitato, nervoso. Una lettera da sua madre gli aveva annunciato l’arrivo del sacerdote di Motta Visconti, il suo paese. Questa visita lo esaspera; compiange i suoi parenti e profferisce male parole riguardo al prete, che, secondo lui, li imbroglia: "Succhia il sangue dei contadini poveri per venire, a loro spese, a visitare l’Esposizione di Lione." Alla domanda circa l'accoglienza che egli avrebbe riservato a questo prete che voleva visitarlo, Caserio ha risposto che non lo avrebbe ricevuto come prete, perché rifiuta qualsiasi aiuto religioso, né come un amico, ma come un compaesano. Padre Grassi, che una volta aveva voluto costringerlo a salutarlo a Motta Visconti, non potrebbe essere un suo amico. Il colloquio ha luogo la sera stessa. Vedendo il sacerdote, Caserio si alza, fissa in modo sicuro, quasi minaccioso, lo sguardo del suo visitatore e tiene un atteggiamento forte e freddo. Egli non avanza verso il sacerdote, che gli si avvicina e, nonostante il suo aspetto poco rassicurante, lo baci. (…omissis…) Durante la conversazione piuttosto vivace, Padre Grassi parla della missione che ha ricevuto dalla "famiglia" e parla del piacere che porterebbe, a sua madre e a tutta la sua famiglia, se adempisse ai suoi doveri religiosi. Caserio afferma chiaramente che tutti gli sforzi per questo scopo saranno senza successo, anche se il sacerdote italiano dovesse "trascorrere 40 giorni con lui nella sua cella!" Nonostante l’atteggiamento di Caserio, che non lascia speranza, il parroco dice che ritornerà perché ha preso la decisione di prolungare il suo soggiorno a Lione fino alla sentenza. Chiede al detenuto di abbracciarlo per salutarlo. Caserio accetta, e dopo tutto, sembra che queste visite gli siano meno sgradevoli di come vuole fare intendere. Questo fanatico dell’anarchia ha delle convinzioni tenaci. Certamente obbedisce ad un impulso cosciente e personale. Questo è frutto della propaganda pubblica anarchica. Discorsi e pubblicazioni, gli hanno presentato la società come malvagia, hanno eccitato il suo odio contro l'autorità a tal punto che il disgusto per il nostro stato sociale lo afferrò e lo spinse al sacrificio della propria vita e il suo odio furioso fino a potere assassinare il capo del governo. Ma ha messo in gioco la sua vita principalmente perché era disgustato della propria esistenza. Caserio era ricoverato per scabbia e sifilide. Al di fuori del campo giudiziario, il caso Caserio fu studiato con passione. In merito alla sifilide, il dott. Ducloux, direttore dell’ospedale di Cette, testimoniò in tribunale che si trattò di placche sulla bocca ed un leggero ingrossamento ghiandolare cervicale e che le due affezioni guarirono con i trattamenti in ospedale, senza lasciare conseguenze che potessero spiegare il comportamento a posteriori di Caserio. Il dottor Régis, incaricato del corso di malattie mentali alla facoltà di medicina di Bordeaux e che ha scritto quattro anni dopo sui “regicidi nella storia e nel presente”, vede in Caserio un “regicida, ovvero se preferite, un degenerato e irresponsabile”. Per lui, tutti i regicidi sono “dei degenerati mistici ossessionati dall’idea di un grande atto umanitario da compiere al prezzo della vita”. Essi devono dunque essere “internati per sempre in un manicomio criminale e non resi martiri sul patibolo”. Il dottor Régis, che non ha mai incontrato Caserio, fonda la sua diagnosi sui seguenti elementi che si ritrovano, secondo lui, in tutti i regicidi: l’età (tra i venti e i trentacinque anni); l’eredità (l’eccentricità, il suicidio, l’epilessia); la natura degenerata, che si traduce con una mancanza di equilibrio o “disarmonia” (egli è incapace di giudizio, dunque fragile di spirito); è un’instabile (un itinerante) e con un misticismo esagerato. Questo stato mentale lo spinge al martirio. Il suo atto è deciso e lungamente premeditato, ma, per il nostro autore, la lucidità, la premeditazione, l’energia fredda e calcolata non sono incompatibili con la follia e di riscontrano frequentemente. Il suo atteggiamento al processo è quello di tutti i regicidi: egli non perde il controllo di sé e questo è questione di complicità o di follia; si consacra alla lettura della sua professione di fede. Infine, egli mostra un disprezzo sovrano della morte. Il dottor Régis spiega, non senza ragione, l’assenza di dibattito vero e proprio sulla responsabilità per il fatto che “il tragico assassinio del presidente Carnot, avvenuta durante la festa trionfale della loro Esposizione, ha prodotto ai Lionesi uno stupore profondo ed uno stato d’animo particolare pieno di indignazione, di vergogna e di collera: così che tutti, senza eccezioni, hanno desiderato che il castigo fosse 34 Presidente: “Parlaste molte volte con lui?” Teste: “Oh là là… Sempre, signor presidente.” (Si ride) Presidente: “E che discorsi vi teneva Caserio?” Teste: “Mi parlava continuamente della sua anarchia. Si esaltava e soprattutto cercava di far diventare me anarchico.” Presidente: “Venivano molte persone a vedere Caserio?” Teste: “Caserio riceveva, si può dire, visite tutti i giorni.” A questo punto Caserio si dimena, e scatta gridando: “Non è vero niente. Leblanc trovavasi costretto per la sua malattia al riposo assoluto e non poteva certamente vedere chi andava e veniva per le visite nel cortile.” Leblanc: “Io posso dire di avere conosciuto solo, tra i visitatori, Sorel [Saurel, n.d.r.], che venne due volte a cercare di Caserio con parecchi altri compagni.” Caserio (come continuando il suo precedente discorso): “Io facevo della propaganda anarchica con tutti. É però vero che un giorno –e sfido Leblanc a smentirmi- trovandoci in sala, il malato che occupava il letto contrassegnato con n° 2 usci a dire: “Gli anarchici sanno gettare le bombe nei caffè e nei teatri, ma non sono mai capaci di uccidere un re od il presidente della Repubblica”. Leblanc, che era del crocchio, disse allora: “É troppo difficile uccidere il presidente.” Ed io aggiunsi subito: “É anche più difficile ammazzare un re.” Ma nego però in modo assoluto di avere detto che volevo uccidere Carnot.” Presidente: “Ebbene, sentite Caserio, che vi darò lettura della prima deposizione del soldato Leblanc, il quale parlava ben chiaro su quanto aveva da voi e da altri inteso del complotto fatto all’Ospedale di Cette allo scopo di uccidere il presidente a Lione.” Caserio (prontissimo): “Ma veda il presidente come ciò è affatto impossibile. Giacché in febbraio, quando io e Leblanc eravamo all’Ospedale, non potevo certo sapere che nel giugno successivo Carnot sarebbe venuto a Lione, cosa che fu deciso solo un mese prima.” Come vedete, Caserio ha tutt’altro che un disprezzo per la difesa; cerca invece difendersi quanto più può. La interessante deposizione del soldato Leblanc continua. (Ore 14,50) - Il soldato Leblanc mantiene le sue precedenti deposizioni. Ma Caserio protesta vivacemente dichiarando, e vantandosene, di avere pensato e commesso il suo atto da solo, senza parlarne coi compagni. L’eccitazione di Caserio a questo punto è notevolissima. Il presidente Breuillac lo invita a sedere e congeda anche il teste Leblanc35. E così l’audizione dei testi è terminata. Il presidente dà quindi la parola al procuratore generale della repubblica Fauchier. La requisitoria del procuratore della Repubblica Il procuratore parla brevemente. Premette un commovente esordio in cui rievoca la bonaria figura di Carnot e ricorda il lutto che colpì una famiglia, la Francia ed il mondo. Ricorda le minacce odiose e vili profferite contro Carnot, i di cui autori non possono chiede libertà e umanità. Soggiunge: “Non siamo qui per fare della politica né della sociologia, dobbiamo vendicare un crimine di diritto comune che piombò nel lutto una famiglia ed il popolo. No, gli anarchici non sono un partito politico, la loro è opera di distruzione e di morte. In nome della libertà, della civiltà e dell’umanità vi domando –dice il procuratore- un atto di alta, esemplare giustizia.” L’arringa del difensore. Il presidente dà in seguito la parola all’ avvocato Dubreuil, il bâtonnier del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Lione, delegato d’ufficio, come già sapete, a difendere Caserio. Egli premette di piangere, come tutti piansero, Carnot morto e di difendere Caserio nella sua qualità di bâtonnier. Soggiunge: “Nonostante l’emozione che io provo in questo momento, nonostante il ricordo della cara vittima, obbedisco alle tradizioni e alle leggi dell’umanità così odiosamente oltraggiate, difendendo l’assassino; il quale, del resto, rifiutò sistematicamente di profittare di tutto ciò che poteva ritardare il suo cammino verso il patibolo. “Due sole persone –dice quindi l’avvocato Dubreuil, con frase fortunata e geniale- non hanno abbandonato Caserio: il prete e l’avvocato.” Entra in seguito a parlare della fanciullezza di Caserio, che presenta, come era realmente sotto i migliori sollecito e terribile”. Pertanto, conclude, “quale sollievo potersi dire, di fronte all’umanità, che gli autori di questi grandi misfatti non sono e non possono essere che uomini dementi”. (L’anarchista et son juge, Pierre Truche, ed. Fayard 1894, pag. 56) 35 Leblanc era stato precedentemente condannato 11 volte per furto, vagabondaggio e insubordinazione. Al momento dell’audizione stava scontando una pena di sei mesi. Truche, nel suo libro “L’anarchiste et son juge”, ed. Fayaz, a pag. 174 non esclude l’ipotesi che le sue affermazioni non fossero altro che un tentativo per ottenere qualche misura di favore e che, comunque, nulla di quanto da lui detto è stato provato. aspetti. Ricorda ai giurati la desolazione della povera mamma che lo prediligeva. (Caserio a questa evocazione trema, poi scoppia in singhiozzi penosissimi) Il difensore, continuando, parla dei parenti epilettici dell’imputato, dai quali egli ereditò fatalmente la mala natura. Cita la lettera scritta da Caserio nello scorso luglio dal carcere, nella quale si dichiarava felice dell’atto compiuto. “Oh, non è questa –esclama l’oratore- una felicità da uomo non padrone di sé? Non è essa una nuova prova della sua pazzia?...” Caserio scoppia in nuovi singhiozzi. L’oratore soggiunge: “Cittadini giurati, voi lo vedete! Caserio è preoccupato soltanto del pensiero di leggervi una banale dichiarazione che è il suo più sicuro mezzo di condanna.” Il presidente sospende l’udienza per un quarto d’ora. Alle 11,20 l’udienza è ripresa, e l’avvocato Dubreuil termina la sua arringa. Egli, in questa seconda parte, si diffonde a parlare di Caserio già giovanotto ma puro ancora dalle cattive dottrine. “A Milano –dice- si incontrò in un tristo educatore, l’avvocato Gori …” Caserio scatta protestando. Ma l’avvocato continua: “Caserio era un bravo lavoratore e non un pericoloso anarchico. Chi, o signori, lo ha fatto diventar tale? L’avvocato Gori.” Caserio protesta ancora vivamente asserendo non essere vero. Ma Dubreuil continua. Egli ripete l’asserzione ed al Gori fa risalire (come nella mia breve intervista di stamane con un allievo dell’avv. Dubreuil vi lasciavo prevedere) la prima responsabilità di Caserio. L’oratore si raccomanda ai giurati perché accordino le circostanze attenuanti al suo giovane difeso; e conclude ammettasi: 1. il germe ereditario; 2. l’impulso fatale dell’ambiente sociale, 3. l’impossibilità di conciliare i sentimenti intimi di Caserio colla volontà del delitto. Il difensore Dubreuil dice che bisognerebbe colpire piuttosto l’intelligenza che comanda, che eseguisce i crimini anarchici. Conclude supplicando i giurati di perdonare come avrebbe fatto Carnot nella sua misericordia se fosse sopravissuto! Il presidente volgendosi all’imputato, gli dice: “Caserio, voi avete dalla legge diritto parlare l’ultimo. Che avete altro da dire?” Caserio: “Desidero leggere questa mia dichiarazione scritta.” Il presidente la fa passare all’interprete, che ne dà lettura traducendola in francese. Essa è la dichiarazione che già vi mandai per lettera e che la Piemontese stampò giorni orsono. Caserio ascolta, stando in piedi, tale lettura, che finisce a mezzogiorno. Ogni tanto approva con cenni del capo.36 Il procuratore generale: “Domando che sia proibita la pubblicazione di questa dichiarazione.” Caserio nulla più avendo da aggiungere, il presidente legge ai giurati il testo dei quesiti, che non sono che due e laconici: 1°. Sante Caserio è colpevole di aver ucciso il presidente Sadi-Carnot? 2°. Sante Caserio commise egli il delitto con premeditazione? I giurati si ritirano nella camera di deliberazione e la seduta è sospesa. Nell’aula si fanno subito mille commenti. Prevale l’opinione che sarà condannato a morte. Verdetto e sentenza Dopo appena un quarto d’ora i giurati o la Corte rientrano. Nell’aula c’è un silenzio sepolcrale. Il capo dei giurati si leva e dichiara che le risposte sono affermative ad entrambi i quesiti. Si introduce Caserio. Tutti guardano a lui. Egli è più che pallido, verde. Si scorge facilmente l’interna battaglia. Il procuratore della Repubblica legge gli articoli di legge che –in base al verdetto- reclamano la pena di morte. L’avv. Dubreuil domanda che si dia atto delle parole pronunciate dal presidente all’apertura dell’odierna sessione d’Assise. Forse intende basare su di esse il ricorso in Cassazione37. Ma Caserio rifiuta energicamente di firmarlo. Sono le dodici e trenta quando la Corte si ritira per la sentenza. In questo intervallo un fotografo dilettante punta la sua brava macchinetta su Caserio, quindi sul pubblico e su di un grasso usciere. Caserio lo lascia fare senza proteste e sorride. Ecco ancora il grido tradizionale dell’usciere: La Corte! In “L’anarchiste et son juge”, ed. Fayard, a pag. 54, Truche riferisce che malgrado i disaccordi manifestati nei confronti del proprio difensore durante l’udienza, Caserio, una volta rientrato in prigione, riferì al secondino la sua ammirazione senza riserva per l’arringa dell’avv. Dubreuil, precisando che se avesse immaginato l’eloquenza di questo “petit homme”, egli avrebbe modificato la sua dichiarazione, tra l’altro, letta in modo inespressivo dall’interprete. 37 P. Truche, nel libro sopracitato, riferisce a pag. 37 di uno strappo alle procedure previste dalla legge ordinaria. Con ogni probabilità l’avv. Dubreuil si riferiva al discorso tenuto dal giudice ai giurati all’inizio del processo, col quale “pregiudicava” l’imputato. 36 La Corte rientra ed il presidente legge la sentenza con cui Caserio Sante è condannato a morte. Caserio rimane qualche istante come impietrito, vacilla, poi riuscendo a superare l’interna emozione, grida: “Viva la Rivoluzione sociale!” e guardando giù fra il pubblico, come a cercare i compagnons, grida ancora: “Coraggio, camerati! Viva l’anarchia!” Il presidente grida alle guardie: “Conducete via il condannato.” Sono le 12, 40 quando il nuovissimo cliente di Deblier [il boia, n.d.r.] è condotto via dall’aula. Questa si vuota rapidamente. Cesare. DICHIARAZIONE DI CASERIO38 Signori giurati, non è la mia difesa che vi voglio esporre, ma una semplice esposizione del mio atto. Dopo la mia prima giovinezza, ho cominciato a conoscere che la nostra Società è mal organizzata e che tutti i giorni ci sono degli sfortunati che, spinti dalla miseria, si suicidano, lasciando i loro figli nella più completa miseria. A centinaia e centinaia, gli operai cercano lavoro e non ne trovano: invano la loro povera famiglia richiede del pane e durante il freddo, soffre la più crudele miseria. Ogni giorno i poveri figli domandano alla loro sfortunata madre del pane che quest’ultima non può dare loro, perché a lei manca di tutto: i vecchi abiti che si trovavano in casa sono stai giù venduti od impegnati al Monte di Pietà: sono allora ridotti a chiedere l’elemosina ed il più delle volte vengono arrestati per vagabondaggio. Quando tornavo al paese dove sono nato, è là soprattutto dove spesso mi mettevo a piangere, vedendo dei poveri bambini di appena otto o dieci anni, obbligati a lavorare 15 ore al giorno per la miserabile paga di 20 centesimi: dei ragazzi di 18 o 20 anni o delle donne in età più avanzata, lavorare ugualmente 15 ore al giorno, per un paga irrisoria di 15 soldi. E questo succede non solo ai miei compatrioti, ma a tutti i coltivatori del mondo intero. Obbligati a restare tutto il giorno sotto i raggi di un sole cocente, e mentre col loro lavoro ingrato, producono il sostentamento per migliaia e migliaia di persone, non hanno, tuttavia, mai niente per loro stessi. Sono per questo obbligati a vivere nella miseria più dura ed il loro nutrimento giornaliero consiste in pane nero, in qualche cucchiaiata di riso e dell’acqua, per cui arrivano a malapena all’età di 30 o 40 anni sfiniti dal lavoro, muoiono negli ospedali. Inoltre, come conseguenza di questa cattiva nutrizione e dell’eccessivo e faticoso lavoro, questi sfortunati, a centinaia e centinaia, finiscono per morire di pellagra39, una malattia che i medici hanno riconosciuto colpire coloro che nella vita, sono soggetti a cattiva nutrizione ed a numerose sofferenze e privazioni. Riflettendo io mi dicevo che se ci sono tante persone che soffrono di fame e di freddo, e vedono soffrire i loro piccoli, non è per mancanza del pane o dei vestiti: poiché io vedevo numerosi e grandi negozi pieni di vestiti, di stoffe e di tessuti di lana: come dei grandi depositi di farina, di granoturco e frumento, per tutti quelli che ne hanno bisogno. Mentre, d’altra parte vedevo migliaia e migliaia di persone che non facendo nulla e non producendo nulla, vivono sul lavoro degli Operai, spendendo tutti i giorni migliaia di franchi per i loro divertimenti ed i loro piaceri, deflorando le ragazze del povero popolo, possedendo dei palazzi di 40 o 50 camere, 20 o 30 cavalli, numerosi domestici, in una parola tutti i piaceri della vita. Ahimè! come soffrivo vedendo questa Società così mal organizzata!... e molte volte maledicevo coloro che accumulavano i loro patrimoni, che sono attualmente alla base di questa ineguaglianza sociale. Quando ero un ragazzo, mi hanno insegnato ad amare la patria ma quando ho visto migliaia e É la traduzione del testo originale della dichiarazione di Caserio, riportata nel libro “L’anarchiste et son juge” di Pierre Truche, Ed. Fayard, 1994. Truche, nel 1994, era il procuratore generale della Corte di Cassazione francese. Il processo verbale è stato da lui scoperto negli archivi giudiziari di Lione. 39 Il padre Giannantonio morì a 51 in manicomio dove era stato ricoverato in seguito a disturbi psichici dovuti alla pellagra. 38 migliaia di operai lasciare il loro paese, i loro cari figli, le loro mogli, i loro genitori, nella più spaventosa miseria, ed emigrare in America, in Brasile, o in altri paesi, per trovare il lavoro, è allora che mi sono detto: “La Patria non esiste per noi poveri operai: la Patria per noi è il mondo intero. Coloro che predicano l’amore per la patria, lo fanno perché qui essi trovano i loro interessi ed il loro benessere. Anche gli uccelli difendono il loro nido, perché lì si trovano bene.” Io credevo in un Dio, ma quando ho visto tale disuguaglianza fra gli uomini, è allora che ho riconosciuto che non è Dio che ha creato l’uomo, ma sono gli uomini ad aver creato Dio: non come dicono quelli che hanno interesse a far credere all’esistenza di un Inferno e di un Paradiso, nell’intento di far rispettare la proprietà individuale e per mantenere il Popolo nell’ignoranza. Per questo motivo sono diventato ateo. Dopo gli avvenimenti del primo maggio 1891, cioè quando tutti i lavoratori del mondo domandavano una festa internazionale, tutti i Governi, non importa di quale colore, sia i monarchici che i repubblicani, hanno risposto con dei colpi di fucile e con la prigione: causando dei morti e dei feriti in gran numero, così come numerosi incarcerati. É a partire da questo anno che sono diventato anarchico, perché ho constatato che l’idea anarchica corrisponde alle mie idee. É fra gli anarchici che ho trovato degli uomini sinceri e buoni, che sapevano combattere per il bene dei lavoratori: fu così che cominciai a fare della propaganda anarchica, e non ho tardato a passare dalla propaganda ai fatti, considerato ciò che abbiamo avuto dai Governi. Non è tanto che mi trovo in Francia, e tuttavia questo tempo mi è stato sufficiente per riconoscere che tutti i Governi sono uguali. Ho visto i poveri minatori del Nord, che non prendevano una paga sufficiente per le loro famiglie, protestare contro i loro padroni, facendo lo sciopero: dopo una lotta di più di tre mesi, sono stati obbligati a riprendere il lavoro con la stessa paga, avendo bisogno di mangiare40. Ma i Governanti non si sono occupati di queste migliaia di minatori, perché essi erano occupati in grandi banchetti ed in grandi feste date a Parigi, Tolone e Marsiglia, per l’alleanza fra la Francia e la Russia. I deputati hanno dovuto votare delle nuove tasse, per pagare i milioni di franchi spesi per quelle feste, e questi qui hanno venduto le loro penne e le loro coscienze alla borghesia (intende dire i giornalisti) scrivendo dei bellissimi articoli per far credere che l’alleanza fra la Francia e la Russia avrebbe portato grandi benefici per i lavoratori; nel frattempo noialtri poveri lavoratori ci troviamo sempre nella stessa miseria, obbligati a pagare delle nuove tasse, per saldare il conto di queste grandi feste dei nostri governanti. E se poi noi domandiamo del pane o del lavoro, ci rispondono con dei colpi di fucile e con la prigione, com’è capitato ai minatori del Nord, ai coltivatori della Sicilia, ed a migliaia d’altri. Non è da molto che Vaillant ha lanciato una bomba alla Camera dei Deputati, per protestare contro questa infame Società. Egli non ha ucciso nessuno, non ha ferito nessuno, e malgrado ciò, la Giustizia borghese l’ha condannato a morte: non soddisfatti d’aver condannato il colpevole, cominciano a dare la caccia a tutti gli anarchici, arrestando a centinaia coloro che non avevano neanche conosciuto Vaillant, colpevoli unicamente di aver assistito ad una conferenza, o di aver letto dei Giornali o dei volantini anarchici. Ma il Governo non pensa che tutta questa gente ha mogli e bambini, e che durante il loro arresto e la loro detenzione in prigione per quattro o cinque mesi, seppure innocenti, non sono i soli a soffrire: [il Governo] non ha figli che chiedono del pane. La Giustizia borghese non si occupa di questi poveri innocenti, che non conoscono ancora la Società e che non sono colpevoli se il loro padre in trova in prigione: essi non domandano altro che di mangiare quando hanno fame, mentre le mogli piangono i loro mariti. Si continua dunque a fare delle perquisizioni, a violare il domicilio, a sequestrare giornali, volantini, 40 Emile Zola col romanzo Germinal pubblicato nel 1885 ha scritto pagine memorabili sull’argomento [n.d.t.] la stessa corrispondenza, ad aprire le lettere, ad impedire le conferenze, le riunioni, ad esercitare la più infame oppressione contro noi anarchici. Oggi stesso stanno in prigione in centinaia, per aver tenuto nient’altro che una conferenza, o per aver scritto un articolo su qualche giornale, o per aver esplicitato idee anarchiche in pubblico: e sono in attesa che la Giustizia borghese pronunci le loro condanne per Associazione a delinquere. Se dunque i Governi impiegano i fucili, le catene, le prigioni, e la più infame oppressione contro noi anarchici, noi anarchici che dobbiamo fare? Cosa? Dobbiamo restare rinchiusi in noi stessi? Dobbiamo disconoscere il nostro ideale che è la verità? No!... Noi rispondiamo ai Governi con la Dinamite, con il Fuoco, con il Ferro, con il Pugnale, in una parola con tutto quello che noi potremo, per distruggere la borghesia ed i suoi governanti. Emile Henri ha lanciato una bomba in un ristorante, ed io mi sono vendicato con il pugnale, uccidendo il Presidente Carnot, perché lui era colui che rappresentava la Società borghese. Signori Giurati, se volete la mia testa, prendetela: ma non crediate che prendendo la mia testa, voi riuscirete a fermare la propaganda anarchica. No!.. Fate attenzione, perché colui che semina, raccoglie. Quando i Governi cominciarono a fare dei martiri (vi voglio parlare degli impiccati di Chicago, dei garrotati di Jerez, dei fucilati di Barcellona, dei ghigliottinati di Parigi) le ultime parole pronunciate dagli stessi martiri, intanto che andavano alla morte, furono queste: “Viva l’Anarchia, Morte alla borghesia”. Queste parole hanno attraversato i mari, i fiumi, i laghi: sono entrate nelle città, nei paesi, e sono penetrate nelle teste di milioni e milioni d’operai, che oggi si ribellano contro la Società borghese. É la stessa massa di lavoratori che finora si sono lasciati guidare da coloro che si proclamano partigiani delle otto ore di lavoro, della festa del 1° maggio, delle Società operaie, delle Camere sindacali, e da altre mistificazioni, che hanno servito solamente le loro ambizioni, per farsi nominare Deputati o Consiglieri Municipali, con la mira di poter vivere bene senza fare nulla. Ecco i Socialisti!... Ma essi hanno finito ora per riconoscere che non sarà che una rivoluzione violenta contro la borghesia, che potrà riconquistare i diritti dei lavoratori. Quel giorno, non ci saranno più gli operai che si suicideranno per la miseria, non ci saranno più gli Anarchici che soffriranno la prigione per anni e anni, non ci saranno più anarchici che saranno impiccati, garrotati, fucilati, ghigliottinati: ma saranno i borghesi, i Re, i Presidenti, i Ministri, i Senatori, i Deputati, i Presidenti delle Corti d’Assise, dei Tribunali, ecc. che moriranno sulla barricate del popolo, il giorno della rivoluzione sociale. É da lì che splenderanno i raggi d’una Società nuova, cioè dell’Anarchia e del Comunismo. Sarà solamente allora che non ci saranno più né sfruttati, né sfruttatori, né servi, né padroni: ciascuno darà secondo la propria forza e consumerà secondo i propri bisogni.41 41 Traduzione dal francese dal libro “L’anarchiste et son juge” di P. Truche, Ed, Fayard 1991, pagg. da 161 a 167. La Gazzetta Piemontese 6.8.1894 n. 215 Pagina 3 Quando e dove sarà ghigliottinato Caserio LIONE (N.g.) 5. – (c.) – Ho avuto una breve intervista coll’esimio signor Vidor, cancelliere capo della Corte d’Assise- Egli mi ha detto che Caserio mantiensi calmissimo, che rifiuta tuttora assolutamente di ricorrere in Cassazione o alla grazia. La sua esecuzione avrà luogo probabilissimamente il 14 corrente. A Sainte Blandine, al sud della stazione di Perache, vicino al confluente del Rodano colla Saone. La Gazzetta Piemontese 6-7.8.1894 n. 216 Pagina 1 In prima pagina la Gazzetta riporta un lungo articolo sul processo all’anarchia che, dopo quello a Caserio conclusosi il 2 agosto si terrà a Parigi il 6 agosto 1894, definito il processo dei “Trenta”. …[omissis]…Chi sono i “Trenta”? Sono un campione della flora anarchica che, cresciuta nell’ombra e nel mistero, s’è a poco a poco diffusa nella capitale: ha sparso rampolli in provincia ed, incrociandosi con elementi esotici, ha allignato sempre più rigogliosa e minacciosa. É storia di ieri la bomba che Vaillant gettò a Palazzo Borbone. La dinamite che dopo le caserme, e i caffè, e le società industriali, minacciava nel Parlamento la rappresentanza e l’essenza stessa della nazione, parve divenire tanto terribile da strappare frettolosamente ai legislatori di Francia delle severi leggi repressive42. …[omissis]… A pagina 3 la Gazzetta riferisce di Caserio in carcere e della sua lettera inviata alla madre. Caserio in carcere LIONE (N.g.) 6 (ore 9,25) – Caserio segue ora il regime dei condannati a morte, che è più dolce di quello degli altri prigionieri. La nutrizione è assai migliore ed è autorizzato persino l’uso del tabacco. Siccome si mostra alquanto agitato non gli tolsero mai la camicia di forza ed è continuamente sorvegliato da due guardiani. Che, dandosi cinque o sei volte il cambio nella giornata, fanno una guardia permanente nella sua cella. Caserio, salvo rari momenti, si mostra taciturno coi guardiani. Si dice che il suo avv. Debreuil andrà a Pont-sur-Seine per chiedere a Casimir-Perier [successore di Carnot, n.d.r.] la grazia di Caserio. *** La madre di Caserio dopo la condanna. Una lettera del figlio. Ieri, domenica, è arrivato a Motta Visconti il curato don Alessandro Grassi, reduce da Lione. Erano con lui il direttore della Sera, Adolfo Rossi, e il signor Moro del Matin di Parigi, che avevano entrambi assistito al processo del celebre assassino. Dopo aver salutato il parroco, don Alessandro Grassi e i due giornalisti andarono a trovare la madre di Caserio. La disgraziata aveva già saputo dai giornali la notizia della sentenza di morte pronunziata contro suo figlio, cosicché don Alessandro la trovò, se non rassegnata, relativamente calma. “L’altro giorno –essa gli disse- appena ho saputo la condanna, ho scritto di mio pugno una lettera alla vedova Carnot facendo appello ai suoi sentimenti di madre e scongiurandola di interporsi presso il presidente della Repubblica affinché egli, in vista almeno della giovane età di mio figlio, gli cambi la pena di morte nei lavori forzati a vita. Però –aggiunge- ho ben poca speranza.” Essa sapeva già che tutte le pratiche fatte da don Alessandro perché suo figlio si confessasse erano riuscite inutili e attribuì ai compagni e alle idee anarchiche il contegno di Sante. Si commosse e si mise a piangere quando don Alessandro le disse: “Prima che io partissi vostro figlio mi ha incaricato di farvi coraggio e di consegnarvi questa lettera.” La lettera scritta su mezzo foglio di carta comune da lettere, è così concepita: “Lione, 8 agosto 1894 “Cara madre Si tratta di una serie di provvedimenti varati varate dopo l’attentato di Vaillant che culminano nella legge varata il 28 luglio 1894, che venne qualificata dai socialisti francesi come “lois scélérate”. 42 “Vi scrivo queste due righe per farvi sapere la mia condanna è la pena di morte. “Non pensate o mia cara madre [male, n.d.r.] di me? “Ma pensate che se io comessi questo fatto non è che sono Divenuto e pure molto vi diranno che sono un assassino un malfattore. “No perché voi conosciete il mio buon quore la mia dolcezza che avevo quando mi trovavo presso di voi? ebbene anche oggi è il medesimo quore: se ò comesso questo mio fatto è precisamente perché ero stanco di vedere un Mondo così infame. Rincrassio il signor Alessandro che è venuto a trovarmi ma che io non voglio Confessarmi. “Per ora non vi dico più nula. Vi tornerò scrivervi più tardo. Vi saluto voi e tutti i fratelli e la cara sorella e tutte le mie Cognate e i parenti. Vostro caro figlio SANTE” Letta la lettera e asciugatesi le lagrime, la madre di Caserio domandò al sacerdote chi erano i due signori che l’accompagnavano, e sentito che erano giornalisti, li guardò molto male. “Certi giornali francesi –esclamò con ira- sono arrivati a stampare perfino che i Caserio sono ebrei. É troppo! In Italia poi hanno pubblicato che un Caserio è uscito dalla galera, come se noi fossimo una famiglia di assassini!” Dopo le loro assicurazioni che quelle stupide invenzioni erano state subito smentite, continuò: “É giusto infamare tutta una famiglia se un figlio commette una brutta azione? Di sette figli, uno è stato traviato, ha commesso un brutto delitto, che non avrebbe mai dovuto commettere, ma che colpa ce n’abbiamo noi? La colpa è di quei compagni e di quella gente che gli hanno inspirato quelle idee. Succede anche in famiglie migliori della nostra che qualche figlio diventi cattivo.” Eh, sì, povera donna, questo è vero! La Gazzetta Piemontese 8.8.1894 n. 217 Pagina 3 Caserio non ha ricorso in Cassazione. LIONE (S.g.) 7. Il termine è scaduto senza che Caserio abbia firmato il ricorso in Cassazione. La Gazzetta Piemontese 9.8.1894 n. 219 Pagina 3 Quando sarà giustiziato Sante Caserio. LIONE (S.g.) 9 – Secondo informazioni autorizzate, Caserio verrebbe giustiziato prima del 15 corrente. La Gazzetta Piemontese 10.8.1894 n. 220 Pagina 2 La madre di Caserio. Leggiamo nella Lega Lombarda di Milano in data 9: “La madre del Sante ha copiato di tutto suo pugno ed ha firmato una supplica alla vedova di Carnot impetrando grazia pel figlio. Non ci pare opportuno il dare il testo della supplica, che è redatta in termini convenientissimi e atti a commuovere un’anima altamente pietosa come è quella della signora Carnot. “La sorella del Caserio, che è una buona e pia fanciulla, di condotta esemplare, ha pregato il sacerdote Grassi che scriva al Santo Padre Leone XIII pregandolo a interporsi per salvare la vita di suo fratello. Don Grassi confortò la buona ragazza, finora non esaudì la sua domanda, né sappiamo se troverà opportuno farlo. “Intanto la madre del Caserio si trova in condizioni alquanto anormali. In certi momenti è tranquilla, discorre coi suoi figli e colle persone che la visitano con serenità e con calma: parla anche dei suoi interessi con sufficiente lucidità. Poi, tratto tratto, si arresta come impietrita, e rimane per delle ore in istato di insensibilità. Talvolta ride per un nonnulla, talaltra invece si raccoglie col capo fra le mani, e non riescono a scuoterla nemmeno le pietose cure della figlia. Non sarebbe da meravigliarsi che col continuare in questo stato nervoso avesse da essere colpita nelle facoltà mentali. “Povera sventurata! Nel suo dolore però è sorretta ancora dalla speranza che salveranno suo figlio.” La Gazzetta Piemontese 12.8.1894 n. 222 Pagina 2 Telegrafano da Parigi, 10, al Lyon Répubblicain: “Un direttore del Ministero di grazia e giustizia si è recato ieri a Pont-sur-Seine per sottomettere l’incartamento del processo Caserio all’esame del presidente della Repubblica. La soluzione è imminente. Frattanto gli anarchici si rivelano di nuovo con lettere di minaccia al presidente della Repubblica.” La Gazzetta Piemontese 13.8.1894 n. 223 Pagina 1 L’esecuzione di Caserio imminente. Il diritto di grazia sotto l’impero e sotto i presidenti. PARIGI (N.s.) 12 (ore 15,40) -Mi si riferisce che fin da ieri Casimir-Perier abbia ricevuto le conclusioni della Commissione delle grazie su Caserio, le quali conclusioni sono per l’esecuzione. Perier avrebbe già sin da ieri confermato puramente e semplicemente quelle conclusioni. Quindi si ritiene l’esecuzione di Caserio come imminente. Casimir-Perier ricevette pure le conclusioni sull’abate Bruncau, ma riguardo al prete assassino non si è, dicesi, pronunziato ancora. *** A proposito del diritto di grazia presidenziale che Casimir-Perier esercita per le prime volte, ci paiono opportuni alcuni dati e raffronti sul modo con cui questo grande privilegio venne applicato da trent’anni in qua in Francia. Sotto l’Impero, dal 1865 al 1870, vi furono 193 condanne a morte e 85 commutazioni nei lavori forzati a vita, vale a dire il 44% di commutazioni. Sotto la presidenza del maresciallo Mac Mahon, dal 1873 al 1878, vi furono 179 condanne, ed il maresciallo concesse 112 grazie, vale a dire che vi fu il 62% di graziati. Sotto Grévy, dal 1878 al 1886, vi furono 211 condanna a morte, delle quali soltanto 49 ebbero esecuzione. Vale a dire che il periodo presidenziale Grévy fu il più indulgente col 76% di grazie accordate. Con Carnot il numero delle grazie diminuì rapidamente, giacché in sei anni su 157 condannati né lasciò salire sul al patibolo 68, graziandone quindi solo il 45%, presso a poco come sotto il regime imperiale. Carnot non fece mai altro che uniformarsi alle conclusione della Commissione delle grazie, che leggeva e riteneva due giorni, pro forma, senza mai mutarle. Per contro Grévy esaminava sempre personalmente i dossiers e più d’una volta graziò contrariamente alle conclusioni della Commissione. Quanto al maresciallo Mac Mahon si sforzava di uniformarsi alla Commissione, ma il più delle volte non sapeva resistere ai pianti e alle suppliche dei parenti dei condannati, massimo se questi avevano mogli e figli. Che uso farà l’attuale presidente del supremo diritto di grazia? Sarà mite come Grévy, o seguire le orme più severe del suo predecessore immediato? É quello che sapremo fra qualche tempo. Come Caserio passa gli ultimi giorni. Dal Lyon Répubblicain ultimo arrivato togliamo questi particolari sul come passa il suo tempo Caserio, in attesa… della probabile visita di Deblier [il boia, n.d.r.]: “Caserio da due giorni sembra un po’ più calmo. Il suo sonno però è agitato e spesso turbato da cauchemars [incubi, n.d.r.]. Spesso Caserio si sveglia bruscamente nel cuor della notte, si leva a sedere e si mostra grandemente spaventato. Ma questi accessi di debolezza sono di corta durata e la sua natura prende tosto il sopravvento. Egli sdegna di rispondere ai guardiani che si mostrano inquieti e sorpresi di queste sue irrequietezze. L’esecuzione non avrà luogo prima della fine della settimana o del principio dell’altra. Non si vuole, ore che la città è in festa, innalzare un patibolo.” (I lettori noteranno la contraddizione di quest’ultima notizia circa la data dell’esecuzione col nostro odierno dispaccio parigino, che ce lo lascia prevedere imminente. Certo nulla di affatto positivo si può ben sapere, tenendo le Autorità assoluto segreto in proposito. Quanto al Lyon però è anche possibile che egli ci parli di rinvio dell’esecuzione fino alla settimana ventura per compiacere le Autorità, che hanno interesse a che il pubblico non sia avvertito…) La Gazzetta Piemontese 15.8.1894 n. 225 Pagina 1 Non verrà fatta la grazia a Caserio. PARIGI (N.m.) 14 (ore 20,5) – Vi confermo che l’esecuzione di Caserio avrà luogo a Lione prima della fine della corrente settimana, nel sito che vi ho già indicato. La Commissione delle grazie ha concluso nella sua relazione per il rigetto del ricorso che era stato presentato per ottenere una commutazione di pena43; tutto fa 43 La richiesta fu avanzata dall’avv. Dubreuil all’insaputa di Caserio credere che il nuovo presidente della Repubblica non userà il diritto di grazia che gli conferisce la Costituzione. La Gazzetta Piemontese 17.8.1894 n. 226 Pagina 3 ULTIME NOTIZIE L’esecuzione di Sante Caserio L’assassino di Carnot. Le ultime ore del condannato. Il Lyon Répubblicain di ieri dava questi particolari intorno al contegno del Caserio nelle ultime ore della sua vita. “Egli attende la morte con una tranquillità che tocca l’incoscienza. Egli vive nella sua cella in una perfetta indifferenza; parla raramente rispondendo appena alle domande dei carcerieri. La sua unica distrazione è la lettura, e anche di questa usa moderatamente. All’indomani della sua condanna egli cominciava la lettura del Don Chisciotte della Mancia, e in questo momento non ha ancora finito il capolavoro del Cervantes. “Il resto del suo tempo lo passa sdraiato sul suo letto da campo, dormendo e sognando. Non mai una parola sull’assassinio, sul processo e tanto meno sulla sua famiglia. Se i guardiani lo interrogano su questo argomento, egli risponde loro evasivamente.44” L’aspetto della città prima del supplizio. LIONE (N.g.) 16 (ore 1,10). Ieri sera, verso le 22,30, un fiero nembo si scatenò sulla città. Era una vera tromba d’acqua mista a grossa gragnuola, che disperse la folla che si trovava per le vie. Gli spettatori che assisteranno all’esecuzione capitale di Caserio saranno relativamente poco numerosi, quantunque tutti i giornali abbiano annunciato che il supplizio avrà luogo stamane. Frattanto continuano nel recinto dell’Esposizione le feste del concorso musicale con fuochi d’artificio ed altri divertimenti. La folla si trova tutta alla festa; nessuno si reca ancora al Delai des Voutes de Perrache, verso le prigioni, come accadeva per le altre esecuzioni capitali. Il luogo del patibolo è all’angolo del corso Suchet e della via Smith, in un quartiere cui non si giunge tanto facilmente. Le vie saranno sbarrate dalle truppe a ottanta metri dal patibolo: pochi saranno quindi coloro che potranno assistere alla sinistra funzione Le truppe occupano la località. (Ore 2,50) – A mezzanotte le truppe che dovevano assicurare il servizio d’ordine già erano schierate nei cortili delle caserme. Alle ore 2, precedute da compagnie di gardiens de la paix e da gendarmi, occupano la località del supplizio. Un battaglione del 98° reggimento di linea sbarra tutte le vie che menano alle carceri. Due squadroni di corazzieri disperdono la gente dal corso Suchet e ne fanno ritirare i curiosi, che sono in buon numero. Il cielo è sempre coperto di fosche nubi; la notte è buia: si cammina nella melma. L’erezione del patibolo. (Ore 3,30) – Il carnefice Deibler è giunto sul luogo alle ore 3 col suo carro contenente gli ordigni del patibolo ed ha fatto erigere il palco da suoi aiutanti. Deibler è sempre lo stesso uomo che già compì tante esecuzioni capitali in questa città, soltanto appare più stanco, ha l’occhio atono; fra le mani tiene l’ombrello, come è suo costume. Il risveglio del condannato. Caserio con la divisa penitenziaria In questo frattempo il signor Miraux, direttore della prigione, aveva ricevuto e la "bricole". Thevard, avvocato generale, Benoist, giudice istruttore; Mathieu e Laval, cancellieri, Museo della prefettura di polizia il dottor Bland e l’abate Ponthus, elemosiniere delle carceri. Si dirigono tutti verso la di Parigi Foto del 3.7.1894 cella di Caserio, per destare il condannato. A questo punto la folla, che è già considerevolmente aumentata, si mostra più irrequieta, avendo capito che è l’ora del risveglio. Ma né il rumore della folla, né l’arrivo della cavalleria avevano svegliato Caserio, che dormiva profondamente al momento in cui il direttore delle carceri entrò nella sua cella. All’aprirsi dell’uscio, Caserio si levò prontamente a sedere sul suo giaciglio e gettò uno sguardo, come trasognato, tutto intorno alla cella. Un secondino in una intervista riportata da “L’anarchiste et son juge” di P. Truche (pag. 84), sostenne che Caserio, alla vigilia dell’esecuzione, gli avrebbe confidato: “Se avessi visto una o due volte Carnot prima del suo viaggio a Lione, lo avrei colpito con una bomba, perché, col pugnale, il coraggio mi sarebbe mancato. Il suo sguardo dolce che si era fissato su di me quando ho ficcato il mio coltello nel suo petto; mi aveva impressionato come mi fissò al momento dell’assassinio; la mia arma mi sarebbe caduta dalle mani.” 44 Senza che Caserio avesse tempo di riaversi dalla sgradita sorpresa, il signor Raux gli pone una mano sulla spalla e gli disse: “Caserio, levatevi: fra qualche istante andrete ad espiare il delitto spaventoso che avete commesso. Ecco il giudice istruttore per raccogliere le relazioni che aveste a fargli; l’elemosiniere per prestarvi i soccorsi del suo ministero ed infine il vostro difensore per raccogliere gli ultimi vostri desiderii.” Caserio, senza guardarlo in faccia, rispose seccamente: “Non ho nulla da dire al signor giudice, rifiuto qualsiasi soccorso religioso e non ho cosa alcuna da comunicare al mio difensore.” Tutto questo, quantunque detto con una certa rapidità, fu quasi balbettato, come del resto fanno quasi tutti i condannati a morte. Occorre aggiungere che a questo punto Caserio tremava per tutte le membra; ed alcuno asserisce d’avergli visto sul volto qualche lagrima. direttore. La toletta del condannato. Intanto due carcerieri s’avvicinano al letto ed aiutano Caserio ad indossare i suoi abiti personali. Deibler, unitamente ai suoi aiutanti, conduce Caserio nella stanza della toletta. Caserio si lascia radere i capelli sul collo, tagliare la camicia all’incollatura, legare mani e piedi, senza mai profferire una parola. Dopo terminata la toletta Caserio fu visto fortemente vacillare, tantoché fu necessario portarlo quasi di petto nel carro cellulare. Prima che questo si muovesse, il sacerdote offerse nuovamente al condannato i suoi servizi, mostrandogli un crocefisso, ma Caserio non volle saperne neanche questa volta. Avanti che il triste corteo esca dalla prigione, Deibler prende possesso ufficiale del giustiziando firmandone sull’apposito registro in ricevuta al L’arrivo sul luogo del patibolo. (Ore 5,25) – Quando il sinistro convoglio giunse sul luogo del patibolo, la folla si fece improvvisamente silenziosa e corse fra di essa come un brivido d’aspettazione. Il carro si fermò a quattro metri dal palco, mentre il plotone di gendarmi che lo scortava attorniò completamente la ghigliottina -eccesso di precauzione che, d’ordinario, nelle esecuzioni capitali non si prende. Deibler discende primo davanti il carro; il sacerdote lo segue; quindi viene Caserio con gli aiutanti. L’elemosiniere si mette alla testa del corteo, marciando a rinculoni e mostrando al condannato il crocefisso. Caserio ha le spalle quasi completamente nude; è pallidissimo; tenta di sorridere, ma non riesce che ad abbozzare una triste smorfia. Il supplizio Quando i due aiutanti del carnefice se lo presero in mezzo per condurlo al palco, oppose resistenza; ma i due lo trascinarono facilmente ai piedi del patibolo. A questo punto Caserio si rivolse alla folla, e drizzandosi con atto di estrema energia gridò: “Coraggio, compagni, coraggio! Viva l’anarchia!” Ma gli aiutanti del carnefice lo afferrano pel corpo e non senza gravi sforzi riescono a rovesciarlo sul pancone fatale, facendogli entrare la testa entro la lunette della ghigliottina. A questo punto Deibler preme il bottone fatale, piomba la lama e giustizia è fatta… Sono le 4,55 precise. La testa cade in un mucchio di crusca, mentre il tronco sanguinante si rovescia nel paniere posto a destra della ghigliottina. Gli applausi della folla. A questo punto dalla folla assiepata nei dintorni della ghigliottina e da tutte le finestre delle case vicine scoppiarono applausi. É questo la prima volta che simile fatto si verifica. Il luogo dell'esecuzione Dal libro "Fu il mio cuore a prendere il pugnale" di Gianluca Vagnarelli - Ed. Zero in condotta, 2013 Il macabro spettacolo dell’esecuzione di Caserio. Quale contrasto tra la scena lugubre dell’esecuzione di un condannato e il clima di festa che traspare dagli abiti di molti dei presenti (i cappelli bianchi). Da una cronaca del tempo si è scoperto che la sera precedente in città c’era stata una festa e, molti di quelli che vi avevano partecipato decisero di prolungare la serata per assistere, alle quattro del mattino, all’esecuzione dell’assassino di Carnot. Il trasporto della salma al cimitero. Uno fra gli aiutanti prende a due mani la testa di Caserio e la posa sul corpo nel paniere, quindi, aiutato dal collega, carica il paniere sul carro. Ad un cenno di Deibler, il cocchiere sferza i cavalli ed il triste convoglio parte al galoppo per il Cimitero della Guillotière. Non si farà autopsia dei resti di Caserio, avendo egli lasciato scritto che vi si opponeva, e, conforme alla tradizione, questo suo desiderio sarà appagato. (Ore 7,15) – Appena giunto al Cimitero della Guillotière, il carro contenente i resti del giustiziato è condotto nella parte a ciò destinata sotto il nome di Carré des Onze. La fossa che dovrà contenere la salma fu scavata lungo un muro; i becchini aprono il paniere e, particolare macabro, trovano la testa di Caserio posta fra i suoi piedi. Il capo è già livido, quasi verde: gli occhi sono chiusi; la sezione del collo si stacca nettamente; la testa fu tagliata appena sotto le orecchie ed il mento. La pelle sotto la nuca è aggrinzita, ripiegata, in seguito agli sforzi terribili fatti dal condannato per ritrarsi indietro, mentre era nella ghigliottina. Il corpo è riposto in apposita bara di pino, col capo fra le gambe. Si affigge alla cassa il coperchio ed i resti dell’assassino di Carnot vengono seppelliti. Registrazione di morte di Santo Caserio La Gazzetta Piemontese 19.8.1894 n. 228 Pagina 1 Come la madre di Caserio apprese il supplizio del figlio. Un giornalista si trovava a Motta Visconti il giorno in cui venne giustiziato Sante Caserio, narra come coloro i quali circondavano la madre dell’uccisore di Carnot volevano tener celata, per qualche tempo, la cosa alla disgraziata donna; ma ciò non riuscì possibile. Quando alle otto arrivarono, colla diligenza di Abbiategrasso, i giornali, c’era all’ufficio postale molta gente ad aspettarli. La notizia si diffuse in un baleno. Poco dipoi, la madre del giustiziato se ne stava in cucina sbrigando alcune faccende; parlando sempre del Sante con tre o quattro donne sue amiche… In quella entrò sua nuora Carolina, moglie del figlio Carlo; e credendo che la suocera discorresse colle donne della notizia dell’esecuzione le disse: “Cosa vorì mai? lè istess; el moment el doveva vegnì.” [Cosa vole te mai? Era inevitabile, il momento doveva arrivare, n.d.r.] La madre si alzò e si mise a gridare “Com’è? Com’è? Qua de moment?” [Come? Come? Che momento? [n.d.r.] Eppoi piangendo fortemente e gridando: “ol me car fioeu te vedaru mai pù… el me car fioeu.” [O il mio caro figlio, non ti vedrò più… il mio caro figlio, n.d.r.] Dopo qualche momento si lamentò colla sua nuora perché le diede la notizia, dicendo che doveva lasciarla vivere ancora un po’, almeno qualche ora… Ed una buona donna del luogo narrava allo stesso giornalista: “Dopo la prima scena, andai da lei a vedere se aveva bisogno di qualche cosa. Volevo condurla qui in casa mia. Farle bere qualche cordiale. Ella rifiutò tutto. Quando la vidi mi disse” “La sentii? La sentii? L’è nai! L’è nai! L’è nai! Pover el me car fioeu! [Ha sentito? É andato! Povero il mio caro figlio! N.d.r.] E poi mi raccontò come la notte scorsa fece un brutto sogno. Aveva veduto il suo Sante con una benda bianca legata sulla fronte ed elle in sogno lo chiamò; ma la visione del figlio scomparse. La continuò a cercarlo senza vederlo. Al suo posto invece trovò… un’oca.” L’ultima lettera del Caserio indirizzata a sua madre non è ancora arrivata a Motta Visconti. Verso mezzodì, la madre volle conoscere i particolari della esecuzione e si fece leggere i giornali arrivati. Ella ascoltò piangendo e ripetendo le solite frasi. La Gazzetta Piemontese 24.8.1894 n. 234 Pagina 2 Una lettera dell’avv. Debreuil difensore di Caserio. L’avvocato Dubreuil, difensore di Caserio, il giorno dopo l’esecuzione del giovane assassino di Carnot, ha scritto ad un amico della famiglia Caserio una lettera da cui togliamo i seguenti brani: “Prendo la parte più viva al dolore che affligge la famiglia Caserio. “Avevo stimato mio dovere di assistere fino all’ultimo momento il disgraziato Sante, ma i miei sforzi, come quelli più autorevoli del cappellano delle carceri, furono inutili: riuscì impossibile risvegliare in lui i sentimenti religiosi. “Egli morì, ohimè, da fanatico cieco, che ha voluto rimaner tale. Tanto sua madre, come suo fratello non si illudano: anche se essi fossero venuti, non sarebbero riusciti nell’intento. Devo aggiungere però che se si fossero recati a Lione, tutti li avrebbero qui rispettati, poiché tutti li compiangono sinceramente. Per parte mia ho la coscienza di avere fatto tutto ciò che era umanamente possibile per salvare Caserio dal patibolo. Da principio ho insistito presso di lui per il decreto di rinvio (cioè perché egli non fosse giudicato dalla Corte d’Assise), ma tre o quattro visite fatte a questo scopo sono riuscite inutili. Dopo la condanna si poteva ricorrere in Cassazione; ho nuovamente insistito fino all’ultimo momento: invano. Spirato il termine, lo invitai a firmare il ricorso per la grazia, ma egli rifiutò. Io ne feci uno personale, che mandai direttamente al presidente della Repubblica. L’esecuzione ebbe luogo più presto di quello che si supponeva. Ne fui avvisato per telegramma il 15 agosto. Partii per Lione per assistere il condannato nei suoi ultimi momenti. Precedentemente gli avevo mandato, perché la firmasse, una dichiarazione con cui si opponeva all’autopsia del proprio corpo, pregandolo nello stesso tempo di ricordarsi di quei momenti religiosi che gli erano stati instillati dalla madre e che gli furono così eloquentemente rammentati dalla degna voce dell’abate Grassi. Egli mi restituì la dichiarazione firmata senza una parola di risposta. Ottenni che il corpo non fosse toccato: i suoi avanzi giacciono nel Cimitero di Guillotière. Tale fu il mio intervento. Io non posso disgraziatamente che augurare coraggio e rassegnazione alla famiglia Caserio. Vi prego di gradire,… ecc. ecc. A. Dubreuil” Sappiamo che la famiglia manderà all’avvocato Dubreuil una lettera di ringraziamento, che sarà scritta dalla stessa madre di Caserio. La Gazzetta Piemontese 26.8.1894 n. 235 Pagina 1 Un dispaccio da Lione dice che la testa di Caserio sarebbe stata levata dalla fossa per farne la maschera in gesso nel locale della facoltà di medicina, laboratorio del dottor Lacassagne45. Ancien cimitiére di Lione dove è stato sepolto Santo Caserio (da Google Heart) A. Lacassagne, professore di medicina legale alla facoltà di medicina di Lyon (il Lombroso francese), il 20 agosto 1894, con il suo trattato L’assassinat du Président Carnot (Storck editeur), ha scritto che Caserio “non ha avuto il coraggio di Vaillant, che aveva donato il proprio corpo alla scienza. Caserio temeva la dissezione postuma. Ecco almeno un pregiudizio che deve essere sgomberato. Due giorni prima l’esecuzione, sotto la dettatura del proprio avvocato e su un foglio timbrato, egli ha dichiarato che intendeva che il suo corpo non fosse assegnato alla Facoltà, ed ha incaricato M° Dubreuil del rispetto delle sue ultime volontà. Aggiungiamo che molti giornali di Lyon hanno scritto che la testa di Caserio fosse stata portata al nostro museo di medicina legale per essere conservata e studiata. É un errore che noi teniamo a rettificare al fine di non lasciare sedimentare questa leggenda”. 45