Per una damigiana di succo

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Per una damigiana di succo
PER UNA DAMIGIANA DI SUCCO
C’era una volta, in una collina lontana lontana, un re che era una marmotta. Era una bellissima marmotta,
dal manto lustro e dai baffi arricciati, addobbata con una corona di erba ed un manto di muschi e licheni.
Regnava sopra e sotto la collina con zampa di ferro in pelliccia di velluto, e tutti la rispettavano e riverivano.
I suoi sottoposti erano innumerevoli, ma in gran parte insetti o parenti stretti, che non ci interessano. A me
almeno non interessano, e io racconto la storia, per cui spero non interessino nemmeno a voi o rimarrete
molto delusi dalla loro assenza. Comunque, quelli che ci interessano erano soprattutto i due cavalieri scelti
della corona, incaricati di proteggere la collina da qualsiasi minaccia interna o esterna, ed il fido consigliere
del saggio re. I cavalieri erano rispettivamente una gru ed un fatino (simile ad una fatina, ma con cromosomi
diversi), il consigliere una biscia d’acqua. La nostra storia comincia il giorno che il re, sotto consiglio del
fedele consigliere, convocò al suo cospetto i due cavalieri per affidare loro un’importante missione.
“O miei fidi, giovani, onorevoli, coraggiosi, arditi, affascinanti, gagliardi, invincibili, umili, fidati…”
“Lo ha già detto, maestà”
“Cosa?”
“Ha già detto ‘fidi’, che è sinonimo di ‘fidati’. È una ripetizione maestà”
“E quindi, mio fastidioso consigliere? Chi mi dice che non posso ripetere le cose?”
“Lei, maestà. Ha reso illegali le ripetizioni ieri l’altro”
“Uhm, ora ricordo… bene, per decreto reale d’ora in avanti ‘fidi’ e ‘fidati’ hanno significati
significativamente diversi, da decidersi in data successiva. Soddisfacente?”
“Come sempre, vostra maestà. Può continuare”
La biscia d’acqua s’inchinò profondamente nella sua tinozza di peltro, i due cavalieri cominciarono a
sentirsi un po’ stufi di rimanere genuflessi sull’attenti come da protocollo.
“Ottimo. Dunque, dicevo, miei fidati ed arguti cavalieri, come voi sicuramente saprete data la vostra sfilza
di buone qualità, a non troppa distanza da qui giace il regno boscoso del mio collega e rivale il Re Cinghiale.
Lo sapete?”
“Si, nostro signore” risposero all’unisono i cavalieri, uno gracchiando e l’altro cantando.
“Ottimo, ottimo. Sempre così affidabili. Bene, il Re Cinghiale mi ha inviato un’urgente missiva in cui
chiede aiuto per un’increscioso problema che lo sta assillando alla follia di recente. Quale esso sia non lo dice,
ma in cambio per l’invio dei miei due più infallibili condottieri e guerrieri mi offre eterna gratitudine ed una
damigiana annua di succo di pesca. Nel regno boscoso si produce dell’ottimo succo di pesca”
“Quanto grande la damigiana, se posso osare chiederlo” ardì il fatino con un sonetto umile e sottomesso.
Il re si chinò in avanti dal suo trono di terra e bottiglie con aria da cospiratore.
“Estremamente di grande portata, non so se mi spiego…”
I due cavalieri deglutirono al solo pensiero. Ci sarebbe stato da annegarci per mesi e mesi!
“Dunque, volendo io entrare in possesso di suddetto manufatto il prima possibilmente, voi due partirete
all’alba di domani mattina…”
“Signore, io all’alba devo stendere i panni” interferì alzando una zampa tubolare la candida gru a macchie
bianche.
“Ottimo, che bell’esempio di voglia di fare. Bene, come dicevo partirete subito prima di pranzo…”
“Ma tre delle mie cugine sono a pranzo domani. È da giorni che organizziamo” continuò imbarazzato il
pennuto, meritandosi l’occhiata ondeggiante del fido consigliere.
“Ma che bella dimostrazione di rispetto familiare. Per evitare di perdere altro tempo, quando sarebbe un
buon momento per defilarsi?”
“Tra le due e le quattro dovrei essere libero, vostra maestà”
“Perfetto, tra le due e le quattro sia!”
“Per la verità vostra grazia, io…” arpeggiò esitante il fatino, ma venne ricoperto da una morbida ala del
suo cauto compagno.
“Lasci perdere maestà, non è nulla”
“Oh, mia cara Gru Aliquando, se lo dite voi mi fido. Bene, andate a prepararvi allora!”
I due salutarono diligentemente e uscirono. Appena fuori dalla porta il fatino accarezzò con violenza il suo
fedele compagno.
“Ma insomma, anch’io avevo impegni importati! Non puoi decidere per me!”
“Suppongo gli impegni importanti riguardassero un esponente del gentil sesso?”
“Può darsi…”
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“Esponente del gentil sesso tuttora impegnato con un esponente del nostro sesso assente al momento del
vostro incontro?”
“Bè…”
“Esponente del gentil sesso a cui sono state sussurrate molte promesse in buonissima fede che stanno
finalmente per trionfare nel suo cedimento previsto per il giorno venturo?”
“…sono così prevedibile?”
“Per rispetto della tua autostima non risponderò”
I due svolazzarono senza parlare per qualche metro, la gru di nome Aliquando pensando a come
combinare la sua complessa tabella di marcia ed il fatino tenendo il broncio.
“Insomma, io non vedo cosa ci sia di male a preferire il cibo preparato da donne sposate”
“Il fatto che non siano sposate con te”
“Ma quello farebbe perdere tutta l’unicità alla cosa! E poi se ti sposi una donna non puoi solo mangiare.
Guarda te, insomma! Sempre ad organizzare, pensare, schematizzare la tua vita per cercare di soddisfare
ogni desiderio della tua consorte senza che lei se ne accorga…”
“Si sente in colpa a chiedermi favori, ed è questo che la rende così adorabile! È un pensiero carino e
premuroso da parte mia!”
“È inquietante e macchinoso, e credo non le piacerebbe scoprirlo”
“Sono disposto ad essere odiato, se questo significasse il poter continuare ad aiutarla dalle ombre”
“Conoscendola, non si arrabbierebbe con te. Se la prenderebbe con se stessa”
La gru perse quota al solo pensiero.
“In ogni caso niente di tutto questo è importante al momento. Dobbiamo prepararci per la nostra missione,
ci saranno avventure! Scontri! Intrighi! Banchetti e danzatrici, un drago ed un tesoro, tuoni che cadono a
tempo coi colpi di spada, sanguinosi…”
“Od una semplice planata senza alcun avvenimento importante per quasi un’ora. Benvenuto nelle
meraviglie del presente, Tepes”
Il fatino di nome Tepes si mise a singhiozzare dolcemente tra le minuscole ed affusolate dita.
“Sei crudele. Crudele, dico. Infrangere così i miei sogni… è la prima volta che veniamo mandati in
missione al di fuori della collina! La prima! Non può essere più noioso della vita qui, non lo concepisco!”
Aliquando non lo stava più ascoltando. Stava pensando a che souvenir avrebbe potuto portare a sua moglie
dal bosco. Qualcosa di grazioso e commovente, ma non così bizzarro da spiazzarla o lussuoso da farla sentire
in debito. Una pigna forse? Una pigna dipinta ed intagliata? A forma di zucchina?
Il fatino gli strappò una penna dalla coda.
“Ascoltami quando tragedio! Che razza di amico sei?”
“Sono una gru”
“Sei radiato dall’albo dei giochi di parole e bandito dalla Comica Comunità. Pentiti e rifletti sulle tue
azioni”
“L’ordine non dovrebbe essere inverso? Il pentimento non dovrebbe uscire dalla riflessione?”
“Sciocchezze. Una persona impentita e punita non può fare altro che rimuginare sull’ingiustizia della sua
condizione. Prima si deve capire di aver sbagliato, poi il perché”
Continuando a scherzare, battibeccare e giocherellare si diressero verso la rispettiva dimora e felicità. Sotto
ogni parola e pensiero entrambi occultavano e gustavano l’emozione per l’importante cerca che era stata loro
affidata. La notte calò sui due cavalieri, ed il gran giorno arrivò con promesse di novità e grandiosità.
Nessuno poteva ancora immaginare quali altri terribili aggettivi avrebbe portato con se.
La mattina giunse con i suoi suoni e richiami, ma questo non interessa davvero nessuno, visto che la
partenza sarebbe stata più tardi. La mattina decise che la sua ripresa non era necessaria e torno placidamente
a dormire. Passarono le ore, e si fecero le due meno un quarto. I due prodi cavalieri Aliquando e Tepes erano
in trepidante attesa alle porte della collina. Poco lontano stava il fido consigliere nella sua ampolla portatile su
ruote, una sua personale invenzione. Aveva un’aria tra lo scocciato e il rassegnato.
Il Re era in ritardo. Il problema era che questa non era una novità. Si rifiutava tassativamente di farsi
svegliare da qualcun altro in quanto poco dignitoso, ma lasciato a se stesso sarebbe stato letargo tutto l’anno.
Avevano piazzato degli agenti volatili fuori dalla sua finestra per cantare in modo spontaneo ma fastidioso
ogni mattina, ma non sempre funzionava. Più importante era la giornata più fatica faceva ad alzarsi, tra
l’altro, in quanto la sera prima aveva dormito male per il nervosismo. Tutto questo sarebbe potuto anche
forse essere comprensibile, se non fosse che scombinava la tempistica della sua ferrea routine al punto da farlo
pranzare con ore di ritardo. La serpe d’acqua sospirò una boccata di bolle e scosse il corpo sinuoso cercando
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di non sembrare troppo nervoso. Era già abbastanza fastidioso dover affrontare giornalmente le accuse poco
originali di voler prendere possesso del trono senza mostrare aperta insoddisfazione per l’operato del suo
diretto superiore.
Finalmente, una fanfara annunciò l’apprestarsi di Sua Maestà Regale et Imperiale Sopra, Sotto e nel
Mezzo della Collina. Un maestoso carro trainato da sette formiche d’oro discese la strada principale a
velocità di parata, fiancheggiato da colombi musici e ricci danzanti. Sul trono di puro sasso scolpito mesi
prima da scalpellini ormai dimenticati sedeva tronfio ed impettito il Sovrano Marmotta, che si sollevò in tutta
la sua irrisoria altezza quando il corteo giunse a destinazione, pronto per il suo toccante discorso.
“Miei cavalieri, miei fidi. Siete pronti?”
“Si, nostro Sire” risposero loro all’unisono con un inchino, una piroetta ed un battito di ali.
“Ottimo. Andate pure”
La serpe d’acqua si rallegrò del fatto di essere immersa totalmente nella sua pozza. Si commuoveva sempre
ai discorsi pubblici, e sarebbe stato lesivo per la sua immagine vederlo piangere in pubblico.
Il bosco era a quasi due ore di camminata, ed una di volo sostenuto. Un simile viaggio sarebbe stato
impossibile per molti, ma i due prodi cavalieri non si lasciarono impressionare e si gettarono senza esitazione
nell’ignota avventura.
Un quarto d’ora dopo erano quasi sfiniti dalla noia.
“Tepes, se le mie ali smettessero di battere, dì a mia moglie che il mio ultimo pensiero va a lei, e che può
utilizzare le mie piume per quel cappellino che desidera da tanto tempo”
“Aliquando, se il primo a crollare fossi io, ti prego di indire in mio onore un banchetto a cui sia vietato
l’accesso a qualsiasi essere di sesso maschile, eccetto la mia salma”
“Mi vien da pensare che sarebbe una salma piuttosto energica”
“Anche tu dimostri un certo umorismo molesto per essere con una zampa nella fossa”
I due sospirarono e si guardarono malinconicamente attorno. Il cielo era azzurro, le nuvole bianche, sotto
di loro era verde. Non c’era molto altro da dire. Una colossale fattoria umana emetteva i suoi imperscrutabili
suoni, ma erano troppo lontani per essere disturbati dalla cosa. Il vorticoso ruscello che aveva reclamato la
vita di così tanti giovani incauti scrosciava tranquillo nella loro direzione opposta. Davanti a loro in
lontananza la foresta era visibile, e si stava avvicinando lentamente. Nel frattempo, niente da vedere, niente
da fare, niente di cui parlare.
“Aliquando, quella nuvola non ricorda tua cugina?”
“Da parte di madre o di padre?”
“Non sono mai riuscito a distinguere una differenza in ogni caso”
“Ti dirò, è piuttosto difficile anche per me. In ogni caso hai ragione. Quel bianco è proprio di mia cugina.
Smorfiosa com’è, sarebbe felice di vedersi così ingigantita”
Tepes gli lanciò uno sguardo sconvolto ed incredulo.
“Cosa c’è?”
“È la prima volta che ti sento parlare male della tua famiglia. È proprio vero che i lunghi viaggi cambiano
le persone”
“Si, devo ammettere che da quando sono qua fuori sto cominciando davvero a mettere le cose in
prospettiva. Per esempio, prendi la zia di mia moglie. Per giorni mi ha chiesto di portarle un cestino dei
funghi che crescono poco lontano dal nostro nido, e io ho ubbidito pensando facesse parte dei miei doveri
acquisiti. Ma ora che ci ripenso, sono mai stato invitato ad un pranzo contenente quei funghi? Mi ha mai
ringraziato, chiesto il mio parere, considerato qualcosa di più che un corriere di vettovaglie? E non è stata la
sola, oh no. La rabbia che mi monta in corpo adesso, confrontando finalmente tutti quei soprusi…”
Il fatino esitò. Aveva una domanda che gli fischiettava in testa, una domanda piuttosto importante che gli
avrebbe fatto capire quanto effettivamente fosse rimasto dell’amico con cui era cresciuto e che amava come
un fratello, ma aveva un certo timore a porla. Alla fine riuscì a prendere coraggio e tubò esitante:
“E riguardo a tua moglie?”
“Sto ancora cercando di decidere se apprezzerebbe di più una brocca a forma di coniglio o un orecchino di
resina. Che poi non è neanche detto che ce li abbiano in negozio, ma preferisco farmi questi problemi ora
che ho il tempo che perderlo dopo davanti ad un commesso frettoloso”
Tepes modulò un sospiro di sollievo. Certe cose non cambiavano mai, evidentemente.
Passarono altri cinque minuti in silenzio, e la foresta si fece un pochino più vicina.
“Sai, ripensando anch’io al passato, mi rendo conto solo ora di quanto fossero importanti cose a cui non
avevo mai prestato la dovuta attenzione”
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“Ad esempio?”
“Bè, sai che nella mia casupola tengo un petalo di campanula, attaccato alla parete. Era un regalo di
qualche giovane della mia terra natia, rimasta col cuore spezzato dalla mia partenza. I maschi sono piuttosto
rari tra di noi, la mia decisione non è stata molto apprezzata. Comunque, lo tengo lì più per abitudine che
per altro, ma non ci faccio troppo caso. Quando esco o entro non gli do più di uno sguardo, pensando a quali
manicaretti potrei strappare ad una qualche innocente mogliettina altrui o a quali lustrini potrei intrecciare
nelle mie ali per ottenere un nuovo ricamo. Eppure, quando mi guardo indietro non sono pasti o abbellimenti
che mi vengono in mente, ma quel petalo attaccato distrattamente alla parete”
“Come simbolo della patria lasciata da tanto tempo? Ricordo dei genitori lontani? Memoria di
un’innocenza ormai perduta?”
“No, è che pende lievemente a destra. Pensa alla vergogna se qualcuno dovesse entrare in casa durante la
mia assenza ed accorgersene. Non credo sopravviverei ai pettegolezzi”
La gru voltò la testa dall’altra parte tentando di nascondere il suo disappunto. Trovava piuttosto ingiusta
questo squilibrio di realizzazioni esistenziali. Non voleva essere l’unico a mettere in dubbio la parte più
importante della sua identità.
Quel gesto di stizza servì però a salvare la vita di entrambi, perché con il collo voltato la coda del suo
occhio poté riferire al resto del corpo del movimento sopra le loro teste. Senza pensarci due volte la gru si
gettò in picchiata, ed il fatino confuso lo seguì per forza dell’abitudine. Una ventata li sfiorò, ed un pizzico di
polvere dorata si staccò dalle ali di farfalla di Tepes.
“Predoni del vento! Un attimo più tardi e ci avrebbero trascinati chissà dove!” accordò terrorizzato il fatino,
schizzando da una parte all’altra per evitare le invisibili correnti che rischiavano di carpirlo.
“Non possiamo fare altro che battere in ritirata! Verso la terra ferma!”
L’uccello e l’umanoide si lasciarono cadere come sassi, inseguiti dalla folla famelica di brezze e sospiri
dimenticati che abitavano nelle regioni più alte e poco raccomandabili del cielo. Zefiri caduti in disgrazia, i
predoni del vento erano l’incubo di tutti i volatili rispettabili, e negli ultimi anni si stavano facendo sempre più
comuni. Ma nemmeno queste bestie infami erano capaci di raggiungere due cavalieri seriamente impegnati
nella fuga più precipitosa.
Arrivati ad uno sputo dal terreno i due aprirono le ali e planarono furiosamente sfiorando l’erba novella.
Dietro di loro un paio di venticelli distratti si schiantarono sul prato e spirarono pietosamente in tutte le
direzioni. I loro compagni si resero conto che non sarebbero mai riusciti a raggiungerli, e con schiocchi e
fruscii di disappunto si dileguarono nelle altezze da cui erano giunti.
I due fuggitivi si gettarono senza fiato su di una comoda roccia e per un po’ rimasero solo a guardare il sole
brillare e le nuvole danzare. Nonostante il loro addestramento, sfuggire per così poco ad un ritardo certo era
stato destabilizzante. Nessuno dei due aveva tutta questa voglia di aprire di nuovo le ali.
“Sto cominciando a rivalutare la saggezza di questo incarico”
“Fai parte del piccolo popolo, giusto? Di quelli sempre allegri e musicali? Trova il lato positivo della
situazione, invece di lamentarti”
“Perché non ci pensi tu?”
“Io sono un fragile e violento uccello trampoliere. L’ottimismo non è nella mia giurisdizione”
Il fatino si tirò su e si guardò intorno, tentando di valutare distanze e posizioni reciproche dei suoi punti di
riferimento. Ricontrollò i calcoli un paio di volte, poi sorrise con una certa sorpresa.
“Bè, abbiamo fatto quasi tre quarti di strada grazie a questo sprint. Nel giro di dieci minuti dovremmo
incrociare le sentinelle del regno boscoso”
La gru schizzò in piedi e si mise su una zampa per l’emozione, guardandosi intorno freneticamente.
“Santa collina, hai ragione! Nella loro foga di inseguimento i venti ribelli devono averci sospinto in modo
ragguardevole! Quanta fortuna ci ha donato la sorte!”
“Non è del tutto detto. Guai in arrivo” rintoccò Tepes, gli occhi fissi sul bordo della pietra, dove un piccolo
corteo di scarabei si stava avvicinando con aria bellicosa.
“Ccccccccche ccccci ffffffate sullllllla nostra bella rrrrrrrrrrrrrrroccia?”
Aliquando gettò un’occhiata di sbieco al compagno, cercando di mantenere un’aria altera e maestosa.
“Non sono mai stato portato per le lingue. Hai idea di cosa abbia detto?”
“Ma certamente, è solo una versione provinciale del dialetto medio minimese. Ci ha chiesto qual’è
l’obbiettivo che ci ha spinto a cercare rifugio su di questa formazione geologica che deduco appartenere in
qualche modo a loro”
“E come mai tu conosci un simile dialetto?”
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“Ho frequentato abbastanza scarabee da imparare qualcosa. Ora, vuoi soffermarti su questo argomento o
vuoi che cerchi di rispondere?”
“La comunicazione con il volgo innanzi tutto”
Tepes si accordò la voce e con tono pacato e accomodante si rivolse ai poco cordiali ospiti.
“Ssssssstavamo solo rrrrrrrriposando un attttttimo le ali. Partiamo suuuuubito”
“Che gli hai detto?”
“Che necessitavamo un momento di ristoro e che siamo pronti a riprendere la nostra importante missione”
“Sembra piuttosto arrabbiato”
“…potrei aver messo una ‘u’ di troppo nell’ultima parola. Ho litigato con una delle mie preferite per una
cosa simile”
“Cosa implica una cosa simile?”
“Il tono sarcastico e strafottente di chi cerca di dileguarsi dopo aver mangiato l’ultima carota rimasta”
“È questo tipo di sottigliezze che mi spinge a cercare i miei interessi intellettuali lontano dallo studio di
idiomi stranieri”
Il gruppo di scarabei emise un ronzio furibondo e si scagliò all’assalto. I due cavalieri, per quanto
aborrissero la violenza inutile, realizzarono che uno scontro era inevitabile e si prepararono al
combattimento.
Leggende sarebbero nate da quel massacro. I pochi sopravvissuti avrebbero mostrato con fierezza le
cicatrici e gli arti mancanti che avevano ottenuto dalla battaglia a parenti e vicini, e i loro occhi composti si
sarebbero riempiti di lacrime zuccherose al pensiero dei compagni caduti sotto il becco della gru o i piedini
del fatino. Nessuno poteva davvero dire quanti fossero morti nel giro di secondi, le voci ingigantirono la
vicenda fino ad affermare che quindici in tutto ci avessero lasciato il guscio e che solo sette dei sopravvissuti
mantennero la sanità mentale. Quello che è certo è che i due cavalieri riuscirono a sfuggire prima di dover
sterminare tutti i propri avversari, e che poco tempo dopo raggiunsero stanchi e feriti il primo posto di blocco
del reame boscoso.
“Oink! Oh miei prodi, che piacere che è per me potervi dare il benvenuto nella mia umile reggia! Ho
saputo di quel che avete dovuto affrontare per giungere fino a qui, e sono estremamente addolorato di
vedervi in tali condizioni. Avrete la mia ospitalità fino alla fine della vostra convalescenza, non importa
quanto tempo ci impiegherete! Oink!”
Il re cinghiale era enorme. Al contrario del re marmotta la sua pelliccia era stopposa ed incrostata, la sua
pelle dura e ruvida, le sue zanne lunghe e ricurve. Al contrario del re marmotta non sedeva su di un trono o
indossava indumenti, ma dominava quello che lo circondava con la sua mera, imponente presenza. Al
contrario del re marmotta non aveva né consiglieri né cavalieri, ma prendeva le sue decisioni e compiva le
sue imprese completamente per conto proprio. Eppure, il suo carattere era molto, molto simile a quello del re
marmotta, con la stessa mistura di ingenuità, buoni sentimenti e un pizzico di narcisismo. Doveva essere
quello l’ingrediente segreto dei re, rifletté il pesto Aliquando mentre si inchinava al suo cospetto.
Tepes invece pensava a ben altro. Aveva intravisto per un attimo, nel groviglio di rovi da cui era uscito il re
per accoglierli, una figurina rosata con il volto nascosto tra i morbidi petali, subito nascosta alla vista dalla
mole prepotente del sovrano. Il fatino era rimasto stranamente affascinato dalla visione, e si ripromise di
investigare ulteriormente sul fatto.
“Vi ringraziamo umilmente della vostra ospitalità, e faremo in modo di meritarcela. Non è la prima volta
che rimaniamo feriti, e contiamo sulla nostra naturale robustezza per riprenderci in tempi brevi e poter
compiere il vostro volere”
La gru aveva un’ala steccata ed un occhio chiuso, il suo compagno i vestiti di foglie stracciati e vari graffi e
morsi superficiali su tutta la sua anatomia. La polvere di fata che si portava dietro lo aveva salvato come
sempre, ma un poco di danni erano inevitabili.
“Oink! Mi fa piacere sentirvi così positivi. Bene. Bene! Andate ed esplorate il mio regno quanto più vi
aggrada, e cercatemi di nuovo quando sarete pronti a fare il mio volere! Oink!”
I due cavalieri si inchinarono un po’ rigidamente (le ferite facevano ancora male), si voltarono all’unisono e
marciarono impettiti nella direzione opposta, senza un’idea precisa di dove si stavano dirigendo.
“Naturale robustezza, Aliquando? Quale naturale robustezza? Siamo entrambi famosi per la nostra
leggiadria e fine eleganza, non per una costituzione di ferro. Ed è la prima volta che ci facciamo del male in
modo così intensivo, dopotutto”
“Dimentichi l’evento del gatto selvatico”
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“Fidati, non lo dimentico affatto. Ma in quel caso eravamo a casa nostra, con tutte le cure dei nostri cari e
le ricompense del nostro signore a farci riprendere più in fretta. Qui siamo persi in terra straniera con
medicamenti di fortuna e dobbiamo ancora compiere l’impresa per cui siamo venuti. Se questo re è anche
solo simile al nostro poi si stuferà in fretta dell’attesa e comincerà a chiederci insistentemente come ci
sentiamo e quando pensiamo di rimetterci. È stressante e poco salutare per la digestione”
“Il che mi ricorda, troviamo qualcosa da mangiare”
I due erano giunti in una radura piuttosto graziosa, con funghi e sassi e cespugli in fiore di varia forma e
dimensione. Giravano un paio di abitanti dall’aria più guardinga ma più vivace di quelli del loro regno, che
attraversavano lo spazio o giravano intorno ai vari ostacoli senza apparente scopo o metodo particolare. La
gru si avvicinò al criceto selvatico più vicino, impegnato a roteare convulsamente su se stesso, e chiese con
malcelata meraviglia:
“Mio buon roditore, sarebbe disposto a risolvere due miei pressanti interrogativi?”
Il criceto si fermo, perse l’equilibrio e vacillò per qualche secondo cercando di fermare il mondo che gli
vorticava attorno. Quando riprese abbastanza coordinazione per rispondere lo fece saltellando sul posto ed
ansimando per la fatica.
“Prego, bizzarri e pesti visitatori, chiedete pure. Spero di potervi rispondere anche se presentemente
impegnato”
“Bene, mi chiedevo intanto dove andare per mangiare un boccone, e poi il perché tutta questa costante
attività motoria”
“Sul mangiare la nostra filosofia è di girare a caso fino a trovare qualcosa di commestibile, o se hai roba da
scambiare di andare verso il mercato a destra da qui e godersi l’abbondanza. Sul movimento… be’, come
saprete il re ha dei dispiaceri, o più precisamente la principessa ne ha”
Tepes aguzzò le orecchie aguzze al sentir nominare una principessa, inserendosi musicalmente nella
conversazione.
“Il re ha una figlia dunque? Una cinghialotta?”
“Si e no, si e no. Ha una figlia adottiva a cui tiene moltissimo, uno spiritello delle rose che ha trovato mesi
fa abbandonato sul bordo del bosco”
“Oh, davvero. Interessante…”
Mentre il fatino si perdeva nei suoi pensieri, il criceto continuò la sua spiegazione ondeggiando come un
lombrico danzante.
“In ogni caso, la principessa è disperata ed il re pure, anche se non gli piace darlo a vedere. Ha richiesto
l’aiuto di due cavalieri da un regno lontano per risolvere il problema, ma non gli piace che il suo popolo stia
con le mani in mano, ed ha ordinato che tutti si diano da fare a modo loro. Visto che nessuno di noi è in
grado di dare un contributo valido per risolvere la questione, quantomeno ci mostriamo attivi ed operosi per
essere d’aiuto in spirito”
“La ringrazio per la spiegazione, gentile roditore. La lascio al suo movimento senza toglierle altro tempo”
Mentre il criceto attaccava un tip-tap forsennato, i cavalieri si allontanarono per non essere ascoltati e si
consultarono brevemente sul da farsi.
“Direi che avevi ragione, Tepes. Il re probabilmente diventerà impaziente molto velocemente, e sarebbe
meglio risolvere la cosa il prima possibile. Appena potrò togliermi questa roba dall’ala ci gettiamo verso
l’ignoto, che ne dici?”
“Non sarebbe meglio prima informarci di quale dovrebbe essere la nostra missione ed il problema con la
principessa?”
“Non essere ridicolo. Se fosse qualcosa di estremamente pericoloso o fastidioso il nostro corpo si
rifiuterebbe di guarire in fretta per salvarci da un tale supplizio. Spinto invece dalla curiosità si darà da fare
dieci volte di più per scoprire di cosa si tratta”
“Se lo dici tu… in ogni caso che intenzioni hai? Vai al mercato?”
“Pensavo di si”
La gru inserì il suo lungo becco nelle piume del petto ed estrasse un piccolo sacchetto di muschio e radici.
“Mi sono portato dietro un paio di perle di collina giusto per casi come questo. Ne approfitto per cercare
un presente per la mia signora oltre ad un po’ di ristoro. Tu invece?”
“Non avendo merce da scambiare ed essendo troppo raffinato per procacciarmi il cibo da solo, credo girerò
a caso fino a trovare una qualche consorte altrui disposta a soddisfare i miei bisogni”
“Non rovinare troppo la reputazione di noi cavalieri. E poi, se per caso non trovassi nessuno?”
“È proprio questo rischio a rendere più gustoso un pasto del genere”
Aliquando scosse rassegnato il capo e alzò l’ala sana in cenno di saluto.
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“Bè, non voglio trattenerti. Ci incontriamo qui a faccende ultimate”
Tepes emise un trillo di saluto e danzò in una direzione casuale, emozionato all’idea di esplorare
quell’ambiente sconosciuto.
Ora, miei cari lettori, vi è posta di fronte una scelta. I due cavalieri si dividono, e la storia può seguire solo
uno di loro per volta. Alle azioni di chi volete assistere? All’avventuroso fatino svolazzante in cerca di
avventure, o alla gru appiedata impegnata in shopping e pensieri della moglie?
Direi che il fatino vince senza colpo ferire, e chi non è d’accordo può andare a leggersi qualcos’altro.
Tepes girò per lunghi minuti accanto ad alberi e grosse rocce e licheni ed arbusti e parecchi insetti, e si rese
conto che il bosco era abbastanza uguale a se stesso per la maggior parte del tempo. Certo, incantevole
all’inizio, ma ripetitivo ed inutilmente complicato. Inoltre gli abitanti sembravano piuttosto schivi e riservati,
e di incantevoli casalinghe nemmeno l’ombra. Stava seriamente cominciando a dubitare della saggezza della
sua decisione quando udì un sommesso singhiozzare poco lontano alla sua sinistra.
Colto da un bizzarro presentimento si diresse cautamente in quella direzione, e nascosta dietro una foglia di
pino trovò la figurina che aveva intravisto dietro al re. Non aveva alcun dubbio sull’identità di quel corpicino
rosato e profumato, ed il motivo del suo pianto doveva essere la causa della sua presenza qui. Sentendo le
ruote del destino girare a tutto regime, il fatino si fece galantemente avanti in una cortese riverenza.
“Mia bella principessa, quale pensiero vi affligge?”
La voce inaspettata sembrò spaventare lo spiritello, che fece un morbido saltello indietro e guardò il
visitatore con espressione teneramente preoccupata. Petali per capelli, spine per ciglia, guance verdi rigate da
lacrime di polline… il fatino sentì un bizzarro brivido attraversargli la schiena, una cosa che non aveva mai
sentito prima d’ora.
“Oh… voi siete uno dei due cavalieri mandati a chiamare da mio padre. Come stanno le vostre ferite?”
“Passano in secondo piano di fronte al vostro evidente dolore. Il mio nome è Tepes, la mia vita è vostra”
Una risatina deliziata mentre il suo volto avverdava di pudico imbarazzo. Non sembrava abituata a
lusinghe o conversazioni con estranei. La situazione andava di bene in meglio.
“Non dovete sminuirvi così, gentile cavaliere. Mi avete appena incontrata, non posso essere così importante
per voi. Sono io che dovrei mostrarvi rispetto, per esservi offerti di risolvere la terribile sorte che mi affligge”
“E posso essere così ardito da chiedere di quale sorte si tratti?”
Lei sembrò piuttosto sorpresa dalla domanda.
“Come, siete accorsi così lontano senza sapere nemmeno in cosa dovreste aiutare?”
Vedendola sotto questo punto di vista Tepes si rese conto di quanto sciocca e avventata tutta quella
faccenda effettivamente era. Erano stati spinti dalla promessa di una damigiana e dalla speranza di
un’avventura, ma per quel che ne sapevano potevano non possedere nemmeno gli arti giusti per risolvere il
problema. Certo, il re non era sembrato deluso dal loro aspetto, ma era necessario trovare una ragione
cavalleresca per questo salto nel buio così azzardato o ci avrebbe perso la faccia.
“Le voci sulla vostra bellezza e bontà sono giunte fino al nostro lontano regno, e da tanto tempo desideravo
di potervi incontrare di persona. Saputo di un vostro cruccio sono stato preso da una tale smania di prestarvi
soccorso che sono partito senza nemmeno preoccuparmi di chiedere spiegazioni, trascinandomi dietro il mio
fedele compagno ed amico. Piuttosto sciocco da parte mia, non trovate?”
La principessa avverdò nuovamente ed abbassò lo sguardo mordendosi il labbro inferiore. La spiegazione
era stata un successo, un brindisi per tutti.
“Oh, no, non lo definirei sciocco… in ogni caso, il problema è molto semplice. Si tratta di… di…”
La sua voce si spezzò, le lacrime ricominciarono a scorrere ed il volto venne di nuovo nascosto tra i petali
delle dita. Evidentemente il solo pensiero di quello che era successo era sufficiente a risvegliare il dolore. Non
bene, doveva distrarla in qualche modo.
Tepes si fece avanti e le mise un’esitante mano sulla spalla minuta.
“Sono terribilmente dispiaciuto di aver risvegliato memorie così penose. La prego, mi permetta di distrarla
in qualche modo. Posso farle qualche domanda personale?”
“Si… certo, non ci sono problemi”
“Per caso lei ha presentemente una dolce metà, o è comunque impegnata ad un qualche futuro re?”
La principessa gli rivolse uno sguardo innocentemente perplesso, come se non capisse la domanda.
“No… no, certo che no”
Una scintilla di disappunto si fece strada nel cuore del fatino.
“Mio padre ci tiene troppo a me per pensare a cose simili. Non credo vedrebbe nemmeno di buon occhio la
conversazione che sto avendo con lei, mio gentile cavaliere. Eppure non posso certo essere così scortese da
rifiutare la sua compagnia, dopo tutte queste ferite che si è fatto per il mio bene”
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Tepes rifletté un attimo, poi un sorriso gli illuminò il volto graffiato.
Poteva andare.
E mentre pensava che era più che tempo che i lettori gli lasciassero un po’ di intimità e si occupassero di
altre faccende, mise un braccio intorno alle spalle della piccola e profumata principessa e le chiese con la
serenata più affascinante che riuscisse a modulare:
“Mi dica, vostra grazia… per caso le piace cucinare?”
“Quindi ti rifiuti di fornirmi qualsiasi dettaglio?”
“Cosa ti aspettavi, Aliquando? È una principessa. Una timida e pudica principessa. Non posso certo
raccontare i fatti suoi al primo che capita e violare così la sua regale privacy, ti pare?”
“Quindi sedurla va bene fino a quando non ne parli in giro?”
“Smetti di cercare il significato nascosto di ogni cosa che dico. Piuttosto, hai trovato niente di interessante al
mercato?”
La gru abboccò al tentativo di sviare la conversazione e mostrò con fierezza un pacchettino di corteccia
legato con un fiocco di fiorellini di bosco.
“Un riccio azzurro dalle punte smussate con dentro un nastrino colorato che trovo donerà tantissimo al
collo della mia adorata. Un delizioso soprammobile e ricordo della nostra impresa ed un accessorio di buon
gusto al prezzo di uno. Un regalo ideale”
“Sono davvero contento per te. Vedo che la tua ala sta meglio”
“Tutto grazie alla tua provvidenziale polvere. Anche le tue ferite stanno svanendo”
Erano passate parecchie ore, ed ormai si sentivano abbastanza in forma da affrontare la loro impresa.
Tepes non era riuscito ad ottenere alcun dettaglio al riguardo, e Aliquando non ci aveva nemmeno pensato.
Ora la curiosità di entrambi era all’apice, e non vedevano l’ora di farla finita con la snervante attesa.
Aspettarono ancora una mezz’oretta cercando di distrarsi, poi decisero che non ce la facevano più ed il loro
corpo avrebbe retto a qualsiasi sorpresa.
La gru si tolse la stecca e flesse cautamente l’arto con espressione soddisfatta, il fatino si spalmò un altro po’
di impasto dorato sui tagli e morsi e fece un poco di riscaldamento a mezz’aria. Pronti e decisi, si avviarono
verso il luogo del loro primo incontro con il re, dove ovviamente lo trovarono a girare in tondo smanioso.
Sembrava che qualche altro minuto di attesa e sarebbe arrivato lui a trascinarli in azione. Avevano avuto un
buon tempismo.
“Oink! Miei cavalieri, vi vedo in forma! Ottimo! Perfetto! Siete dunque pronti per risolvere la situazione?
Oink?”
I due si guardarono, presero un respiro e si voltarono nuovamente verso il loro datore di lavoro con uno
sguardo deciso.
“Siamo al vostro servizio, sire”
“Oink!!! Sono fiero di voi, davvero fierissimo, anche se non siete sotto al mio comando. Seguitemi, strada
facendo vi narrerò la vicenda. Oink.”
I cavalieri seguirono il re attraverso rovi e terreni scoscesi, oltre radici e radure, sempre più in profondità
verso il cuore del bosco.
“Oink. Avrete sicuramente sentito parlare di mia figlia adottiva, a questo punto. Il mio piccolo petalo di
rosa, la mia gemma più adorata… ah, se solo riusciste a capire quanto sia importante per me, quanto non
riesca a sopportare il pensiero di qualsiasi suo cruccio o problema, o di qualche profittatore disposto sfruttare
la sua innocenza e buon cuore… Oink…”
Tepes non riuscì a non ruotare gli occhi al cielo e a schiarirsi dolcemente la gola con fare importante, ed il
suo compagno lo percosse con una zampa stretta a pugno. Il re, immerso nei suoi pensieri, non si accorse di
nulla e continuò a raccontare.
“Oink! In ogni caso, la mia preziosa è ovviamente molto affine a qualsiasi essere vegetale, e si prende cura
di un sacco di piante in tutto il bosco. Non riesco a comprendere il criterio con cui preferisce un cespuglio ad
un altro, ma credo sia una mia limitazione difficilmente risolvibile. Tra tutte le sue protette però una quercia
è la sua preferita, e sembra andare molto d'accordo con tutte le sue ghiande. E qui avviene la tragedia.
Oink.”
Il tono del re si fece più basso e preoccupante, quasi accompagnando l’ambiente sempre più scuro e
selvatico che li circondava.
“Oink. Non tutti gli abitanti del bosco sono miei leali soggetti. Il mio regno è grande ed intricato, pieno di
nascondigli e di luoghi che io non posso raggiungere o controllare. Ovviamente non vi sono aperte ribellioni,
nessuno può sperare di affrontarmi in uno scontro, diretto o indiretto che sia. Ma vi sono individui
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indipendenti, selvatici, nascosti ed invisibili ai più che seguono una loro agenda personale e non si curano di
quella altrui. Normalmente non si mostrano pubblicamente e cercano di non attirare l’attenzione, ma talvolta
ne sbuca uno particolarmente avventato o temerario che osa creare problemi nei miei possedimenti. La mia
giustizia è famosa per essere rapida e severa, ma in questo caso mi trovo con le zanne legate. Oink…”
Un sospiro rabbioso verso la propria impotenza, una poderosa scrollata del dorso massiccio. I due cavalieri
deglutirono a fatica.
“Oink! La mia adorata figlia e la più giovane delle ghiande stavano giocando in una radura solitamente
sicura e pacifica, quando quel… mostro è sbucato dal fogliame e si è avventato su di loro. Ha terrorizzato la
mia povera stellina ed abbrancato la sua vegetale amica, svanendo con essa nel cuore del bosco. La mia
coraggiosa tartufina ha dato subito l’allarme, ed un plotone di volontari si è dato all’inseguimento, capitanato
ovviamente dal sottoscritto. L’inseguimento è durato per interi minuti, e ancora adesso si possono vedere i
risultati del nostro passaggio in quella zona del bosco. Infine però il vile criminale si è fortificato nella sua
dimora su uno dei rami più alti di un albero traditore, pronto ad aggredire chiunque si avvicini troppo. Io
non posso ovviamente raggiungerlo, nessuno dei miei sottoposti abbastanza leggeri per arrivare fin lassù è in
grado di tenergli testa, possiede provviste che potrebbero durargli per un assedio lungo un intero inverno e
non osiamo cercare di abbattere l’albero per paura di ferire l’ostaggio. Non sappiamo nemmeno se questi sia
già stato divorato o se è ancora illeso, ma non possiamo rischiare. E qui entrate in gioco voi e la vostra
aerodinamica prodezza. Oink.”
I due si studiarono a vicenda, vedendo rispettivamente un alto e sottile volatile dalle candide piume a
macchie bianche ed un minuto ominide con ali di farfalla e pelle d’oca. Non esattamente l’incarnazione della
terrificante spada della giustizia.
“…possiamo avere dei dettagli sull’identità della creatura?” chiese timidamente Aliquando, flettendo
cautamente l’ala ancora dolorante.
“Oink. Certamente. Si tratta di uno scoiattolo. Oink.”
I cavalieri rimasero abbastanza basiti da rimanere indietro di qualche passo. Mentre si rimettevano in riga
il fatino si gettò in un concitato assolo sottovoce al suo compagno ancora interdetto.
“Uno scoiattolo? Un piccolo, tenero scoiattolo è il protagonista di quella storia dell’orrore? Siamo qui per
combattere uno scoiattolo? Uno scoiattolo?”
“Zitto, Tepes. Non sappiamo come siano gli scoiattoli da queste parti. Magari indicano un diverso tipo di
creatura, come un falco o un serpente…”
“No, no, Aliquando, rifletti. Questo temibile scoiattolo ha rapito una ghianda. Mi sembra un
comportamento molto appropriato per quello che conosciamo noi, non per un qualche terribile predatore
sconosciuto. Se questo è il peggio che può capitare in questo posto, magari sarà davvero una passeggiata…”
“Oink. Siamo arrivati. Spero abbiate sviluppato una buona strategia. Oink.”
L’albero era alto e sottile, posto sul ciglio di uno scosceso dirupo che portava chissà dove. Un gruppo di
animaletti del bosco ne circondava la base, e vari uccellini lo osservavano alacremente da piante vicine.
L’assedio sembrava in pieno svolgimento. Il re indicò con il muso uno dei rami più lontani, lungo e
dall’aspetto robusto. La gru ed il fatino studiarono l’altezza ed il percorso, e senza esitazione si librarono
verso l’alto.
“Oink! Buona fortuna, miei salvatori! Oink!”
Il viaggio non durò molto, e i due si appollaiarono senza particolari problemi sulla tanto decantata
passerella verso la tana del mostro. Nel tronco di fronte a loro stava un buco di modeste dimensioni, il che
confermava la loro teoria sul roditore conosciuto. Tepes si fece avanti con le mani sui fianchi, preparando di
nascosto due belle manciate di polvere dorata, mentre Aliquando spalancava le ali con fare intimidatorio e
preparava l’affilato becco per una stoccata.
“Vile criminale, siamo qui per reclamare la ghianda che hai ingiustamente sottratto all’amore dei suoi cari!
Vieni fuori con la dovuta umiltà ed arrendevolezza, o preparati alla tua giusta… punizione…”
Durante la sua proclamazione qualcosa era sgusciato fuori dal buco, ed ora li stava studiando con ira ed
odio. Era si uno scoiattolo, ma il più grosso e selvatico esemplare che avessero mai visto. Il suo pelo grigio era
irto e spelacchiato, incapace di nascondere varie cicatrici sparse per la sua anatomia; i suoi denti erano
scheggiati, la sua bocca schiumante, i suoi occhi folli ed iniettati di sangue; la sua coda si agitava come una
frusta pelosa, le sue zampine unghiate si aprivano e stringevano convulsamente, il suo fetore li raggiunse e li
fece indietreggiare impercettibilmente.
I cavalieri rimasero in silenzio per qualche secondo, paralizzati nelle rispettive posizioni. Poi, il fatino trillò
con isterica allegria senza rivolgersi a nessuno di particolare:
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“Sono giunto alla conclusione che le avventure sono emozionanti ed avvincenti solo quando immaginate o
sentite raccontare nella sicurezza di casa propria. Da vissute, sono solo una pericolosa fonte di stress”
“Temo di essere d’accordo, Tepes. Temo davvero di essere d’accordo”
La gru ed il fatino, pesti ed ammaccati più che all’andata, stavano planando da quasi mezz’ora senza dire
una parola sulla via per casa propria. Quattro imponenti cerbiatti avrebbero trasportato la damigiana
promessa via terra mettendoci forse una giornata intera, ma la prospettiva di un giaciglio sicuro rendeva
molto più sopportabile il pensiero dell’attesa. Il re li aveva ringraziati con le lacrime agli occhi, la ghianda
incolume avrebbe avuto qualcosa di emozionante di cui parlare a casa e la principessa, anche se stranamente
malinconica, aveva riavuto indietro il suo compagno di giochi. Tutto è bene quel che finisce bene.
Aliquando fu il primo a rompere il silenzio.
“Sai, sono davvero sorpreso dal tuo abbandonare così la piccola Violetta. Mi sembravi davvero preso, e per
una volta era una relazione solo lievemente illecita. Di sangue reale, per giunta!”
“Si, be’… è complicato”
“Con te niente è complicato. Sono io quello complicato. Avanti, siamo lontani da qualsiasi tipo di obbligo o
privacy, raccontami qual’è stato il problema”
Tepes sembrò a disagio ed in conflitto, ma lo era sembrato dal momento della sua partenza, quindi non era
eccessivamente preoccupante. Era come se non riuscisse ad accettare bene qualcosa. Alla fine sospirò con
rassegnazione e si decise a rivelare il terribile segreto:
“Non sa cucinare”
“No!”
“Ebbene si. Sembra che sia così benamata dai sudditi del re che per tutta la sua vita le siano solo stati offerti
pasti su misura. Si aspettava anzi che le preparassi io qualcosa. Ma per quanto questo mi abbia sconvolto e
distrutto, credimi quando ti dico che sul momento sarei stato anche disposto a soprassedere e a fare la mia
eccezione definitiva”
“Solo che?”
“Solo che ricordi cosa ha detto il re? Era così contento per il nostro perfetto operato che si è offerto di darci
qualsiasi cosa in cambio. Qualsiasi cosa, capisci? E lei mi ha lanciato quello sguardo che conosco bene, quel
‘vedi? Ora non abbiamo più niente da temere!’. Una delusione la potevo sopportare, ma due erano davvero
troppe. Così, a malincuore, ho deciso che le vecchie soddisfazioni dopotutto sono anche le migliori”
La gru scosse la testa con empatia. Non voleva sprecare il fiato in vuote parole di conforto. Sperava solo che
in un modo o nell’altro l’amico riuscisse a trovare la felicità.
“Tu piuttosto saluta tua moglie quando la vedi, e dopo che hai finito di dirle quanto ti è mancata e tutta
quella roba. È da un sacco che non la vedo”
“Sono sicuro che sarebbe felice di avere tue notizie. Ti ha sempre trovato simpatico”
“Già…” sospiro il fatino con aria ancora più abbacchiata.
Aliquando non riuscì a sopprimere un sorriso al ricordo di quanto sua moglie si dispiacesse di essere un tale
disastro in cucina. Non aveva idea di che pericolo avesse scampato.
E così i due prodi cavalieri tornarono stanchi e vittoriosi alle rispettive vite, cresciuti in mente e spirito dalle
esperienze straordinarie che avevano affrontato e superato. Anche se la loro storia continuerà per chissà
quanti lunghi mesi, questa è finita, e così vi dichiaro una buona…
Come?
Non siete soddisfatti?
Questo taglio è troppo estremo, volete sapere com’è andato lo scontro con il terribile scoiattolo?
Mi dispiace dirvelo, ma non avrete soddisfazione. Come lo avranno sconfitto, mi chiedo? Con un
sanguinoso e brutale scontro diretto? Con un astuto stratagemma? Con geniale capacità oratoria e
disquisitoria? E che fine avrà fatto la bestia? Sarà morta? Fuggita? Pentita e convertita?
Ditemelo voi, cari lettori. Pensateci voi. Questa non è una storia di scontri ed avvenimenti, ma una storia di
figure.
La storia di una gru di nome Aliquando, e di un fatino di nome Tepes.
Forse il piccolo dongiovanni si pentirà e tornerà dalla principessa? Forse il fin troppo devoto volatile
litigherà con la moglie e viaggerà per il mondo alla ricerca di un nuovo scopo? Forse diventeranno nemici
giurati, forse continueranno così per tutto il resto delle loro vite?
Altri sogni, altre storie. I vostri sogni, le vostre storie. Spero di sentirle prima o poi.
Come?
Dite che sto solo cercando di sviare il discorso, e che sono solo pigro?
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Avete tutto il diritto alla vostra opinione, miei cari lettori. Ma che la storia vi sia piaciuta, come spero, o che
vi abbia lasciato con l’amaro in bocca, e mi dispiacerebbe, o che vi abbia sconvolto a tal punto da cambiare
per sempre le vostre vite e la vostra visione del mondo, cosa che mi sorprenderebbe alquanto, ora è il tempo
di quella parola che tutti temiamo ed amiamo al tempo stesso.
Une, deux, troix
Fine
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