Gianguido Reggiani UNA STORIA COMPLICATA “Animus

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Gianguido Reggiani UNA STORIA COMPLICATA “Animus
Gianguido Reggiani
UNA STORIA COMPLICATA
“Animus meminisse horret”
(L'animo inorridisce al ricordo – Virgilio - Eneide II)
Copyright © 2002 Alessandro Reggiani quale erede di Gianguido Reggiani
- All rights reserved
Sito web dell'Autore: www.giallipatt.it
Editore : Lulu.com
ISBN 978-1-4452-1301-9
Personaggi principali:
Sandro Patt praticante
Vincenzo G. avvocato
R.R. notaio
M.llo Rimbalza detective privato
Marino comm.rio P.S.
Mario possidente terriero
Oscar figlio di Mario
Assunta Skopitc convivente di Mario
Calogero Bompiani (Calò) fattore
Poldo custode della tenuta
Elena moglie di Poldo
Duccio figlio di Poldo
I
Aderendo al desiderio più volte manifestato da mio padre, non
appena conseguita la laurea in Giurisprudenza, entrai a far
parte, in veste di praticante, di un prestigioso Studio notarile, di
cui era titolare il notaio Dottor R.R.
Poiché odiavo dover condurre vita sedentaria e mal digerivo
trascorrere il mio tempo chino su tomi ammuffiti, consumando
il cervello in astrusi quesiti fiscali, quella esperienza non durò a
lungo. Essa, tuttavia, fu tale da lasciarmi impresso il ricordo di
singolari episodi.
Tra questi, uno in particolare, mi par degno di esser narrato.
Mentre melanconicamente, rinchiuso nella grigia stanzetta,
tentavo invano di applicarmi nello studio del quesito che mi era
stato sottoposto, ricevetti la visita del notaio in persona.
Si trattava di un uomo sulla sessantina di corporatura
massiccia, i capelli color pepe-sale, lo sguardo acuto, quadrato
di dentro e di fuori che in gioventù era stato campione di
sollevamento pesi, con i quali continuava ad allenarsi di buon
mattino.
- Dottore, - dissi arrossendo - non sono ancora riuscito a
sbrogliare la matassa.
- No, no, - rispose ridendo - non preoccuparti, voglio soltanto
raccontarti ciò che é appena accaduto. Stamane i primi clienti
sono stati due vecchietti, marito e moglie. Mi hanno incaricato
di stendere due testamenti: l’uno del marito in favore della
moglie, e l’altro della moglie in favore del marito. E’ ciò che
ho fatto. Fin qui tutto normale: hanno insieme assistito alla
lettura degli atti, hanno firmato e se ne sono andati soddisfatti.
Dopo una ventina di minuti, ritorna il vecchio da solo:
“Dottore, dice, intendo cambiare il testamento. A quella strega
di mia moglie, che mi ha rotto i coglioni per tutta la vita, lascio
soltanto corda e sapone: I miei beni li lascio tutti alla Suntina
S., che mi ha sempre amato e mi ha dato tutte le soddisfazioni
di questo mondo, lei mi comprende.......”
Così ho dovuto compilare il nuovo testamento che rende
inefficace il primo. Ti immagini quello che accadrà alla morte
del vecchio?
Facemmo dell’umorismo nero, giustificato. Trascorsi alcuni
giorni, il notaio venne di nuovo a trovarmi. Entrò porgendomi
un giornale: - Dia un po’ uno sguardo - disse indicandomi un
titolo a caratteri vistosi che suonava:
“ANZIANO
COLTIVATORE
DIRETTO
DI
SAN
PANCRAZIO, SI E’ TOLTO LA VITA IMPICCANDOSI AD
UNA TRAVE NELLA STALLA DELLA SUA FATTORIA”.
Non rammentando più l’episodio dei testamenti reciproci, non
lo posi in relazione alla tragica notizia.
- Ma come, non capisci? - fece lui - La corda e il sapone
destinati alla moglie, sono invece serviti per impiccare il
marito! Strana combinazione, non ti pare?
- Forse, - opinai - la vecchia lo avrà esasperato al punto da
togliersi la vita. Può darsi sia solo un giudizio temerario, ma mi
nasce uno strano pensiero ......
- Arrivo a immaginare - rincarò il notaio - che il vecchio abbia
perfino provato gusto a morire, proprio per il dispetto che
avrebbe fatto alla moglie, e per la gioia di far contenta la
Suntina.
Poiché nel mio subcosciente si era insinuata l’ombra del
sospetto, fui propenso a dubitare che in quello specifico caso si
trattasse davvero di suicidio.
Infatti, due moventi avrebbero potuto indurre un presunto reo a
commettere un omicidio: il miraggio di godere dell’eredità, o la
vendetta per vedersi sottratta l’eredità medesima.
Ad assistere all’apertura del testamento si presentarono la
vedova, l’unico figlio dello scomparso e due fratelli del “de
cuius”. Il notaio, posato nel portacenere l’irrinunciabile
toscano, fissò acutamente ciascuno dei presenti, accertandosi
della loro identità e, aperto il plico, dette inizio alla lettura del
testo all’uditorio che stava palesemente sulle spine: “....A
quella strega di mia moglie che mi ha rotto i coglioni per tutta
la vita, lascio.... corda e sapone. Nomino erede universale di
tutti i miei beni Suntina S......”
La lettura si interruppe bruscamente, allorché la vecchia
vedova si accasciò emettendo un gemito, il figlio balzò in
piedi, pronunciando con voce strozzata: “Non é possibile!
Quello era un pazzo degenerato. Questo testamento non può
essere valido! Il discendente diretto ha diritto alla sua
parte.....Mi rivolgerò al giudice.....” Mentre i due fratelli, quasi
divertiti, alzavano le spalle in segno di menefreghismo.
Era trascorsa una ventina di giorni dallo svolgersi di quella
memorabile scena, quando nella chiara mattina agostana, un
vivido raggio di sole si posò sulle scartoffie che stavo
esaminando, indorandole. Non seppi resistere alla tentazione e
me la svignai. La bici mi portò, volando lungo la stradina
polverosa, incorniciata da siepi fiorite, fino al litorale che
splendeva sotto il sole. La brezza leggera increspava
lievemente le acque che, sciabordando, battevano sulla battigia
un ritmo lento e continuo: l’ideale per tuffarsi. A sciolte
bracciate per scaldare i muscoli, poi voluttuosamente veloci, mi
allontanai dalla riva scivolando nel verde trasparente sino a
stancarmi. Quando mi girai per far ritorno, l’occhio, spaziando
intorno, scorse galleggiare, a breve distanza, quelli che mi
parvero essere due sacchetti di rifiuti, l’uno di piccole
dimensioni e l’altro, quasi attaccato, più voluminoso e
allungato. Imprecando contro quegli sciagurati che non si
facevano scrupolo di inquinare, deturpandolo, il Tempio della
natura, mi avviai verso la riva..........
Il giorno appresso, mentre nel mio odiato stambugio osservavo,
con soddisfazione, il cielo rannuvolarsi, il ché mi consolava dal
dover rinunciare ad un’altra serena evasione, il Notaio volle
venire ancora a trovarmi. Ripeté il gesto compiuto la volta
precedente, allungandomi con aria tragicomica il giornale del
mattino, dicendo: - E’ straordinario. Legga questo titolo. Il
titolo diceva:
“IDENTIFICATO IL CADAVERE DELLA DONNA CHE IL
MARE HA RESTITUITO. POI RINVENUTO NEL
POMERIGGIO DI IERI SULLA SPIAGGIA DI PUNTA
MARINA. Si tratta della vedova del colono suicidatosi venti
giorni fa in San Pancrazio: da cui l’ipotesi che si tratti di un
nuovo suicidio....”
C’era da rabbrividire: il giorno innanzi avevo avuto, senza
rendermene conto, un incontro ravvicinato con il cadavere
della vecchia! Il fagotto di più piccole dimensioni nascondeva
il capo della donna, mentre quello oblungo, più voluminoso, ne
copriva il dorso. E’ noto infatti che il corpo degli annegati,
risalito in superficie, galleggia sospeso carponi con gli arti
sommersi. A giudicare dall’espressione apparsa sul volto del
Notaio, dovevo essere impallidito: - Allora, che ne pensi? disse scrutandomi incuriosito. - Io dubito - risposi - che a
indurre la vecchia al suicidio sia stata la morte, anche se
beffarda, del marito; lei era di scorza troppo dura. La causa
deve essere un’altra..... Ritieni che l’abbiano fatta fuori? - Non so cosa pensare.
Dalla morte della donna può trarre vantaggio soltanto il figlio
che, fra l’altro, si sentiva defraudato della eredità del padre...
Ma per ora il sospetto é privo di fondamento. Sarà interessante
conoscere l’esito dell’autopsia.
II
L’esito dell’autopsia, del quale venimmo a conoscenza
attraverso la cronaca, non fece che confermare i miei, sia pur
vaghi, sospetti: la vecchia era stata barbaramente uccisa con un
violento colpo inferto da un corpo contundente alla nuca, ed il
suo cadavere, presumibilmente gettato nel corso d’acqua
denominato Canale Molinetto, aveva raggiunto il mare.
Commentando il tragico evento, al Notaio sfuggì la frase: - Ma
tu, forse, saresti stato più adatto a fare il detective.
Mi sentii ferito nell’amor proprio perché, se quello doveva
essere un complimento, io lo interpretai nel senso che avrei
potuto fare qualsiasi altro mestiere, fuorché il notaio.
Tuttavia preferii prenderla in ridere, riconoscendo che quella,
purtroppo, era la pura verità. Ma non avrei certamente scelto di
fare il detective, perché la mia aspirazione era di divenire un
buon avvocato e, non appena se ne fosse presentata
l’occasione, ne avrei approfittato.
Ad assistere alla lettura del secondo testamento, anche alla mia
presenza, furono convocati il figlio e la sorella della defunta.
Si presentarono vestiti a lutto, visibilmente ansiosi di conoscere
la sorte che li attendeva.
“......nomino erede universale di ogni mio avere mio marito...”
- Lo immaginavo! - sibilò il figlio - Ecco la dimostrazione del
bene che mi volevano! Ma questo non significa nulla perché,
mi corregga se sbaglio, signor notaio, io ora, per legge, eredito
i beni di mia madre, mentre, per quelli di mio padre ho già dato
incarico a un legale di impugnare il testamento. La sorella della
vittima si limitò a lamentare:
“Poteva almeno lasciarmi la biancheria, o qualche ricordo.
Ma lei é sempre stata una egoista”.
Come se ne furono andati, il Notaio, accese il toscano e
soffiando sulla brace, disse:
- Fra poco si farà viva la Suntina...Chissà come sarà fatta?
Anche a me interessa sapere che aspetto ha. Potrebbe
rappresentare uno dei tasselli, se venissimo a sapere che da
tempo era a conoscenza del testamento in suo favore.
- Ma immagini la pacchia se, prima del marito, fosse morta la
moglie? La ragazza avrebbe ereditato l’intero patrimonio.
Venne presto il giorno in cui la Suntina si presentò allo
Studio......
Il suo aspetto mi destò sorpresa, perché tutto avremmo
immaginato, fuorché veder entrare una splendida ragazza, ben
vestita e dal fare spigliato.
- Dottore, - disse subito parlando correttamente con voce
gradevole - mi necessiterebbe la copia autentica del testamento
che mi nomina erede. Mi serve per far valere i miei diritti.
- L’accontentiamo subito. - rispose il notaio lanciandomi
un’occhiata divertita - Lei prima, però, dovrebbe levarmi una
curiosità: dalle parole del testatore parrebbe che la vostra
relazione durasse da una vita, mentre lei ha un aspetto molto
giovanile.
Il suo volto, che assomigliava ad uno di quelli ritratti dal
Botticelli nella sua “Primavera”, si velò di un mesto sorriso.
- La nostra relazione durava da cinque anni soltanto.
Mario, tuttavia, si ostinava stranamente a credere di avermi
sempre conosciuta. Nonostante la grande differenza di età, ci
amavamo come due ragazzi.
- Non ne dubito - osservò il Notaio - e credo che Mario sia
stato davvero baciato dalla fortuna.
- Con la sua morte - riprese lei sospirando - mi resta un vuoto
incolmabile.
Allorché ci ebbe lasciato, anche la fredda stanza parve
riempirsi di vuoto. Nessuno di noi aveva avuto l’ardire di
chiederle se conoscesse la causa del suicidio dell’amante.
Qualcosa mi indusse ad affacciarmi alla finestra prospiciente la
strada. La vidi attraversare, quasi correndo, la via fino a
raggiungere il marciapiede opposto. Un giovane biondo,
aitante, le andò incontro abbracciandola e baciandola. Poi si
avviarono tenendosi stretti.
III
- Se non hai impegni, vieni al mio Studio, devo parlarti. Il suono della voce amica mi raggiunse per telefono nello
stesso momento in cui stavo riflettendo sulla maniera più
diplomatica per cercar di convincere mio padre a rinunciare al
sogno di vedermi notaio.
Vincenzo G., brillante avvocato penalista del nostro Foro, era
da sempre amico di famiglia. Segaligno, il volto scarno con
qualche ruga precoce, l’espressione sempre in bilico tra
l’amabile e il sardonico, mi ricevette sorridendo, gli occhi
semichiusi dietro le grosse lenti da miope.
- Mi trovo di punto in bianco senza procuratore. Randi é
dovuto partire all’improvviso per il richiamo alle armi. So che
il lavoro che stai facendo ora non é di tuo gusto e mi sono
chiesto se non ti potesse interessare venire a darmi una mano.
La pratica potresti farla presso il mio Studio. Sei un ragazzo
capace e potrei associarti in qualche difesa.
- Incomincio a credere nella telepatia. - risposi - Nel momento
stesso in cui decidevi di telefonarmi, io stavo studiando la
maniera di tagliare la corda una volta per tutte, evitando di
procurare dispiacere a mio padre.
- Questo significa che sei disponibile? - Non mi sono mai sentito più felice! Ma temo di non essere
all’altezza. - Bene, possiamo incominciare da subito. Convincerò io tuo
padre.
Mio padre, persona comprensiva e di buon senso, mutò
l’obbiettivo dei suoi sogni, ed il Notaio non parve
eccessivamente addolorato per il cambiamento di rotta. Ero
entrato in un mondo completamente diverso dal primo, ed a me
assai più congeniale. Ora tutto si svolgeva come nelle partite a
scacchi in una lotta senza tregua. Mentre ero intento a
consultare il Codice, la segretaria di Studio venne ad avvertirmi
che Vincenzo voleva vedermi. Mi recai nel suo ufficio ove era
ad attendermi una sorpresa: di fronte alla scrivania sedeva il
figlio dell’impiccato....
- Ti presento il signor Oscar.... - Questo signore lo conosco già.
- lo interruppi allungando il braccio verso il nuovo venuto per
stringergli la mano - Come sta? E’ a buon punto nella pratica di
impugnazione?
- Come, ne sei già al corrente? - Intervenne sorpreso Vincenzo.
Lo resi edotto della vicenda svoltasi nello Studio notarile.
- Ottimo, allora nessuno meglio di te conosce il caso. Lei, disse rivolto al cliente - può anche discuterne con il Dottore,
cureremo insieme la pratica, ed abbia fiducia. Si prospetta un
caso di circonvenzione di incapace, una tra le nostre
specializzazioni. La spunteremo. Dopo qualche attimo di perplessità, l’uomo sembrò soddisfatto
e pronto a collaborare. Scambiato uno sguardo d’intesa con
Vincenzo, dissi: - E’ necessario che prenda qualche appunto, se
vuol seguirmi, la conduco nel mio ufficio, venga. Nella nuova stanza, assai più accogliente del pertugio
precedente, ci trovammo a nostro agio.
- Quella ragazza, quella Suntina, contro cui dobbiamo agire, in
quale occasione conobbe suo padre?
- Quella puttana, vuol dire? La incontrò occasionalmente in una
casa di tolleranza: una profuga straniera che si prostituiva. Se
ne invaghì, si mise in testa di redimerla, la tolse dalla “vita” e
prese a mantenerla. Rimasi scioccato: nella ragazza non traspariva nulla di quel
torpido passato. Oltretutto parlava correttamente la nostra
lingua senza inflessioni straniere.
- La sua povera madre riusciva a tollerare tutto questo, sino al
punto di nominarlo addirittura erede? - Erano liti continue, soltanto motivi economici li tenevano
uniti. Il testamento in favore della moglie? Semplicemente
frutto di un patto scellerato per ottenere a sua volta il
testamento in proprio favore. - Questi patti, se provati, sono nulli. Ma la ragazza si é poi
redenta? - Debbo riconoscere che, in apparenza, ha cambiato totalmente
vita. Era suo interesse, d’altronde. Con mio padre non le
mancava nulla. Le aveva fatto ottenere il diploma e procurato
un impiego.
- Scusi, ma se “puttana” non lo é più, perché lei si ostina
chiamarla con quel nome infamante? - Lo dissi senza
acredine............
- Un motivo c'è: io ero convinto che, segretamente, tradisse
mio padre. Non ho mai avuto il coraggio di farglielo capire,
perché in tal caso, sarebbe anche stato capace di ucciderla.
- E’ possibile che, proprio l’apprendere del tradimento, lo abbia
indotto a suicidarsi? - Questo, dottore, io lo escluderei perché, se così fosse stato,
prima di togliersi la vita, avrebbe sicuramente distrutto quel
testamento. - Ma, allora, quale potrebbe essere stata la causa del folle
gesto? - Si strinse nelle spalle: - Non capisco... non ne aveva
motivo. - Lei sa nulla dell’uomo con cui ritiene lo tradisse? Se
avessimo le prove certe del tradimento, questo sarebbe un altro
buon motivo onde ottenere l’annullamento per indegnità. - Gli
si illuminarono gli occhi. - Se é così, stia pur sicuro che
riuscirò a procurarmi quelle prove. Mi darò subito da fare. Dal modo in cui si espresse, imparandolo a conoscere, non
dubitai che vi si sarebbe gettato anima e corpo, e non mi restò
che attendere fiducioso l’esito della sua indagine. In un certo
senso, se non proprio la prova, ma sicuramente un grave
indizio, mi si era già offerto allorché mi affacciai alla finestra
del mio ufficio. Ero restio a mettere in ordine i pezzi sulla
scacchiera, per una congenita inclinazione al disordine,
preferendo, allorché li avessi raccolti tutti a caso, provare,
soltanto alla fine, la voluttà di farli combaciare.
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