sentenza in materia di truffa contrattuale

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sentenza in materia di truffa contrattuale
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso in data 11 gennaio 2011, il
Pubblico Ministero presso il Tribunale di Tivoli, all’esito delle indagini preliminari,
ha disposto il dibattimento nei confronti di M. R., chiamandola a rispondere dei reati
di truffa e di falso compiutamente descritti in rubrica.
Dichiarata l’apertura del dibattimento, ammessa la costituzione di parte civile di
S. M., P. C., S. T.e S. M.e disposta la citazione del responsabile civile Banca ____, sono
state avanzate ed accolte le richieste istruttorie formulate dalle parti.
Nel corso della fase istruttoria, sono quindi stati sentiti i testi S. M., S. M., P. C., S.
T., R. P., R. F., F. M. G. e M. V. ed è stata esaminata, su sua richiesta, l’imputata M. R..
All’esito, il Tribunale, rilevata la necessità di procedere ad una perizia su alcuni
aspetti rimasti controversi della vicenda, ha conferito incarico alla d.ssa S. P. di
redigere elaborato peritale.
All'udienza del 6 maggio 2014, è stato dunque ascoltato il perito ed i due
consulenti tecnici di parte, M. L. e C. G. e il Tribunale ha invitato le parti a concludere.
Quindi, dichiarata chiusa l'istruzione dibattimentale, hanno rassegnato le
proprie conclusioni il rappresentante del P.M., il patrono di parte civile, il difensore
del responsabile civile e quello dell'imputato ed il Giudice ha deciso come da
separato dispositivo, ritenendo gli elementi emersi nel corso della fase istruttoria
ampiamente sufficienti a fondare un giudizio di colpevolezza dell’odierna prevenuta
in ordine ad entrambe le fattispecie di reato a lei ascritte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, occorre sin da subito evidenziare che nel presente processo
non è oggetto di valutazione la liceità o meno dei cc.dd. prodotti finanziari posti sul
mercato dalla __________ Bank s.p.a., bensì la liceità o meno della condotta posta in
essere dalla imputata M. R., nella sua qualità di promotore finanziario della citata
Banca, in ordine alla induzione delle persone offese ad eseguire alcune operazioni
di investimento in borsa consistenti nell’acquisto di titoli e prodotti finanziari
attraverso artifici e raggiri, consistiti nella prospettazione dell’investimento in
termini di sicurezza rispetto al capitale investito, sottacendo maliziosamente le reali
caratteristiche delle operazioni e l’aleatorietà delle stesse rispetto alla garanzia della
restituzione del capitale investito, in tale modo procurandosi un ingiusto profitto
pari alle provvigioni ottenute, con correlativo danno per i clienti.
Risponde altresì la M. del reato di falso in scrittura privata, per aver ella compilato
personalmente delle schede finanziarie sottoscritte in bianco dalle persone offese
ed aver apposto alcune loro false sottoscrizioni in calce a degli ordinativi di acquisto
o vendita titoli.
Come è noto, nello svolgimento delle prestazioni dei servizi di investimento e
accessori i soggetti abilitati (le Banche, primariamente – art. 18 TUF – ed i funzionari
addetti delle stesse) devono, fra l’altro, comportarsi con diligenza, correttezza e
trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; devono acquisire
le informazioni necessarie dai clienti ed operare in modo che essi siano
adeguatamente informati; devono svolgere una gestione indipendente, sana e
prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni
affidati (art. 21 TUF, che continua a prevedere obblighi del genere anche nel testo
modificato dal D.Lgs. n. 164/07).
Questi criteri generali risultavano, all’epoca dell’inizio del rapporto investitorio,
dettagliatamente specificati nella delibera Consob 11522 del 1.7.1998 e successive
modificazioni, nella quale sono prescritti i doveri di comportamento che gli
intermediari autorizzati devono avere con il cliente sia prima, che durante e dopo la
contrattazione. Fra questi spiccano l’obbligo di chiedere all’investitore notizie circa
la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione
finanziaria, i suoi obbiettivi di investimento, nonché la sua propensione al rischio;
l’obbligo di non effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione
se non dopo avere fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui
rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza
sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento
(art. 28 delibera citata).
Esaurita questa breve premessa introduttiva, può dunque passarsi ad esaminare
le risultanze delle emergenze istruttorie dibattimentali.
2. La testimonianza di P. C. e delle altre persone offese.
Il teste, persona offesa, P. C., casalinga, con una bassa scolarità avendo conseguito
semplicemente la licenza elementare, ha dichiarato di essersi fatta convincere dalla
M.– persona da lei conosciuta da molti anni, essendo nata anch’ella in Palestrina ed
essendo stata per lungo tempo dipendente delle Poste di quel paese – ad investire
l’intero ammontare dei risparmi familiari, oltre che della eredità pervenuta al marito
S. M. in seguito alla scomparsa della madre B. G.. A cavallo tra il 2001 ed il 2007, la
P. ed i suoi familiari avevano quindi a più riprese versato alla M. una somma
complessiva pari a circa € 120.000,00, dietro la rassicurazione costante della
promotrice sugli esiti e sulle finalità dell’investimento: mai sarebbe stato intaccato
il capitale versato e gli interessi maturati erano in continua crescita.
Ha aggiunto la P. di non esser stata in alcun modo informata prima
dell’investimento sulle caratteristiche di quest’ultimo, né di aver compilato schede
finanziarie o profili di rischio attraverso cui valutare la sua propensione al rischio.
In ogni caso, nei primi tempi, le operazioni eseguite avevano prodotto degli utili,
tanto che ella ed i suoi familiari, quando ne avevano necessità, avevano eseguito
anche dei prelevamenti, tutti correttamente e tempestivamente andati in porto
previo avviso telefonico alla odierna imputata (vedi foglio 9 trascrizioni dep. P.).
Ad un certo punto, intorno all’anno 2007/2008, allorché iniziarono a girare con
continuità le voci sulla crisi finanziaria che cominciava ad attanagliare il mondo, la
P., si era resa conto che la somma di denaro inizialmente investita stava
progressivamente diminuendo. Nei primi tempi, ella si era limitata a chiedere
spiegazioni alla M., che le rispondeva di non preoccuparsi perché tutto procedeva
regolarmente, ma successivamente, leggendo la corrispondenza che proveniva dalla
Banca, si era accorta della cospicua diminuzione del capitale investito.
Da allora, aveva ripetutamente richiesto che le fosse inoltrata tutta la
documentazione relativa alle operazioni eseguite, venendo così a conoscenza dei
continui movimenti di capitale cui il suo conto era stato sottoposto, del fatto che le
schede finanziarie in possesso dell’istituto di credito erano state compilate a sua
insaputa, della assoluta falsificazione di buona parte delle sottoscrizioni apposte sui
prospetti autorizzativi allegati agli investimenti e soprattutto delle cospicue perdite
subite nel corso degli anni.
Di qui, nel luglio del 2009 la presentazione della querela e la richiesta inoltrata
alla banca di essere seguita da un diverso promotore finanziario – tale L. S. – il quale,
per prima cosa, le sottopose i test Mifid e rimodulò completamente gli strumenti
finanziari su cui appuntare le attenzioni della famiglia.
Con accenti diversi, ma contenuti sostanzialmente analoghi, tali dichiarazioni
hanno ricevuto integrale conferma nelle deposizioni di S. M., marito della P., e in
quelle delle due figlie M. e T..
3. La testimonianza di R. P..
Il teste R. P., Luogotenente della Guardia di Finanza di Tivoli incaricato dello
svolgimento delle indagini, ha sostenuto che, ricevuta la delega dalla Procura della
Repubblica, procedette anzitutto alla acquisizione di tutta la documentazione in
possesso dei querelanti e dell’istituto di credito, riscontrando delle evidenti
difformità tra le copie rilasciate ai clienti – per lo più prive di ogni indicazione
relativa alla propensione al rischio e delle sottoscrizioni del promotore – e quelle
custodite presso la ________ Bank, complete in ogni loro parte. Ha poi precisato il teste
che non vi era prova alcuna del fatto che la M. avesse in alcun modo distratto
indebitamente somme dal conto dei querelanti e che risultavano acquisite da parte
dell’imputata provvigioni per circa € 4.309,00.
4. In sede di esame, l’imputata M. R., dopo aver ripercorso dettagliatamente le
origini dei rapporti intrattenuti con la P., prima, e con tutti i suoi familiari poi, si è
difesa dalle accuse mosse, sostenendo di essersi accuratamente attenuta alle
richieste provenienti dai clienti, rinvenendo sul mercato gli strumenti finanziari e
diversificando dal mercato obbligazionario a quello azionario il loro portafoglio
titoli. Ha poi affermato che i problemi cominciarono a manifestarsi con il crollo della
corona islandese, moneta comunemente ritenuta “sicura”, la quale tuttavia aveva
subito un vero e proprio inaspettato crollo, portandosi dietro coloro che vi avevano
investito sopra.
Infine, ha negato la M. di aver mai compilato alcuna scheda finanziaria o di averla
fatta sottoscrivere in bianco, solo ricordando che, in occasione di un viaggio che la
famiglia P./S. doveva fare in Egitto nel 2007, chiese a C. di firmare il modulo
autorizzativo senza apporvi la data e di aver poi completato il documento nei giorni
successivi inoltrandolo alla banca.
5. Il teste difensivo R. F., dipendente della Banca IPB e collega di stanza della M.,
aveva, in ragione della sua attività professionale, conosciuto tutti i componenti della
famiglia P./S. e, pur precisando di non avere effettuato investimenti finanziari nel
loro interesse, ha sostenuto di aver avuto contatti continui con i querelanti, spesso
presenti negli uffici della banca per chiedere informazioni sugli investimenti, di aver
riscontrato la loro accorata partecipazione alla natura ed agli scopi delle operazioni,
di essere a conoscenza che qualunque ordine autorizzativo all’acquisto o alla vendita
di strumenti finanziari deve essere eseguito per iscritto e trasmesso alla sede
centrale, dove viene comparato con lo specimen di firma depositato presso l’istituto
di credito.
6. Gli investimenti eseguiti.
Dalla documentazione prodotta dalle parti e soprattutto dalle risultanze della
consulenza tecnica svolta dal perito dott.ssa P. S., su incarico del Tribunale, emerge
che nel corso degli anni, l’odierna imputata, su incarico dei querelanti, ha compiuto
numerose e diversificate operazioni, quali: a) l’acquisto della polizza 0800/142063
“Euresa IPB Multifondo”, avvenuto in data 16.7.2007 per l’importo di € 25.000,00,
strumento finanziario a rischio poiché contenente fondi con capacità di rimborso
incerta, risoltasi in una perdita di circa € 11.275,00; b) Posizione Fidelity, nella quale
a fronte di un investimento di € 21.106,62 in fondi azionari esteri, si è avuta una
perdita di € 7.422,58; c) Acquisto ISK Corona Islandese, completamente crollate a
causa della crisi di quel paese avvenuta nell’anno 2008, causa principale delle
perdite verificatesi sul conto dei querelanti; d) Fondo _____ e Posizione Obbligazioni,
risultate sostanzialmente stabili nel tempo, quando non addirittura lievemente
consolidatesi nel loro ammontare complessivo.
Complessivamente, a fronte di un capitale immobilizzato pari ad € 100.564,15 –
al netto dei versamenti, dei prelevamenti e dei giroconti – il controvalore
dell’insieme di tutte le posizioni nel portafoglio clienti alla data del marzo 2009 di
presentazione della querela era pari ad € 71.588,98, con perdita pari al 28,81 % del
capitale investito.
Dunque, anche l'esame approfondito degli investimenti finanziari effettuati dalle
persone offese e la tempistica degli stessi dimostrano l’anomalia dell’evoluzione
della strategia investitoria della P. e dei suoi familiari, i quali dapprima si limitano
ad investimenti assolutamente sicuri e poco fruttuosi, salvo poi scatenarsi, proprio
in prossimità dell’emergere della crisi finanziaria, con operazioni di notevole rischio
finanziario, tali non solo da pregiudicare i margini di guadagno, ma anche da
intaccare il capitale investito.
Sotto questo profilo, la prospettazione dei maggiori introiti, rispetto ai vecchi
prodotti finanziari acquistati, ed il silenzio serbato con riferimento agli alti rischi,
potrebbero avere particolarmente allettato le persone offese, che proprio in virtù di
un simile quadro prognostico si sarebbero indotte all’esecuzione di siffatte
operazioni. E, tutto ciò sarebbe stato ulteriormente favorito dal buon esito dei primi
investimenti eseguiti, che avrebbero contribuito a sviluppare nei prefati il
convincimento di avere intrapreso la strada investitoria più conveniente.
Ad ulteriore riprova di ciò vale la pena richiamare le false schede del profilo
cliente compilate in occasione del primo investimento nei prodotti finanziari
strutturati in questione. Trattasi di documenti certamente falsificati, sia
materialmente alla luce del fatto che la copia consegnata alle querelanti contiene
unicamente la data e la loro sottoscrizione, mentre quella custodita dalla banca ed
acquisita dalla Guardia di Finanza è completa in ogni sua parte, recante altresì
l’indicazione del numero di contratto, e la barratura delle caselle relative alla
propensione al rischio, alla esperienza in materia di investimenti ed agli obiettivi
perseguiti, oltre al timbro ed alla sottoscrizione del funzionario della banca; sia
altresì ideologicamente, ove si pensi che risultano barrate caselle pacificamente non
corrispondenti al profilo di investitore della famiglia P./S., compilate proprio al fine
di effettuare l’investimento rischioso.
In quel periodo, infatti, nessuno dei componenti della famiglia aveva effettuato
investimenti azionari e, dunque, non poteva oggettivamente avere esperienza in
materia di “warrants, obbligazioni di emittenti con rating inferiore ad “A” o in divisa
molto volatile”, né poteva avere una propensione al rischio dinamico pari a “5” in
una scala da “1 a 6”.
Del resto, a seguito del cambio di promotore finanziario verificatosi in esito alla
presentazione della querela, il nuovo consulente sottopose i test Mifid agli
investitori ricavandone un profilo di rischio “prudente” completamente difforme da
quello riportato sulle schede precedentemente custodite nell’istituto di credito.
In definitiva, nel momento in cui le persone offese si accingevano ad effettuare gli
investimenti finanziari in esame, dovevano essere resi edotti, in maniera consona al
proprio grado di cultura e, in generale, alle proprie capacità cognitive, dei rischi che
correvano e delle caratteristiche reali dei prodotti finanziari che intendevano
acquistare. Le informazioni, invece, venivano rese in maniera incompleta e parziale,
oltre che generalmente fuorviante, contenendo la richiesta di autorizzare operazioni
contrarie al reale profilo di rischio del cliente, in tal modo andandosi evidentemente
ed obiettivamente ad incidere sulla loro volontà contrattuale.
Alla luce di tutte queste considerazioni la testimonianza delle persone offese va
considerata credibile ed attendibile.
In buona sostanza, ad esse venivano omesse le dovute informazioni circa i reali
profili di rischio sottesi all’acquisto dei prodotti finanziari strutturati in questione
ed al tempo stesso venivano indotte alla sottoscrizione di ordini autorizzativi
attraverso la prospettazione dei prodotti citati come sicuri investimenti simili a
quelli effettuati in precedenza, sebbene produttivi di un maggiore rendimento.
7. Considerazioni giuridiche sul delitto di truffa
Come è noto, è configurabile il reato di truffa, nella specie contrattuale, quando il
"dolus in contrahendo" si manifesti attraverso artifici o raggiri che, intervenendo
nella formazione del negozio, inducono la controparte a prestare il proprio consenso
e cioè quando sussiste un rapporto immediato di cause ad effetto tra il mezzo o
l’espediente fraudolentemente usato dall’agente e il consenso ottenuto dal soggetto
passivo, sì che questo risulta viziato nella sua libera determinazione (Cass. pen. sez.
II, 27.10.1986-17.2.1987, n. 2041).
Sotto questo profilo, ricorrono gli estremi della truffa contrattuale ogniqualvolta
uno dei contraenti ponga in essere artifizi o raggiri diretti a tacere o a dissimulare
fatti o circostanze tali che, ove conosciuti, avrebbero indotto l’altro contraente ad
astenersi dal concludere il contratto (Cass. pen. sez. VI, 13.2.1987-8.5.1987, n. 5705;
in senso conforme sulla rilevanza del silenzio maliziosamente serbato circa clausole,
fatti o circostanze rilevanti al fine della conclusione del contratto: Cass. pen. sez. II,
18.12.1995, n. 2333).
Del resto, in tema di truffa negoziale, la sussistenza dell’ingiusto profitto e del
correlativo danno non è esclusa dal fatto che il raggirato abbia effettuato quella
prestazione che in base al contratto appariva giusta ed equa, quando risulti che la
prestazione stessa non sarebbe stata eseguita senza l’impiego dei raggiri (Cass. pen.
sez. VI, 14.6.1983, n. 274).
Quanto al momento della consumazione del reato, secondo la S.C., la truffa è reato
istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della
condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la "deminutio patrimonii" del
soggetto passivo. Sicché, nell'ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non
già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione
della "datio" di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo
conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da
parte del raggirato (Cass. pen. Sez. U., 21.6.2000, n. 18).
Scendendo più nel particolare della vicenda che qui ci occupa, occorre ora
soffermarsi sulla configurazione giuridica della truffa contrattuale avente ad oggetto
contratti relativi a prodotti finanziari.
Le argomentazioni giuridiche che a questo punto si intendono esplicitare devono
necessariamente prendere le mosse da un dato: la truffa ipotizzata dal P.M. ha ad
oggetto un particolare tipo di contratto, e cioè un negozio giuridico relativo
all’acquisto di un prodotto finanziario caratterizzato da un’elevata potenzialità
utilitaristica, correlata, però, ad un altrettanto elevato rischio di perdita, anche del
capitale, legato all’andamento, futuro ed incerto, dei mercati finanziari. Se il mercato
finanziario è in crescita i profitti sono elevati; al contrario, aumentano i rischi di
perdita del capitale.
Il consulente titoli di una banca che, nascondendo maliziosamente al cliente le
reali caratteristiche del contratto, lo induce a sottoscrivere l’acquisto di un simile
prodotto finanziario, nella erronea convinzione di acquistare un prodotto
finanziario ad alto rendimento, sebbene in assenza di rischi di perdita del capitale
originariamente investito, è consapevole della sussistenza di un’astratta possibilità
di provocare danni all’ignaro cliente, tenuto conto dell’alea sottesa al negozio
giuridico.
Orbene, l’operazione può concludersi positivamente per il cliente come anche
negativamente. Nel primo caso, l’evento dannoso non si verifica per cause
indipendenti dalla volontà del soggetto attivo; nel secondo caso, al contrario, la
condotta ingannatoria posta in essere dal funzionario di banca ha prodotto le
conseguenze dannose astrattamente possibili, stante la natura aleatoria del
contratto stipulato.
Sotto il profilo giuridico, nel primo caso la mancanza dell’evento determina la
necessità di valutare la condotta in termini di astratta idoneità e non equivocità a
produrlo, secondo lo schema del delitto tentato di cui agli artt. 56, 640 c.p.
Al riguardo, non può non evidenziarsi che, avendo ad oggetto la truffa proprio la
stipula di un contratto fortemente aleatorio, sussiste l’astratta idoneità e univocità
della condotta a produrre l'evento dannoso, essendo insito nelle caratteristiche del
negozio giuridico concluso il rischio del danno. Sotto questo aspetto, del resto, i
contratti in questione non prevedevano la possibilità di modificare le caratteristiche
ed i contenuti dell’investimento finanziario effettuato, sicché o l’operazione veniva
portata a compimento nei termini pattuiti, ovvero il cliente assumeva tutti i rischi di
un recesso anticipato.
Se il danno, invece, si verifica – come nel caso di specie accertato attraverso la
consulenza della d.ssa P. S. – la truffa non è meramente tentata, bensì consumata.
Tale discorso si è reso necessario, poiché le Difese in sede di discussione finale si
sono a lungo concentrate sulla ritenuta assenza di un danno economico e sul
contesto altamente critico dell’intera economia nell’ultimo decennio, con
argomentazioni tuttavia utili al più a qualificare la truffa come tentata e non
consumata, ma non certo ad escluderne la sussistenza.
Quanto all’elemento soggettivo, come è noto, nel delitto di truffa esso è costituito
dal dolo generico, diretto o indiretto, avente ad oggetto gli elementi costitutivi del
reato (quali l’inganno, il profitto, il danno), anche se preveduti dall’agente come
conseguenze possibili, anziché certe della propria condotta, e tuttavia accettato nel
loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio; per cui è priva di
rilevanza la specifica finalità del comportamento o il motivo che ha spinto l’agente a
realizzare l’inganno (Cass. pen. sez. VI, 7.11.1991, n. 470).
Dunque, il dolo della truffa può manifestarsi anche nella forma del dolo eventuale.
Al riguardo, è noto che sussiste dolo eventuale quando l’agente, ponendo in essere
una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenti la concreta possibilità del
verificarsi di ulteriori conseguenze della propria condotta, e ciononostante agisca
accettando il rischio di cagionarle. Al contrario, quando si entra nel campo della
probabilità, specie quando la realizzazione del fatto si presenti all’agente altamente
probabile – e sarà lo stesso concreto accadimento a segnare la linea di demarcazione
– non si può ritenere che il colpevole si limiti ad accettare il rischio dell’evento, ma
accettando l'evento, lo vuole, sicché versa in dolo diretto e non eventuale (Cass. pen.
Sez. U. 14.2.1996, n. 3571).
Orbene, rispetto all’evento, il promotore finanziario, che, in relazione alle
concrete circostanze del caso, si rappresenta, non come probabile, ma anche
semplicemente come meramente possibile, il prodursi di un danno per il cliente a
seguito della stipula del contratto finanziario, pone in essere la condotta al più
sorretta da dolo eventuale.
9. La valutazione della responsabilità dell’imputata.
Passando all’esame della posizione specifica di M. R., mette conto da subito
evidenziare che non è contestato come ella abbia fiduciariamente amministrato i
risparmi della famiglia P./S. nel periodo indicato nel capo di imputazione qui oggetto
di valutazione (dal 2001 al marzo del 2009). Questa circostanza non è stata in
sostanza negata dalla prevenuta, la quale non solo ha ammesso, nel corso del suo
esame dibattimentale, di avere venduto ai querelanti i prodotti finanziari sopra
descritti, ma anche quelli da questi ultimi sottoscritti in precedenza.
Dunque è ragionevole ritenere che le schede finanziarie descrittive del profilo del
cliente in atti del 2.10.2001 – sicuramente falsificate nei termini sopra indicati –
siano state compilate dalla stessa M., proprio al fine di effettuare gli investimenti
finanziari per loro conto.
Si sono già abbondantemente evidenziati gli elementi di prova in base ai quali si
è raggiunto il ragionevole convincimento che i querelanti non avessero cognizione
della natura e delle caratteristiche dei prodotti finanziari che avevano sottoscritto
nell’arco temporale del rapporto intrattenuto con la _________ Bank (capacità culturali
non adeguate al profilo dell’investimento posto in essere, schede finanziarie diverse
poiché prive delle crocette, ordinativi eseguiti in date ed orario incompatibili con la
contestuale sottoscrizione da parte del cliente). E questa ignoranza era il frutto di
un deficit cognitivo delle persone offese, oltre ad una oggettiva difficoltà delle stesse
di relazionarsi con il promotore finanziario: anche a voler ritenere che la M. abbia
fornito, come da lei sostenuto, delle informazioni relative alle operazioni che si
andavano compiendo, in definitiva, l'imputata, approfittando del "fascino" che per i
querelanti rivestiva un investimento altamente redditizio, prospettava loro la
possibilità di investire i propri risparmi in prodotti finanziari che garantivano alti
rendimenti, omettendo, però, di riferire i corrispondenti elevati rischi per il capitale
legati alla complessiva operazione finanziaria.
Ecco dunque che attraverso la falsificazione delle schede finanziarie e la
prospettazione di investimenti chiaramente non corrispondenti al profilo di rischio
dei clienti, P. C., S. M., S. T. e S. M. venivano indotte ad investire i propri risparmi nei
prodotti finanziari di cui sopra, con gli esiti evidenziati.
Orbene, sotto il profilo giuridico, la condotta della prevenuta integra gli estremi
oggettivi del reato di truffa: al riguardo, giova rilevare che quasi tutti i prodotti
finanziari sottoscritti con l’intermediazione della M., presentavano, al momento
della querela, delle minusvalenze rispetto al capitale originariamente investito che,
lo si ribadisce, considerando anche tutto ciò che il cliente aveva percepito nel corso
dell’operazione in termini di cedole, di vendita del titolo o di prezzo di vendita,
intaccavano il capitale.
Né, d’altra parte, può sostenersi che il fatto che il portafoglio titoli sia rimasto
parzialmente invariato anche dopo il cambio di consulente finanziario stia a
dimostrare la correttezza del comportamento della M., trattandosi invece del
tentativo di recuperare parte delle perdite subite non smobilizzando interamente i
titoli acquistati.
A fronte di tali perdite si realizzava un ingiusto profitto – per la verità assai
contenuto – a favore della promotrice finanziaria, la quale percepiva indebite
provvigioni.
Trattasi di truffa aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 11) c.p.: non ignora questo
Tribunale che, in fattispecie analoghe, vi sono state alcune isolate pronunce
giurisprudenziali che hanno optato per una diversa soluzione giuridica, disponendo
ad esempio l’archiviazione del procedimento per estinzione del reato per
remissione di querela, in virtù dell’esclusione dell’aggravante in esame, fondata
sulla impossibilità di evincere l’esistenza di particolari rapporti fiduciari tra
querelanti e querelati. Si è sostenuto, infatti, che negli atipici contratti sottoscritti
dagli investitori non sarebbe possibile configurare obblighi di facere, ma solo
obblighi di dare connessi alla sostanziale vendita all’investitore di un piano
finanziario e/o di un prodotto composito finanziario, secondo le particolari clausole
convenute (cfr. ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Lecce in data
16.1.2005, che disponeva l’archiviazione del procedimento a carico di oltre quindici
indagati).
Invero, richiamando i principi affermati in ben note pronunce della S.C., occorre
evidenziare che l’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera implica un concetto
più lato di quello civilistico di locazione d’opera, comprendendo tutti i casi nei quali,
a qualunque titolo, taluno abbia prestato ad altri la propria opera (Cass. pen. sez. V,
22.2.2001, n. 24997). In buona sostanza, la nozione di abuso di relazione di
prestazione d'opera, previsto come aggravante dall’art. 61 n.11 c.p., si applica a tutti
i rapporti giuridici che comportino l’obbligo di un facere, bastando che tra le parti vi
sia un rapporto di fiducia che agevoli la commissione del reato, a nulla rilevando la
sussistenza di un vincolo di subordinazione o di dipendenza (Cass. pen. sez. II,
23.10.2003, n. 895).
In questo senso, la Cassazione, al fine di rinvenire il fondamento dell’aggravante
de qua, pone l’accento più sul concetto di "abuso", che sussisterebbe ogni volta che
il colpevole profitti della particolare fiducia in lui riposta attraverso l’affidamento, a
qualsiasi titolo, del disimpegno di un’attività materiale che lo ponga in condizioni di
commettere più facilmente il reato (Cass. pen. sez. I, 25.6.1967, n. 1640; Cass. pen.
sez. V, 28.6.1968, n. 743; Cass. pen. sez. II, 7.11.1969, n. 2157; Cass. pen. sez. II,
18.11.1970, n. 1495), fino a giungere ad affermare che ciò che rileva è l’abuso della
relazione fiduciaria da parte dell’autore, il quale profitta di una situazione di minore
attenzione della vittima, determinata proprio dall’affidamento che questa ripone
nell'opera dell’altro, per commettere un reato a suo danno (Cass. pen. sez. II,
23.9.2005, n. 42352).
Ed allora, il punto di partenza non può che essere costituito dal fatto che l’art. 31
del D.Lgs. n. 58/98 dà una definizione precisa del promotore finanziario, soggetto
che, dopo le modifiche apportate al citato Decreto dal D.Lgs. n. 164/07 di attuazione
della direttiva comunitaria c.d. Mifid, appare distinto anche dal consulente
finanziario di nuova istituzione previsto dall'art. 18 bis TUF.
Secondo tale norma, il promotore finanziario è semplicemente colui che, per
conto dei soggetti abilitati, esercita fuori sede (ovvero fuori dalla sede legale o dalle
dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio o l'attività) l'offerta di
strumenti finanziari ovvero i servizi e attività di investimento. Trattasi di una
persona fisica che esercita professionalmente l'offerta fuori sede come dipendente,
agente o mandatario nell'interesse esclusivo di un solo soggetto.
Dunque, il promotore finanziario può essere anche un semplice dipendente del
soggetto abilitato, al quale viene da questi conferito, in ogni caso in via esclusiva,
l'incarico di svolgere servizi ed attività di investimento, non in sede, bensì fuori sede.
La differenza tra il promotore finanziario ed il dipendente di banca (il c.d. addetto ai
titoli o consulente titoli) non riguarda il tipo di attività in concreto prestata, né il
rapporto che si instaura con il cliente e neppure il tipo di rapporto giuridico che lega
il promotore o il dipendente di banca al soggetto abilitato, bensì semplicemente il
fatto che l'attività viene svolta fuori sede invece che all'interno della sede e che, a
tale fine, il soggetto deve essere iscritto in un apposito albo.
Orbene, se si conviene su questo, risulta evidente che, nel caso del promotore
finanziario, il cliente confida sulla struttura bancaria nel suo complesso per la
conclusione e l'esecuzione del contratto, non contraendo alcun diretto impegno
contrattuale con il promotore, tanto è vero che, a maggiore garanzia del cliente, il
comma 3 dell'art. 31 TUF prevede che il soggetto abilitato che ha conferito l'incarico
al promotore risponde in solido dei danni arrecati a terzi da questi, anche se tali
danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale.
L'investitore si aspetta, dunque, tanto dal promotore finanziario, quanto dal
dipendente bancario, un comportamento diligente, corretto e trasparente, teso a
servire al meglio i propri interessi (art. 21 lett. a) TUF); che costoro acquisiscano le
informazioni necessarie da lui e che operino in modo da fornirgli adeguate
informazioni (art. 21 lett. b) TUF); che utilizzino comunicazioni pubblicitarie e
promozionali corrette, chiare e non fuorvianti (art. 21 lett. c) TUF come inserita per
effetto del D.Lgs.n. 164/07).
Sono questi obblighi che generano tra il cliente ed il soggetto che concretamente
esercita il servizio o attività di investimento (in sede come fuori sede) quella
relazione fiduciaria nell'ambito della quale può più agevolmente insinuarsi la
condotta criminosa, il cui abuso, cioè, costituisce quel quid pluris necessario per
produrre l'effetto aggravatore prodotto dall'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 c.p.
Non ricorre, invece, a parere di questo Tribunale, l’aggravante di cui all’art. 61 n.
7) c.p., non essendo in alcun modo stata provata l’esatta entità del danno patito dai
querelanti, anche alla luce delle naturali fluttuazioni del mercato, tanto più in un
momento di particolare crisi finanziaria quale quello qui oggetto di valutazione.
Poche parole sono poi sufficienti per motivare le ragioni che inducono a ritenere
perfezionato anche il reato di cui all’art. 485 c.p. che, nel capo di imputazione, viene
riferito tanto alle schede finanziarie riguardanti il profilo di rischio dell’investitore,
quanto agli ordini autorizzativi delle singole operazioni: si è già dato ampio conto
infatti delle argomentazioni sottese alla convinzione che le prima siano state
sottoscritte in bianco dai clienti e poi indebitamente compilate dalla M. previa la
barratura di caselle non corrispondenti alle reali caratteristiche degli investitori;
quanto ai secondi, è la stessa imputata che, almeno con riferimento all’ordine
emesso quando le persone offese si trovavano in vacanza in Egitto, ha confessato di
aver fatto firmare in bianco l’ordine e di averlo successivamente riempito
all’occorrenza.
10. Il trattamento sanzionatorio
Ciò posto, quanto al trattamento sanzionatorio, l’assoluta incensuratezza
dell’imputata, il suo corretto comportamento processuale, la contenuta entità delle
provvigioni realizzate, l’incertezza sull’effettivo danno perpetrato alle persone
offese consentono certamente la concessione delle circostanze attenuanti generiche,
da valutarsi prevalenti rispetto alla riconosciuta aggravante di cui all'art. 61 n. 11
c.p.
Peraltro, tutti i fatti contestati appaiono compiuti in esecuzione di un medesimo
disegno criminoso, sicché appare configurabile il vincolo della continuazione.
Pertanto, tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ritenendosi per le ragioni
ora esposte in tema di concessione delle circostanze attenuanti generiche di dover
partire dai minimi edittali previsti dall’art. 640 c.p., stimasi equo condannare M. R.
alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 60,00 di multa (P.B. mesi sei di reclusione
ed euro 60,00 di multa, ridotta per le generiche alla pena di mesi quattro di
reclusione ed euro 40,00 di multa, aumentata per la continuazione alla suddetta
pena finale).
Alla sentenza di condanna consegue il pagamento delle spese processuali ex art.
535 c.p.p..
Lo stato di incensuratezza dell'imputata fa, inoltre, esprimere una prognosi
certamente favorevole circa il pericolo di reiterazione del reato, sicché può essere
concesso alla M. il beneficio della sospensione condizionale della pena e quello della
non menzione.
Alla condanna penale segue necessariamente quella civile al risarcimento del
danno cagionato alle costituite parti civili: per le ragioni sopra indicate di incertezza
della esatta entità di questo danno, la condanna non potrà che essere in forma
generica e, al contempo, deve essere disattesa la richiesta di concessione di una
provvisionale, spettando, invece, al giudice civile l’espletamento di una compiuta
istruttoria che consenta di ricavarne l’ammontare.
M. R. va, invece, condannata alla refusione delle spese di lite, liquidate come da
dispositivo.
La peculiarità delle questioni in fatto ed in diritto trattate ed il carico dell’Ufficio
hanno consigliato la fissazione di un termine di giorni novanta per il deposito della
motivazione della sentenza.
P.Q.M.
Visti gli art. 533, 535 c.p.p.
Dichiara l’imputata colpevole dei reati a lei ascritti, esclusa la contestata
aggravante di cui all’art. 61 n. 79 c.p. e, riconosciutele le circostanze attenuanti
generiche prevalenti sulla contestata aggravante di cui all’art. 61 n. 11) c.p. ed
applicato l’aumento per la continuazione, la condanna alla pena di mesi sei di
reclusione ed € 60,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Pena sospesa e non menzione.
Visti gli art. 538, 541 c.p.p.
Condanna in solido tra loro l’imputata ed il responsabile civile al risarcimento del
danno cagionato alle costituite parti civili, da liquidarsi all’esito di separato giudizio;
rigetta la richiesta di provvisionale; condanna l’imputata alla refusione delle spese
di lite sostenute dalle costituite parti civili che si liquidano in € 2.250,00, oltre
accessori come per legge.
Motivazione riservata in giorni novanta.
Palestrina, 6 maggio 2014
IL GIUDICE
(dott. Claudio Politi)