La scelta di fronte L`idea! Uno si mette a ridere

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La scelta di fronte L`idea! Uno si mette a ridere
La scelta di fronte
L’idea! Uno si mette a ridere
Nei vent’anni in cui era stato al potere, il fascismo aveva permeato tutti i settori
della società italiana, portandola ad identificarsi completamente con esso. Pochi,
pochissimi, erano quelli che erano riusciti a mantenere la propria indipendenza
nei confronti del pensiero unico che veniva imposto dall’alto. I più, perseguitati,
se ne erano andati dall’Italia. Per questo, al momento di dare inizio alla
resistenza armata nei confronti degli invasori tedeschi e del nuovo governo
fascista che ad essi si appoggiava, quasi nessuno aveva le idee chiare.
... già noi avevamo svolto quattro azioni armate, già nel febbraio del ‘44 (...) ero nella zona di
Roncadello nei pressi di Forlì, quando in questa casa si fermò un monarchico, era in bicicletta, ebbi
l’impressione da come parlava e si comportava che fosse un generale monarchico che dal sud
andava al nord e lì ci fu un discorso politico fra io e lui. Lui disse che non c’era bisogno di
organizzare le formazioni partigiane perché tanto arrivavano gli alleati e ci avrebbero liberato e ci
avrebbero dato la libertà. Io gli dissi che la libertà un popolo se la conquista, non aspetta che gliela
portano gli altri. E ci fu un forte contrasto fra me e lui su queste posizioni. Noi eravamo per la lotta
contro il fascismo, lui, invece, era per non lottare. Allora gli dissi “Mo guardate che il fascismo e la
monarchia se noi non combattiamo, quando arrivano qui gli alleati avranno ancora un peso, perché
diranno [che] gli italiani non si son mossi, non hanno combattuto, erano tutti dall’altra parte...” e
dico “La nostra lotta dobbiamo farla”. So che lui se ne andò. Dopo cinque minuti me ne andai
anch’io perché non.. non avevo nessuna fiducia... avevo paura... Era un incontro [avvenuto] per
caso. Lui andava al nord. Lui partì in bicicletta. Lui andava al nord e veniva dal sud. Ebbi questa
impressione che fosse un generale monarchico. Questo è stato lì nella primavera del ’44. (...) Con
gli ufficiali... gli ufficiali... non c’era da prestarci nessun credito, perché loro, gli ufficiali,
specialmente i quadri alti, erano più sbandati dei soldati... erano più sbandati... Perché un bel
momento, un esercito come quello italiano che segue per vent’anni il regime fascista, è succube... I
vecchi generali monarchici succubi del fascismo che posizione potevano prendere dopo l’8
settembre? Ci sono dei casi in cui questi [ufficiali] emergono... lottano. Come a Roma. Come nelle
isole... dell’Egeo. Che combattono perché non hanno altra scelta. E la scelta è arrendersi ai tedeschi
o combattere, come è avvenuto a Cefalonia e le altre zone (...) Qui non ci fu niente di buono da
sperare dai quadri militari. (Giulio Garoia - 1998)
Se avessi dovuto scegliere! Ah! Sarei andato con i fascisti! Perché ci avevano un po’
strumentalizzati (…) Il fascismo si identificava con la patria, l’antifascismo era anti patria. Non era
concepibile. (Guido Mattei – 2003)
Per i più, la scelta di campo fu casuale e determinata da infiniti fattori, gran
parte dei quali non aveva nulla a che fare con la politica.
… il fascismo si conosceva poco, ma avevo sentito di questi fascisti che non andavano bene (…)
Mio babbo non è mai stato fascista… però il lavoro era poco e [lui] diceva qualcosa contro le
camicie nere. La storia del fascismo allora si raccontava poco. Io intuivo che non andava bene, ma
poi eravamo molto giovani (…) [Dopo la fuga dell’8 settembre dalla Jugoslavia] andò così. C’era
già la Repubblica di Salò e a Torre Pedrera andavano a fare il militare, allora io, Arrigo, Mazzotti
Luigi, Mario, eravamo quattro a Ponte Pietra, andammo là e ci presentammo in borghese. Siamo
stati lì una settimana, ci facevano istruzione, di notte si montava la guardia perché avevano piazzato
dei cannoni contro il mare, noi eravamo sulla spiaggia. Si faceva addestramento, eravamo in divisa
e c’era un sergente molto brutto, che faceva ridere e Arrigo un giorno mi disse: “Ma guarda come è
brutto!”. Io dal gran ridere, risi in faccia a questo sergente, così mi mise dentro... Era una casa come
questa, perché la prigione non c’era. Ero dentro quando venne l’allarme aereo... ed erano andati via
tutti mentre io ero rimasto dentro. Scossai un po’ la porta, aprii e scappai. Dentro avevo rimasto il
portafoglio, la cinghia e i documenti, così tornai indietro e al capoposto dissi una bugia: “Mi devi
dare la mia roba che il sergente mi ha detto che devo venire stasera in prigione”. Mi diede la mia
roba e dissi con i miei amici che tornavo a casa mentre loro rimasero lì... in tre. Arrivato a casa,
dopo un po’ ero ricercato dai fascisti... e da lì sono dovuto andare via da un contadino. Fu Luigi
[Amaducci] a dirmi di andare lì che c’erano dei compagni, il contadino di chiamava Zani. (...) da lì
[poi] partivano le azioni. Eravamo collegati con Case Frini, poi venivano altri. Luciano [Caselli] ha
fatto delle riunioni, con noi c’era Capanna [Renato]... un capo politico, ci faceva propaganda per il
PCI. (Sereno Gasperoni - dattiloscritto 1983)
Il 20 febbraio 1943, trovandomi a casa per la morte del babbo, Nello [Pieri], a sera, dopo il lavoro
(frequentava anche l’Università), venne a salutarmi e, come sempre, si parlò della guerra, dello
Stato italiano, dell’eroica difesa di Stalingrado che per noi sollevava tanti interrogativi. Da qui il suo
soffermarsi sul comunismo, da lui visto come affrancamento delle classi diseredate. Ne era
affascinato. E io, preoccupato di questo suo orientamento, gli contestavo la visione che si era fatta
di quel movimento. E così, discutendo, facemmo le 4 del mattino. Nello che voleva combattere la
violenza e il sopruso assistendo i più deboli, vedeva il comunismo in una proiezione umanitaria e
cristiana; la sua passione filantropica lo portava a non valutare che il comunismo marxista, al di là
degli intenti, non poteva essere che sopraffazione e non strumento di socialità. Senza Dio, l’uomo si
perde, aggiungevo. (...) Nello amava con passione l’Italia, il suo suolo, la sua cultura, la sua
tradizione e - come “obbligo” - giovane fascista, ma - da cristiano - privo dell’etica fascista.
Partecipava alle mie considerazioni sul fascismo e sulla guerra e conosceva i miei orientamenti
attraverso le lettere inviate a mio fratello don Augusto [Vaenti], il quale poi, non mancava di farne
copie e distribuire. (...) si sentiva mortificato perché - per ben due volte - era stato escluso
dall’arruolamento militare per insufficienza toracica. Se ricordo bene, nell’aprile (sempre del ‘43),
un militare di S. Giorgio - in licenza per ferite di guerra - il quale pronunciava frasi ritenute da Nello
deleterie e disfattiste e per questo contestate, si rivolse a lui dicendo : “Parché t’ci a ca!” (“Perche
tu sei a casa!”). Frase che lo sferzò, lasciandolo sconvolto. Di qui la decisione di arruolarsi, di
partire in qualunque modo. (...) Chiese di essere accolto come volontario nel Regio Esercito. Ancora
respinto [nell’estate del ‘43] si rivolse alla M.V.S.N. e, subito accettato, venne inviato
all’Accademia. All’8 settembre Nello dov’era? Quale la sua reazione all’imperdonabile accidia e
ignavia di Badoglio e dei responsabili dello Stato Maggiore delle Forze Armate? (...) Ai primi di
giugno del ‘45, feci ritorno dall’Albania e, interessandomi di Nello, proposi alla famiglia che, al suo
rientro, fosse ospitato in canonica (in gran parte distrutta) da mio fratello. Poi si seppe che a
Correggio, bloccato con altri commilitoni della R.S.I. era stato fucilato. (Da: Nel ricordo di un
“repubblichino” che ho amato / di Pietro Vaenti. - dattiloscritto 1998)
Eravamo ragazzi, non si capiva molto allora, io nel ’41-’42 dicevo “la guerra la vinciamo...”. Poi
quando si andò a lavorare all’Arrigoni, in 10 giorni avevo già cambiato idea (…) Eravamo
antifascisti così… per odio contro la guerra… Perché non potevamo girare come volevamo noi,
andavamo a ballare e ci prendevano, quindi si diventava pian piano antifascisti. Almeno per me, per
qualcuno che era in casa di antifascisti è stato diverso. Io sentivo mia mamma che raccontava cosa
avevano fatto contro i fascisti a Ponte Pietra nel ’22-’23. Ma erano cose così. Io andavo alle
industriali, c’era la premilitare, ecc. Ci tenevano legati coi campeggi, poi quando si è incominciato a
sentir parlare gli altri, a comprendere cosa voleva dire essere liberi, si cambiò. (Amadori Dino –
dattiloscritto 1984)
L’idea! Uno si mette a ridere. Parché a fileva dria a una ragaza ch’u i fileva dria nenca un fasesta,
no? É per quello... (Amadori Dino - 1999)
Un altro, di Montiano... Francisconi Pietro, era innamorato di una Bondanini, parente di Arnaldo
Mussolini e seguì per questo la repubblichina. (Pietro Vaenti - 1999)
Dopo [la fuga dell’8 settembre] ci hanno richiamato... mi sono presentato a Varese e da lì sono
scappato e ho aderito alla resistenza. A Varese sono stato due giorni... non ricordo il mese, erano gli
inizi del ‘44. Uno di San Giorgio di cui non ricordo il nome mi ha trovato la strada per andare su in
montagna... lui lavorava all’Arrigoni (...) Dopo l’8 settembre, all’Arrigoni lavorai due o tre mesi...
ci lavoravo anche prima, nel ‘38-’39... poi nel ‘40 andai militare. (...) [Per quali motivi ha
partecipato alla resistenza?] Allora per la verità o si andava lì o si andava sotto le armi. Quando mi
presentai a Varese, loro da lì ci spedivano in Germania, anzi ero a Vercelli... e quando seppi che ci
avrebbero mandati in Germania scappai via. (Armando Gardini - dattiloscritto 1983)
[Perché ha deciso di andare in montagna?] Perché i fascisti mi venivano a prendermi per mandarmi
a fare il militare, con la Repubblica di Salò. [Chi l’ha accompagnata per andare in montagna?] Sono
scappato via da solo, perché mi han detto che qui arrivavano i fascisti. (Jaures Amadori in: che tutti
i giorni ne morivano tanti come c’è la malattia delle : 1940-1945 / Istituto per la storia delle
resistenza e dell’età contemporanea. Ufficio di Cesena ; Scuola media S. Giorgio. - Cesena, [1999])
... tempo fa un detenuto delle nostre carceri [di Forlì], tale Comandini da Cesena, condannato non so
per quale motivo o reato comune a rimanere in prigione fino al 1945, trasportato all’ospedale per
otite riusciva a fuggire or son due mesi [ottobre-novembre 1943] durante un allarme. Oggi [31
dicembre] egli si é presentato in divisa tedesca a ritirare i propri vestiti presso la direzione
carceraria, mostrando ai funzionari i documenti in perfetta regola, autenticati dal comando tedesco.
Scappato, come ho detto, dall’ospedale in un momento di trambusto e con la casacca del detenuto,
riusciva a portarsi fino ad Ortona a mare per arruolarsi colà nell’esercito germanico: l’autorità
repubblico-fascista non ha avuto nulla da eccepire. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Io abitavo già in montagna, abitavo a S. Sofia. Sono partito dopo l’8 settembre. Hanno cominciato a
cercare e i fascisti se ti prendevano ti ammazzavano, allora dovevo scappare, andare con loro o via.
(Giovanni Galeotti in: che tutti i giorni ne morivano tanti come c’è la malattia delle : 1940-1945 /
Istituto per la storia delle resistenza e dell’età contemporanea. Ufficio di Cesena ; Scuola media S.
Giorgio. - Cesena, [1999])
... ero nel battaglione bersaglieri di Zara. Quindi nel momento in cui venne l’8 settembre ci fu lo
sbandamento e noi ad un determinato momento nella zona in cui... dov’ero... in Dalmazia, venne i
tedeschi [e] ci obbligarono ad andare con loro... [per] presidiare gli aeroporti... e via di seguito. E
poi, visto che noi eravamo un po’ impantanati con questa gente, obbligati di fare quello che
volevano loro, prendemmo la decisione e andammo coi partigiani... in Jugoslavia... della zona.
Questi partigiani ad un determinato momento [ci] dissero cosa volevamo fare. Se volevamo restare
con loro oppure, se non volevamo restare con loro, facevano tutto il possibile per cercarci...
indirizzarci la strada e mandarci in Italia. Io scelsi la seconda (...) decisi di venire in Italia. Quindi
trovammo grandi difficoltà. Perché i partigiani ad un determinato momento... loro a un certo punto
dissero “Guardate noi più di così non possiamo fare”. Quindi eravamo nel confine. Lì verso Fiume e
quella zona lì era molto occupata dai tedeschi e fummo costretti a farci prendere dai tedeschi. Poi ad
un determinato momento i tedeschi ci trattarono molto male e arrivarono al punto di dire “Adesso vi
mandiamo in Germania”. Anzi, quando ci presero, otto giorni senza mangiare, bastonate e poi ad un
determinato momento si realizzava in quel... in quel... in quella zona di Fiume quel battaglione “M”
che è venuto qui a Cesena. Eravamo in otto dieci e decidemmo... si fece un atto di coscienza “Se
andiamo In Germania siamo morti, tentiamo di restare in Italia...” e demmo l’adesione,
momentaneamente, a questo battaglione “M”. Che sarebbe un battaglione fascista, appunto (...)
quello che ha operato, poi, qui nel rastrellamento del 29 aprile [1944]... E dopo otto dieci giorni
guardammo un po’ la situazione e io personalmente scappai e arrivai a venire a casa. Da solo. Io
sono tornato a casa in divisa. Una sera presi il treno... Perché prima di prendere il treno, essendo di
questo battaglione, andai a esplorare un po’ in stazione come... se c’era delle ronde in giro, se c’era
la possibilità di poter partecipare al viaggio. Vidi che era abbastanza possibile e io partii e ci riuscii.
Arrivai a Ravenna dove c’era uno che lo conoscevo e restai a Ravenna 15-20 giorni e feci sapere
alla mia famiglia che io ero a Ravenna. (...) Stavo in contatto con la mia famiglia e mi informavo
come la situazione era nella mia zona (...) effettivamente disse che nella mia zona si stavano
formando dei gruppi partigiani con amici... che conoscevo e via di seguito, mi misi subito in
contatto, tornai a casa e poi... [Entrai a far parte della] 29a. brigata Gap [a Calabrina]. Secondo
distaccamento, mi pare. (Ernesto Fabbri - 1984)
Dopo [l’8 settembre], dopo un mesetto, neanche... o più di un mesetto? Incominciarono a chiamarci.
Bisognava andare o nei partigiani o con la Repubblica, lì... e invece era rimasto anche un esercito.
Un esercito... cioè non apparteneva... assolutamente no ai partigiani, ma neanche alla Repubblica
sociale. Io non sapevo più cosa fare (...) la mia mamma insomma... volle che andassi. Disse “Te
vai, che io non posso stare sulle spine di tenerti nascosto qua o nascosto là...” E io andai e mi
presentai al distretto e mi mandarono a Ravenna. E poi, da Ravenna, io marcavo visita perché io mi
ero accorto che avevo l’ernia... Comiciai a marcar visita e allora mi fecero servizio sedentario
all’ospedale di Imola. Ospedale militare era, allora. Servizio sedentario. Poi mi rimandarono a
Ravenna... e stavo lì, insomma, un po’ a casa... andavo a casa... da Ravenna venivo su in bicicletta...
andavo a casa, insomma ero... ero coperto. Non avevamo più le stellette... un cosino lì, tondo [il
gladio]. Non era insomma nè il fascio e nè la stelletta. Nessuno lì, a Ravenna, ci importunava.
Eravamo in via Baccarini (...) e c’eran tutti vecchi automezzi. C’era un capitano, un tenente, due
sergenti. Erano come noi anche loro. Stavano lì per non andare da altre parti. Poi a un certo punto
arrivò un ordine che chi era a servizio sedentario per l’ernia o si faceva l’operazione o era idoneo.
Allora io dicevo [che] se dovevo essere idoneo e aver l’ernia... allora mi faccio l’operazione. E mi
fecero l’operazione a Molinella, all’ospedale di Molinella. (...) Poi, dopo, passati i quaranta giorni,
mi fecero tornar laggiù e sono stato così... laggiù e casa, laggiù e casa. Sino a che, dopo,
bombardarono Ravenna [il 25 agosto 1944] (...) poi, dopo, quando proprio il fronte era lì e gli
ufficiali scappavano, io sono andato a casa e son rimasto lì. (...) All’epoca era da scegliere... Era una
cosa seria da segliere, eh! Perché scegliere di non adare da nessuna parte... però bisognava star
chiusi. Perché mio fratello (...) quello piccolo, che aveva due anni meno di me... e allora lui del ‘44
aveva 18 anni neanche. Lui è stato chiuso in un fosso a casa... che aveva la fidanzata allora... a casa
sua, sotto un ruscello lì, che c’era l’acqua... e lui è stato lì per molto tempo... rinchiuso lì (...) Che
allora o ti portavano a lavorare... La Todt che di solito erano giù al mare che facevano delle
fortificazioni. Oppure addirittura in Germania. Perché quelli della mia classe, molti sono finiti in
Germania. (Bruno Suzzi - 2000)
Era la guerra che aveva portato la maggioranza degli italiani a diventare così
tiepidi verso il fascismo e così pronti a voltare gabbana. Non solo la delusione
per la disfatta imminente ma soprattutto la stanchezza per una guerra che non
era sentita. Una guerra che avrebbe dovuto durare pochi mesi, già vinta prima
ancora di incominciare e che invece si era trascinata per anni e ora stava per
essere perduta. Gli italiani erano stanchi di guerra e il ritorno a casa dei soldati,
diede l’idea che tutti, come loro, se ne potessero liberare. Il rifiuto del fascismo
fu naturale conseguenza del rifiuto della guerra. Mentre l’armistizio era la pace
che si contrapponeva alla guerra (a qualsiasi condizione si fosse ottenuto, poco
importava ormai agli italiani), il fascismo, si identificava con la guerra e allora,
finisse anche il fascismo! Fino a quel giorno gli antifascisti in Italia erano stati
una sparuta minoranza, l’8 settembre li fece diventare maggioranza. Non in
odio a Mussolini ma per amore della pace.
Era maturato intanto, durante la guerra, questo odio per chi aveva la colpa della guerra, la colpa
della miseria. (Enrico Onofri - 1984)
Nel periodo ‘43-’44 il fascismo aveva portato al disastro l’Italia. La guerra aveva mostrato fino in
fondo chi era il fascismo. Non c’era più quel credere che il fascismo facesse... Perché molta gente
andava in piazza “Speriamo che le cose vadano meglio, speriamo...”. E invece si scatena la guerra di
Spagna, si scatena la guerra d’Abissinia, poi su, su, un susseguirsi di cose... gli inglesi sbarcano, i
bombardamenti e i disastri erano giorno per giorno e la gente, la gente non ha più... Insomma, Lo
scopo nostro dal 25 luglio del ‘43 è isolare dal contesto popolare il fascismo. Isolarlo e allora
dimostrare il volto del fascismo. Dire alla gente chi erano e portarli alla lotta, invece, politica.
(Giulio Garoia - 1998)
I renitenti furono figli dello stesso fenomeno. Non fu l’opposizione a Mussolini e
al suo nuovo regime, ma la volontà di restare fuori dalla guerra a tutti i costi.
Quando questi ragazzi saranno costretti a scegliere da che parte stare,
rifiuteranno di andare con chi la guerra l’aveva voluta e continuava fortemente
a volerla. Una volta rifiutata la guerra come si poteva continuare ad essere
fascisti e seguirli nel loro sogno di riscattare l’onore perduto, facendosi servitori
dei tedeschi? Pur di uscire dalla guerra si era disposti a tutto, a disertare, a
nascondersi, a lavorare per i tedeschi, a fuggire... persino a combattere.
A quei tempi i giovani – bisogna riconoscerlo – in fatto di ideologie politiche e sociali, erano di
un’ignoranza spaventosa, anzi, non ne avevano per niente, e perciò – non avendo idee proprie – non
potevano rendersi esattamente conto e sentire il peso o l’oppressione della dittatura nazi-fascista o
essere attratti dal fascino della libertà e della democrazia (a loro sconosciute), ma invece pensavano
che, andando a servire la repubblica di Salò, avrebbero potuto con tutta facilità essere spediti al
fronte o in Germania, e quindi avere poche probabilità di ritorno, mentre invece, facendo i renitenti,
correvano sì un rischio, ma di gran lunga inferiore. Poi, (...) il passo da renitente a partigiano era
corto. (Da: Incontri con la morte / Francesco Montanari (Cincino). – Ravenna : Longo, c1983)
Giugno 1944 … Qui a San Zaccaria, tranne due o tre giovani, la massa è a casa: parte imboscata;
parte ha regolarizzato la propria posizione militare iscrivendosi nella Todt tedesca, e vanno a
“lavorare” all’aeroporto dove fanno conto di lavorare. (Dal Diarium n. 2 del Cronicon parrocchiale
di San Zaccaria, tenuto dall’arciprete Giuseppe Fabbri)
[Dopo la fuga dell’8 settembre i fascisti vi cervcavano?] Sì, ci cercavano ma... “A casa non è
venuto” dicevano “non lo so dove sia...”. Però... in realtà ero a casa, via! Come siamo stati a casa,
dopo ci cercavano. Allora rifugi, buchi sotto terra, collegamento con qualcuno... eravamo in due-tre,
poi quattro-cinque (...) Quando siamo venuti a casa ci siamo messi subito un po’ a contatto con loro
[gli antifascisti]. Loro ci cercavano e noi li abbiamo cercati. [Dopo siamo stati nascosti] sempre nei
rifugi. Io a casa, come dico, eravamo dieci fratelli. Io di 23, uno di 24 (...) poi uno del 26, insomma,
tutti lì, si cercavano tutti. Però non siamo andati via più nessuno. Sempre in quei buchi. Io scappavo
perché io ero legato ai partigiani oramai. (Savolino (Sergio) Mazzotti - 1983)
[Per quale motivo hai aderito alla resistenza?] I motivi non erano ben individuati. Soprattutto in un
giovane come io ero, di appena 18 anni, vissuto molti anni lontano da casa, ma soprattutto perché
pensavo che prima il fascismo si abbatteva meglio era, cioè si sarebbe raggiunta la pace; una volta
finito il fascismo, avremmo raggiunto la pace, questa condizione indispensabile per venire fuori
dalle miserie morali e materiali. Non è stata una scelta di libertà, è stata anche quella, intendiamoci,
ma soprattutto è stato il sentimento contro la guerra, la volontà di lottare per la pace che mi ha fatto
aderire prima al partito comunista e poi alla resistenza. (Libero Evangelista - dattiloscritto - 1983)
… dopo l’8 settembre c’è stato un periodo caldo, poi l’Italia con tutti i militari che sono scappati e
un po’ che li hanno presi e portati in Germania. Quando hanno finito con i militari, che l’ultima leva
del ’43 era stata il ’24, i tedeschi hanno chiamato il ’25 e c’ero anch’io. Da qui poi è venuto il guaio,
perché andare a fare il militare si doveva andare a combattere e parecchi ci sono andati in Germania.
Un mio amico, che eravamo assieme, io non ci sono andato, lui sì, per paura si è presentato ed è
andato sotto la Repubblica Sociale, dopo l’hanno mandato in Germania. (Mario Gattamorta in: che
tutti i giorni ne morivano tanti come c’è la malattia delle galline : 1940-1945 / Istituto per la storia
delle resistenza e dell’età contemporanea. Ufficio di Cesena; Scuola media S. Giorgio - Cesena,
[1999])
[Dopo l’8 settembre] continuai a vivere in Cesena ospite della mia fidanzata e di mio cugino
Giuseppe, ignorando la guerra, il militare, i continui minacciosi richiami alle armi del generale
Graziani. (...) Gennaio 1944: desideroso di riabbracciare i miei genitori e i fratelli decisi di prendere
la corriera per Firenze. (...) Non possedevo cappotto perciò la mia fidanzata volle che mi avvolgessi
con la sua sciarpa di lana, rosso fiammante. (...) La corriera era in ritardo, ed io, ansioso, ero
immerso nei miei pensieri. Improvvisamente apparvero un sergente con un gruppetto di militi in
camicia nera: non feci loro caso, non fu così per essi: fra tanta gente che stazionava nella piccola
piazzetta, il sergente vide rosso e filò direttamente verso di me. Non ero in regola con i documenti,
in più osavo portare avvolta al collo quella sciarpa sfacciatamente rossa. Me la strappò e fece l’atto
di pulirsi le scarpe. La raccolsi e lui mi tolse il cappello, mi tagliò alcune ciocche di capelli sulla
fronte urlando: “Sei uno sporco ribelle!” Poi mi consegnò a due militi perché mi consegnassero al
Fascio oppure all’ufficio leva in Comune. Tutto era chiuso. (...) Fui condotto in via Rosselli davanti
alla TODT, ove stazionava la compagnia dei militi, in attesa di essere sistemati in una caserma. Fui
circondato da un gruppo di quei giovani, curiosi di sapere chi ero e che cosa avevo fatto. Conversai
con loro esprimendo la mia disillusione del crollo di tanti ideali e della inutilità di quella guerra. Un
giovane mi chiese che studi avevo fatto, risposi “Le magistrali”. Aggiunse che comprendeva il mio
modo di pensare. Ritornò lo strafottente sergente. Dal suo taschino occhieggiavano le gloriose
forbici. Chissà quante eroiche azioni avevano dovuto compiere! Il sottufficiale volle ancora tentare
con me un’ultima bravata, inscenando una finta fucilazione. “Mettiti al muro a schiena rivolta.”
Tranquillamente obbedii ed attesi. Indifferente mi lasciò il rumore del mitra caricato ed il
prolungato silenzio. “Voltati! Sei un badogliano sfegatato. Vattene.” A dire il vero non ero ne
badogliano, ne uno sfegatato. (Da: Ricordi / di Salvatore Resi - dattiloscritto – San Piero in Bagno
1998)
... allora la domanda che si poneva a me è “Con chi vado?” Vado con la repubblichina? Ma sul
piano del diritto. Sul piano, proprio, della legalità. Quale legalità possiede? Nessuna. Proprio zero
(...) E’ vero che il re se ne era andato. Era scappato. Però era anche vero che l’esercito continuava.
Idealmente continuava (...) Idealmente se non altro a combattere il nemico ovunque fosse. Per cui la
mia scelta era una scelta obbligata (...) Perché qual era la mia posizione [come militare]? Cercare le
forze che combattevano i tedeschi e i fascisti. Per cui la lotta armata era inevitabile. I tedeschi erano
qui (...) Io avevo il fucile con me, avevo tutto l’equipaggiamento militare (...) del mio fucile cosa me
ne facevo? Dove lo rivolgevo? Contro chi? (...) Bisognava organizzare la lotta armata. (Luciano
Marzocchi - 1986)
Allora, debbo ora fare una relazione del mio comportamento a partire dall’8 di settembre. Avrei
voluto raggiungere Russi dove avevo delle persone amiche in attesa che il fronte passasse e anche
per risolvere i miei conti con il governo, che intanto aveva messo fuorilegge i militari che non
avessero risposto al controllo fatto dal Comando regionale. Questo è il famoso decreto che ordina di
procedere all’uccisione di tutti coloro che non si sono presentati. “Essendo ormai scaduto l’ultimo
termine concesso ai ritardatari per regolare la propria posizione militare tutti coloro che non abbiano
ottemperato all’ordine della chiamata di controllo sono da considerarsi disertori fuorilegge portati
[incomprensibile] a tutti gli effetti e decaduti dal grado militare che ciascuno rivestiva e privati per
se stessi e per la famiglia degli assegni di ogni genere loro spettanti”. Io comunque questi assegni
non li ho mai visti. Non li ho mai ricevuti. Ecco, allora sono costretto a rifugiarmi a Santarcangelo
dove io conduco una collaborazione con le forze partigiane esistenti. (Michele Massarelli - 1999)
Avvenne un fuggi fuggi generale dei giovani dal richiamo alla leva... dagli impegni militari che la
Repubblica di Salò stava portando avanti in termini brutali... in termini vessatori contro anche
giovanissimi. Quindi questa conseguenza ha fatto... questa situazione ha fatto combaciare quelli che
erano gli ideali della resistenza con le aspirazioni di questi giovani (...) figli già, molti, di famiglie
antifasciste... ma anche anche per quei giovani che non avevano... che non s’ erano posto il
dilemma: adesione o non adesione, giustezza o meno della politica fascista... Dicevo... questi
giovani ebbero necessariamente... posti di fronte alla scelta o incrementare, rafforzare quindi le
posizioni naziste e fasciste o scegliere viceversa quello che era un sentimento crescente di rivolta
verso il fascismo e quindi scegliere la lotta armata. (Lorenzo Lotti (Dinola) - 1986)
Dovevo andare militare [con la prima chiamata alle armi]. Perché noi andammo alla visita... ci
chiamarono... un anno prima. Un anno prima del normale. Quindi noi dovevamo andare militare un
anno prima. (...) e allora gli ultimi mesi, prima di andare su in montagna stetti nascosto. Un po’ in
casa di mio fratello, che era sposato, un po’ da altri. (...) C’è stato un periodo che ho lavorato con la
Todt (...) Chi lavorava nella Todt si risparmiava di andare nei militari (...) Il mese prima [di andare
in montagna]. Il mese di gennaio. (...) Si andava a lavorare con i tedeschi. Mi ricordo che era
inverno. Che era un freddo! Andavo a lavorare a Bellaria. Facevamo i fortini no? (...) Il mese di
gennaio del ‘44 ho lavorato con la Todt, però nel frattempo io ero in contatto con qualche partigiano
che lavorava all’Arrigoni, un anno o due più di me aveva. Eran giovani anche loro. Domeniconi
Terzo. Lui mi stava dietro. Perché aveva capito da che parte tendevo. Anzi io gli chiedevo “Ma
dove siete? (...) Ma dove sono sti ribelli?”. Che io ero entusiasta di sapere no? Anche, un po’, c’era
lo spirito d’avventura se vogliamo. (...) La politica era infarinatura solo. Ma c’era molto anche
spirito di avventura perché “I ribelli!” ti affascinava questa parola no? E allora gli chiedevo sempre
a questo Domeniconi Te[rzo]. Che poi lo hanno ammazzato lassù (...) “Ma dove siete? Dai! Dimmi
un po’...” “Ah! Osta! Siamo lontani... e poi, bisogna prendere il treno...”. Me la faceva [lunga]. E
allora dico “Ma dove sarà?” (...) [mi disse per convincermi ] “Dai! Vieni! Dai! Che dobbiamo
rinforzarci. (...) Siamo i primi, c’è bisogno di rinforzi... di giovani...” Insomma mi lavorava. (...)
Questo è stato ancora prima di gennaio (...) alla fine del ‘43. (...) Dopo oramai si stava organizzando
[la resistenza] (...) dopo, con mio fratello che era in contatto con me (...) fu lui (...), Giordano Bruno,
[un giorno] mi disse (...) ”E’ venuto il momento di partire”. Andammo su io e un altro. Io abitavo
nella piazzetta del leone là vicino a Porta Trova, insomma. Con l’altro mio amico che era venuto in
casa mia che sapeva [che] doveva partire anche lui. E partimmo a piedi. Andammo vicino al Ponte
Vecchio. L’altro era Rossi Secondo (...) è del 25 anche lui. E partimmo assieme (...) Dopo il Mulino
Cento c’è un bivio, a destra vai a San Carlo e a sinistra vai su a Roversano. Poco prima del bivio c’è
un palazzo, un… un palazzo po’ internato, che all’esterno ci son due colonne con una mura che fa
un po’... un po’ da insenatura. Quello era il punto di partenza. La villa si chiama la villa ad Mami.
La villa di Mami. Sulla destra, prima di iniziare la salita. In questa insenatura, fuori dal cancello, lì
ci furono dei compagni dirigenti che avevano un sacco di fucili. Il fucile era il ‘91 (...) Quelli lunghi.
E lì ci diedero un fucile per uno. Un paio di scarponi… Ci equipaggiammo lì. Poi la partenza fu di
lì. (...) Pio Campana era il commissario politico. Poi c’era il carpentiere (...) era dell’’89. (...) noi lì
dalla Villa Mami eravamo una ventina. Dovevamo essere una ventina. Ci trovammo tutti lì. E lì... e
il nostro... quello che ci guidava, era Pio Campana e questo carpentiere. Partimmo. Facemmo il
ponte di San Carlo. Era già dopo mezzanotte c’era il coprifuoco. (...) Varcammo il ponte andammo
su di traverso dalla parte opposta. Facemmo Teodorano... A Teodorano (...) noi sapevamo che
dovevamo incotrarci con dei partigiani, però nel buio. Ciou! Vedi delle ombre, delle figure, non sei
sicuro... e allora ci appostammo (...) col fucile. Loro non parlavano. Noi non parlavamo e passò
un’eternità. Poi alla fine diedero la voce loro. E allora fummo il doppio e andammo su in una
quarantina. Fra gli altri c’era Luciano Lama, Ezio Casadei, che l’avevano liberato nella Rocca,
alcuni giorni prima, che doveva essere fucilato e l’avevan liberato. E c’era Gianni Amaducci, con
loro. (...) Ce n’erano [delle case popolari dell’ippodromo] C’era Lidio Venturi, (...) Balestra Renzo,
che lavorava con me all’Arrigoni (...) anche lui è venuto su [quella sera]. Eravamo una quarantina
fra quelli (...) che eran partiti da Settecrociari. [Loro] eran partiti da Settecrociari. E ci incontrammo
a Teodorano. (...) Trentasei, trentasette, così credo fossimo. [Da lì andammo ] A Strabattenza e a
Strabattenza finalmente sapemmo dov’era questo comando. (Augusto Capovin - 1999)