Hudud (intro)

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Hudud (intro)
INTRODUZIONE
Oltre che da un interesse personale, l’idea di questa ricerca di dottorato è sorta dalla
constatazione della scarsità di contributi storici e saggistici dedicati alle tre cinematografie del
Maghreb, nel panorama dell’editoria italiana e internazionale, e questo nonostante i festival di
Venezia, Cannes, Berlino nel corso degli ultimi tre decenni abbiano accompagnato l’emergere di
personalità autoriali di rilievo, dai tunisini Nouri Bouzid, Férid Boughedir, Moufida Tlatli, agli
algerini Mohamed Lakhdar-Hamina, Merzak Allouache, Mohamed Choukh, ai marocchini
Moumen Smihi, Jillali Ferhati, Farida Benlyazid.
Come si vedrà dalla bibliografia in appendice, in Italia esistono di fatto soltanto due raccolte
di saggi sul cinema arabo, entrambe edite dalla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro (nel 1976 e
nel 1993), le quali, per precisa scelta di impianto, dedicano spazio preponderante alle
cinematografie del Mashreq e in particolare a quella egiziana, storicamente la più solida e ricca
in termini produttivi.
In Francia, la situazione non è molto migliore, diversamente da quanto si possa pensare. Se si
escludono un fondamentale dizionario del cinema maghrebino curato dall’inglese Roy Armes
(Médiathèque des Trois Mondes, Paris, 1996) - aggiornato recentemente in un’edizione allargata
all’intero continente (2000) - e qualche numero monografico di rivista (come «CinémAction»,
che ha pubblicato uno speciale sul Maghreb nel 1981 e uno sui paesi arabi nel 1987), anche
l’editoria cinematografica transalpina pratica questi lidi ex-coloniali sempre meno e con
superficialità. Dall’area anglofona e da altre (come la tedesca) ricaviamo qualche altro
contributo, che però lascia invariati i termini della questione. D’altro canto, nei stessi paesi
maghrebini, verosimilmente a causa della povertà dell’editoria cinematografica generale, non si
va al di là di qualche buon repertorio o di alcune raccolte di saggi, malgrado soprattutto Algeria e
Tunisia negli anni Settanta avessero dato luce a storie del cinema e studi di ampio respiro.
Una volta individuato il territorio di indagine, il metodo d’analisi è venuto man mano
precisandosi, durante la fase della documentazione, attraverso un lento lavoro di avvicinamento
alla cultura e alla società berbero-arabo-musulmana, di cui le tre cinematografie maghrebine
sono espressione.
Numerosi testi di sociologia e antropologia hanno confermato la fondatezza di un’impressione
fortissima che ci ha sempre accompagnato durante la visione di film provenienti da quest’area
del Mediterraneo: lo spazio delle città, teatro sempre più centrale per seguire l’evoluzione dei
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costumi e delle modalità di organizzazione delle società maghrebine, si mostra tuttora
attraversato da una rete invisibile di barriere - tra interno ed esterno, privato e pubblico - che
tende a definire territorialmente luoghi maschili e femminili, con l’effetto di limitare l’esistenza
di aree di interscambio fra i sessi, la libertà di movimento dei soggetti femminili fuori dallo
spazio domestico e la loro partecipazione alla vita sociale e politica, a tutti i livelli.
Su questo spunto di partenza, abbiamo avviato un lavoro di conoscenza più estensivo delle tre
cinematografie, finalizzato al reperimento di un corpus di opere significative sotto il profilo
estetico, e al contempo tali da consentirci di sviluppare un lavoro di analisi sullo spazio urbano,
in modo da coglierne articolazioni e modalità di fruizione.
Ben presto, ci siamo resi conto che, se lo spazio delle città del Maghreb restituisce attraverso i
film un’immagine fortemente strutturata, è anche perché nella mentalità dei suoi abitanti
continua ad agire quel paradigma-archetipo della separazione sessuale, rinvenibile tra i principi
stessi che hanno orientato l’edificazione delle antiche medine. Per questo, prima di affrontare i
testi filmici, ci è parsa opportuna un’ampia sezione introduttiva in cui definire le basi socioantropologiche della nostra ricerca: ci riferiamo alla prima delle tre parti nelle quali si articola lo
studio.
Partendo da una descrizione delle caratteristiche urbanistiche e architettoniche degli originali
insediamenti urbani, tenteremo una ricognizione nell’immaginario sessuale e spaziale che li ha
ispirati, lasciando emergere man mano le evoluzioni, a volte traumatiche, subite sia dallo spazio
urbano che dallo stesso immaginario degli abitanti, a contatto con la realtà del colonialismo. La
fondazione dei nuovi stati nazionali, all’indomani delle indipendenze ha rappresentato un banco
di prova per questi popoli che, per la necessità di dotarsi di un quadro giuridico e amministrativo
moderno, hanno dovuto fare i conti con il diritto islamico tradizionale e con tutte le abitudini che
aveva cristallizzato nel corso nei secoli, concernenti soprattutto il ruolo e lo statuto della donna.
La riconquistata libertà dalle potenze coloniali creava le condizioni perché si affermasse in
modo sempre più prepotente nei popoli maghrebini il desiderio di recuperare di un’immagine di
sé, usurpata da un cinema di propaganda perlopiù mediocre e fondato su pochi stereotipi.
Superata per motivi teorici e storici la pregiudiziale anti-iconica dell’Islam tradizionale, i primi
cineasti hanno intrapreso con pazienza la lunga strada che avrebbe portato negli anni Sessanta ai
lungometraggi d’esordio delle nascenti cinematografie nazionali.
Seguendo il filo dell’immaginario spaziale, dall’architettura delle città ai miti legati alla
sessualità, dal diritto di famiglia al cinema, ci siamo progressivamente avvicinati al nostro campo
d’indagine. Un’ampia sezione della prima parte del nostro lavoro è dedicata a un’essenziale
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ricognizione storica delle tre cinematografie, finalizzata a una lettura prospettica delle due parti
successive, in cui si articola l’esame dei testi filmici selezionati.
La seconda parte, dopo alcune premesse di carattere metodologico, in cui viene definita la
strumentazione di bordo che guiderà il nostro itinerario, presenta uno sguardo trasversale e
sincronico su un corpus di 46 testi. Saranno i personaggi centrali degli intrecci a guidarci
nell’analisi dello spazio della casa, del quartiere, della città: mettendo in rilievo i loro linguaggi
non verbali, legati alla teatralità del quotidiano, alla prossemica, alla territorialità, descriveremo
quali caratteristiche fisiche e quali connotazioni simboliche presentano gli ambienti da loro
attraversati. Ciascun film infatti ci dispiega un mondo possibile, una successione di luoghi la cui
organizzazione può essere descritta in una mappa ideale, a patto di mettere in evidenza il
percorso compiuto dal personaggio principale della storia. Cercheremo dunque di definire le
caratteristiche di questi soggetti e le loro dinamiche di relazione nei confronti del contesto
ambientale in cui si trovano a vivere, tra desiderio di integrazione, consapevolezza della propria
esclusione e tentazioni di fuga.
Nella terza parte, operata un’ulteriore selezione di nove testi, li analizzeremo inquadrati in
quattro serie tematiche. Dal confronto ravvicinato di un nucleo di film che lavorano su spazi
assimilabili con prospettive differenti, sarà possibile allo stesso tempo andare più a fondo nella
descrizione di alcune grandi articolazioni del territorio urbano delineate nella seconda parte, e
studiare più da vicino alcune opere importanti nell’ancor giovane storia del cinema maghrebino,
mettendo in risalto il discorso che i loro autori operano sullo spazio e con lo spazio, attraverso la
messinscena.
Se i film selezionati si prestano ad essere considerati come altrettanti (spesso straordinari)
documenti socio-antropologici dell’immaginario e del vissuto di un complesso gruppo sociale,
questo non accade certo contro la volontà degli autori. Al contrario, come emerge da numerose
testimonianze e interviste, numerosi registi tunisini, algerini, marocchini considerano il loro
lavoro non solo come espressione di un mondo poetico e di uno stile personali, ma anche come
mezzo di conoscenza e riflessione su una realtà sociale spesso difficile, quando non tragica. Se lo
spazio pubblico della città rappresentato nei loro film ci si offre come un teatro ideale sul quale
valutare le modalità di interrelazione fra i soggetti sociali, registrando in modo assai sensibile
ogni progresso nel superamento delle barriere fra i sessi, oppure al contrario un irrigidimento
delle divisioni territoriali, è perché i registi stessi utilizzano soluzioni linguistiche efficaci e
funzionali a un cinema topografico, che cioè trova nella scrittura con i significanti spaziali, una
delle sue più profonde ragioni d’essere.
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Il presente studio si chiude con una breve quarta parte, in cui verranno riprese alcune
acquisizioni essenziali maturate in sede di analisi, allo scopo di formulare un ultimo percorso
diacronico all’interno del corpus, e con una sezione di apparati.
Ringraziamenti
Se questa ricerca ha visto la luce è stato anche grazie al paziente lavoro di stimolo, indirizzo e
sostegno di Lino Miccichè. In un panorama accademico che nel complesso contribuisce a tenere
sotto silenzio l’esistenza delle cinematografie del sud del mondo, già ignorate da una miope
distribuzione commerciale, la presenza di un docente-guida attento e sollecito mi è stata di
grande conforto, specialmente nella lunga e difficile fase di acquisizione della documentazione.
Sono sinceramente grato a quanti hanno contribuito, come singoli, o all’interno di istituzioni,
a facilitare il mio lavoro di ricerca, nei modi a loro possibili.
In Italia: il Centro Orientamento Educativo, nelle persone di Alessandra Speciale, Annamaria
Gallone e Gabriella Rigamonti; Elisa Malnis; Giovanni Spagnoletti; Roberto Silvestri; Francesca
Leonardi; Mohsen Melliti, Bruna Conti.
In Francia: il Centre Culturel Algérien, nelle persone di Mokhtar Taleb-Bendiab (direttore),
Mourad Bouchouchi (responsabile del servizio videoteca), Zineb Derbal (responsabile della
biblioteca); la Médiathèque des Trois Mondes e in particolare Martine Leroy e Dominique
Sentilhes; les Archives du film du Centre National de la Cinématographie de Bois d’Arcy;
Magda Wassef dell’Institut du Monde Arabe; i registi Moumen Smihi e Jean-Pierre Lledo.
In Tunisia: Tahar Chikhaoui, Férid Boughedir, Khaled Méchkène, Braham Wahid (Archives
Télévision-Video, Radio-Télévision Tunisienne) Ahmed Attia, Mohamed Driss, Monsieur Habib
(Familia Productions), Nadia Attia, Mohamed Challouf; i registi Nouri Bouzid e Mahmoud Ben
Mahmoud.
In Marocco: Abderrahmane Amzellough, Ahmed Boughaba, il Centre Cinématographique
Marocain, nelle persone di Mustapha Stitou (segretario generale), Mohamed Jorio (capo-servizio
del Fondo di Aiuto per il cinema nazionale), Youssef El Mansouri; la Cinémathèque Marocaine,
nelle persone di Abdellah Bayahia (responsabile) e Mohamed Jimmi (servizio tecnico); i registi
Jillali Ferhati, Abdelkader Lagtaâ, Farida Benlyazid, Hakim Noury, Hassan Benjelloun,
Mohamed Abderrahman Tazi, Mustapha Derkaoui, Najib Sefrioui.
Un ultimo ringraziamento alla mia prima lettrice, Maria Coletti: il suo entusiasmo e la sua
serenità di giudizio mi sono stati indispensabili.
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