MACCHINA FOTOGRAFICA

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MACCHINA FOTOGRAFICA
MACCHINA FOTOGRAFICA
La macchina fotografica è, sostanzialmente, una scatola a tenuta di luce con un foro sulla parte
frontale (obiettivo) e del materiale sensibile alla luce sul lato opposto (pellicola o sensore digitale).
Nel momento dello scatto la luce attraversa il foro e colpisce la superficie sensibile, formando una
immagine capovolta e ridotta del soggetto davanti all’obiettivo.
A questo semplice schema si aggiungono poi altri elementi: un otturatore per dosare il tempo di
ingresso della luce nella “scatola”, un diaframma per regolarne la quantità, un mirino per verificare
l’esattezza dell’inquadratura.
IL PERCORSO DELLA LUCE
Il corpo macchina è sostanzialmente una piccola camera oscura; al momento dello scatto lo
specchio si solleva andando a chiudere l’apertura del mirino, consentendo alla luce di raggiungere
il piano del sensore e le lamelle dell’otturatore si aprono scoprendo il sensore stesso. La messa a
fuoco si ottiene variando la distanza tra la lente e la pellicola, ovvero avvicinando o allontanando
l’obiettivo rispetto al sensore.
Affinché nel mirino si veda la stessa scena che si sta fotografando, che sulla pellicola sarà impressa
ruotata di 180°, è necessario un pentaprisma a tetto o pentaspecchio a tetto (componente ottenuto
incollando insieme una serie di specchi. Ha una maggiore leggerezza ed un costo più contenuto, ma
le riflessioni vetro/aria che avvengono al suo interno provocano una perdita di luminosità).
Pentaprisma
Pentaprisma a tetto
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OBIETTIVO
Obiettivo è un termine generico che descrive un dispositivo ottico in grado di raccogliere e
riprodurre un'immagine. È presente in molte apparecchiature ottiche: macchine fotografiche,
binocoli, cannocchiali, telescopi, microscopi e altro. Può essere composto da una o più lenti.
Considerando l’obiettivo come una semplice lente convergente, la distanza focale di questi è la
misura espressa in millimetri della distanza che separa la lente dal suo fuoco. La lunghezza focale di
un obiettivo è incisa sulla sua montatura.
Variando la focale dell’obiettivo varia la dimensione che il soggetto avrà sul supporto di registrazione
(sensore o pellicola). A parità di distanza di ripresa, un obiettivo di focale più lunga produce
un'immagine più grande.
Nelle lenti sottili, se utilizziamo la nomenclatura in cui So è la distanza tra oggetto e lente, Si la
distanza tra lente e immagine, f la focale delle lente, M l’ingrandimento lineare ne segue che:
1
1
1
+
=
𝑆𝑜 𝑆𝑖
𝑓
𝑀=
𝑆𝑖
𝑓
𝑆𝑖 − 𝑓
=
=
𝑆𝑜
𝑆𝑜 − 𝑓
𝑓
(𝑆𝑜 − 𝑓)(𝑆𝑖 − 𝑓) = 𝑓 2
In particolare nel caso della macchina fotografica si ha che 𝑆𝑜 ≫ 𝑓 (a parte i casi di macrofotografia)
e quindi possiamo riscrivere la formula relativa all’ingrandimento come:
𝑀=
𝑓
𝑆𝑜
2
da cui risulta che maggiore è la focale e maggiore è l’ingrandimento. Il limite è imposto dalla
dimensione fissa del sensore/pellicola: di conseguenza maggiore è l’ingrandimento e minore sarà il
campo di visione inquadrato.
Possiamo quindi affermare che per una determinata focale:


le dimensioni di un oggetto su di un sensore dipendono esclusivamente dalla focale
dell’obiettivo,
l’angolo di campo inquadrato dipende invece dalle dimensioni del sensore.
ANGOLO DI CAMPO
Fissata la lunghezza focale di un obiettivo ne consegue che il formato del sensore determina l’angolo
di campo. Essendo di solito il formato rettangolare ci sarebbero in effetti due angoli di campo, uno
verticale e uno orizzontale; per evitare equivoci si considera di norma l'angolo relativo alla
diagonale.
Fissiamo l’attenzione sul formato 24x36 mm (dimensioni del fotogramma), detto anche 35 mm
(dalla larghezza della pellicola perforata); in tale formato l'obiettivo normale (cioè con una focale
che rende la prospettiva la più vicina possibile alla visione umana) ha una lunghezza focale di 50
mm, cioè ha una lunghezza focale dello stesso ordine di grandezza della diagonale del fotogramma
che è di 43 mm.
Generalmente l’immagine prodotta da un
obiettivo è circolare, anche se deve andare a
coprire un sensore di forma rettangolare.
Da semplici considerazioni geometriche si ricava che l'angolo di campo, in questo caso, è circa di
46°. La formula generale per determinare l’angolo di campo α, chiamata d la diagonale del supporto,
è:
𝒅
𝛂 = 𝟐 𝐚𝐫𝐜𝐭𝐚𝐧 ( )
𝟐𝒇
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A parità di dimensione del supporto sensibile, un obiettivo di focale più lunga è caratterizzato da un
angolo di campo più ristretto:
La figura sottostante rappresenta graficamente il variare dell'angolo di campo al cambiare della
focale, nel formato 24x36 mm.
Con l’avvento dei sensori digitali si sono resi disponibili vari formati; ne consegue che se si diminuisce
la dimensione del sensore, l'angolo di campo per una data focale diventa più stretto mentre se si
aumenta la dimensione del sensore, l'angolo di campo per una data focale diventa più largo (si parla
in questo caso di focale equivalente).
I vari obiettivi vengono classificati, a seconda del loro angolo di campo in:
Obiettivi normali.
Viene considerato obiettivo normale di un certo formato di pellicola quello che ha una lunghezza
focale all'incirca uguale alla diagonale del fotogramma. Per tradizione, l'obiettivo normale del 24x36
mm ha una lunghezza focale di 50 mm, a cui corrisponde un angolo di campo di 46 gradi. La
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"normalità" risiede nel fatto che con questo obiettivo si ottiene una sensazione prospettica simile a
quella che si ha ad occhio nudo.
Obiettivi grandangolari
Un obiettivo grandangolare ha una lunghezza focale più corta dell'obiettivo normale e quindi offre
un angolo di campo più ampio. Per questo motivo le immagini prodotte da un grandangolo sono più
piccole del naturale, restituendo la sensazione di una scena molto vasta.
I teleobiettivi
I teleobiettivi svolgono una funzione opposta a quella dei grandangolari: si usano per isolare una
porzione della scena, avvicinandola e ingrandendola più di quanto non faccia un obiettivo normale.
Tornano quindi molto utili per fotografare soggetti lontani e difficilmente avvicinabili.
Al crescere della lunghezza focale del teleobiettivo, diminuisce l'angolo di campo e aumenta
l'ingrandimento del soggetto sul fotogramma.
OTTURATORE
L'otturatore è il dispositivo che permette di fare arrivare luce alla pellicola quando si preme il
pulsante di scatto; in quel momento l'otturatore regola il tempo di esposizione.
Scala dei tempi:
1/2 1/4 1/8 1/15 1/30 1/60 1/125 1/250 1/500 1/1000
Sono frazioni di secondo, più alto il valore, più veloce lavorerà l’otturatore e viceversa
DIAFRAMMA
La scelta di un valore di diaframma oltre a influenzare la profondità di campo, regola il flusso di
luce che arriverà al supporto.
Agendo sul diaframma si influisce sull'ampiezza dell'apertura che sta al centro dell'obiettivo.
DIAFRAMMA A IRIDE
Una serie di lamelle poste all'interno
dell'obiettivo regolano l'apertura che lascia
passare la luce, chiudendola in maggiore o
minore misura rispetto all'apertura
massima.
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Scala dei diaframmi:
1,4 2 2,8 4 5,6 8 11 16 22 32
I valori N della scala o f-number indicano il rapporto tra lunghezza focale f di un obiettivo ed il
diametro della pupilla di entrata dell'ottica determinata dal diaframma.
I numeri che compaiono sulla ghiera del diaframma sono selezionati in modo tale che passando da
un numero a quello immediatamente inferiore l’area del diaframma raddoppia ( e viceversa).
Infatti, chiamato con A l’area del diaframma (supponiamo circolare) e con Dd il diametro del
𝑓
diaframma, essendo 𝑁 = Dd possiamo scrivere
𝜋𝑓 2
𝐴=
4𝑁 2
Se impostato un valore N1 vogliamo trovare il valore N2 al quale corrisponde un’area che è la metà
di quella di partenza troveremo
𝜋𝑓 2
4N12
da cui
=2
𝜋𝑓 2
4N22
2N12 = N22
La giusta quantità di luce che deve arrivare al supporto viene regolata dall'azione congiunta
dell'otturatore e del diaframma; vedremo successivamente la relazione tra queste due variabili.
PROFONDITÀ DI CAMPO
La profondità di campo è la distanza davanti e dietro al soggetto messo a fuoco che appare nitida, a
fuoco. Per ogni impostazione dell'obiettivo, c'è un'unica distanza a cui gli oggetti appaiono
assolutamente nitidi; la nitidezza diminuisce gradualmente sia davanti che dietro il soggetto messo
a fuoco. Il "campo nitido" è quell'intervallo di distanze davanti e dietro al soggetto in cui la sfocatura
è impercettibile.
Un obiettivo riesce a mettere a fuoco, cioè a creare di ogni punto un'immagine puntiforme, solo ad
una distanza data. Ogni punto posto a un'altra distanza formerà un'immagine circolare detta “disco
di confusione". Non è necessario che l'immagine sia perfettamente a fuoco per essere accettabile.
Basta che l'immagine di un punto sia un disco sufficientemente piccolo, così da essere visto come
un punto. In queste condizioni diremo che l'immagine è nitida.
La profondità di campo è quella distanza (misurata sull'asse della lente) per cui si ha un'immagine
sufficientemente nitida.
Con un diaframma molto aperto, il circolo di confusione di un punto lontano dal piano di messa a
fuoco è molto grande, per cui il punto appare sfuocato.
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Nelle stesse condizioni, se fotografiamo con un diaframma più chiuso, per il punto lontano dal piano
di focheggiatura otteniamo un circolo di confusione più piccolo, per cui rientra nel valore accettabile
per apparire a fuoco.
La profondità di campo è condizionata principalmente da tre fattori.


Il primo è l’apertura di diaframma, cioè i diaframmi più aperti danno una minore Profondità
di Campo
Il secondo è la focale dell’obiettivo; la profondità di campo aumenta al diminuire della focale.
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
Il terzo fattore è la distanza tra la fotocamera e il soggetto su cui si mette a fuoco. Minore
è questa distanza, minore è la Profondità di Campo. Questo è evidente con soggetti macro
in cui la Profondità di Campo sparisce del tutto ed è possibile mettere a fuoco un singolo
dettaglio.
RELAZIONE TRA f-number E TEMPO DI ESPOSIZIONE Et
Chiamiamo con L la quantità di luce che arriva al supporto per unità di tempo, che sarà proporzionale
alla superficie A del diaframma. Quindi L è proporzionale a A e si scrive: 𝐿 ∝ 𝐴
Ma essendo 𝐴 ∝ Dd2 𝑛𝑒 𝑠𝑒𝑔𝑢𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝐿 ∝ Dd2 dove con Dd indichiamo il diametro del diaframma.
Ma l’area dell’immagine Ai è proporzionale al quadrato della focale quindi la luce per unità di area
di immagine per unità di tempo è
𝐿
Dd2
∝ 2
Ai
𝑓
Quindi abbiamo trovato che la luce per unità di superficie e tempo è inversamente proporzionale al
quadrato del f-number.
Fissata l’esposizione e il tipo di supporto, il tempo di esposizione Et è inversamente proporzionale
alla luce per unità di immagine e di tempo e cioè
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𝐿
∝
𝐸𝑡
𝐴𝑖
Quindi
𝐸𝑡 ∝
𝐿
Ma Ai ∝
𝐴𝑖
𝐿
Dd2
𝑓2
𝑛𝑒 𝑠𝑒𝑔𝑢𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝐸𝑡 ∝
𝑓2
Dd2
e cioè
𝐸𝑡 ∝ (𝑓𝑛𝑢𝑚𝑏𝑒𝑟)2
I SENSORI
Il sensore fotoelettrico rappresenta nelle fotocamere digitali quello che la pellicola rappresenta per
le fotocamere tradizionali.
Il sensore riceve la luce che arriva dall'esterno attraverso l'obiettivo converte le onde
elettromagnetiche in impulsi elettrici generando un segnale analogico che passa attraverso un
amplificatore e successivamente viene inviato a un convertitore analogico/digitale , che trasforma
appunto il segnale in una sequenza di bit.
Il sensore è formato da milioni di minuscoli elementi chiamati fotositi o fotodiodi i quali hanno il
compito di interpretare la luce che li colpisce, producendo di conseguenza delle onde la cui ampiezza
è proporzionale all'intensità luminosa di origine. In poche parole, più è intensa la luce che colpisce
il sensore è più forte è il segnale che viene prodotto in uscita.
I fotodiodi tuttavia pur essendo sensibili alla luce, non sono sensibili al colore e, più precisamente,
alle varie frequenze luminose. Ecco che per sopperire a questo problema sulla superficie del sensore
viene applicato un filtro che ha il compito di far passare solo determinate frequenze di luce,
scomponendo i tre colori primari: il rosso, il verde e il blu, allo stesso modo di quanto avviene
nell'occhio grazie ai coni. Questo particolare filtro viene chiamato CFA (color filter array) o filtro
RGB.
Su ogni fotosito dunque arriverà soltanto la luce corrispondente a una specifica frequenza d'onda.
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Osservando l'immagine è possibile vedere
come avviene la distribuzione dei colori, 50%
verde, 25% rosso e 25% blu. Ogni fotodiodo
quindi è in grado di fornire informazioni
relative a un solo colore e quindi a 1/3 della
reale quantità di frequenze che lo colpisce.
Viene subito da chiedersi allora come faccia
la fotocamera a interpretare tutti i colori
della gamma cromatica se ne può leggere
solo uno per pixel. La risposta è che la
fotocamera elabora i dati fornitigli dal
sensore attraverso dei complessi algoritmi
detti di demosaicizzazione , che non fanno
altro che interpolare l'immagine, ovvero
assegnano un colore a ogni pixel in base alla
lettura di quelli adiacenti.
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