Scheda 3 Amare il prossimo: chi e dove

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Scheda 3 Amare il prossimo: chi e dove
Scheda 3
Amare il prossimo: chi e dove
…29Ma
quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è il mio prossimo?".30 Gesù riprese:
"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo
percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.31 Per caso, un sacerdote
scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall`altra parte. 32
Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. 33 Invece un Samaritano, che
era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n`ebbe compassione. 34 Gli si fece vicino, gli
fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a
una locanda e si prese cura di lui… .(Lc 10,29-34)
(omelia a Lampedusa , 8 luglio 2013)
…..
«Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Dove sei
Adamo?». E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede
di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e
questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma
semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda:
«Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere
Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello!
Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo
anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non
custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni
gli altri.
«Dov’è il tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una
domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e
sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano
un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che
cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le
loro voci salgono fino a Dio!
…..
Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così:
non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il
sangue del tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di
questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento
ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon
Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e
continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci
sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili
alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono
l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla
globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella
globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci
interessa, non è affare nostro!
….
«Adamo dove sei?», «Dov’è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia
dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che
ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?»,
Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano
sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che
desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato
l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità
di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i
suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la
propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò
che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla
nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che
nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come
questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?
Chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo Padre perdono per
chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti
chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni
che conducono a questi drammi. Perdono Signore!
Signore, che sentiamo anche oggi le tue domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo
fratello?
VIAGGIO APOSTOLICO A RIO DE JANEIRO IN OCCASIONE DELLA XXVIII GIORNATA MONDIALE
DELLA GIOVENTÙ
VISITA ALLA COMUNITÀ DI VARGINHA
Rio de Janeiro Giovedì, 25 luglio 2013
Carissimi fratelli e sorelle, buongiorno!
È bello poter essere qui con voi! È bello! Fin dall’inizio, nel programmare la visita in Brasile, il
mio desiderio era di poter visitare tutti i rioni di questa Nazione. Avrei voluto bussare a ogni porta,
dire “buongiorno”, chiedere un bicchiere di acqua fresca, prendere un “cafezinho” - non un
bicchiere di grappa! - parlare come ad amici di casa, ascoltare il cuore di ciascuno, dei genitori,
dei figli, dei nonni... Ma il Brasile è così grande! E non è possibile bussare a tutte le porte! Allora
ho scelto di venire qui, di fare visita alla vostra Comunità; questa Comunità che oggi rappresenta
tutti i rioni del Brasile. Che bello essere accolti con amore, con generosità, con gioia! Basta vedere
come avete decorato le strade della Comunità; anche questo è un segno di affetto, nasce dal vostro
cuore, dal cuore dei brasiliani, che è in festa! Grazie tante a ognuno di voi per la bella accoglienza!
Ringrazio gli sposi Rangler e Joana per le calorose parole.
1. Fin dal primo momento in cui ho toccato la terra brasiliana e anche qui in mezzo a noi, mi
sento accolto. Ed è importante saper accogliere; è ancora più bello di qualsiasi abbellimento o
decorazione. Lo dico perché quando siamo generosi nell’accogliere una persona e condividiamo
qualcosa con lei - un po’ di cibo, un posto nella nostra casa, il nostro tempo - non solo non
rimaniamo più poveri, ma ci arricchiamo. So bene che quando qualcuno che ha bisogno di
mangiare bussa alla vostra porta, voi trovate sempre un modo di condividere il cibo; come dice il
proverbio, si può sempre “aggiungere più acqua ai fagioli”! Si può aggiungere più acqua ai fagioli?
... Sempre? ... E voi lo fate con amore, mostrando che la vera ricchezza non sta nelle cose, ma nel
cuore!
E il popolo brasiliano, in particolare le persone più semplici, può offrire al mondo una preziosa
lezione di solidarietà, una parola - questa parola solidarietà - spesso dimenticata o taciuta, perché
scomoda. Quasi sembra una brutta parola ... solidarietà. Vorrei fare appello a chi possiede più
risorse, alle autorità pubbliche e a tutti gli uomini di buona volontà impegnati per la giustizia
sociale: non stancatevi di lavorare per un mondo più giusto e più solidale! Nessuno può rimanere
insensibile alle disuguaglianze che ancora ci sono nel mondo! Ognuno, secondo le proprie
possibilità e responsabilità, sappia offrire il suo contributo per mettere fine a tante ingiustizie
sociali. Non è, non è la cultura dell’egoismo, dell’individualismo, che spesso regola la nostra
società, quella che costruisce e porta ad un mondo più abitabile; non è questa, ma la cultura della
solidarietà; la cultura della solidarietà è vedere nell’altro non un concorrente o un numero, ma un
fratello. E tutti noi siamo fratelli!
Desidero incoraggiare gli sforzi che la società brasiliana sta facendo per integrare tutte le parti del
suo corpo, anche le più sofferenti e bisognose, attraverso la lotta contro la fame e la miseria.
Nessuno sforzo di “pacificazione” sarà duraturo, non ci saranno armonia e felicità per una società
che ignora, che mette ai margini e che abbandona nella periferia una parte di se stessa. Una
società così semplicemente impoverisce se stessa, anzi perde qualcosa di essenziale per se stessa.
Non lasciamo, non lasciamo entrare nel nostro cuore la cultura dello scarto! Non lasciamo entrare
nel nostro cuore la cultura dello scarto, perché noi siamo fratelli. Nessuno è da scartare"
Ricordiamolo sempre: solo quando si è capaci di condividere ci si arricchisce veramente; tutto ciò
che si condivide si moltiplica! Pensiamo alla moltiplicazione dei pani di Gesù! La misura della
grandezza di una società è data dal modo con cui essa tratta chi è più bisognoso, chi non ha altro
che la sua povertà!
2. Vorrei dirvi anche che la Chiesa, “avvocata della giustizia e difensore dei poveri contro le
disuguaglianze sociali ed economiche intollerabili che gridano al cielo” (Documento di Aparecida,
395), desidera offrire la sua collaborazione ad ogni iniziativa che possa significare un vero
sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo. Cari amici, certamente è necessario dare il pane a chi ha
fame; è un atto di giustizia. Ma c’è anche una fame più profonda, la fame di una felicità che solo
Dio può saziare. Fame di dignità. Non c’è né vera promozione del bene comune, né vero sviluppo
dell'uomo, quando si ignorano i pilastri fondamentali che reggono una Nazione, i suoi beni
immateriali: la vita, che è dono di Dio, valore da tutelare e promuovere sempre; la famiglia,
fondamento della convivenza e rimedio contro lo sfaldamento sociale; l’educazione integrale, che
non si riduce ad una semplice trasmissione di informazioni con lo scopo di produrre profitto; la
salute, che deve cercare il benessere integrale della persona, anche della dimensione spirituale,
essenziale per l'equilibrio umano e per una sana convivenza; la sicurezza, nella convinzione che la
violenza può essere vinta solo a partire dal cambiamento del cuore umano.
3. Un’ultima cosa vorrei dire, un'ultima cosa. Qui, come in tutto il Brasile, ci sono tanti giovani.
Eh giovani! Voi, cari giovani, avete una particolare sensibilità contro le ingiustizie, ma spesso siete
delusi da fatti che parlano di corruzione, da persone che, invece di cercare il bene comune,
cercano il proprio interesse. Anche a voi e a tutti ripeto: non scoraggiatevi mai, non perdete la
fiducia, non lasciate che si spenga la speranza. La realtà può cambiare, l’uomo può cambiare.
Cercate voi per primi di portare il bene, di non abituarvi al male, ma di vincerlo con il bene. La
Chiesa vi accompagna, portandovi il bene prezioso della fede, di Gesù Cristo, che è «venuto perché
abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
Oggi a tutti voi, in particolare agli abitanti di questa Comunità di Varginha dico: non siete soli, la
Chiesa è con voi, il Papa è con voi. Porto ognuno di voi nel mio cuore e faccio mie le intenzioni che
avete nell’intimo: i ringraziamenti per le gioie, le richieste di aiuto nelle difficoltà, il desiderio di
consolazione nei momenti di dolore e di sofferenza. Tutto affido all'intercessione di Nostra Signora
di Aparecida, Madre di tutti i poveri del Brasile, e con grande affetto vi imparto la mia
Benedizione. Grazie!
Verifica e confronto
Chi è e dov’è il prossimo?
Nella parabola, il dottore, per giustificarsi, insiste sulla “concretezza della vita”. Aveva chiesto:
Cosa devo “fare”? Ora chiede: Chi è il mio “prossimo”? Chiede a Gesù di indicare i contrassegni,
le caratteristiche per le quali egli possa riconoscere “ il prossimo” . Il prossimo fuori di sé, intorno
a sé, in mezzo agli altri, comunque nella società e nel mondo. In conclusione, sembra quasi che il
dottore voglia trovare il prossimo con la indicazione sul petto: “io sono il tuo prossimo”.
Gesù, invece, gli suggerisce un altro itinerario. Si tratta di “camminare ciascuno dentro di
noi” per conoscerci meglio. Scopriremo nel nostro “io” – (Ognuno nel suo “sé”) - non solo la
ricchezza di doti, qualità, capacità, pregi, virtù e potenzialità, ma “anche e insieme” la povertà
causata da limiti, debolezze, difetti, miserie e – purtroppo – da peccati.
E’ questo “il prossimo più prossimo” che Gesù raccomanda di individuare dentro di noi. E’
“nostro compagno di viaggio”. Non possiamo considerarlo un alieno, un estraneo, un immigrato.
Lo dobbiamo, invece, conoscere per curarlo e guarirlo, con l’aiuto di Dio. Solo chi ha conosciuto,
amato e curato il “povero che ha dentro di sé” riconosce, ama e cura “il povero fuori di sé”.
La Parola si fa preghiera
Signore, ho smarrito il cuore, il mio cuore. A forza di pensare a me stesso, soprattutto a me
stesso, solo a me stesso ho perduto il cuore. Sono ormai un “senza cuore evangelico”. A dir poco
ho un cuore malato: violento come quello dei ladri della parabola, duro come il cuore del levita e
del sacerdote, pronti a osservare la norma di non toccare un corpo insanguinato o di un “mezzo
morto” sulla via di Gerico.
Sento quindi il bisogno di rivolgermi direttamente a Te, dal cuore mite ed umile:
Donami, Signore, un “cuore compassionevole” come il Tuo.
−
Tu, venuto per la Salvezza di Israele a radunare i suoi figli come una chioccia raduna i
pulcini, hai pianto su Gerusalemme che non ha ricambiato il tuo amore,
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Tu, Amico Gesù, Ti sei turbato e hai pianto alla morte di Lazzaro,
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Tu, Buon Pastore, hai avuto compassione per la gente che hai incontrato come “pecore
senza pastore”,
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Tu, Figlio inviato dal Padre Celeste e, per opera dello Spirito Santo, Figlio di Maria di
Nazareth, ti sei intenerito per la Madre vedova che, sulla strada di Nain, accompagnava il giovane
figlio alla sepoltura e lo hai restituito a lei vivo,
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Tu, che ti sei paragonato al medico che ha cura dei malati, hai avuto compassione per il
lebbroso che ti chiedeva di essere guarito,
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Tu, che mite e umile di cuore , ti sei addolorato per la durezza del cuore dei presenti nella
Sinagoga, quando hai chiesto loro se fosse lecito o no guarire un povero uomo di sabato,
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Tu, che, innocente, sei stato crocifisso hai chiesto al Padre il perdono per i tuoi carnefici,
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Tu, che hai portato con te nel Getsemani Pietro e Giacomo e Giovanni, e, pur avendo
chiesto loro di vegliare, li hai trovati addormentati e hai solo detto: Non avete potuto
vegliare un’ora con me!
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Tu, che hai detto, “imparate da me che sono mite e umile di cuore”