Cristo al cinema, un libro che è una miniera
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Cristo al cinema, un libro che è una miniera
Cristo al cinema, un libro che è una miniera DI ANDREA BIGALLI n tempo di carenza di domande significative, U in cui i grandi argomenti sembrano aver esaurito la loro funzione propulsiva verso stagioni ulteriori: «L'epoca delle passioni tristi» come la analizzano nel loro studio gli psichiatri Benasayag e Schmit, e titolazione che potrebbe proprio ben identificare hi nostra contemporaneità. Tra le domande - enormi che non ci si pone più co 11 e iti va m e nte, se ne collocano molte di carattere religioso, legate agli elementi della fede. Quelle su chi sia realmente Gesù Cristo sembrano confinate nell'ambito non solo dei credenti, ma forse addirittura dei teologhi; in tanti che pure sono praticanti sembra che la necessità di riflessione sulla propria identità si sia esaurita. Ci sono però elementi della nosu~a cultura che pare non possano eclissarsi del tutto. Un tema squisitamente teologico, l'identità di Gesù affrontata dalla cristologia, semina elementi in vari contesti: a distanza di tempo ne troviamo rimandi nell'arte, nella letteratura, nei linguaggi visivi, nel cinema. Come se artisti, registi, scrittori anche se non intendono direttamente affrontare l'argomento, non potessero fare a meno di far emergere dalla loro opera, in modo più o meno conscio, un riferimento, magari anche soltanto simbolico, all'uomo di Nazarefh, che i cristiani considerano il loro Signore. Possiamo definirle tracce inconsapevoli di un riferimento culturale, posseduto o negato - comunque pi-esente, che rimanda ad una educazione, o ad una curiosità più o meno consapevole - nel cristianesimo. Il cinema, da questo punto divista, può consentirci un archivio di vastità notevole: dalla sua origine indicato come il media più capace di portare alla luce anche le strutture più inconsce del pensiero, il cinema trova la sua chiave espressiva in uno dei linguaggi preferiti dalla fede, il piano simbolico, Lo studioso attento che abbia sensibilità per l'argomento può scoprire molti più elementi di quanto non si pensi, tra gli autori che hanno deliberatamente parlato di Gesù o chi lo ha fatto trattando di altro, più o meno incidentalmente. Accostarsi ad un lavoro come quello che Stefano Beccastrini fa nel suo Chi dite che io sia? ~ Introduzione alla cristologia cinematografica (Aska edizioni) significa infatti introdursi in una miniera, per la ricchezza del materiale, la fatica dello scavo, l'alta qualità della capacità di esegesi filmica, la competenza. L'analisi di Stefano si articola su di un piano cronologico, ma anche per aree tematiche, il progredire e l'articolarsi delle letture filmiche su Gesù si alternano a studi su elementi che emergono dal dettato evangelico e che, di volta in volta, sono stati tradotti per immagini per affrontare le domande che emergevano dal dibattito del tempo. Dai primi registi che per lo più filmano la Passione sulla falsariga delle sacre rappresentazioni a! cinema di Hollywood che molto presto intuisce la presa spettacolare della vicenda del Re dei Re sul pubblico, dai lavori dei grandi maestri (tra cui «l'ateo per grazia di Dio» Bunuel e il tormentato Bergman, che non realizzarono film su Gesù nonostante i loro molti film su tematica religiosa, ma non mancarono di far riferimento al suo vangelo, tra dissacrazione o angoscia per non poterlo totalmente negare) alle biografìe del Cristo per immagini di Zeffirelli, Rossellini, Pasolini, espressioni radicalmente diverse della stessa arte (ed io e l'autore concordiamo sulla inesaurita bellezza de «II vangelo secondo Matteo»). Le riletture della teologia sul Cristo, dal Jesus Christ Superstàr alla Passione di Gibson, proiettano il tema sul cinema a venire, su quanto sia importante che alcune domande siano ancora fatte. Se è proprio la cinematografia ad avere un ruolo fondamentale nella tutela collettiva della memoria, su quanta storia non si deve smarrire né falsificarsi, può averlo anche nel persistere nella provocazione, non solo spirituale ma anche culturale, rappresentata dal Cristo: una provocazione per amore e verità, destinata comunque ad inquietare, per domande salutari in un tempo di conformismo, salvare chi ne capisce l'esigenza, «disperdere i superbi nei pensieri del loro cuore». Stefano ed io ci siamo conosciuti proprio attraverso questo libro, che ho avuto onore di presentare in un paio di occasioni. Pregustiamo le prossime occasioni di dialogo sul cinema che abbiamo visto e che analizzeremo in futuro. Mi pare che siamo entrambi divorati da una curiosità impressionante, in questo come in altri campi, una buona attrezzatura di viaggio. Quello adombrato in questo libro, per la natura e la bellezza del suo argomento, addirittura un viaggio verso l'Eterno.