Antoine Chevrier La sua Conversion

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Antoine Chevrier La sua Conversion
Antonio Chevrier:
LA SUA CONVERSIONE
La notte di Natale 1856, il padre Chevrier è in meditazione davanti alla mangiatoia.
Comprende che il Vangelo di Dio fatto carne è fondamentalmente una Buona Notizia per la
gioia degli uomini; che Dio ama la compagnia dei piccoli; che bisogna gridare ai quattro venti
che mai più gli uomini saranno soli.
Contemplando l’incarnazione del Figlio di Dio in povertà, comprende che non è sufficiente
amare spassionatamente gli uomini per prendersi cura delle loro miserie. Se vuole
evangelizzarli dovrà mettersi in ascolto del Cristo e fare come ha fatto lui, condividere la vita
dei poveri e diventare povero come loro.
Antonio Chevrier è nato nel 1826 da una delle numerose famiglie immigrate a Lione per lavorare
nell’industria della seta. In quegli anni Lione conobbe un periodo di agitazione: l’insurrezione dei
lavoratori della seta nel 1831; le manifestazioni del 1834 e le conseguenti repressioni; la
proclamazione della Repubblica nel 1848.
Antonio Chevrier si trovava in seminario nel periodo in cui tra quelle mura un gruppo di operai si
riuniva regolarmente ogni sera. Ordinato prete nel 1850, viene mandato alla Guillottière: un
quartiere oltre la sponda del Rodano in cui aveva la residenza il proletariato dell’industria locale.
Antonio, ebbe modo di conoscere la povertà di quel luogo e ne fu costantemente pungolato. Prova
ne sia che in uno dei suoi sermoni leggiamo:
«In proporzione all’arricchirsi dei grandi della terra, al fermarsi delle ricchezze in poche
e avide mani che tanto le bramano, constatiamo il crescere della povertà, la diminuzione
del lavoro e gli stessi salari non vengono pagati. Vediamo infatti come dei poveri operari
lavorino dal sorgere del sole fino a notte fonda per guadagnarsi appena il pane per sé e i
propri figli».
Incontra le persone in casa loro, vede le loro case spoglie, i loro volti affaticati, i ragazzi uscire
stremati dalle fabbriche. Le inondazione del 1856, poi, mettono ancor più in risalto la condizione di
miseria della vita delle persone che incontra nel suo quartiere.
L’intuizione della notte di Natale.
Nella notte di Natale di quell’anno 1856, meditava davanti alla mangiatoia. Lasciò parlare le «sue
viscere». Come quando si è innamorati, senza calcolo, senza progetti chiari se non quello di donare
la propria vita ai più piccoli, ai bambini delle nascenti città operaie del tempo. Tutto a livello di una
semplice intuizione. Comprende che il Vangelo di Dio fatto uomo è fondamentalmente una Buona
Notizia per la gioia degli uomini, che Dio ama la compagnia dei piccoli, e che bisognava gridare in
ogni luogo che mai più gli uomini sarebbero stati soli. Contemplando l’incarnazione del Figlio di
Dio in stato di povertà, comprende che non è sufficiente amare appassionatamente gli uomini e
cercare di curarli nelle loro miserie. Se vuole evangelizzarli dovrà mettersi in ascolto del Cristo e
fare come fece lui, cioè condividere la vita dei poveri e diventare povero come loro. Si disse di
Chevrier che accogliesse dei piccoli diavoli per farli diventare dei santi. Un miracolo? Si, perché la
vita di ogni uomo e donna cambia nella misura in cui fa esperienza di essere amato.
Alcuni genitori mandavano i loro figli da lui perché erano dei delinquenti. Altri gli chiedevano che
andasse a tirarli fuori dalla prigione e poi li tenessei con sé. Un testimone racconta:
«Spesso ho visto dei giovani tra i 16 e i 20 anni prepararsi e fare la loro prima
comunione. Qualcuno di loro aveva lavorato come saltimbanco, ed era molto esperto
negli esercizi acrobatici, altri come pugili, mangiatori di fuoco, … Così le ricreazioni
erano una riuscita riproposizione delle feste tipiche da luna-park».
Tutto questo accadeva al Prado.
Il Prado originariamente era una sala da ballo molto conosciuta e malfamata. Antonio Chevrier
dopo non poche esitazioni e discussioni, si decise di acquisire quello stabile. Era il 1860. Potè così
iniziare ad accogliere i giovani per sei mesi, prendendoli completamente a carico, nell’intento di
offrire loro un po’ di istruzione e far scoprire, poi, il Cristo in un clima semplice e confidenziale. In
quest’opera cercò di coinvolgere altri preti a condizione che accettassero di vivere poveramente tra i
poveri per far conoscere loro il vangelo in un linguaggio accessibile e in uno stile vero. Le difficoltà
che incontrò furono numerose: alcuni preti non ottennero l’autorizzazione per andare con lui, altri
non si adattarono a quel regime di vita. Allora decise di chiedere l’autorizzazione a formare in
prima persona dei giovani in vista del sacerdozio. Per questo obiettivo aggrega intorno a sé giovani
operai. Propone loro una formazione secondo il vangelo, una vita consacrata a Cristo e ai poveri.
Alla fine una donna tra i giovani formati sarà la prima suora del Prado. Nel corso di tutti questi anni
formativi dedica molto tempo a lavorare sul vangelo per contemplare in esso Gesù Cristo.
Antonio Chevrier, modello di vita apostolica
Il Papa Giovanni Paolo II, il 14 e 15 settembre 2001, nella sua visita in Francia si rivolse ai
seminaristi e ai loro formatori riuniti a Lione:
«I seminaristi insieme ai loro formatori sono chiamati a formare una comunità di
discepoli che vogliono rivivere l’esperienza dei Dodici uniti a Gesù (cf. Pastores dabo
vobis, 60), per imparare a vivere e a servire come Lui. Per questa ragione è importante
che essi non cerchino onori e nemmeno la ricchezza o il potere, quanto piuttosto si
sforzino di essere miti e umili di cuore (Mt 11,29), piccoli (Mt 11,25) sull’esempio del
Maestro. In tal modo essendo veramente suoi discepoli ogni persona potrà sentirsi
rispettata e accolta quando un giorno busserà alla loro porta. Essi troveranno nel Beato
Antonio Chevrier come nei numerosi santi di Francia, dei modelli di vita apostolica»
(Doc.Cath. 21.X. 2001, nr.2256).