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TERRITORIinMOVIMENTO REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI AVEZZANO N. 118/94 - DIRETTORE RESPONSABILE ANGELO VENTI - REDAZIONE LOC. PETOGNA 15, LUCO DEI MARSI - ANNO XXII - NUOVA SERIE - NUMERO 10 (SETTEMBRE 2015) - DISTRIBUZIONE GRATUITA Anarchici e terremoto COLLETTIVO 15 + EDOARDO PUGLIELLI N el penultimo numero ci siamo (non) brevemente intrattenuti sul ruolo svolto, nella disastrosa contingenza del terremoto del 13 gennaio 1915, dai mezzi di comunicazione ovvero della «importanza nuova della figura del giornalista inviato, resa possibile dal telegrafo e dal telefono» (John Dickie) che nel periodo dei primi soccorsi svolse un ruolo – che le fonti concordemente attestano e modestamente ci siamo sforzati di illustrare, quanto meno nell’autorappresentazione che della stessa produssero i cronisti interessati – tutt’altro che marginale. Nel corso delle iniziative intraprese per solennizzare l’occorrenza del centenario, fatte salve quelle nelle quali si sono reiterate leggende e resoconti apocrifi o addirittura legittimate delle vere e proprie invenzioni di conio sgangherato, l’utilizzo della non indifferente (per quantità e qualità) fonte della stampa quotidiana e periodica conservata nelle emeroteche è stato massiccio. Si è corsi e ricorso ad ogni lembo di inchiostro fungibile, talvolta sino a piegare un flusso per mole poco padroneggiabile e (per natura) parziale di informazioni, onde accreditare le nostre versioni, le nostre visioni di quel che fu, con esiti più e meno riusciti. Senza voler banalizzare il discorso o, al contrario, precipitare in considerazioni – sul crinale tra epistemologia, filosofia e ontologia - sul significato di narrare il passato e sulla «finale indecidibilità della verità-fedeltà della memoria» (Ricoeur) e cosa questo implichi nella semplice attività di ricerca – e cosa andare a scovare – e di porsi le domande – quali e perché – «… il sottoscritto che posto al governo di questa Diocesi da 27 anni, ha dovuto curarne la rinascita dopo il disastro del 1915… » (Pio Marcello Bagnoli a Mussolini, 11 febbraio 1938) cui tentare di dare un’elaborazione, pure occorre un approccio minimo e minimale all’attività che ci si propone di condurre. La questione della ricostruzione della immagine della società dei nostri nonni e bisnonni (società che se non è propriamente da ricondursi a quella dello “spettacolo” e dell’immagine di Debord e dei situazionisti [argomento pure brillantemente crossoverato in uno dei migliori testi pubblicati, ad oggi, per il centenario: Giuseppe Pantaleo, Nuove cancellazioni, Aleph editrice] certo ne è la diretta genitrice, ad onta delle tante visioni esclusivopauperistiche tramandateci dai cantori tardivi dei cafoni) e del maneggiare la mole delle informazioni possedute ci pone dinanzi a dei problemi deontologici, di metodo, e talvolta di semplice buonsenso e modestia, di non poco conto. In occasione di un discorso ai suoi alunni del liceo di Amiens – discorso che ha pure cento anni, ed è quindi emblematicamente coevo al sisma – uno dei maggiori storici di tutti i tempi, Marc Bloch, ammoniva che il fatto di studiare, per mestiere (perché quello dello «storico» è un vero e proprio lavoro, forse il più difficile che si possa esercitare, che necessita di una preparazione e di una dimestichezza tecnica non comuni), delle battaglie alle quali egli non aveva assistito, di descrivere monumenti scomparsi ben prima della sua nascita, di parlare di uomini che non aveva conosciuto, in una parola, del passato, lo poneva in una formidabile condizione di minorità. gli storici. Noi non abbiamo una conoscenza immediata e personale degli avvenimenti di un tempo, paragonabile a quella che il vostro professore di fisica ha, per esempio, dell’elettricità. Non sappiamo nulla, su di essi, se non per i racconti degli uomini che li videro compiersi. Quando questi racconti ci mancano, la nostra ignoranza è totale e senza rimedio. Tutti noi storici, i più grandi come i più piccoli, rassomigliamo a un povero fisico cieco e impotente che non fosse informato sui suoi esperimenti altro che dai resoconti del suo aiuto laboratorio. Noi siamo dei giudici istruttori incaricati d’una vasta inchiesta sul passato. Come i nostri confratelli del Palazzo di Giustizia, raccogliamo testimonianze con l’aiuto delle quali cerchiamo di ricostruire la realtà. Ma è sufficiente riunire queste testimonianze e poi cucirle l’una con l’altra? No di certo. Il compito del giudice istruttore non si confonde con quello del suo cancelliere. I testimoni non sono tutti sinceri, né la loro memoria sempre fedele: tanto che non si potrebbero accogliere le loro deposizioni senza alcun controllo. Come si comportano dunque gli storici, per trarre un po’ di verità dagli errori e dalle menzogne, e per mettere da parte, fra tanto loglio, un po’ di buon grano? L’arte di discernere nei racconti il vero, il falso e il verosimile si chiama critica storica. La situazione in cui mi trovo è quella di tutti CONTINUA A PAGINA DUE A queste precise parole di Bloch abbiamo pensato quando ci siamo sovvenuti delle quattro pagine di fogli quadrettati vergate a mano dal medico Francesco Ippoliti LE RICOSTRUZIONI (PARZIALI E PLURALI) U na delle ragioni per le quali si può essere solo in (minima) parte soddisfatti dei molteplici tentativi ai quali abbiamo assistito negli ultimi mesi, aventi lo scopo della rievocazione degli eventi di cento anni fa – e di quel che è venuto dopo (nebulosa quest’ultima onestamente rimasta avvolta nelle spire della quasi più totale oscurità) –, risiede nella reiterazione di cliché per mezzo dei quali si è ricondotto un evento storico di eccezionale complessità all’azione di pochi. E all’azione, dispiegata da questi pochi, legata principalmente al momento dei soccorsi e dell’emergenza. Senza voler minimamente sottovalutare l’opera di San Luigi Orione (che sarà oggetto di un prossimo numero speciale) e richiamando quanto già in passato pubblicato relativamente all’azione dell’allora Vescovo dei Marsi, Pio Marcello Bagnoli, riteniamo sia stato eclissato il ruolo fondamentale del Ministero dei Lavori pubblici, e dei Servizi speciali che ad esso afferivano, con il Genio civile. Questo riflesso alla CONTINUA IN ULTIMA PAGINA Territori in movimento Sul terremoto Impressioni scritte nel febbraio 1915 CONTINUA DA PAGINA UNO: Anarchici e terremoto (San Benedetto dei Marsi, 1865-1938), il padre dell’autonomia comunale sambenedettese (della quale ricorre il settantesimo anniversario), che trattano del terremoto del 1915, e costituenti un inciso in una molto più ampia raccolta di suoi scritti che egli – anarchico e perseguitato da alcuni esponenti fascisti marsicani e suoi paesani – mise in salvo in tarda età con modalità che descriveremo più avanti, e che racchiudono un’esperienza politica e di vita quarantennali. Ad una prima lettura dell’appunto dell’Ippoliti, è evidente quanto i contenuti di questo stridano notevolmente con tutto il resto del contesto – dell’affresco, cioè, del terremoto collettivamente dipinto con i colori delle testimonianze di archivio e di emeroteca –, delle informazioni in nostro possesso, di quanto da allora ad oggi (talvolta, acriticamente) abbiamo ripetuto; ed evochino, nel contempo, quanto potremmo avere obliato o, in ogni caso, l’esistenza di una faccia nascosta della luna, del non-conoscibile. Ma forti degli assiomi del maestro Bloch, che «non ci sono testimoni del tutto cattivi» e che quindi anche «un resoconto molto carente può contenere informazioni utili» riteniamo doveroso pubblicarlo quest’appunto, nonché brevemente postillarlo onde mostrare che molto di quel che appare, in esso, alla prima assunzione, confliggente con quel che in passato si è narrato, non sia poi così fuori target, ingiustificato o solo ingenerato dall’acredine e dalle idiosincrasie personali (pure presenti). Non solo: tale testimonianza può essere ascritta ad un modo proprio di pensiero, patrimonio di un gruppo, di uno strato sociale (minoritario) pure presente all’epoca. Con il quale occorre fare comunque i conti, evitando tuttavia di cadere nella tentazione di costruire un passato narrativo composito che, volendo contemperare le diverse voci, ne faccia un amalgama complessivo indigesto o troppo saturo. Ad ognuno il suo. I l testo del medico Ippoliti ci consente di porre concretamente una serie di questioni formali e contenutistiche che si pongono all’atto dell’esegesi di un testo, anche di quello all’apparenza più comprensibile e diretto. Per cercare di speculare sia cosa realmente mostri, sia cosa esso celi. Vi sono, nel manoscritto, termini che solo all’apparenza sono utilizzati erroneamente o impropriamente: se la tenda “sdruscita” rimanda, nell’aggettivo, ad un antichismo, più interessante è, ai nostri fini, il termine “collegamento” che figura probabilmente in luogo di “collocamento”. Questo lapsus potrebbe costituire l’indizio – il termine FRANCESCO IPPOLITI S occorsi scarsissimi, arrivati 4 giorni dopo. I sepolti vivi ebbero tutto il tempo di morire. Trascuratezza nei centri minori e nei casolari sparsi, quando si tratta di pagare le tasse il governo non perde tempo di mandare i suoi segugi (uscieri) fino in mezzo ai boschi dei più alti monti dell’Abruzzo a scovare qualche contribuente in un casolare isolato. Dopo pochi giorni molti automobili correnti più per autoreclame, che per l’utile ai superstiti. I corrispondenti dei grandi giornali alla caccia della notizia sensazionale e l’aneddoto piccante, si fermavano al principio delle macerie e contemplavano. La distribuzione delle derrate alimentari e degli indumenti fatta parzialmente. Non è mancato l’insulto di qualche gallonato al misero tapino proletario ricoverato sotto una tenda sdruscita. Molta reclame nei giornali ad alcuni medici e ad alcuni borghesi, che agivano non per affetto e solidarietà umana, ma per studiato calcolo. Arrivati i soccorsi, venne il maltempo ed aiuto non se ne potette prestare. I soldati per lo scavo dei morti distribuiti per favoritismo od altro. Chi poteva, scavava da sé o con gli operai ben pagati. Dopo il maltempo qualche cosa si potette fare e qualche cosa i soldati fecero. Il 31 gennaio si riunirono alcuni superstiti, che chiameremo capi, a Roma, con i due deputati del collegio. Fu discusso 1° Collegamento dei superstiti in luogo sicuro per salvarli dalle intemperie. Nulla praticamente si è fatto. 2° Ripristinamento del tribunale in Avezzano. I legulei facevano la voce grossa. Naturalmente il governo si è affrettato a soddisfare la richiesta dei vampiri legulei. La giustizia borghese trastulla!! Il finimondo-ohibò! Il prestigio del governo, ove se ne va? E di baracche si chiacchiera nei giornali a chi più grosse le può sballare; ma non si veggono sorgere a sufficienza. E quanti soffrono ancora! Suscita sdegno leggere nei giornali grandi, il conte tal dei tali, maggiore dei bersaglieri ha fatto il primo battesimo ad Avezzano! A Cappelle e ad Ortucchio i superstiti preti hanno detto la prima messa avanti la facciata della chiesa rimasta in piedi! Ed aggiungono le vignette. Il sacramento è stato portato in processione sulle macerie di Avezzano. Accanto ad una larva di scuola elementare aperta il 29 gennaio in Avezzano è già sorto il tribunale; la lucrosa bottega dei vampiri avvocati. È così che ricomincia la vita nei paesi della morte: con la sciabola, la toga e l’aspersorio. Insulto perenne e ripugnante ai morti, la cui eco dei gemiti ancora lacera le orecchie dei congiunti. POSTILLA SU UN TESTO POVERO zibaldone nel cui novero è ricompreso l’appunto sul terremoto. Risulta difficile equivocare “collocamento” per “collegamento”, a meno di non aver copiato distrattamente…. La circostanza che in questo corpus – che ha tanto di indice, indice che enumera trenta lavori, e consta di diverse decine di fogli (la numerazione talvolta ricomincia e salta cosicché l’attribuzione di alcune pagine ad uno o ad altro degli interventi resta difficoltosa così come un conto complessivo delle cartelle vergate, non avendo avuto modo di lavorare su tutte le carte appartenute all’Ippoliti) – siano ricompresi scritti che abbracciano oltre trent’anni di vita del quale ripetizione meccanica errata – della pratica dell’autore di riprodurre manualmente in più copie i propri scritti (circostanza accertata per alcuni altri testi del medesimo, oggetto anche di pubblicazione) finalizzata a tramandare un più ampio corpus documentario di testimonianze, aneddoti, appunti, testi di discorsi, occultandoli e allocandoli in più luoghi (quello da noi visionato e utilizzato è di provenienza familiare), Territori in movimento / per Centenario terremoto 13 gennaio 1915 medico, ci suggerisce l’idea che al contrario (anche se più modestamente) di Sant’Agostino, l’Ippoliti facesse differenza tra passato vicino e passato lontano e abbia inteso, attestando che la testimonianza fosse coeva («Impressioni scritte nel febbraio 1915») seppur trascritta in anni di molto successivi, ricomprendere i fatti del terremoto in quel che Husserl definisce passato recente ovvero patrimonio che erompe da un qualcosa che fa parte ancora di noi e non è ancora un passato ricordato. Evidente la preoccupazione di voler dire che si sta[va] tramandando una ricostruzione fatta di getto, non mediata, non meditata cioè con l’idea successiva che dei fatti si è sedimentata nel tempo (modificandone la percezione): una testimonianza autenticamente spontanea. Chiaro altresì che la si sia lasciata affinché fosse letta e divulgata, pur nell’alea-accidentalità dell’incontro tra la fonte ed il suo fruitore-utilizzatore, che potrebbe – come poteva – anche non avvenire mai. Gli aspetti storici che potrebbero apparire calcati, ad una riflessione più approfondita, ponderati con le fonti che oggi abbiamo a disposizione, non lo sono poi così marcatamente. L’ipotesi del collocamento dei superstiti in luoghi più sicuri, nel post-terremoto, ivi compresi dei campi di concentramento, (espressione alla quale all’epoca non si annetteva evidentemente il senso funesto conferitogli da due guerre mondiali e dal Novecento) ebbe, all’epoca, diversi sostenitori, tra i quali il deputato del collegio elettorale di Pescina, Erminio Sipari (che in data 20 gennaio 1915 telegrafa al Presidente del Consiglio «[…] studiare se Governo può ufficialmente annunziare che garantisce ricovero superstiti campi concentramento diverse città italiane - In esse si costituirebbero comitati per dar lavoro persone valide - Sembrami questa unica soluzione salvare superstiti terremoto da polmonite altre malattie […]») sino al più eminente rappresentante abruzzese in Parlamento, il marchese Cappelli (giunto all’epoca all’undicesima legislatura). Quest’ultimo a fine gennaio 1915 scrisse, ad uno dei gangli più importanti della gestione dell’emergenza, l’ispettore generale dell’Interno Bardesono Di Rigras, quanto segue: «[…] Ti suggerisco un’idea: se si facessero specie di campi di concentramento, lungo la marina adriatica, per tutti quelli che non possono restare nei loro paesi? Alcuni locali per uomini, altri per donne e bambini. Le baracche non possono [?] e per farle prima di mesi! […]». Anche il ritardo nei soccorsi lamentato dall’Ippoliti è argomento meno destituito di fondamento di quel che potrebbe a prima vista apparire, tenendo presente che costui ha esperienza di San Benedetto ovvero di quel settore della conca del Fucino che ricomprende i centri di Collarmele Pescina San Benedetto dei Marsi Gioia Ortucchio Lecce nei Marsi (le risultanze certe di stato NUMERO civile attestano 8.000 vittime) nel quale, è ormai attestato, si poterono strutturare le operazioni di soccorso ai superstiti con molte ore di ritardo rispetto ad Avezzano. Diverse decine di ore. Il testo dell’appunto – per chi conosce le vicende personali dell’estensore – si presta inoltre ad altre speculazioni. Il riferimento alla molta reclame per i medici sottende sia la polemica che l’Ippoliti aveva intrattenuto con i suoi colleghi condotti (ragione non ultima del suo trasferimento in altra regione, il Lazio, dove in effetti si trovava a prestare la sua opera all’atto del sisma) sia l’astio che lo divideva dal titolare della condotta medica di San Benedetto dei Marsi, reo di essere imparentato ad alcuni suoi nemici politici pescinesi. Al medico della (allora) popolosa frazione San Benedetto, Vincenzo De Sanctis, sia detto per onestà, addirittura la Fondazione Carnegie diede un riconoscimento per la coraggiosa opera dispiegata nel soccorso dei sepolti, in paese. Infine, nell’accenno agli scavi delle rovine si legge, in trasparenza, il vero e proprio disastro che colpì, con il terremoto, non solo l’Ippoliti ma un’intera classe di proprietari e professionisti, che ebbe distrutto non solo quanto possedeva ma l’intero universo che legittimava status e condizione. Solo per fermarci all’aspetto fisico della distruzione, sappiamo, dalla documentazione dell’Archivio Centrale dello Stato, che la famiglia del medico Ippoliti ebbe distrutta, tra gli altri immobili, «una casa di 21 vani […] compreso gli arredi, la roba tutta consistente in biancheria, oggetti di oro e d’argento e denaro per il valore di quattromila e più lire rubate i primi giorni, ché la roba stessa divenne preda di ladri». Abbastanza per rimanere traumatizzati, o amareggiati, per le modalità con le quali – si ricordi però: in un paese, San Benedetto, con duemilatrecento morti – si poté mettere mano alle rovine per salvare qualcosa. Un vero e proprio magone, nello scrivere e nel leggere del destino di «una biblioteca di oltre cinquemila lire di opere, ferri chirurgici completamente distrutti tra le macerie». Talmente forte quest’ultima perdita per il medico che due anni più tardi, il compagno di fede anarchica Franco Caiola scriverà: «Con piacere ho appreso le notizie del buon compagno Ippoliti. Al mio ritorno d’oltre Oceano, pochi giorni dopo avvenuto il disastro tellurico, lo cercai appunto per vedere se potevamo fare qualche cosa per la propaganda sovversiva, o almeno antireligiosa, ma non mi fu possibile saper nulla. Però le sue affermazioni non distruggono la verità di ciò che io ho scritto riguardo la mancanza di un movimento sociale. È necessario quindi crearlo e fare il possibile fin d’ora perché queste plaghe non rimangano alla mercé dei soliti politicanti e di coloro che speculano sulle fatiche e sull’ignoranza dei lavoratori. Nella 10 - SETTEMBRE 2015 2/3 Marsica vi sono operai di tutte le regioni d’Italia e non sarebbe male additare tutte le sconcezze che qui si commettono. Non bisogna scoraggiarsi caro Ippoliti. Se la biblioteca è andata distrutta dalle cieche forze della natura, altri libri vi sono nelle biblioteche. Se le vigili sentinelle sono cadute, altre ne sorgeranno. Basta scuotere l’inerzia, lavorare, intendersi per l’opera comune. Ed io son qui pronto a fare ciò che sta nelle mie forze. Da questo piccolo paese ben 15 o 16 sono del 98 partenti. Il prete, che domina tutto qui, ha detto la messa per loro, li ha confessati ed ha fatto a tutti il solito regalo di medaglie [nere?]. I giovani tutti gioiosi suonavano e cantavano contro gl’imboscati gridando viva il re e morte all’imperatore. Io li guardo e rifletto mestamente. Vedo qualcuno che sotto la maschera dell’allegria nasconde una certa preoccupazione e ne indovino il motivo. Il mio augurio è perché tornino e fatti coscienti da la dura esperienza, vengano con noi a combattere per la vera giustizia, pel benessere di tutti, per la libertà» [«Il Libertario», 8 marzo 1917] … Non bisogna scoraggiarsi caro Ippoliti. Se la biblioteca è andata distrutta dalle cieche forze della natura, altri libri vi sono nelle biblioteche… Ma che aveva scritto e a cosa si riferisce, in quest’ultimo brano, il Caiola – figura di Paterno recentemente sorprendentemente ricordata in Avezzano con dei volantini anonimi? Maggio 1915: «[…] sconosciuta da tanto tempo per il suo sonno letargico, per la sua indifferenza alla solidarietà cogli altri lavoratori, per il suo contegno passivo riguardo alle organizzazioni e alle idealità di rivendicazione umana, la Marsica, causa il recente terremoto, si è fatta notare al mondo intero […] Che cuore! La frazione di Paterno di Celano conta 2.000 abitanti. Ve ne sono oltre 400 storpiati e derelitti che ancora vivono in ricoveri provvisori come maiali! Ma eterne bestie continuano a credere in dio, nel governo e nel re. Quando si sveglieranno?» [Note dalla Marsica, Paterno di Celano, «Il Libertario», 20 maggio 1915]. E qui si viene, al termine, a considerare quale sia stato e fosse il punto di vista degli anarchici, in questa tragedia del terremoto. Lo si può condensare, forse, in quel sottile filo che Koselleck rubricava quale polarità di base tra “spazio di esperienza” e “orizzonte di attesa”, spazio ed orizzonte entrambi innestati nella sofferenza delle masse, per la loro condizione fisica e materiale, per l’abbrutimento che osservano allignarvi. Sentimenti senza i quali d’altronde non avrebbero militato sotto le insegne rosse e nere. Territori in movimento / per Centenario terremoto 13 gennaio 1915 articolo di fianco riprodotto fu scritto L da Umberto Postiglione (1893-1924), anarchico di Raiano emigrato negli USA nel 1910. Fin dal suo arrivo nel nuovo continente Postiglione si avvicinò alla redazione del periodico fondato e diretto da Luigi Galleani, «Cronaca Sovversiva», divenendone ben presto uno dei principali collaboratori. Fu anche conferenziere e propagandista, nonché fondatore di biblioteche e di circoli educativi per la diffusione della cultura tra i ceti popolari. Prese parte attiva alle grandi lotte di classe che scossero gli USA degli anni Dieci, e denunciò sistematicamente il razzismo e il grave sfruttamento a cui erano sottoposti i lavoratori italiani nelle miniere e nelle industrie statunitensi. Tenne un considerevole numero di conferenze e di incontri di propaganda presso le comunità di immigrati italiani sparse in California, Connecticut, Illinois, Iowa, Massachusetts, Michigan, Minnesota, Montana, New Jersey, New York, North Dakota, Ohio, Pennsylvania, Rhode Island, Vermont, Washington, Wisconsin. In ogni luogo in cui si fermò, «il ragazzino macilento e vestito alla buona portò la sua parola semplice, franca, amica, una parola che sgorgava dal cuore di uno che aveva conosciuto, per averle vissute, le sofferenze degli emigranti» [Venanzio Vallera, Presentazione, in Umberto Postiglione, Scritti Sociali, Pistoia 1972]. Nel ricordo di Marchesani, Postiglione portò «la sua parola appassionata ai nostri connazionali, ai quali insegnava la via della redenzione» [Vincenzo Marchesani, In memoria di Umberto Postiglione, Aquila 1925]. La notizia del disastro tellurico lo colse in California, dove nel mese di dicembre aveva tenuto una serie di conferenze sulle tematiche La nostra neutralità e la guerra, Religione e scienza, Riforma e rivoluzione, La nostra utopia, presso gli spazi del Circolo filarmonico italiano di San Francisco. NUMERO 10 - SETTEMBRE 2015 4 U M B E R TO P O S T I G L I O N E «O morti d’Abruzzo, o rudi montanari del Velino e del Silente, scarni mietitori del Fucino, che la morte svegliò dal sonno d’Aligi – che non ha visioni, né sogni – o morituri sepolti sotto i muri affumicati dei nudi casolari, urlate dal tetro sepolcro vostro la mia bestemmia, la maledizione mia. Rivivere ai martiri è dato. E il martirio vostro non fu l’ora breve dell’agonia, della morte. Non le occulte forze della natura, il solo vostro nemico. Fu tutto un martirio la vita vostra. Voi siete morti senz’aver vissuto. Voi moriste il giorno che nasceste, reietti figli della fatica che non ha riposo. E voi superstiti, voi larve di vivi, voi che alla morte sfuggiste, ed ora la morte nel dolore e nel singhiozzo invocate, asciugate il pianto. Da questi lidi lontani, attraverso l’immensità dell’oceano che ci separa, mille braccia si protendono a voi per l’amplesso solidale, fraterno. Sono i figli dell’Abruzzo, esuli dal cielo ridente che non ha sorriso pei miseri, dalla terra ubertosa che non ha spighe per chi le bagna col suo sudore, che nei feudi cosacchi della grande repubblica del dollaro ruppero l’antico incauto e nel cuore gonfio d’angoscia sentirono germinare una nuova fede. E nella terra dove sorse Corfinio, e i Marsi e i Peligni, contro il dispotismo della Roma cesarea, bandirono la prima guerra sociale, o derelitte plebi, dalla montagna al mare, strette vi volevano e vi vogliono in un fascio forte e fecondo, a rinnovar l’antica ribellione degli avi, contro l’imperio nuovo. Non la furia cieca della materia spezzante le vertebre dei tuoi monti, o Abruzzo, ma il turbine denso di odio e di vendetta plebei, ma l’umana tempesta travolgente le dighe che alla liberazione operaia chiudon la via, il figlio tuo ribelle aveva sognato con l’ardente voluttà dello sposo che pregusta il piacere della prima notte d’amore, di giorno, ad occhi aperti, davanti al mare, per le vie solitarie inondate di luce e di sole. E nella fede nella tua rinascita saldo rimane più che mai oggi, come le cime altissime del Gran Sasso bianco e silente all’infuriar della bufera. Ci dipinse nelle tele docili bestie da soma Patini; luridi vermi di terra, macerantisi la carne nella convulsione epilettica dell’esorcismo, Michetti; ci disse irredimibile progenie d’uomini senz’anima, nella tragedia e nel carme, D’Annunzio; cantò nella romanza la flebile nenia pastorale, Tosti. I figli tuoi giovanissimi, nati ora alla luce e all’amore, che la vita esercitano nell’opra del pane, nella lotta per la libertà, più schiavi imbelli non sono: han maledetto dio e i potenti d’ogni terra, e col cuor sulle labbra cantano il fiero inno della rivolta. Essi hanno raccolto l’Abruzzo nuovo nato dal ventre squarciato della terra. E lo allatteranno col sangue rosso dei reprobi. E lo faranno gigante. O proletaria gente d’Abruzzo, solleva il capo chino. Vedi? Il ribelle tuo figlio non piange. Le mie lacrime scendono nel cuore e vi accendono la fiamma». Vescovo si trova a chiedere ulteriori provvidenze per procedere a quella ricostruzione che arbitrariamente egli nel contempo si attribuisce ed intesta. Sino a che si tratta di ricostruzione “morale” si potrebbe anche consenti- re…. ma non per quella materiale, che è stata in capo, evidentemente, per grandissima parte, alla fatica dei singoli e all’opera miliardaria dello Stato. Edifici di culto compresi. Umberto Postiglione, Los Angeles, gennaio 1915, Nell’ora triste, in «Cronaca Sovversiva», Ebdomadario anarchico di propaganda rivoluzionaria, a. XIII, n. 6, Lynn, Mass., 6 febbraio 1915. CONTINUA DA PAGINA UNO: Le ricostruzioni (parziali e plurali) personalizzazione – e alla banalizzazione quindi di un processo dalle molteplici e diverse dinamiche – si ritrova anche nella missiva indirizzata dal Bagnoli a Mussolini della quale pubblichiamo un dettaglio…. e nella quale il